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Autore: fire_94    17/10/2014    2 recensioni
Una ragazza normale, che la gente tende a ignorare. Una ragazza che sfoga tutta la propria disperazione nell'arte.
Ma... e se dipingere non bastasse più?
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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In un normale paesino come tanti, c'era una normale ragazza che tutti, normalmente, ignoravano.
Nessuno conosceva il suo nome, era conosciuta come “l'asociale”, “la solitaria”, “la depressa” e chi più ne ha più metta. Lei, dal canto suo, non provava mai ad avvicinarsi agli altri. L'idea di dover fare il primo passo, di parlare a un perfetto estraneo senza un buon motivo per farlo, la terrorizzava troppo. Così, semplicemente, rimaneva sempre sola, con il viso nascosto dalla marea di capelli castano scuro, dentro dei vestiti fuori moda.
Nessuno le faceva caso. Perfino i professori spesso si dimenticavano di lei.
Quando tornava a casa, ad aspettarla non c'era nessuno. Suo padre era sempre fuori per lavoro, mentre sua madre di solito era troppo occupata a preoccuparsi di stare con le sue amiche per preoccuparsi di lei. Sua madre si vergognava di lei, del suo modo di essere diverso, per questo cercava di non farsi mai vedere in sua compagnia.
Per questo, spesso si ritrovava sola anche a casa.
Non aveva quasi mai un motivo per parlare, perciò erano in pochi a conoscere il suono della sua voce.
Spesso aveva sentito dire che, col tempo, avrebbe trovato prima o poi una persona che non l'avrebbe giudicata per come appariva, ma per come era davvero dentro. Così aveva aspettato. Aveva aspettato a lungo.
Alcuni facevano di tutto per evitare di rivolgerle la parola, anche quando le circostanze li obbligavano a parlarle.
Ma lei aveva continuato ad aspettare.
Ma l'unica cosa che il tempo sembrava cambiare era solo il dolore che provava.
Chiunque avrebbe forse pensato che prima o poi avrebbe dovuto abituarsi, invece il dolore aumentava ogni giorno, ogni volta che veniva ignorata un pezzo del suo cuore cadeva.
Il suo unico sfogo, per molti anni, fu l'arte. Dipingeva tutto ciò che provava, ma tutti i suoi lavori restavano nascosti nel suo armadio. Non voleva che qualcuno li vedesse, erano i suoi tesori più preziosi, nessuno doveva osare insudiciarli.
Un giorno sua madre li trovò. La derise per la sua arte, diceva che era troppo macabra, troppo oscena, troppo depressa. Diceva che era stupida, inutile, e che capiva perché si vergognasse e non volesse farla vedere in giro.
La ragazza allora sentì anche l'ultimo frammento del suo cuore andare in mille piccoli pezzetti.
E da quel momento nessuno dei suoi dipinti poteva più aiutarla a sfogarsi.
Aveva bisogno di qualcosa di meglio.
Alcune notti dopo, le venne un'illuminazione.
Prese uno dei coltelli da cucina più affilati che possedevano in casa e si recò in camera di sua madre. Lei stava russando, aveva una guancia affondata nel cuscino e la bocca aperta, da cui sgorgava un filo di bava. I suoi capelli, di solito legati in una comoda coda di cavallo, erano sciolti e liberi di spandersi come un ventaglio sulle lenzuola candide del suo letto matrimoniale, così grande e vuoto. Indossava una veste semitrasparente, rosa, che le lasciava scoperte le gambe piene di cellulite. Una parte del lenzuolo giaceva a terra, mentre l'altra le copriva soltanto la pancia un po' rigonfia.
Non era una bella donna, né lo era mai stata.
La ragazza sapeva che avrebbe dovuto pensare il contrario, che la gente di solito vedeva i genitori come le persone più belle del mondo, almeno quando erano bambini. Per lei non era mai stato così, aveva sempre trovato suo padre un uomo normale e sua madre ben sotto la media rispetto alle altre donne della sua età.
Posò un piede scalzo sul pavimento freddo della stanza dei suoi. Si portò silenziosa al capezzale della madre, rimanendo ferma a osservarla nel buio per qualche minuto buono. Mentre con una mano carezzava la parte piatta della lama, si chiese se mai avesse provato affetto per quella donna. Non riusciva a ricordare neanche un solo momento in cui si fosse sentita felice della sua presenza.
Né ricordava di un solo momento in cui sua madre si fosse dimostrata felice di quella di lei.
Si sedette al suo fianco, sfiorò il suo viso con il dorso della mano, nel gesto più dolce che le avesse mai riservato.
Sua madre aprì lentamente gli occhi, ma le passò una mano sulle palpebre, costringendola a richiuderli. Non le diede nemmeno il tempo di parlarle. Con la sua espressione impassibile e seria, priva di emozioni, coperta dai capelli, che tutti ormai conoscevano, sollevò il coltello e lo affondò nello stomaco della donna.
Non era un granché come arma, perciò dovette utilizzare tutta la propria forza per far penetrare la lama nelle sue carni. Ma la sensazione che provò la riempì di piacere.
A quel punto, sua madre spalancò gli occhi e aprì la bocca per urlare.
La ragazza le aprì uno squarcio nella gola un istante prima, così che, al posto di un grido, le uscirono soltanto dei rantoli e del sangue. I suoi denti, le sue labbra, il cuscino sotto di lei, il coltello... tutto quanto ormai era del colore scuro del sangue.
La ragazza incontrò lo sguardo della madre. Era terrorizzata, perché ormai aveva capito di non avere più alcuna speranza, ormai era morta. Il dolore doveva essere eccessivo, troppo, perfino per piangere, perché i suoi occhi divennero lucidi e rossi, ma non versarono neanche una lacrima. Si limitarono a fissare quelli della figlia in un'espressione interrogativa.
Lei però era sicura che la madre sapesse bene il perché di quel suo comportamento. Aveva sperato più che altro in delle scuse. Invece quella donna si era dimostrata una pessima madre fino alla fine.
Le affondò ancora una volta il coltello nello stomaco, allargando ancor di più la ferita che le aveva aperto poco prima. Continuò a colpirla, godendosi la sensazione paradisiaca del sangue che le colava sulle mani, che le schizzava sui vestiti e sulla faccia, finché non esalò il suo ultimo respiro.
Dopo, le aprì lo stomaco, mettendo a nudo tutti i suoi organi interni. La svuotò pian piano, con molta pazienza. Si munì poi di ago e filo e la ricucì alla bell'e meglio.
Quando ebbe terminato, si prese qualche minuto per poter osservare il suo lavoro da più angolazioni.
Si concesse un sorriso, il primo vero sorriso di tutta la sua vita.

Quella era la sua più grande opera d'arte.




Angolo Autrice:
Salve a tutti!
Non so come mi sia venuta questa storia, devo essere sincera... è stato uno sclero del dopo cena! xD
No, seriamente... ho appena terminato di scriverla, perciò non l'ho riletta, altrimenti avevo paura che non avrei più trovato il coraggio di pubblicarla. Quindi, se è piena di errori, mi scuso davvero, ma preferisco così che non pubblicarla e lasciarla a marcire nel mio pc.
Non esiste un motivo particolare per cui non ho dato un nome alla protagonista, forse semplicemente non mi andava di pensarne uno... :P Sono molto pigra, lo so!
Be'... vi ringrazio per essere arrivati fin qui.
Bye bye! ^^

   
 
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