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Autore: Queen of Superficial    17/10/2014    2 recensioni
Un neurologo, un chitarrista,
un'anziana signora, un batterista,
un'anomalia cerebrale, un mistero.
«Clio si riscosse da questi pensieri mentre entrava in macchina e quasi riusciva a sentire ancora la mano di lui sulla coscia. Scosse la testa. Due giorni prima era tutto normale, due giorni dopo niente significava più niente.
Era il 29 dicembre.
Faceva freddo.
»
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E tornava bambino, tornava bambino
quando stava da solo a giocare nei viali di un immenso giardino;
la fontana coi pesci dai riflessi d'argento
che poteva soltanto guardarla,
mai buttarcisi dentro.”
- Roberto Vecchioni

 

 

Brian e Clio correvano a perdifiato nella notte appena scesa.
Per un po' si erano anche tenuti per mano, a causa dello spirito di compensazione che interviene in tutti quelli che si sentono persi, alla deriva. Non sapevano dove andare, non sapevano in che direzione muovere i propri passi. La testa di Brian gli faceva un male rovente, mentre cercava, febbrile, di richiamare alla mente un posto in cui James potesse voler andare. Qualche luogo che gli era stato caro, in qualche tempo; un bar, una casa, una porzione di spiaggia. Qualunque cosa potesse dare a lui e alla sua amica almeno un bersaglio a cui puntare, con quella corsa rocambolesca e inutile.
Perché non abbiamo preso la macchina?, si scoprì a pensare mentre faticava a tenerle dietro. Lei era più veloce, più affusolata ed era abituata a pensare per compartimenti stagni; forse era più lucida di lui, in quel momento, perché l'avevano educata così. Un problema alla volta, mai lasciarsi prendere dal panico o seppellire vivi dalla paura. Brian non sapeva che nella testa di Clio si affollavano le immagini di prima; la sua amica Scarlett, la fisica dei quanti, le mani di sua madre. Scarlett detestava la letteratura; non la capiva, non le sembrava rilevante. Clio non era così; cercava di spiegarle la vita attraverso le parole dei poeti, ma Scarlett scuoteva la testa, sorridendo.
Altre fotografie ancora le sciamavano dietro gli occhi; una pista da sci congelata dalla brina e dalla neve; un cespuglio arso dal sole al centro del parco nazionale Tsavo Est, in Kenya; le gambe di Jimmy che tenevano il tempo del rumore delle rotaie che sferragliavano sotto il tram, a New Orleans. New Orleans. Cosa le aveva detto, James, mentre svoltavano l'angolo di Bourbon Street arrivando da Canal, decisi a bere fino all'ultima goccia di Hurricane che trovavano? Clio, bambina, le aveva detto, non sottovalutare le lapidi. Clio si bloccò in mezzo alla strada e Brian per poco non al travolse, inchiodando in tutta fretta sulle scarpe da ginnastica e mulinando le braccia per aria nel tentativo di mantenere l'equilibrio.
“Che c'è?”, quasi le urlò. Ma Clio sentiva ancora la voce di James, dentro, da qualche parte. Per capire i vivi, bisogna saper parlare con i morti, le aveva detto mentre un'ombra scura calava su Bourbon Street, facendola rabbrividire. È una citazione di un film, le aveva detto poi, non l'hai mai visto? Si chiama Mezzanotte nel giardino del bene e del male.
Clio si voltò verso Brian a occhi sgranati – agitata, cercava di ricomporre i pezzi, di raddrizzare il tiro dei neuroni che le vorticavano impazziti nel continuum spazio-temporale in cui era incastrata la sua memoria, tra passato e presente.
Mezzanotte nel giardino del bene e del male.
“Al cimitero, Brian”, soffiò, quasi senza fiato, “Andiamo al cimitero.”
Erano quasi arrivati a casa di Brian, ormai; si diressero lì e presero la macchina parcheggiata nel vialetto avvolto dal pulviscolo notturno. Il chitarrista guidava fumando una sigaretta dopo l'altra e provò più volte a indagare le ragioni della decisione strategica che lei aveva preso, cioè andare al cimitero, alla quale comunque lui non si era opposto. Le offrì una sigaretta, tremando. “Per capire i vivi, bisogna saper parlare con i morti”, disse Clio a voce troppo bassa perché lui potesse davvero sentirla; Brian, tuttavia, la sentì.
“Jimmy è vivo, Clio.”, disse, più a se stesso che a lei.
Clio annuì, pensierosa.
“Brian.”, provò a ragionare, guardando oltre il parabrezza con un dito che giocava con le sue labbra e la sigaretta che le fumava troppo vicino ai capelli, “E se tutto questo non fosse, come dire, reale?”

 

Buio. Freddo. James sentiva il livore della rabbia avvolgerlo come una pianta rampicante; gli partiva dallo stomaco e seguiva il corso del suo sistema cardiocircolatorio, ostruendogli le vene. Provò ad aprire gli occhi, ma non c'era nulla che potesse vedere. Provò allora a chiuderli, ma non riusciva a cogliere la differenza. Non sapeva se era sveglio, se non lo era, se gli stavano dando sedativi troppo forti in ospedale. Si strofinò i pugni sugli occhi e gli giunse un suono ritmico, legnoso, scricchiolante. Ci vedo, si disse, e provò a spalancare le palpebre. Elda Fitz faceva la maglia su una sedia a dondolo sotto la finestra. James, incredulo, tastò la superficie vicina ai suoi fianchi. Era decisamente un divano. Il divano di Brian. Improvvisamente, rimise insieme i pezzi. La vecchia sedia a dondolo, la finestra da cui entrava sempre troppa luce, quell'orrendo parquet poggiato da un piastrellista pazzo. Casa di Brian. La signora Fitz canticchiava a bocca chiusa, senza dare segni di averlo visto.
“Ben svegliato, James. Cosa vuoi sapere?”
Jimmy si tirò a sedere, guardando quella figura innaturale fare avanti e indietro sulla sedia a dondolo con gli occhi fissi su uno spesso gomitolo di lana. La luce che filtrava dalla finestra era la luce della luna, intensa come un faro nella notte scura.
Pensò a una domanda - una qualunque – da fare a quella strana signora. Aveva come la sensazione - forse solo quello, ecco, una sensazione - che lei conoscesse risposte a quesiti che non si era mai voluto realmente porre.
“Che senso ha?”, si sentì dire, senza sapere precisamente neanche a cosa si riferisse.
Elda Fitz alzò gli occhi dal gomitolo: occhi verde scuro di una potenza così assoluta che avrebbero scongelato un ghiacciaio.
“La vita, James? La nostra inspiegabile, truculenta permanenza su questa palla di acqua e fango che è la Terra? Non lo so. Tu ti sei fatto qualche idea?”
Jimmy rivolse uno sguardo sofferente all'arredamento della stanza: era come se la ricordava, ma un po' diversa.
“No. Non sono così naif.”
L'anziana piegò la testa di lato, osservandolo incuriosita.
“Volevo sapere che senso ha tutto questo. Che ci facciamo qui.”
Elda si strinse nelle spalle. “Ho paura che la mia risposta sia ancora una volta non lo so, James.”, disse, tranquilla, senza staccare gli occhi, “Sei tu che mi hai portato qui.”

 

Clio sentiva il sudore congelarsi sulla fronte, mentre vagava senza scopo tra le lapidi del Forest Lawn. Brian le teneva dietro come poteva, guardando tra l'erba che cresceva rigogliosa e verde sopra il riposo eterno di qualcun altro.
“Ci sono almeno cinque cimiteri, a Los Angeles. Perché proprio questo?”, lo sentì mormorare Clio, senza farci caso. Voleva rispondergli qualcosa di sensato, ma al momento non sapeva cosa.
Sorpassò la bella costruzione della Little Church of the Flowers e le girò intorno, gettando uno sguardo reverenziale alla facciata avvolta dalla notte. Inciampò in un vaso di rose, rovesciandolo. Erano rose rosse e gialle. “Brian.”, chiamò, con una voce impossibilmente ferma. Sentì i passi del chitarrista avvicinarsi a ritmo sostenuto; continuava a fissare i fiori caduti, il vaso d'argento riverso sull'erba, l'acqua che ne fuoriusciva in piccoli rivoli. “Cosa... cos'hai trovato, Clio?”
Clio stava ferma, ipnotizzata dal colore dei petali. Era un neurologo, ma anche una ragazzina. Qualche parte di lei, confinata in decenni prima, era rimasta intatta e ora scalpitava, strepitando per uscire. Voleva avvolgere la Clio ventiseienne con un panico gelido, maestoso, ancestrale. Voleva l'apostasia, la spaccatura netta dell'anima, voleva che si lasciasse cadere a terra tra i singhiozzi e che aspettasse che fosse Brian a sorreggerla, ad abbracciarla, Brian che le voleva bene nonostante nella vita non avesse davvero tenuto quasi a nessuno, che le avrebbe dato la forza e si sarebbe fatto carico degli aspetti più orribili e insopportabili di quella faccenda. Come tutto quel cercare James, cercarlo, cercarlo senza trovarlo mai. Ma Brian era fragile, e spaventato, Brian era umano e precario, Brian amava James e come lei non riusciva a trovarlo. Come lei, respingeva il panico sovrastandolo con una forza che non aveva per amore di qualcosa che non poteva permettersi di perdere. Con uno scatto, Clio si chinò a raccogliere le rose; si punse con le spine, le rimise nel vaso e gettò uno sguardo alla lapide davanti alla quale li stava risistemando. James Sullivan, c'era scritto. Il cuore le mancò un battito e il respiro le si bloccò in gola. Brian si stava guardando intorno, preoccupato dai rumori del cimitero; Clio non voleva che lo vedesse anche lui. Era chiaramente un caso di omonimia – la data di morte, sotto il nome, era il 1935 -, ma le parve una cosa così orribile da non dover essere condivisa. Prima di alzarsi e spostare l'attenzione di Brian su qualcos'altro, fece in tempo a leggere la frase inscritta nel marmo in caratteri solenni. “Home is where the heart is.”
Lo scatto che Clio fece per rimettersi in piedi quasi sbalzò Brian sull'erba soffice. La notte virava a una tonalità più scura, puntando verso quell'ora che era il suo cuore.
“Andiamo a casa.”, disse Clio, sentendo brividi che non erano di freddo coprirle le gambe, “Subito.”

 

Elda Fitz attese un po' che il ragazzo – no, l'uomo – davanti a lei prendesse familiarità con l'ambiente che aveva intorno.
“Qual è il problema, James caro?”, disse infine, intessendo una fitta trama arancione con la lana che aveva in grembo.
Jimmy si sforzò di ricordare. Si era svegliato, in ospedale, e si era alzato dal letto. Aveva un cerchio alla testa così stretto che sembrava una corona. Aveva appoggiato i piedi sul pavimento, era freddo. Si era vestito con le cose che aveva trovato nell'armadio, chissà chi le aveva portate, poi, e si era diretto di gran carriera verso la stanza 102. Elda Fitz guardava fuori dalla finestra, sotto le coperte, con un gomitolo quasi disfatto tra le mani.
“Cosa mi è successo? Perché sono...”
“... morto?”
“... tornato.”
L'anziana donna scosse le spalle in un movimento che le increspò la camicia da notte. “Non volevi andare. Sei tornato da lei. Da loro.”
James chiuse gli occhi e si abbandonò contro il divano.
“C'era un'aria irreale.”, disse soltanto, riferendosi alla notte in cui il suo cuore si era fermato.
Elda Fitz sorrise.
Forse un mattino, andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo.”, disse, un po' cantilenando. Anche James sorrise, con gli occhi chiusi.
“Il miracolo in questione non era il nulla, vedi, James caro. Era tutto il resto.”
Lui aprì un occhio.
“Ma lei non aveva perso la capacità di parlare?”
La signora si lasciò andare a una lieve risata, una risata da nonna. “Forse sono gli altri che hanno perso la capacità di ascoltare.”, gli rispose.
Per un po', l'unico suono nella stanza fu il rumore sferragliante dell'uncinetto unito al cigolare della sedia a dondolo.
James alzò la testa all'improvviso, facendo sussultare leggermente la sua strana interlocutrice.
“Lei cos'è, di preciso, signora Fitz?”

 

 

 

Forse niente di tutto questo è reale
forse nemmeno io sono reale
ma questo fuoco
questo fuoco
deve essere reale.”
- Stephen King, 1408

   
 
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