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Autore: JennyWren    18/10/2014    5 recensioni
John tenne il bicchiere tondo sul palmo della mano e, picchiettando le dita sul bordo, cominciò di nuovo a camminare senza motivo.
Adesso aveva cominciato a respirare superficialmente, sembrava un leone in gabbia, pronto a scattare se solo l’avessero sfiorato.
Si poteva notare la giugulare pulsare più velocemente, forse a causa dei respiri più affannosi, forse a causa della rabbia che sembrava divorarlo dall’interno, eppure si ostinava a non mostrare la sua frustrazione al bassista che, ormai, si era stancato di osservare il compagno vagare come un mentecatto in camera sua.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 I'm Just A Jealous Guy

 
 
John misurava a passi lunghi la sontuosa camera d’albergo. Non aveva detto nemmeno una parola da quando era entrato, si limitava a camminare con la testa bassa e le mani strette a pugno nelle tasche dei pantaloni attillati.
Il suo silenzio, quella sorta di muro impenetrabile che aveva innalzato, stava facendo agitare Paul che lo osservava seduto sul proprio letto, intento a scrivere, almeno per ora, semplici frasi che sarebbero poi dovute diventare una canzone.
Il chitarrista posò una mano sul mobiletto in mogano sul quale erano poggiati una bottiglia di whisky e due bicchieri in vetro smerigliato; ne riempì uno soltanto e lo porse al compagno, senza proferire parola.
 
- Non lo voglio – Esclamò pensieroso Paul, senza staccare gli occhi dal compagno.
 
John tenne il bicchiere tondo sul palmo della mano e, picchiettando le dita sul bordo, cominciò di nuovo a camminare senza motivo.
Adesso aveva cominciato a respirare superficialmente, sembrava un leone in gabbia, pronto a scattare se solo l’avessero sfiorato.
Si poteva notare la giugulare pulsare più velocemente, forse a causa dei respiri più affannosi, forse a causa della rabbia che sembrava divorarlo dall’interno, eppure si ostinava a non mostrare la sua frustrazione al bassista che, ormai, si era stancato di osservare il compagno vagare come un mentecatto in camera sua.
Paul, infatti, si alzò di scatto facendo cadere il quaderno che teneva di fianco a lui e si parò di fronte al maggiore. Cercò il suo sguardo ma John lo evitava abilmente, così si decise a parlare.

- Avanti John sputa il rospo, che diamine hai? – Domandò esasperato, cercando di toccare la sua spalla.
 
Ma se si aspettava un minimo cenno da parte di quest’ultimo, beh, si sbagliava di grosso.
 
John sollevò il bicchiere e cominciò ad osservare sotto la luce del lampadario di cristallo il colore del liquore, prima di berlo a grandi sorsi, osservando assorto i particolari di quell’oggetto che illuminava la camera.
 
Paul fece schioccare la lingua in un gesto stizzito. A volte John gli dava talmente tanto sui nervi che gli avrebbe spaccato la testa a mani nude.
Incrociò le braccia al petto ed inarcò un sopracciglio nel guardare John che sembrava non accorgersi di lui.
- Niente, non parli. – Esclamò stanco prima di chinarsi per raccogliere il quaderno da terra e ricominciare a scrivere, seduto sul suo letto.
 
Provava a concentrarsi ma non ci riusciva, John se ne stava in piedi, a guardare fuori la finestra, ignorandolo completamente.
Cercò di sbrogliare la matassa di nome John Lennon per capire cosa lo turbasse ma proprio non riusciva a trovare nulla, andava tutto benissimo, che diamine aveva? Insomma, se aveva intenzione di fingere che non esistesse, per quale assurdo e contorto motivo era entrato nella sua camera nel bel mezzo del pomeriggio?

 
Paul buffò stanco, si passò una mano sul viso, sfiorando con i polpastrelli callosi l’accenno di barba lungo la mascella e si voltò nella direzione opposta a quella di John, cercando di pensare ad altro.
 
- Adesso capisci come ci si sente – Pronunciò John con tono grave, voltandosi verso Paul.
– Eh?! - Il bassista sobbalzò e fece scivolare di nuovo il povero taccuino dalle gambe su cui era poggiato.
John avanzò a grandi falcate verso Paul, furente. - Capisci come mi sento ad essere ignorato, come se per te nemmeno esistessi, come se fossi l’ennesimo stupido, fottuto giocattolino tra le tue mani.- Sbatté il bicchiere sul tavolo con un gesto stizzito, puntando i piccoli occhi in quelli del minore.
 
 
Paul spalancò gli occhi incredulo; non capiva dove John volesse arrivare. O meglio, sperava che John non intendesse quello.
 
- Ti rendi conto di come mi fai sentire ogni volta che le dai un bacio, ogni volta che la a accarezzi, la stringi come se fosse qualcosa di prezioso per te?!
 
Paul strinse le labbra.
No, John non poteva aprire questo argomento, non lui che era nel torto marcio.
 
- Cosa cazzo dici, John? – Fece per controbattere Paul, ma ormai John si muoveva a briglie sciolte sotto la sua gelosia, la sua frustrazione, finalmente il leone in gabbia poteva ruggire la sua rabbia.
 
- Tu e Jane! – Urlò – La guardi e la baci, la fai sedere sulle tue gambe, le accarezzi i capelli, tu non puoi! – Gli si incrinò la voce nel pronunciare le ultime parole – E ti odio Paul! Odio il tuo potere su di me. Odio come riesci a farmi sentire una merda ogni volta! Tu – si passò una mano tra i capelli – tu dovresti comportarti in quel modo con me! Solo con me! – Urlò furibondo e rosso in viso.
 
Paul si sentiva di esplodere. Da un lato avrebbe voluto stringere John e amarlo proprio lì, su quel letto fin troppo grande per una persona, perché quelle parole nascondevano un’infantile ma dolce gelosia nei suoi confronti, la dimostrazione più alta di affetto che si potesse ricevere da una persona come John, ma dall’altro lato, una rabbia lo scosse nel profondo, una rabbia amara e devastante lo scosse fino a fargli alzare la voce.
 
A lui, che la voce non la alzava mai.
 
- Ipocrita! – Gli urlò parandosi di fronte – Sei un cazzo di ipocrita, Lennon! Come puoi solo permetterti di pensare una cosa del genere! 
- Io penso quello che mi pare, è chiaro? - John si avvicinò minaccioso, ogni sua terminazione nervosa era all'erta a causa di quella vicinanza
- Tu non dovresti proprio parlare, lo sai? O forse hai dimenticato che sei addirittura sposato! - Paul spintonò John con tutta la forza che aveva in corpo.
John afferrò il braccio di Paul, scuotendolo con forza, convinto che il minore fosse dalla parte del torto - È diverso e lo sai! 
- È la stessa cosa, anzi è peggio! – Strattonò il suo braccio e si avvicinò ancora di più verso John, superandolo leggermente in altezza. - E ora non puoi venire a farmi la predica, non ora che hai provato sulla tua pelle come mi sento io, sempre, da quando stiamo insieme! - Si morse la lingua. Diamine non avrebbe dovuto esporsi così tanto.
 
Eppure l’aveva detto.
 
John fece per parlare ma non aveva niente da dire, non sapeva come controbattere.
 
Adesso era Paul ad avere il coltello dalla parte del manico.
 
 
Che stupido, non ci aveva mai pensato. Lui stava con Cynthia da anni, praticamente da quando lo conosceva e nonostante ciò Paul non si era permesso mai di fare una scenata del genere.
Nemmeno quando John si era sposato, quando aveva dimezzato il tempo insieme a lui per stare con la moglie e il figlio,  mai Paul aveva osato rinfacciarglielo.
E ora John se ne stava lì, lo sguardo perso in quegli occhi grandi che lo avevano sempre guardato con dolcezza e muta comprensione, lo guardava e capì quanto quel ragazzino di Liverpool, fosse stato maturo e fin troppo comprensivo nei suoi confronti.
Lo guardò perso e si sentì un bambino capriccioso, geloso e tremendamente infantile; abbassò la testa sentendosi sprofondare, avrebbe voluto non essere mai entrato da quella porta.

Paul continuava a guardarlo furente, esasperato, distrutto, eppure ancora terribilmente innamorato.
 
- E se adesso te ne vai è meglio. – Concluse Paul voltandosi di spalle per non mostrare quanto fosse scosso e sull’orlo del pianto. Si voltò per non mostrare quel suo lato emotivo, fragile e tremendamente sentimentale: si voltò implorando che John restasse.
Paul era stato più volte sul punto di pronunciare quella frase, eppure non lo aveva mai fatto, riteneva che quella frase esprimesse "troppo". Esprimesse troppo i suoi sentimenti, il suo carattere, la sua quasi dipendenza da quell'uomo.


E John invece? Beh, John non sapeva leggere così tanto tra le righe, a John la verità doveva essere spiattellata in faccia e urlata in un megafono.
Si trovò, per la prima volta in vita sua muto, senza sapere cosa dire e come esprimersi. Per questo motivo, senza avere il coraggio di scusarsi, forse per il suo orgoglio, forse per la sua dannata testa di cazzo, aprì la porta e se ne andò, tornandosene con la coda tra le gambe nella sua camera, dando un pugno talmente forte nella parete, che Paul lo sentì rimbombare.
 
 
 
 
 
Quella notte nessuno dei due riusciva a dormire.
John era seduto al centro del letto, rigirava tra le dita una sigaretta che non aveva nemmeno voglia di fumare, mentre la sua mente gli ripeteva una sola ed unica frase: "Vai da lui".
Stupida coscienza, il grillo di pinocchio era meno fastidioso di quella vocina, il cui tono, per qualche simpaticissimo scherzo del destino, somigliava proprio a quello della voce di Paul.
 
Diede un ultimo tiro, prima di gettare il mozzicone dalla finestra aperta.
Si passò le mani nei capelli, dalla nuca alla fronte, più e più volte prima di decidere cosa fare, guardando la parete decorata che divideva la sua camera da quella di Paul.
 
 
 
Paul si rigirava nel suo letto, sistemando i cuscini dietro la schiena con colpi un po’ troppo violenti. Era quasi arrivato a dare un pugno nel materasso, ma si impose di calmarsi, chiuse gli occhi e cercò di dormire, nonostante continuasse a pensare a cosa fosse successo poche ore prima e il suo cuore battesse un po’ troppo veloce per i sentimenti contrastanti che provava.

Inutile.

Sbuffò e si sollevò dal letto, stava dirigendosi verso il piccolo terrazzo quando due colpi leggeri sulla porta lo costrinsero a voltarsi.
 
 
 
John era lì, lo aveva fatto, aveva bussato – davvero molto lentamente – e ora aspettava dietro una porta scura.
Si era preparato un discorso, aveva anche programmato le risposte, tutte le variabili, e lo stava ripetendo in mente, in continuo, come un disco rotto.
 

Purtroppo, ogni piano ha una falla e la sua erano gli occhi di Paul.
 

Perché nel momento in cui Paul aprì la porta della sua camera e puntò gli occhi da cerbiatto dritti nei suoi, John aveva dimenticato il discorso, le risposte, le dannate scuse e persino il suo nome.
 
E ora, oltre a sentirsi in colpa si sentiva anche tremendamente stupido.
Se ne stava in piedi, immobile, lo sguardo fisso su quegli occhi, probabilmente aveva anche la bocca aperta, e non disse nulla.
 
 
- John? – Lo chiamò il bassista, chiudendo la porta vicino al proprio fianco.
 
Giusto, si chiamava John.
 
“E lui è Paul, avanti parla!”
 
- Paul io – Provò a cominciare ma la gola era dannatamente secca e chiuse di nuovo la bocca, sprofondando in un silenzio imbarazzante.
- Paul io, cosa? – esclamò esasperato il bassista.
 
Il respiro di John tremava, così come le sue mani e tutti i suoi arti, voleva dire talmente tante cose, scusarsi nel modo più coerente e maturo del mondo, ma non ci riuscì, non sapeva come parlare, ogni parola sembrava morirgli tra le labbra.
Ricacciò il groppo alla gola e, guardando ancora quegli occhi, disse l’unica cosa che gli rimbombava nella mente.

- Paul io sono uno stupido, sono davvero uno stupido – Ripeté gettandosi tra le braccia del minore, premendo la guancia contro il suo petto, cercando di stringersi a lui, risultando estremamente goffo ed impacciato.
 
Paul esitò per un momento prima di rispondergli.
 
Era sempre così, litigavano fino a non volersi nemmeno vedere e dopo una manciata di ore uno dei due decideva di scusarsi
 
- Sì John, lo sei. – Ridacchiò Paul avvolgendogli saldamente le braccia sulla schiena.
- Non ci ho mai pensato, e mi sento in colpa. Ti chiedo scusa Paul. – La voce di John era una cantilena, sincera e malinconica.
- Accetto le tue scuse Johnny. – Sorrise stringendo ancora un po’ il corpo del maggiore, poggiando naso sulla sua spalla, inspirando il suo profumo.
 
Paul non lo vedeva ma poteva percepire il sorriso che a poco a poco si formava anche sulle labbra di John che cominciò a stringersi sempre di più contro il bassista.
Si strinsero a lungo, beandosi della sensazione delle braccia dell'altro, del ritmo del cuore che ora esplodeva di tenerezza, di affetto.
Paul accarezzò con dolcezza i capelli, le spalle e la schiena di John, premeva con decisione e delicatezza, facendo rabbrividire e respirare superficialmente il chitarrista che non riuscì a trattenersi.
 
- John, che…? – Riuscì a dire Paul mentre veniva spinto all’indietro.
 
Paul non riuscì a liberarsi da John che ora lo stringeva in una morsa ferrea, almeno fino a quando i suoi polpacci non toccarono il letto, facendolo cadere su di esso.
 John era sopra di lui e, prima che Paul potesse replicare con qualche stupido ed inappropriato commento, si avventò sulle sue labbra.
 
Lo baciò cosi a lungo ed in modo così lento che Paul si sentì di morire.
Avvolse le braccia intorno alla schiena del maggiore e strinse forte le dita quando questi cominciò a mordicchiargli la mascella e a lasciargli piccoli baci umidi dietro l’orecchio.
 
- Devo farmi perdonare – Sussurrò in modo malizioso. – Sai, perché sono uno stupido.
Paul sospirò. Diamine se si sentiva un adolescente con gli ormoni a mille quando stava con John, sotto John.
 
Quanto velocemente era precipitata la situazione?

- Oh Cristo! – Imprecò mentre John cominciava a togliergli la camicia, lasciando dopo ogni bottone un bacio sempre più lungo, che lo faceva contorcere fin nelle viscere.
 
John si sfilò la maglietta che finì a terra insieme alla camicia di Paul e quando cominciò a sfilargli i pantaloni, che ora erano fin troppo stretti, Paul era sicuro di venire all’istante.
John risalì su Paul dopo averlo liberato da quella tortura in cotone, e il minore gli strinse i capelli talmente forte da farlo rabbrividire.
 
Paul poteva avere il controllo sulla sua mente ma John aveva senza dubbio il controllo sul suo corpo.
Conosceva ogni punto del corpo di Paul, sapeva i posti in cui toccarlo e farlo impazzire, sapeva come tenerlo, cosa dirgli per spingerlo oltre il limite.
 
E quando spinse i fianchi contro quelli del minore e lo vide inarcare la schiena sospirò soddisfatto, non c’era niente che voleva più di quel corpo magro e scolpito.

 
- La sai una cosa, John? Di lei non m’importa davvero niente. – Sussurrò con voce rotta dall’eccitazione, dritto nell’orecchio di John.
- La sai una cosa, Paul? L’ho sempre saputo.
 
 
 
Fine.
   
 
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