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Autore: yourkittyness    18/10/2014    6 recensioni
ovvero:
Come innamorarsi del proprio vicino di casa.
Le storie di sei ragazzi universitari alle prese con il loro primo amore.
{Aokise - Kagakuro - Midotaka}
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vi prego di leggere l'Angolo Autrice a fine pagina dopo aver letto il primo capitolo, grazie☆

Il destino ha molta più fantasia di noi
ovvero:
Come innamorarsi del proprio vicino di casa.
(1)

 
Se Aomine Daiki si fosse chiesto come tutto fosse iniziato, non avrebbe saputo dare una reale risposta. Non c’era un perché o un quando, semplicemente una mattina si era alzato ed era andato a comprare un pallone da basket. Forse gli era capitato di sentire un programma alla radio o alla tv, o forse aveva sentito dei suoi compagni di classe parlare di Michael Jordan, l’unica cosa che gli era chiara, tra i ricordi di parchi giochi e baby sitter, era che, dalla prima volta che la sua mano era venuta a contatto con la superficie ruvida di quel pallone, la sua vita era cambiata. Se in meglio ancora non lo sapeva.

I ricordi dell’incidente erano stati marchiati a fuoco sotto sue palpebre, nonostante i due anni passati, erano ancora nitidi e indelebili. Si erano attaccati a lui come gli artigli di una bestia feroce e, ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva quella luce terribilmente forte che quasi gli bruciava le iridi. Un’ansia opprimente gli gravava addosso portandolo sempre più nell’abisso.

La sua carriera di giocatore di basket era stata stroncata bruscamente quando, poco dopo essersi svegliato dal coma, i medici lo avevano informato della frattura scomposta alla gamba e dei corsi di riabilitazione che gli avrebbero permesso di svolgere come una volta tutte le azioni  quotidiane, tranne il basket ovviamente. Quel giorno tra le lacrime di gioia dei suoi parenti, c’erano anche le lacrime di Daiki, ma sicuramente non piangeva per lo stesso motivo.

Quel giorno si era svegliato all’improvviso, sentendo il rumore di qualcosa di metallico che sbatteva violentemente a terra. Si girò a guardare la svegliava che segnava le otto e mezza del mattino. Era domenica, quindi non aveva nessuna lezione universitaria da frequentare, e la sera prima aveva finito di studiare così tardi che per un attimo aveva temuto che gli occhi avessero potuto cominciare a sanguinare. Chiunque fosse stato il rincoglionito che alle otto del mattino aveva deciso di fare tutto quel macello, se la sarebbe vista brutta, davvero, davvero brutta.

Alzandosi dal letto si era diretto con passo pesante verso la porta e, spalancandola, si era ritrovato davanti un ragazzo biondo con in mano quella che sembrava una lampada. Una lampada futuristica anche abbastanza brutta.

«Posso sapere, di grazia, perché a quest’ora stai facendo tutto ‘sto casino?» il ragazzo biondo lo guardò un attimo, sbattendo un paio di volte le palpebre. Stava cercando di trattenere una risatina.

«Posso sapere, di grazia, perché a quest’ora sei in mutande sul pianerotto?» Daiki sembrò perplesso per un attimo. “Mutande..?”. Spalancò gli occhi e abbassò lo sguardo. Si era scordato che lui dormiva con solo i boxer addosso.
-
Inspiegabilmente, Daiki (questa volta vestito) si era ritrovato a casa del sopracitato biondo per aiutarlo a sistemare alcuni mobili. A quanto pareva, il biondo – che aveva scoperto si chiamava Ryouta Kise – si era da poco trasferito in questo palazzo per continuare gli studi all’univerisità. D’altronde, la maggior parte – se non tutti – i ragazzi che abitavano in quel condominio, erano tutti studenti universitari.

Daiki appoggiò l’ultima scatola piena di cianfrusaglie e riviste accanto al divano e si appoggiò alla parete, con il fiatone. Sentì un leggero fastidio alla gamba e fece una smorfia, aveva finito con la riabilitazione parecchio tempo fa ma era da molto che non trasportava così tanti oggetti pesanti.

«Ehi, ti va del the? Come ringraziamento per il fastidio» Daiki annuì, andando a sedersi sulla sedia in cucina, davanti al tavolo impolverato. Ryouta era andato un attimo nel soggiorno a cercare delle tazze e qualcosa per riscaldare l’acqua. Ancora gli sembrava impossibile che avesse davvero accettato di aiutare quello sconosciuto. Gli aveva fatto abbastanza pena, soprattutto dopo che lo aveva supplicato così tanto. Poi sperava anche che così non avrebbe detto in giro che dormiva con le mutande di Spiderman (gliele aveva comprate sua nonna e non poteva mica rifiutare il regalo).

Ryouta sedette accanto a lui. Appoggiò il mento sul palmo della mano e cominciò a fissarlo.

«Quindi tu dormi con le mutande di spiderman, eh?» Daiki chiuse gli occhi reprimendo l’istinto di buttargli l’acqua bollente sul viso.

«È stato un caso» rispose secco.

«Mh, un caso, va bene» disse serafico, lasciandosi scappare una risatina. La conversazione era finita e nonostante Daiki stesse fissando le venature del tavolo in legno, riusciva a sentire che Kise lo stava osservando da sotto le sue lunghe ciglia. Lo sguardo di Aomine corse fino a raggiungere le dita affusolate di Ryouta, appoggiate sul tavolo. Il suo sguardo si spostò ancora, incontrando finalmente quello di Kise. Si aspettava che dopo il contatto visivo, Ryouta avrebbe smesso di fissarlo insistentemente; purtroppo per Aomine, Kise non la smetteva di fissarlo e lui stava cominciando a sentirsi molto a disagio.

«Non dovresti controllare se l’acqua ha cominciato a bollire?»

«Oh, diamine, hai ragione, me lo stavo dimenticato» Daiki si lasciò sfuggire un sospiro. Che diavolo di vicino di casa gli era capitato?

Daiki si rese conto di quanto fosse svampito il suo vicino solo dopo che, ridendo (non c’era niente da ridere), gli disse che non aveva nessuna bustina di the. Reprimendo ancora l’impulso di buttargli l’acqua bollente sul viso, disse a Kise che se voleva poteva venire a casa sua (in realtà Ryouta si era autoinvitato e Daiki aveva dovuto accoglierlo). Perciò questa volta erano attorno al tavolo di Aomine, con le tazze in mano. Kise era stranamente silenzioso; nonostante si fossero conosciuti solo da poche ore, Daiki aveva capito che tipo di persona era: un rompicoglioni.

«Hai intenzione di rimanere qui per molto?» chiese il proprietario poggiando la tazza nel lavello.

«Chi ti ha insegnato ad essere così maleducato?» rispose ridendo.Si alzò appoggiandosi al piano della cucina incrociando le braccia. «È la prima volta che vedo qualcuno più alto di me, mi fa strano» corrugò la fronte. Aomine si limitò a grugnire mettendo la tazza sporca accanto all’altra.

«Ehi, senti» iniziò di nuovo il biondo. Daiki non rispose quindi il biondo continuò a parlare: «Per caso fai basket?»

Aomine contrasse i muscoli, stringendo i denti. Chiuse un attimo gli occhi e vide di nuovo quei lampi di luce. L’ansia gli strisciò dentro come un verme, sentiva quasi la gamba pulsare. Strinse i pugni e si diresse verso la porta.

«Facevo. Ora, per favore, vai via.»
La sveglia suonò e Kuroko la spense in fretta. Doveva sbrigarsi o non avrebbe potuto vederlo. Mentre si preparava per uscire si rese conto di quanto diventasse sempre più inquietante, giorno dopo giorno. Non era uno stalker, solo che da qualche tempo si “divertiva” ad osservare il suo vicino di casa.

Era da un po’ che Kuroko si era trasferito in quegli appartamenti e tra i tanti vicini di casa, aveva notato proprio quel ragazzo. Non sapeva nulla di lui, la targhetta vicino alla porta segnava “Kagami Taiga”. La prima volta che l’aveva letto l’aveva trovato un nome abbastanza singolare e decisamente buffo, ma non si era mai posto il problema di chi potesse essere. In fondo, a lui che gli importava? Non era nulla di più che un vicino di casa, una persona come tante. Quando si sarebbe laureato e avrebbe lasciato quell’appartamento si sarebbe scordato anche di quel nome. Purtroppo fu costretto a ricredersi quando qualche giorno fa, per la prima volta dopo un anno, si erano incontrati sul pianerottolo. Poteva sembrare un paradosso: due persone che viveano nell’appartamente accanto all’altro che non si erano mai incontrate.L’unica cosa che Kuruko riuscì a chiedersi in quel momento fu come una persona potesse essere così bella.

Nonostante avessero aperto la porta contemporaneamente, quella volta, Kagami Taiga non si era neanche girato a guardarlo. Kurok0 rimase lì, pietrificato, a guardare il suo profilo e poi la sua figura che scompariva in fondo alle scale. Per la prima volta rimpianse la sua mancanza di presenza.

Fino a quel giorno, non gli era mai dispiaciuto passare inosservato. Se i suoi professori non si ricordavano di lui, i voti dei test parlavano al suo posto. Anche se i suoi compagni tra poco non sapevano neanche che fosse nella loro stessa classe,  gli andava bene così. Gli era sempre andato bene. Aveva sempre pensato fosse una cosa anormale, ma con il tempo ci aveva fatto l’abitudine. Niente contatti, nienti dolori. Andava avanti così. Quella volta gli era sembrato sbagliato, Kagami Taiga avrebbe dovuto girarsi, Kagami Taiga avrebbe dovuto guardarlo, Kagami Taiga avrebbe dovuto ricordarsi di lui.

Da quel giorno, aveva sentito l’impellente bisogno di vederlo, di imprimere nella sua memoria ogni suo piccolo movimento, ogni sua espressione, ogni attimo di lui. Se Kagami Taiga non si sarebbe mai ricordato di lui, sarebbe stato Kurok0 a ricordarsi ogni particolare dell’altro.

Non pensava che fosse stato il destino a farli incontrare e non pensava neanche che seguirlo o rimanere da qualche parte ad osservarlo fosse una cosa normale. Semplicemente, ne aveva bisogno. Dopo un anno in quella città nuova, non aveva ancora trovato un punto di riferimento, ma sembrava che Kagami fosse arrivato lì per quello.

Era quasi una settimana che Kuroko faceva sempre le stesse cose: si svegliava alle dieci e venti, in poco meno di dieci minuti si preparava, usciva dal palazzo  e si sedeva su una panchina aspettando che uscisse, come era solito fare ogni giorno verso le undici meno venti (aveva scoperto che andava al campetto da basket che stava lì  vicino). Ogni volta che si sedeva lì si sentiva una persona orribile, decisamente diversa. Nessuna persona sana di mente si sarebbe messo a “stalkerare” il vicino di casa, e lo sapeva anche lui.

Si fermò davanti alla porta con la mano sulla pomello, erano le dieci e trenta precise.

«Cosa diavolo sto facendo?» appoggiò la testa contro la porta. «Devo smetterla di fare queste cose inquietanti. Tetsuya mettiti l’anima in pace» fece una pausa. «Bene, ora ho cominciato anche a parlare da solo.»

Quel giorno rimase a casa a studiare, ma il pensiero di Kagami Taiga era ancora lì e non gli dava modo di concentrarsi.
-
Era lunedì e la sveglia non aveva suonato, Tetsuya sarebbe arrivato in ritardo sicuramente. Poco male, tanto nessuno l’avrebbe notato, come minimo avrebbe fatto prendere un infarto a quelli del suo corso, già sentiva le loro urla: “oddio, la porta si è aperta da sola!”.

Era difficile che Testuya si innervosisse, ma aveva notato che da quando aveva iniziato l’università – e aveva cominciato a seguire il suo vicino di casa – era diventato sempre più lunatico. Aprì la porta e di corsa uscì fuori, scontrandosi contro qualcuno. Venne sorretto da un paio di mani decisamente più grandi delle sue, alzò lo sguardo e si ritrovò gli occhi spalancati di Kagami Taiga davanti.

«Scusami, andavo di fretta e non ti ho visto. Perdonami ma ora devo scappare!» si girò e cominciò a correre verso le scale. Kuroko era rimasto lì per almeno un minuto a fissare il punto in cui l’altro si era diretto, ancora incapace di capire quel che era davvero successo. Lui, Taiga, le sue mani sulle sue spalle. Davvero troppo. Tetsuya spalancò la bocca, le guance gli diventarono di un rosso acceso, sentiva la gola secca e gli mancava il fiato. Non aveva idea di quel gli stava succedendo, lo stomanco aveva anche cominciato a fargli male. Si portò le mani sulla faccia, ho la febbre, decisamente.

Tornò in casa e buttò la borsa a tracolla a terra, prese il cellulare dalla tasca ma si ricordò che non aveva nessuno da dover avvertire. Fece cadere il telefono sulla tracolla e si lasciò scivolare contro la porta.

Kagami Taiga l’aveva notato (il fatto che ci avesse sbattuto contro era un misero dettaglio).
Midorima si sentiva molto stupido in quel momento, era appena tornato dalle lezioni universitarie con un gatto in mano. Con una maledettissima palla di pelo piena di germi tra le mani. Il motivo ancora non era riuscito a capirlo, probabilmente erano stati i continui miagolii di quella cosa che non la smetteva di seguirlo. Così aveva pensato che, forse, portandolo a casa e dandogli da mangiare se ne sarebbe andato di sua spontanea volontà (o a mali estremi, l’avrebbe cacciato lui di casa). Purtroppo non era stata la migliore delle idee, dato che da quando l’aveva preso in braccio per tornare a casa più in fretta che poteva (non avrebbe mai permesso che un suo compagno di corso lo vedesse con una palla di pelo in mano) non aveva smesso comunque di miagolare e di leccargli le dita. “Maledetto animale”.

Non sapeva neanche cosa doveva dargli da mangiare, o almeno, aveva solo visto che il suo vicino, ogni mattina, versava nella ciotola del suo gatto delle cose indefinite (probabilmente croccantini) prima di stendere il bucato. Tra lui e il suo vicino di casa, un certo Takao Kazunari – una volta si era presentato – non c’era nessun rapporto di amicizia o altro e, a differenza di un certo inquilino del palazzo, non si era certo messo in balcone ogni mattina ad aspettare che uscisse solo per vederlo versare i croccantini al gatto. Erano state così tante le volte che Takao l’aveva salutato e lui non aveva ricambiato che Kazunari aveva cominciato ad ignorare semplicemente la presenza dell’altro. Non che a Midorima desse fastidio… Gli dava solo molto fastidio. Il fatto che lui non ricambiasse il saluto non gli dava l’autorizzazione di smettere di salutarlo.

«L’oroscopo diceva che il Cancro sarebbe stato il terzo segno più fortunato del giorno» si tirò su gli occhiali tenendo il gatto con l’altra. “E invece guarda un po’ che mi son trovato in mano”, completò la frase nella sua mente.

Mentre cercava le chiavi nella borsa – cosa un po’ difficile data la bestiolina che teneva in mano – sentì dei passi provenire dalle scale e qualche imprecazione.

«Dannazione, potrebbero pure aggiustarlo quel maledetto ascensore.»

Shintaro stava ignorando completamente il suo vicino di casa, il quale si era fermato davanti alla porta e aveva preso a fissare il gatto tra le sue mani.

«Hai un gatto tra le mani?» Midorima tirò fuori le chiavi dalla borsa, aprì la serratura e sentì il suo vicino di casa sbuffare. Chiuse la porta ma riuscì a sentire comunque un «potresti rispondermi qualche volta».

“Allora smettila di farmi domande stupide” pensò.
-
Quel gatto non la smetteva di miagolare e non mangiava nulla di quel che gli metteva davanti. “Probabilmente i gatti non mangiano verdure” e il lucky idem di quel giorno – un pesce di plastica – non era sicuramente commestibile. Quei miagolii lo stavano stordendo e non riusciva più a ragionare lucidamente. Esasperato uscì di casa e bussò alla porta del suo vicino di casa.

«Sì?» chiese non appena la sua testa spuntò dietro la porta. Con il volto girato dall’altro lato, mettendogli il gatto miagolante davanti al viso,  si limitò a mormorare un «aiutami».

Il moro sospirò e lo lasciò entrare in casa.

«Non dovrei aiutarti» iniziò. «Sei davvero un gran maleducato» continuò. «Se qualcuno ti saluta, è buona educazione rispondere, anche con un cenno della mano» Midorima faceva finta di non ascoltarlo. «E smettila di far finta di non sentirmi, la tua sopravvivenza e quella di questo gatto dipendono da me, adesso». Midorima chiuse gli occhi e si sistemò gli occhiali sul naso.

«Fai in fretta, basta che la smette di miagolare». Midorima non poteva vederlo, ma Kazunari aveva sicuramente alzato gli occhi al cielo.

«Sembra in salute» mormorò il moro tra sé e Shintaro notò un grosso gatto arancione che scivolava attraverso la porta semiaperta di quella che sembrava essere la sua stanza da letto. Kazunari mise dell’acqua in pentolino accendendo il fuoco. «È ancora molto piccolo, quindi è meglio dargli del latte in polvere per gatti per almeno un paio di settimane, il latte normale non gli fa bene». Il “gatto obeso”, così l’aveva soprannominato Midorima, aveva preso a strusciarsi contro le gambe del suo padrone. Takao si abbassò e prese ad accarezzarlo. «Shintaro, sei a dieta, non posso darti da mangiare.»

«Come scusa?» Kazunari alzò lo sguardo verso Midorima.

«Che c’è?»

«Io non sono a dieta.»

«Nessuno ti ha detto che sei a dieta» continuò ad accarezzare il suo gatto, dopo un paio di secondi si fermò di scatto e prese a fissare l’altro.  «Non dirmi che ti chiami Shintaro.»

«Mi chiamo Midorima Shintaro, per l’esattezza.»

«Oh, ma guarda un po’ che scoperta! Non pensavo che una tale informazione sarebbe uscita direttamente dalle tue labbra, dato che il tuo nome non l’hai scritto neanche sotto il campanello e quando mi sono presentato mi hai chiuso la porta in faccia.»

«Ho le mie buone ragioni. E comunque, chi ti ha dato l’autorizzazione di chiamare il tuo gatto come me?»

«Adesso devo anche avere la tua autorizzazione?» scoppiò a ridere e tornò a concentrarsi sul gatto pezzato che non aveva ancora smesso di miagolare. «Aspetta solo un altro po’, ok?» disse accarezzandolo.

«Per quale motivo parli con i gatti?» Takao si girò abbastanza irritato.

«Perché mi va, ok?»

Tirò fuori un biberon da uno degli sportelli sopra il lavandino – solo dio sa perché avesse in casa una cosa del genere – e cominciò a riempierlo con l’acqua bollente. Midorima si mise a fissare le dita di Takao che velocemente, ma sempre con estrema delicatezza, facevano cadere quella polverina dentro l’acqua calda. L’attenzione si spostò poi sui movimenti del suo corpo, sembravano leggeri, qualsiasi cosa facesse. Midorima si riscosse quando lo trovò seduto sulla sedia di fronte a sé.

«Quindi è così che si dà da mangiare ai gatti» disse Midorima indicando il biberon.

«Solo se sono così piccoli. Avrà al massimo due settimane quindi ci sono molte cose che devi sapere e devi assolutamente fare, se vuoi mantenerlo in salute» Midorima non credeva di aver capito bene, l’unica cosa che riusciva a fare era guardare gli occhi di Takao, erano di un azzurro tendente al grigio ma sembravano lo stesso così caldi. «Un cucciolo, fino alle tre settimane, non riesce a regolare la sua temperatura corporea quindi deve avere una fonte di calore costante. Non cercare coperte o maglioni, ti conviene comprare delle lampade apposite» Midorima ce la stava mettendo tutta per concentrarsi sulle parole di Takao ma più parlava, più si ritrovava a fissare le sue labbra, e i suoi occhi che guizzavano da un lato della stanza all’altro, e i movimenti delle sue mani, e i ciuffi di capelli che gli finivano davanti al viso.

«Ehi» Shintaro spalancò gli occhi trovandosi Takao davanti al suo viso, era davvero – troppo – vicino. Aveva un’espressione davvero scocciata. «Smettila di guardarmi con quella faccia da pervertito e ascolta quel che ti dico».

Midorima non sapeva cosa l’avesse spinto a farlo e perché l’avesse fatto, semplicemente con un scatto fece avvicinare le sue labbra a quelle di Takao. Quando aprì gli occhi si ritrovò le labbra su del pelo rossiccio.

“Oh mio Dio.”




Ehi guys~
Dato che sopra vi ho gentilmente chiesto di leggere questo inutile Angolo Autrice, sono obbligata a scrivere qualcosa di interessante o almeno sensato.

Parto col dire che questa è in assoluto la prima fanfiction che scrivo su Kuroko no Basket o su qualunque anime/manga che seguo. Sono molto agitata e spero di non aver reso i personaggi OOC ; n ;

Se qualcuno ha letto le mie fanfiction sugli Exo, sa già che sn rybellyna e stravolgo tutti gli stereotipi, quindi non spaventatevi se stavolta non è Takao che sta addosso a Midorima 8D

Volevo avvisarvi che ci saranno alcune parti Angst - non l'ho aggiunto nell'introduzione perché non saranno presenti sempre ma solo in uno, massimo due, capitoli.

SPERO VIVAMENTE CHE QUESTO PRIMO CAPITOLO SIA DECENTE ODDIO. Come ho già detto, sono molto agitata. Ma non frega a nessuno, ok.
Se la fic non verrà cagata credo la cancellerò e forse la pubblicherò in un altro momento. Non so. ಥ_ಥ  (che persona di merda che sono.) Quindi mi piacerebbe davvero molto leggere la vostra opinione in merito per decidere se continuare e rendere questa storia meno un aborto o se uccidermi con l'harakiri. Sono un vero samurai.

Alla prossima, forse!
  
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