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Autore: RandomWriter    18/10/2014    7 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE
 
Un collega del dottor Hogan si propone per contattare un suo ex compagno di università: il dottor Wright, diventato un rinomato cardiochirurgo. Nel frattempo i Travis comunicano la loro decisione di sottoporre Sophia all’intervento e le fanno visita: nonostante l’imminente operazione, la ragazza è un vulcano di energie e riesce a sollevare il morale a tutti. Solo la gemella non si lascia abbindolare da quella commedia ma, rimasta sola con lei, accoglie tutta la sua disperazione. Nel frattempo il dottor Wright ha raggiunto l’ospedale di Allentown e, guidato dal primario del reparto, si presenta alla famiglia della sua futura paziente. L’uomo ritrova poi Erin, con cui poche ore prima aveva avuto una conversazione stimolante.
La notte prima dell’intervento, la protagonista non riesce ad addormentarsi, ma riceve un’inaspettata telefonata da Rosalya che, tra le varie chiacchiere, le confessa di amare Nathaniel. Le due amiche trascorrono parecchio tempo al telefono, finchè il sonno le costringe a riattaccare.
Grazie ad Iris, Ambra viene avvertita dell’intervento di Sophia e si precipita all’ospedale, dove la famiglia Travis la accoglie a braccia aperte. Finalmente lei e la paziente si conosco ed Ambra dimostra una grande forza e ottimismo nel credere che avrà altre occasioni per parlare con l’amica, che finalmente ha un volto.
La bionda rivela ad Erin che Nathaniel è fuori dall’ospedale così la ragazza si precipita da lui per chiudere la discussione che avevano avuto qualche giorno prima. Il biondo, dopo averle confessato di essere innamorato di Rosalya e di non riuscire a dimenticarla, le comunica che partirà per la California, per seguire un progetto scolastico.
Erin rientra in ospedale e, stremata dalla stanchezza, si addormenta nella hall, sognando che Sophia non ce l’ha fatta. Quando si risveglia, scopre che il padre è accanto a lei e insieme tornano nella sala d’attesa.
Esce finalmente il dottor Wright che annuncia ai presenti la riuscita dell’intervento.



 
CAPITOLO 36: VIGILIA
 
Dajan rigirò nervosamente il pacchetto che teneva tra le mani. Nonostante le spigolosità dell’oggetto, sembrava che maneggiasse un pallone da basket. Erano tre giorni che se lo portava dietro e ancora non era riuscito a consegnarlo alla sua destinataria: Kim.
Sospirò frustato, prendendosela con sé stesso: era la Vigilia di Natale e, pur di non confessare alla ragazza ciò che provava per lei, continuava a nascondersi dietro la scusa dell’allenamento per poterla vedere.
Trevor continuava a punzecchiarlo sull’argomento sostenendo che, di quel passo, sarebbe diventato un grandissimo cestista sfigato.
Eppure non era da Dajan quel comportamento così insicuro ed esitante. Lui amava le sfide, specie quelle che richiedevano una certa prestanza atletica, ma affrontare Kim Phoenix era tutta un’altra questione.
Si erano parlati per la prima volta la scorsa primavera, quando la sua squadra di basket aveva giocato un’amichevole contro la scuola di Allentown. Al termine della partita, aveva seguito Trevor che l’aveva così presentato alla sua amica. Kim, anziché dimostrarsi socievole e gentile, come qualsiasi altra ragazza che il cestista conosceva, li aveva liquidati sostenendo che non aveva tempo e che doveva allenarsi per le imminenti gare di atletica. La prima impressione che la velocista aveva dato di sé lasciava alquanto a desiderare, tanto che il ragazzo, tradendo una leggera irritazione, la etichettò come fanatica dello sport e antipatica.
Non capiva come il suo compagno di squadra potesse andare d’accordo con lei, per quanto lo riguardava, non aveva nessun motivo per approfondire quella conoscenza. Tuttavia una settimana dopo, Trevor lo convinse ad accompagnarlo alla gara di Kim e, controvoglia, Dajan aveva accettato.
Pur amando lo sport, non impazziva per le discipline individuali: preferiva di gran lunga il gioco di squadra, mirato all’ottenimento di una vittoria comune, piuttosto che l’obiettivo del singolo di battere un record o aggiudicarsi il primo posto sul podio.
Anche se le premesse non erano state per nulla incoraggianti, fu proprio in quell’occasione che rivalutò completamente Kim; Trevor aveva trovato posto sugli spalti in un punto rialzato, in cui si godeva di un’ottima visuale della pista. Il pubblico non era particolarmente numeroso, poiché si trattava di prove di qualificazione per il grande evento che si sarebbe tenuto l’anno successivo.
Dagli altoparlanti una voce atona annunciò l’inizio delle finali dei 200 metri.
C’erano in tutto sei ragazze, ma Kim spiccava su tutte grazie alla sua altezza. Sin dal loro primo incontro, Dajan aveva notato il suo fisico slanciato che in quel momento veniva messo ancor più in risalto dai pantaloncini cortissimi.
Le ragazze cominciarono a posizionarsi nella corsia che era stata loro assegnata e Kim piazzò sul punto in cui era tracciato il numero 4.
 
 “oddio, se la sta facendo sotto” mormorò Trevor , attirando l’attenzione dell’amico, che per tutto quel tempo era rimasto concentrato sulla velocista “Kim è così: se non è concentrata sin dall’inizio, non dà il massimo e fa solo casino”
“a me sembra molto determinata” obiettò l’altro cestista.
“fidati che quando è così tesa, può succedere di tutto: alle medie io e lei eravamo nella squadra dei quattro che correvano per la staffetta, in rappresentanza della nostra classe; Kim era talmente nervosa che non si accorse di avere una scarpa slacciata, così dopo pochi secondi che le avevo passato il testimone, perse la scarpa sulla pista”
“sul serio?” scoppiò a ridere Dajan, spostando lo sguardo sul loro argomento di conversazione.
“sì, e la cosa buffa è che io le correvo dietro per restituirgliela!” incalzò l’amico divertito.
Kim nel frattempo si accorse della reazione dei due ragazzi e fulminò Trevor: non poteva certo sentire cosa stesse raccontando al compagno di squadra, ma aveva la sensazione che riguardasse lei e la cosa la irritò parecchio.
“e lei cosa ha fatto?” continuò Dajan.
“ha continuato a correre!” esclamò Trevor mentre il ragazzo sgranava gli occhi. Decisamente quella Phoenix era una ragazza fuori dal comune. Intanto il cantastorie continuò:
“eravamo quelli più indietro di tutti… e la cosa assurda è che abbiamo vinto proprio grazie a lei, l’unica ragazza della squadra” commentò con orgoglio, come se il merito dell’impresa fosse suo.
Dajan non aveva aggiunto nulla e aveva cominciato a osservare con ammirazione la moretta che si stava riscaldando sulla pista. Kim era impegnata a scaldare i muscoli, incurante del frastuono che la circondava. Non sembrava più tesa come aveva notato Trevor poco prima. Nei suoi occhi si leggeva la determinazione di chi vuole vincere.
 
Kim inspirò l’aria che le dilatò gli alveoli e la espirò, calibrando attentamente il respiro. Si sarebbe occupata dopo di Trevor e della sua linguaccia che se non altro le avevano regalato un po’ di irritazione che lei cominciava ad incanalare in determinazione. Il cuore le batteva in petto e dei brividi di eccitazione percorsero il suo corpo. Le atlete accanto a lei si scambiavano qualche parola di incoraggiamento e di conversazione, ma Kim non prese parte a nessun dialogo; quel suo comportamento asociale non era dettato tanto dalla sua volontà, quanto dalla sua natura: aveva sempre avuto problemi nei rapporti interpersonali, specie con le ragazze.
Cominciò ad allungare le gambe per completare l’ultimo esercizio di stretching che durò pochi secondi: era pronta a scattare.
 
 “è da tanto che vi conoscete?” indagò Dajan.
“dall’asilo. Kim è sempre stata un maschiaccio e quindi ha sempre fatto più facilmente amicizia con i maschi. Mi ricordo che una volta alle elementari, le bambine della nostra classe si erano incaponite a volerla integrare nel loro gruppo e lei, sotto la pressione delle maestre, si lasciò convincere.
Eh eh, mi pare ancora di vederla, seduta imbronciata sui gradini a guardare con invidia noi che giocavamo a calcio”
“calcio?”
“sì, da noi non è mai stato popolare come sport, ma in quel periodo, nella classe prima della nostra, era arrivato Nathaniel dalla Svezia e ci aveva insegnato le regole. Direi che è stato grazie a quello sport che lui e Castiel sono diventati amici anche se era davvero brocco” ammise Trevor scoppiando a ridere “aveva veramente una pessima mira: ha rotto tre volte la stessa finestra, ma visto che si trattava dell’aula degli insegnati, nessuno ha mai capito se la cosa fosse davvero involontaria”
“conoscendo il soggetto” ridacchiò Dajan.
“beh, ma da bambino Castiel non era così tremendo, anzi. Faceva quasi tenerezza: era sì un po’ burbero, però alla fine se gli chiedevi una mano non si tirava mai indietro… anche se durante l’intervallo la mia classe giocava contro la sua, in realtà siamo diventati amici solo al liceo, quando si è unito alla squadra. Comunque, proprio in quel tentativo fallito di convertire Kim all’universo femminile, Castiel calciò per sbaglio il pallone centrandola in pieno viso. Si precipitò a scusarsi e ad assicurarsi che non si fosse fatta male”
“Castiel che si scusa è uno spettacolo inimmaginabile” commentò Dajan, rammaricandosi per non avervi preso parte .
“lo so, infatti conservo gelosamente questo ricordo” puntualizzò Trevor “ma Kim, anziché tranquillizzarlo, gliene disse quattro, prendendosela per la sua pessima mira. AHAHA, quante gliene ha dette quel giorno! Castiel allora si arrabbiò e, orgoglioso come è sempre stato, la sfidò ad un uno contro uno”
A quel punto Trevor ripensò divertito alla sfida di basket che il rosso aveva lanciato ad Erin quando quest’ultima era arrivata al liceo e il loro piccolo bisticcio in piscina mesi prima: era proprio connaturato nella sua indole quella tendenza a misurarsi con le ragazze.
“e Kim?”
Trevor sghignazzò:
“non chiedeva altro. Lo stracciò, lasciandoci tutti a bocca aperta. Kim è una saetta c’è poco da fare. Ha un’agilità pazzesca quando corre, oltre che una predisposizione assurda per gli sport. E’ un somaro a scuola, ci mette una vita per memorizzare un concetto, ma se si tratta di abilità atletiche, è un genio”
Dajan tornò a guardare quella curiosa ragazza che ormai si era posizionata sulla linea di partenza.
Non potè frenare il suo istinto di maschio adolescente dall’osservare con un certo piacere le curve e le lunghe gambe della velocista, messe in risalto dalla posizione di partenza:
“Dio quanto è figa” commentò affascinato Trevor accanto a lui. Dajan sgranò gli occhi ed avvampò:
“ma che dici? E’ amica tua!”
“stavo parlando della 6. Non hai visto che tette?”
Il cestista borbottò qualcosa e tornò a fissare la pista, questa volta concentrandosi sulle atlete in generale.
Appena venne dato il segnale, le sei ragazze sfrecciarono.
“VAI KIM! FALLE NERE!” urlò Trevor dagli spalti.
Kim correva talmente veloce che i suoi piedi sembravano sfiorare l’asfalto: teneva il mento in alto, fiera della prova che stava conducendo. Nonostante lo sforzo, non riusciva a non sentirsi esplodere dalla felicità: amava correre, si sentiva così libera e spensierata quando vedeva il paesaggio scorrere rapidamente sotto i suoi occhi, che sarebbe scoppiata a ridere.
Come aveva previsto Dajan, fu la prima a tagliare il traguardo e, con il petto che alternava rapidamente cicli di dilatazione e compressione, si voltò a cercare lo sguardo di Trevor: aveva un sorriso radioso e soddisfatto: il più bel sorriso che Dajan avesse mai visto:
“ha staccato la seconda di un bel po’ questa volta. Sarà al settimo cielo” commentò Trevor compiaciuto alzandosi. Dopo un paio di passi, aggiunse qualcos’altro ma non ottenendo risposta, si voltò: Dajan era rimasto seduto e aveva lo sguardo rivolto alla pista:
“ehi, ti sei imbambolato? Andiamo?”
Dajan scrollò la testa e seguì l’amico.
 
Kim sbuffò, vaporizzando il suo respiro nell’aria gelida.
Aveva appena terminato di discutere con la madre e nessuna delle due era uscita vincitrice da quello scontro; la donna aveva espresso la sua perplessità sull’assiduità con cui sua figlia si recava agli allenamenti di basket, che negli ultimi giorni si erano intensificati:
neanche quando avevi le gare di atletica ti allenavi così tanto! E poi hanno chiamato neve oggi”
“solo nel tardo pomeriggio”
“comunque è la Vigilia! Dovresti passarla con la tua famiglia”
“starò via solo poche ore. Per pranzo sono a casa”
La donna aveva sospirato irritata e aveva aggiunto:
“se non ti conoscessi, penserei che è una scusa per passare del tempo di nascosto con un ragazzo che non vuoi presentarmi”
In fondo sua madre ci aveva pure preso, ma non nel senso che avrebbe sperato: erano diversi anni che Lois sognava che la figlia si trovasse qualcuno di speciale, ma, pur abbondando di amicizie maschili, sembrava che nessuno fosse in grado di intaccare la dura scorza di Kim:
“ha preso tutto da te” accusava scherzosamente il marito “stesso orso grizzly”
“non ti arrabbiare mamma orsa” le aveva risposto una volta l’uomo, sistemando un’anta cigolante di un armadio “a me nostra figlia va più  che bene così… che le piaccia correre”
“anche a me va bene che le piaccia correre… ma non sarebbe male se cominciasse anche a correre dietro anche a qualche ragazzo” aveva borbottato Lois, strappando un sorriso ironico al marito.
Quello era il genere di discorsi che allontanavano la loro unica figlia dalla stanza e che la spingeva al parco oppure, come accadeva spesso nelle ultime settimane, sul campo da basket.
In cuor suo le sarebbe piaciuto tranquillizzare la madre, confessandole che finalmente, dopo diciassette anni, aveva conosciuto quel ragazzo speciale di cui lei parlava, ma era invischiata in una logorante friendzone. Non aveva nessun motivo per pensare che Dajan fosse interessato a lei in un’ottica diversa da quella dell’amica. Anzi, già quella era una grossa conquista per un’asociale patentata come lei.
Poche settimane prima, il ragazzo le aveva portato l’opuscolo di un college del Kentucky che elargiva borse di studio a studenti atleti. Il campus offriva strutture attrezzate che andavano dall’atletica al basket e Dajan l’aveva scelto come college per l’anno successivo. Lasciandosi contagiare dal suo entusiasmo, anche lei aveva valutato quell’opzione, pur avendo ancora un anno di tempo in più rispetto a lui, e alla fine avevano deciso che si sarebbero rivisti proprio in quel campus.
 
Dajan fece un altro paio di tiri e si sedette sulla panchina. Il tempo a sua disposizione si stava esaurendo, ma non il nervosismo. Kim sarebbe arrivata da un momento all’altro.
Nell’attesa, preferì tornare al ricordo che aveva appena riesumato dalla soffitta della sua mente.
Quel giorno aveva seguito Trevor fino alla pista, dove Kim era venuta loro incontro.
Contrariamente alla volta precedente, Kim  si comportò in modo molto più affabile, scusandosi addirittura con lui per i modi bruschi:
 
“ah Dajan, scusa per l’altra volta, ma ero un fascio di nervi a causa di questa gara”
Il ragazzo sollevò le sopracciglia, sorpreso da quella premura mentre Trevor s’intrometteva:
“allora andiamo a festeggiare. Devi pagarci da bere Kim”
Kim non protestò, ma continuava a sorridere gratificata e quella soddisfazione le impedì di notare il modo in cui Dajan aveva cominciato ad osservarla.
 
Kim trotterellò fino alla fermata dell’autobus numero 14.
Le era bastato allontanarsi da casa e pensare al fatto che avrebbe rivisto il cestista, per vedere scomparire tutto il suo cattivo umore.
Passò davanti ad una vetrina e, vedendo riflesso il suo viso allegro, cercò di darsi un contegno. Non poteva reagire in quel modo, saltellando felice come Candy Candy nella prateria ogni volta che doveva incontrare il ragazzo: aveva pur sempre un’immagine da difendere.
Salì sull’autobus che nel suo percorso, oltrepassò un locale al quale la ragazza era molto affezionata. Più volte si era recata lì con Trevor e altri suoi amici ma nel suo cuore, c’era un altro motivo che la sportava a sorridere ogni volta che vedeva l’insegna Roxy:
 
“un brindisi a Kim!” esclamò Trevor, tintinnando il proprio bicchiere contro quello dell’amica e di Dajan.
I tre si erano seduti su uno dei tavoli all’interno del Roxy che quel giorno aveva una clientela piuttosto nutrita.
“dovremo fare il bis” riflettè scolandosi d’un fiato il contenuto del suo bicchiere
“tanto pago io” ridacchiò Kim tra l’amaro e il sarcastico.
Le pareti tinteggiate di rosso mattone, insieme al mobilio di legno scuro, conferivano all’ambiente un’atmosfera calda e raccolta. Ovunque erano appese insegne di latta dall’aspetto vintage e una leggera musica di sottofondo, rallegrava l’ambiente.
Trevor buttò distrattamente l’occhio sull’orologio a forma di bottiglia e si spiaccicò la mano in fronte:
“merda! Devo andare a prendere mia sorella a scuola! Ragazzi ci vediamo domani, sono già in ritardo”
In meno di un minuto, il ragazzo si era volatilizzato, lasciando Kim e Dajan da soli.
La velocista scosse il capo divertita: era tipico dell’amico ricordarsi all’ultimo degli impegni che aveva preso, piantandola in asso.
“beh, allora come se la cava Castiel come nuovo capitano?” chiese al moro.
Per fortuna davanti a lei c’era un ragazzo, altrimenti la conversazione avrebbe fatto fatica a decollare. Relazionarsi con l’universo maschile era la cosa più naturale per lei in quanto veniva sempre trattata come una rappresentante di quel mondo.
“all’inizio dell’anno bene, ma ultimamente deve avere qualche problema con la sua ragazza: salta spesso gli allenamenti e il fatto di non avere un prof che ci segue durante l’allenamento non è d’aiuto… poi è di cattivo umore… non è più lo stesso di questo inverno”
“forse dovreste sostituirlo” suggerì Kim, giocherellando con il lembo di un tovagliolo.
“si riprenderà” replicò Dajan con convinzione.
“sei un ottimista tu”
“siamo una squadra” puntualizzò il cestista, guardandola direttamente negli occhi. Kim sussultò impercettibilmente, sorpresa dalla sicurezza che traspariva da quegli occhi “abbiamo eletto Castiel capitano per una serie di motivi e non basterà certo un periodo no togliergli il titolo. Vorrei solo capire come aiutarlo, ma non si apre con nessuno tranne che con Nathaniel e quel tipo strambo della 4^ B”
“Lysandre White?”
“esatto”
Kim si accasciò contro lo schienale della sedia e allungò le gambe sotto il tavolo con poca grazia. Quel tipo di gesti tradivano la sua tendenza a preferire la compagnia dei maschi, finendo per assimilarne inconsciamente i comportamenti.
“secondo me sbagli ad assecondare Black” sbottò “ hai visto all’ultima partita no? Ha fatto un occhio nero ad un altro giocatore. Fosse per me, l’avrei cacciato dalla squadra”
“ma non è questo lo spirito che deve alimentare un gruppo: nello sport di squadra, se uno ha un problema, va aiutato, non isolato”
Kim rimase in silenzio, riflettendo sulle argomentazioni avanzate da Dajan ed infine commentò:
“belle parole ma sarà per questo che preferisco gli sport dove posso competere da sola. Non sono fatta per stare in una squadra”
“tu sei fatta per correre da sola” sorrise il ragazzo, piegando il busto verso di lei.
Aveva cambiato tono, non era più severo ma accondiscendete e gentile.
“sono fatta per essere libera” precisò Kim, lasciandosi contagiare da quel candore. Aveva sentito il cuore accelerare e aveva abbassato lo sguardo non appena aveva incrociato gli occhi scuri del ragazzo.
Dajan aveva un modo diverso di relazionarsi a lei: mentre i suoi amici la trattavano come una di loro, senza vergognarsi di fare certi commenti volgari o comportamenti analoghi in sua presenza, il cestista le parlava con educazione e garbo.
Non le era mai capitato prima di trovarsi di fronte ad un ragazzo e sentirsi così in soggezione. Per la prima volta in vita sua, desiderò essere più femminile ed essere oggetto delle attenzioni che solitamente vengono riservate alle ragazze. Arrossì e si prese a calci mentalmente per la frivolezza di quei pensieri.
“sei sempre stata un’atleta?”
Alzò lo sguardo verso il cestista che l’aveva distratta dalle sue sciocche riflessioni.
 “mio padre è un personal trainer. Diciamo che lo sport ce l’ho nel sangue. Però non mi sono mai cimentata nel gioco di squadra”
“saresti un’avversaria interessante”
Solo una sportiva orgogliosa come Kim poteva lusingarsi per quel complimento, al punto da arrossire vistosamente e abbassare lo sguardo. Era terribilmente a disagio, non sapeva come replicare per rompere quell’imbarazzante silenzio.
Dajan nel frattempo sorrideva intenerito: quella ragazza era davvero buffa e contradditoria. All’apparenza sembrava acida e fredda, ma, grattando un po’ la superficie, veniva alla luce una personalità dolce ed emotiva.
 “è stata una bella chiacchierata” mormorò finalmente Kim, alzandosi dal suo posto. Aprì il borsone di atletica e recuperò il portafoglio.
“aspetta” la fermò il ragazzo allungandosi e bloccandole la mano. La velocista sussultò per quel contatto mentre lui ritirava velocemente la mano “non esiste che mi faccia pagare il conto da una ragazza”
Kim sbattè più volte gli occhi sorpresa e imbarazzata:
“non si fanno questo genere di problemi i miei amici, specie Trevor che è persino in debito con me, figurarsi se ti devi fare questi scrupoli tu. Eravamo d’accordo che vi avrei offerto io da bere”
Borbottò quella spiegazione a disagio, grattandosi la guancia ed incapace di sostenere lo sguardo del suo interlocutore.
Nel profondo del suo animo però, era lusingata: scoprì che quel genere di premure non la infastidivano o, per lo meno,  non la infastidiva il fatto che fosse Dajan a riservargliele.
“non me ne frega niente di quello che fanno gli altri” asserì perentorio il cestista avvicinandosi alla cassa. Si voltò verso di lei e, con un sorriso incantevole concluse “ad una ragazza come te mi fa piacere pagare da bere”
Kim rimase imbambolata a fissarlo mentre il cestista saldava il conto.
 
La ragazza sorrise mentre scendeva dall’autobus e si incamminò verso il campo da basket.
Dopo quella chiacchierata al pub, era tornata a casa di ottimo umore e da quel giorno, aveva cominciato a pensare a lui, a quel ragazzo che con lei era stato così premuroso e gentile. Aveva cominciato a interessarsi a Dajan, sfruttando il tontolone del suo amico Trevor. Aveva così scoperto che il cestista non aveva una ragazza ma che era anche piuttosto disinteressato alla questione. Trevor sosteneva che nessuna corrispondesse ai suoi canoni e che avesse gusti piuttosto eccentrici, senza però avere chiaro quali fossero. Tuttavia, nonostante l’interesse maturato per Dajan, tra lui e Kim non ci fu più alcun incontro, poiché nessuno dei due sembrava intenzionato a cercare l’altro. Anziché alimentare quella debole scintilla che si era accesa nel locale, i due l’avevano lasciata spegnersi: da parte della ragazza, il problema era la sua insicurezza combinata all’orgoglio: non sarebbe mai riuscita ad avvicinarlo con una scusa qualsiasi  e, peggio ancora, non si sarebbe mai abbassata a chiedere a Trevor di farle da cupido.
Si era così rassegnata all’evidenza che Dajan non fosse interessato e lei e lasciò alle vacanze estive il compito di farle dimenticare i sentimenti che era riuscito a smuovere in lei.
L’anno scolastico era ricominciato ed erano diventanti due estranei: se si incrociavano in corridoio, lei fingeva di non vederlo e si voltava da un’altra parte, convinta che se si fosse fermata a chiacchierare con lui, sarebbe risultata solo una palla al piede. Questo contribuì ad accentuare il suo atteggiamento burbero e sostenuto, almeno finchè Erin Travis era entrata nella sua classe.
Sorrise pensando che era proprio lei era stata la prima persona a cui la nuova arrivata si era rivolta:
 

senti bella non ce l’ho con te. Forse dopo la Joplin mi interroga, e continuerà a farlo finché non prendo una C. Sinceramente non vorrei che la cosa andasse avanti fino a giugno…intendi?”
Senza celare minimamente la sua perplessità, Erin annuì e lasciò che Kim proseguisse il suo disperato ripasso flash.

(tratto dal capitolo 2 – Un vicino molesto)
 
Di certo le aveva dato la dimostrazione del lato più sgarbato di sé ma per fortuna questo non aveva impedito alla ragazza di avvicinarsi a lei, al punto da catturare la sua simpatia.
Poco dopo l’ammissione di Erin alla squadra di basket, l’aveva ritrovata in infermeria e dopo un rapido scambio di battute, ecco che era ricomparso lui:
 
 “hai preso una pallonata in faccia?” chiese Kim con tono sfottente.
“precisamente” rispose Erin con un’aria talmente neutra che la ragazza rise.
“sei proprio un soggetto” commentò dopo un po’.
“è un’offesa?”
“quello che ti pare”
disse alzandosi. Non riusciva a scaricare bene il peso sulla gamba e si sbilanciò. Controvoglia, fu costretta a tornare seduta.
Le sembrò che Kim  quel giorno fosse un po’ meno rude rispetto al primo giorno di scuola. Stava per chiederle qualcosa, quando si aprì la porta, ma anziché entrare l’infermiera, fece capolino Dajan.
“tutto bene?” chiese rivolto ad Erin.
“sì, ho ancora 5 litri di sangue in circolo” scherzò la segretaria del club di basket.
oro” sorrise Dajan il cui sguardo si spostò su Kim.
“club di pallavolo?”
“no atletica”
replicò laconica la velocista.
Dajan annuì leggermente.
“ci vediamo in palestra allora” tagliò corto, rivolgendosi a Erin e si chiuse la porta alle spalle.

(tratto dal capitolo 6 – Provocazioni)
 
L’ingresso di Dajan in infermeria l’aveva spiazzata. Erano passati mesi dall’ultima volta in cui si erano parlati ed evidentemente quel tempo era stato sufficiente al ragazzo per dimenticarsi completamente di lei.  
 
Dajan sospirò. All’inizio dell’anno scolastico aveva sentito dire che Kim si era iscritta al club di pallavolo per questo le aveva rivolto quella domanda, facendo quella gaffe imbarazzante.
 
Anche se aveva cercato di non darlo a vedere, la velocista si era irritata non poco: possibile che già si fosse dimenticato di lei? Club di pallavolo? Ma se gli aveva detto che non era fatta per gli sport di squadra! Inoltre vederlo preoccuparsi per Erin l’aveva stizzita non poco e aveva scaricato tutto il suo nervosismo sulla malcapitata ragazza.
 
Quella volta Dajan però non si era recato in infermeria per controllare la compagna di squadra. Poco dopo che Erin era uscita dalla palestra, si era presentato da Nathaniel per avvertirlo di quel "ricovero", in quanto segretario del liceo, e il biondo a sua volta, aveva commentato che anche Kim Phoenix si era infortunata.
Il cestista non ci aveva pensato due volte a correre ad assicurarsi che stesse bene, ma una volta fatto capolino nella stanza, l’imbarazzo aveva preso il sopravvento e aveva finito per concentrare una finta preoccupazione sulla persona sbagliata.
 
Finalmente cominciò ad intuire da lontano la sagoma della ragazza. Controllò nella tasca dei pantaloni che il regalo fosse ancora lì e le sue mani sudate entrarono in contatto con la carta da regalo, ormai stropicciata a causa delle continue torture a cui l’aveva sottoposta il ragazzo nella snervante attesa di consegnare il pacco.
Era troppo teso. In fondo si trattava di un semplice regalo, poteva sempre dirle che era in amicizia, anche se questo non l’avrebbe portato da nessuna parte. Più lei si avvicinava e più si sentiva un codardo.
 
“facciamo progressi capitano. È la prima volta che compri un regalo ad una donna che non sia tua sorella”
Trevor ridacchiava allegro, mentre una porta automatica si apriva davanti ai ragazzi, consentendo loro il passaggio.
“appunto per questo ti ho chiesto consiglio. Dici sempre che conosci Kim meglio di chiunque altro” puntualizzò Dajan, guardandosi attorno poco convinto.
“ecco perché ti ho portato qui”
Lo sguardo dei due ragazzi cominciò a studiare le boccette di vetro, le confezioni eleganti e colorate, così estranee al loro habitat naturale: erano in profumeria.
“mi spieghi perché diavolo mi hai portato qui?” chiese il cestista a disagio.
“le regali un profumo no?”
“Kim non mi sembra tipa da profumo” obiettò Dajan.
“beh, tu a cosa avevi pensato?” replicò prontamente il compagno di squadra, offeso per il scarso successo che aveva riscosso la sua idea.
“a qualcosa di sportivo”
“lascia perdere” tagliò corto Trevor, sventolando la mano destra “così non le trasmetti il giusto messaggio. Le faresti un regalo da amica. Devi puntare a qualcosa che le faccia capire che la consideri una donna”
Dajan passò la mezz’ora successiva ad ascoltare le motivazioni di Trevor che si dava arie da grande conoscitore della psiche femminile. Un po’ per la sua discutibile capacità di persuasione, un po’ per l’insensatezza di alcune sue considerazioni, uscirono dal negozio a mani vuote.
Dajan non era convinto che fosse quello il genere di regali adatti a Kim e, dopo aver bocciato una lista di opzioni proposte da Trevor, quest’ultimo sbottò con un arrendevole:  
“prendile quello che ti pare”
 
Il quello che ti pare si era concretizzato in un cardiofrequenzimetro. Il ragazzo aveva notato quanto Kim fosse interessata a quell’apparecchio quando lo aveva accompagnato alla Pentathlon settimane prima.
Ciò nonostante, cominciò ad avere mille ripensamenti e si convinse di aver fatto una scelta idiota. Non poteva darle un simile regalo. Trevor aveva ragione: lei era una ragazza, doveva prenderle qualcosa di più femminile.
Kim però era troppo vicina e già lo salutava con la mano:
“ehi, non si saluta più?” scherzò avvicinandosi.
Dajan cercò di nascondere il rigonfiamento della tasca, sortendo l’effetto contrario: Kim indirizzò la sua attenzione in quel punto e la domanda sorse spontanea:
“che cos’è?”
“n-niente”
La ragazza sbattè le ciglia, perplessa ma non provò ad insistere. Non era da lei supplicare le persone.
Dajan dal canto suo si sentiva un imbecille e mentre lei si era chinata per raccogliere la palla da terra, riuscì a formulare tutto d’un fiato:
“èperte”
Kim alzò lo sguardo trovandosi sopra la testa un pacchetto con un incarto natalizio, un po’ sgualcito. Tornò in piedi e studiò l’oggetto, accogliendolo tra le mani:
“è un regalo?” chiese come se non ne avesse mai visto uno prima in vita sua.
Dajan annuì in imbarazzo mentre il viso della ragazza attraversò tutte le sfumature, dal rosso al viola, ed infine riuscì ad articolare:
“m-ma io non ti ho fatto niente”
“non voglio niente in cambio” chiarì Dajan che non aveva previsto quella reazione:
“no sul serio, sono pessima! Non ci ho neanche pensato” si colpevolizzò Kim, sentendosi sempre più in difficoltà. L’imbarazzo le era costato parole che, non solo non avrebbe dovuto pronunciare, ma che erano pure false: aveva passato una settimana a torturarsi nel dubbio di regalare qualcosa a Dajan per Natale, ma temeva di metterlo in difficoltà, convinta che lui non avesse nulla per lei.
Il cestista  sorrise, cercando di recuperare un po’di compostezza:
“non preoccuparti Kim… però potresti dirmi subito se ti piace? In realtà non sono convinto che sia stato una grande idea” mentre il cestista parlava, la mora aveva cominciato a liberare l’incarto “cioè, voglio dire, per una ragazza non è il massimo come regalo”
Gli occhi di Kim cominciarono a brillare dalla gioia e dallo stupore. In cuor suo temeva di trovarsi di fronte un profumo che, a prescindere dalla qualità, avrebbe trovato nauseante. A quel punto le sarebbe stato difficile mentire e fingere di apprezzare quel pensiero. Odiava ogni genere di articolo femminile, dai profumi ai trucchi, preferendo un look naturale e acqua e sapone, che ben si sposava con la sua indole atletica e semplice.
“è meraviglioso Dajan!” esclamò quasi commossa. Gli occhi sembravano lucidi tale era la sua contentezza. Non osava chiedersi quanto il ragazzo l’avesse pagato dal momento che si trattava di un modello migliore di quello che aveva adocchiato lei.
Il ragazzo rimase senza parole mentre Kim era tutta un sorriso.
“davvero ti piace? Cioè so che ti sarebbe stato utile però non pensavo che”
“lo adoro” lo interruppe “ti bacerei se solo potessi” pensò lei tra sé e sé.
“grazie” mormorò invece con un sorriso luminoso.
Dajan arrossì leggermente e le suggerì:
“così puoi usarlo quando ti alleni”
“per il basket?” chiese Kim dubbiosa.
“per le gare di atletica” replicò lui con un’espressione eloquente. La ragazza dischiuse le labbra, stupefatta. Quando aveva accettato di entrare nella squadra di basket, era stata costretta a rinunciare al club di atletica e con esso, alla partecipazione alle gare in primavera.
Anche se aveva cercato di non darlo a vedere, quella decisione era stata molto sofferta, al punto che, durante il weekend, andava spesso a correre dopo gli allenamenti con Dajan.
“è da un po’ che mi sono accorto che continui ad allenarti” le confessò il ragazzo, sorvolando sul come avesse fatto a scoprirlo “vorresti tornare al club di atletica?”
Kim deglutì e inspirò:
“ho il torneo. Non intendo tirarmi indietro ora”
“ma una volta finito il torneo?” insistette il cestita.
La ragazza abbassò il capo e non rispose, così fu lui a proseguire:
“se dopo il torneo vorrai lasciare la squadra, lo capiremo Kim” mormorò il ragazzo, accucciandosi a recuperare la palla e cominciando a palleggiare “del resto, siamo stati noi a vincolarti a farne parte. È un tuo diritto tornare al club che preferisci”
“non credo sarà possibile, non solo perchè ormai l’anno è inoltrato, ma anche perché non sarei più la benvenuta. Del resto ho voltato loro le spalle” borbottò Kim dispiaciuta.
Non aveva mai detto a nessuno, nemmeno a Trevor, quanto le bruciava il fatto di non poter gareggiare quell’anno.
“non dire così” la consolò Dajan con un sorriso incoraggiante “e poi credimi: qualsiasi club sportivo farebbe carte false pur di averti in squadra”
Il ragazzo le sorrideva ma in quella smorfia, c’era una piega amara che la ragazza non riusciva a giustificare. Ciò che Kim non poteva immaginare era quanto al ragazzo sarebbero mancati i loro allenamenti settimanali e la possibilità di vederla tutti i pomeriggi scolastici.
 
Ambra controllò nervosamente l’ora sullo schermo del cellulare: erano le cinque e mezza e aveva un treno da prendere. Voleva disperatamente parlare un’altra volta a Sophia prima di tornare a casa ma il tempo stringeva.
“guarda che saremo ben felici di averti ospite da noi. Finchè Sophia rimane qui, la sua stanza è libera” le ricordò Amanda, rinnovando un invito che le aveva posto pochi minuti prima. La bionda scosse la testa e sorrise educatamente:
“la ringrazio, ma preferisco tornare a casa”
In quei momenti le sue abilità di attrice rivelavano tutta la loro utilità: anche se qualsiasi posto era preferibile a villa Daniels, non poteva approfittare di una simile gentilezza.
Pur avendo sepolto l’ascia di guerra con Erin, le sembrava ancora troppo strana la piega che aveva preso il loro rapporto, piegato dalle circostanze. Essere ospite a casa sua avrebbe contribuito ad aumentare la sua confusione e disagio.
“mi sa che farò meglio ad incamminarmi. Ho il treno alle sei, così arriverò a casa per ora di cena” commentò la ragazza, rassegnandosi alla volontà del destino. Non avrebbe parlato con Sophia quel giorno.
“allora ti chiamerò appena si riprende dall’anestesia” le promise Erin.
Ambra sorrise e dopo aver rinnovato la propria gratitudine alla famiglia della ragazza, li salutò.
Amanda volle abbracciarla ancora una volta, al punto che la bionda sfruttò un ciuffo biondo di capelli per nascondere le emozioni che quel gesto avevano fatto esplodere in lei: l’aveva abbracciata più volte quella donna sconosciuta che sua madre nell’arco di tutta la sua vita.
“aspetta Ambra ti accompagno io in stazione” si propose Erin, alzandosi anch’ella in piedi.
“non serve. Chiamerò un taxi”
“non fare sempre l’orgogliosa!” la rimproverò allegramente, recuperando dal padre, le chiavi della macchina.
 
Erin accompagnò Ambra fino al binario. C’erano persone di ogni tipo: chi con pacchetti regalo, mamme con figli chiassosi, lavoratori stanchi e frustrati per essere stati costretti a lavorare anche il giorno della Vigilia. La stazione dei treni diffondeva di sottofondo un jingle natalizio che, nonostante la commercialità del pezzo, instaurava nell’ambiente caotico un’atmosfera allegra. Finalmente anche Erin potè assaporare il gusto della sua festa preferita che l’incidente della sorella aveva guastato.
“grazie per essere venuta Ambra”
“me l’hai già detto sette volte Travis” commentò la ragazza cercando di infondere un tono seccato nella sua voce.
“non far finta che ti dia fastidio, bionda” la rimbeccò allegramente Erin.
Ambra sorrise divertita e si ficcò le mani in tasca:
“salutami tua sorella” e, arrossendo leggermente aggiunse “e dille che prenda un fagiolo di Balzàr
Erin la guardò interrogativa:
“cos’è? Una parola in codice tra nerd?”
Ambra sbuffò imbarazzata, mentre una voce atona richiamava i passeggeri a salire sul treno.
“devo andare”
“allora ci vediamo al liceo… graz-” la bionda la interruppe:
“ringraziami un’altra volta e ti picchio”
Le due risero divertite e, finalmente, si salutarono.
Ambra scelse un posto lontano dal finestrino, in modo che Erin non potesse vederla mentre il treno si allontanava. Ora che finalmente era sola, poteva lasciare che delle timide lacrime di gioia le rigassero quel viso solitamente freddo e inespressivo.
 
La ragazza scese dal treno e controllò il cellulare. Anche se erano quasi le sette, né sua madre né suo padre l’avevano contattata. Trovò un messaggio del fratello a cui rispose sbrigativamente.
La neve che aveva cominciato a cadere un’ora prima,  aveva avvolto la sua Morristown. Per la prima volta in vita sua quella città non le sembrò così insignificante e fredda. C’era un che di fiabesco nel silenzioso manto bianco che aveva ricoperto i tetti e i rami secchi degli alberi.
Non aveva fretta di tornarsene a casa: rientrare in quell’ambiente, le avrebbe solo rovinato l’umore. Decise così di passare per il centro, guastandosi un po’ le vetrine e cenare al ristorante della famiglia di Lin, sperando che l’amica non fosse così impegnata da non potersi fermare a chiacchierare un po’ con lei.
Dopo il concerto del liceo, il loro rapporto era andato migliorando sempre più, tanto che la bionda le aveva raccontato tutto ciò che aveva detto ad Erin, dalla sua passione per i videogiochi, passando per il periodo buio della sua vita, fino ad arrivare a Sophia. La cinesina l’aveva ascoltata in silenzio, senza giudicarla, rivelandosi dotata di un’insospettabile sensibilità. A quel punto Ambra le aveva confidato di essere segretamente innamorata di Armin Evans e Lin, anziché scomporsi, le rivelò che si era accorta da tempo di quella sua infatuazione, lasciandola alquanto sorpresa.
Varcò la soglia del ristorante, spingendo la pesante porta di vetro, su cui troneggiava un’insegna con ideogrammi illegibili.
Appena mise piede nella hall, notò una certa frenesia. La sorella maggiore di Lin, Haily, le sorrise da dietro il bancone e le chiese di pazientare perché c’era molto lavoro quella sera:
“Lin arriverà a momenti. Puoi aspettarla qui?”
“c’è parecchia gente stasera” commentò Ambra guardandosi attorno.
“e questo è niente. Appena cominceranno ad arrivare tutti quelli che hanno prenotato, sarà un inferno… e siamo anche senza lavapiatti”
“posso aiutare?”
Haily guardò la ragazza con evidente perplessità e le chiese di ripetere. La bionda arrossì e rinnovò la sua generosa offerta.
“sei sicura? Guarda che ti prendo seriamente” esclamò la ragazza, incapace di capire se la ragazza si stesse beffando della sua ingenuità.
La bionda annuì convinta: era andata lì con l’intenzione di cenare ma era evidente che sarebbe stato piuttosto patetico farlo in solitudine dal momento che Lin sarebbe stata occupata tutto il tempo ad aiutare al ristorante. L’idea quindi di poterle dare una mano era sorta spontanea: aveva troppo da farsi perdonare da quella famiglia. Di fronte alla determinazione della ragazza, Haily abbandonò momentaneamente la sua posizione e la guidò nelle cucine.
 
Le due entrarono in un locale spazioso e dai soffitti bassi, se paragonati a quelli del ristorante dove i clienti venivano serviti. Sui fuochi erano disposte pentole basse e larghe, da cui provenivano intensi vapori biancastri..
"papà, abbiamo trovato un altro lavapiatti"
Il capo cuoco, che diversamente dagli altri lavoratori indossava una divisa nera, alzò lo sguardo dal tagliere su cui affettava agilmente una cipolla, riducendola a pezzetti piccolissimi.
Appena riconobbe Ambra, sbottò irato:
"ti sembla questo il momento di schelzare Haily? Pensa piuttosto a chiamale quello scavezzacollo che abbiamo assunto ieli e digli di sbrigalsi"
"ha detto che sta arrivando e comunque il lavoro è troppo per lui. È stata Ambra ad offrirsi di aiutarci" protestò la figlia, mentre da dietro una porta a battenti compariva Lin, che guardò l'amica con aria interrogativa.
"Farò del mio meglio" insistette la bionda, sentendo addosso a sé gli sguardi curiosi di tutti i presenti. Guardava il signor Yang con determinazione, intuendo facilmente i suoi pensieri: aveva di fronte l’ereditiera dell’impero informatico Daniels desiderosa di abbassarsi al degradante lavoro di lava piatti.
A quel punto, di fronte al tentennamento del padre, Lin s’intromise:
“dalle questa possibilità papà,  e poi non può certo essere peggio di quello che abbiamo assunto"
“ma se sei stata tu ad insistere perché lo prendessi!” sputò furente il proprietario, che vedeva accumularsi gli ordini. Non poteva concedersi il lusso di intrattenersi ancora a discutere e poi, la necessità di avere qualcuno che lavasse piatti e stoviglie diventava sempre più urgente.
Delegò quindi alla figlia minore il compito di istruire la neoassunta e tornò a concentrarsi sui fornelli.
Lin portò Ambra alla sua postazione, chiedendole il perché di quella strana proposta. Ambra fece spallucce e borbottò qualcosa sul fatto che era curiosa di provare sulla sua pelle cosa fosse il lavoro.
Lin finse di crederle  e le spiegò che a momenti sarebbe arrivato anche un altro ragazzo ad aiutarla.
"anche lui è alla prima esperienza quindi cerca di fare del tuo meglio per compensare… è piuttosto impedito. Tuttavia, per ora non abbiamo ricevuto altre richieste di lavoro visto che nessuno intende cercarsi lavoro sotto le feste" spiegò la ragazza.
La bionda annuì e, dopo qualche altra sommaria indicazione, Lin fu costretta a lasciarla per andare a servire in sala.
Ambra cominciò ad ordinare i piatti nell'acquaio. Alla sua destra venivano scaricati con non curanza piatti sporchi e stoviglie e se non si fosse messa subito all’opera, quella mole ingente di materiale l’avrebbe sepolta viva. Tuttavia, nonostante la frenesia e la pressione che si respirava nell’aria, si sentiva eccitata: proprio lei, la ragazzina viziata e ricca, che non aveva mai lavorato in vita sua, era diventata una lavapiatti per una sera. Come una fiaba di Cenerentola al contrario.
Il fatto che poi che nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di quel lato così particolare del suo carattere, volenteroso e intraprendente, la eccitava non poco.
"insomma Evans! È il tuo secondo giolno e già sei in litaldo!"
Quel rimprovero così furioso la fece sobbalzare, distogliendo lo sguardo dal piatto che teneva tra le mani, al punto da scivolarle nell’acqua sporca.
Facendosi strada con il fare furtivo di un topolino, era appena entrato Armin. Armin Evans.
Il ragazzo sgattaiolava agilmente tra un cuoco e l’altro, borbottando qualcosa che fece ridere tutti meno che il suo datore di lavoro.
Solo quando arrivò alla sua postazione, si accorse che era già occupata.
Non si era accorto della presenza della ragazza, tanto era occupato a tentare di passare inosservato.
Sgranò gli occhi incredulo quando realizzò di avere davanti a sè Ambra Daniels, con un grembiule e i guanti in lattice. Forse la causa di quella incredibile visione, era il tempo trascorso fino a poco prima davanti al computer a giocare. Quell’ologramma però era dotato anche di sonoro:
"ciao" mormorò lei arrossendo a disagio.
Si sarebbe scavata una buca per la vergogna in quel momento: non solo non voleva essere vista da nessuno che la conoscesse, ma soprattutto non da lui.
Capì finalmente perché Lin avesse insistito affinchè il padre assumesse quel lavapiatti: l’ovvio obiettivo era farlo parlare prima o poi con l’amica. Ciò che la cinesina non aveva previsto, era quanto precoce sarebbe stato il loro incontro.
Armin era troppo basito per rispondere, così la bionda cominciò ad irritarsi:
"Non ti hanno insegnato a salutare?"
"Quello è il saluto di The Owl" mormorò il moro, ancora perplesso.
Inconsapevolmente, nel salutarlo, la ragazza aveva sollevato il braccio e aveva disposto le dita, nel gesto caratteristico di quel videogioco. Aveva incorporato quella curiosa posa nella sua routine, dal momento che, a parte con Sophia, nessuno aveva mai ricollegato quella strana gestualità, ad quel videogame praticamente sconosciuto.
"dimmi che giochi anche tu a The Owl!" la supplicò il ragazzo su di giri.
"ALMINIO!" lo rimproverò il capo cuoco "smettila di chiacchielale e mettiti al lavolo!"
"Armin" lo corresse il ragazzo, borbottando risentito per la storpiatura del suo nome.
"sentito? Non siamo qui per perdere tempo" lo liquidò Ambra “mi sorprende vederti qui”.
"senti chi parla! Comunque resterò qui solo finché arrivo a potermi pagare la nuova Play"
“o finché ti cacciano” lo schernì Ambra che non aveva potuto fare a meno di osservare quanto il rgazzo fosse inadatto a quel lavoro: Armin si era avvicinato ad una voluminosa pila di piatti e con un incredibile sforzo, aveva tentato di sollevarla. Era riuscito a fare appena tre passi, poi era stato costretto ad appoggiarla su un piano di lavoro e riprendere fiato.  
"non ti offendere, ma hai proprio le braccia di ricotta"
"diciamo che la mia specialità sono le dita" spiegò il ragazzo senza scomporsi.
Era più forte di lei maltrattarlo: non gli avrebbe mai permesso di capire che era proprio lui il suo punto debole. Era sicuramente un controsenso, visto che era innamorata di lui da diverso tempo, ma il suo orgoglio le impediva di comportarsi diversamente. Inoltre, vedendolo così buffo e ridicolo, si chiese se in lui esistesse ancora quel lato più maturo che l’aveva affascinata.
La bionda si avvicinò alla pila di piatti che Armin aveva abbandonato e la spostò agilmente all'interno dell'acquaio.  Sorrise tra sé e sé sentendo lo sguardo allibito del moro, evidentemente risentito. Nemmeno lei aveva familiarità con i lavori domestici ma la costanza con cui andava in palestra le aveva permesso di sviluppare un fisico forte e tonico. Invece il tempo che trascorreva Armin davanti ad uno schermo gli aveva valso un corpo flaccido e pigro.
Risentito per il velato insulto alla sua virilità, il moro aggiunse altri piatti ad una pila già pronta e si preparò a spostarla: la sua buona volontà non bastò a compensare l’assenza di muscoli e, inavvertitamente, alcuni piatti sul fondo si sfracellarono a terra, risuonando nella cucina.
"ALMINIO!" urlò dall'altro lato della cucina il signor Yang, con una vena sulla tempia che gli stava esplodendo.
"come diavolo fa a sapere che sono stato io e non tu?" borbottò il ragazzo mentre Ambra ridacchiava.
Aprì l'acqua e cominciò a sciacquare le stoviglie.
"non dovresti metterci il detersivo?" indagò il ragazzo, osservando l’acquaio.
"ah giusto che sciocca.. dov’è?"
“qua sotto”
Ambra aprì una confezione di detersivo per piatti e, dopo averne svitato il tappo, ne svuotò l'intero contenuto, mentre Armin era troppo basito per fermarla in tempo. Quando più di metà detersivo blu aveva colorato l’acqua, il moro esclamò:
"ma quanto ne metti? Guarda che ne basta solo un po'!"
Il getto d’acqua corrente cominciò a creare una nuvola biancastra di schiuma che si ingrossava sempre più man mano che i due ragazzi discutevano.
"ma così si puliscono bene" si difese debolmente Ambra che non aveva idea di come dovesse muoversi. Non pensava che lavare i piatti fosse un'operazione così complicata. Armin le aveva allungato la bottiglia di detersivo, per cui le era sembrato ovvio usarla tutta.
"facciamo che tu carichi la lavastoviglie e io li pulisco con la spugna" ordinò lui autonominandosi direttore dei lavori.
Gettò nel tritatutto i residui di un pasto poco gradito e si mise all'opera mentre Ambra fissava confusa lo strano apparecchio con cui doveva interagire:
"non c'è un tasto play da qualche parte?" chiese dubbiosa, dopo aver passato un minuto buono a studiare la macchina. Il suo collega scoppiò a ridere e commentò:
"mica è una console! Devi premere start"
"ah, adesso l'ho visto"
La ragazza premette il pulsante e aprì lo sportello, finendo per essere investita da un getto d'acqua rotante. Le pale dell'apparecchio cessarono di ruotare quasi subito mentre Armin aggiungeva ironico:
"... dopo averla caricata"
 
La serata cominciò a decollare e in cucina si accumulavano sempre più piatti sporchi e con essi, le stoviglie che erano state impiegate per prepararli.
“ma quanta roba è?” sbuffò Armin “perché tu non ti lamenti?”
Ambra non avrebbe mai ammesso quanto in realtà fosse felice in quel momento. Le piaceva avere accanto a lei il ragazzo ma era bravissima nel camuffare la sua gioia in sopportazione. Armin sparava una battuta dietro l’altra e nonostante le risposte acide e sarcastiche della sua interlocutrice, il ragazzo non aveva perso la sua allegria.
“se devo fare un favore, almeno evito di farlo pesare”
Armin fischiò ammirato:
“allora lo ammette signorina Daniels che anche lei ha un cuore”
“ovvio che ce l’ho: come pensi che mantenga il sangue in circolazione?”
 “perché sei sempre sulla difensiva? Non ti si può mai fare un complimento” sbuffò, mettendo il broncio come un bambino.
“mi irritano i complimenti che non condivido”
“trovami qualcosa che non ti irriti”
Ambra recuperò una pila voluminosa di piatti e la spostò verso l’acquaio.
“di certo tu non sei nella lista” sbottò per lo sforzo, mentre il ragazzo, anziché aiutarla, rimaneva con le mani in mano.
“sei qui per aiutare la famiglia di Lin no?” insistette il moro giocando con la schiuma del detersivo.
ALMINIO! Vuoi una papelella?” lo rimproverò il proprietario passando dietro di lui.
Per lo spavento, ad Armin cadde una ciotolina di ceramica che teneva in mano e che si schiantò a terra. Il signor Yang si voltò furente mentre Ambra interveniva:
“è tutta intera. Non si è rotta” mentì.
Il capo cuoco non tornò a verificare la veridicità di quelle parole poiché aveva altro a cui pensare.
Ambra si chinò a raccogliere i cocci, accucciandosi al livello del ragazzo, che sorrideva sornione:
“che faccia tosta”
“se comincia a sottrarti dalla paga tutte le stoviglie che rompi, andrai in perdita, altro che Play Station”
Armin ridacchiò e i due complici, cercando di non farsi scoprire, occultarono il cadavere della ciotolina frantumata.
 
La serata trascorse quindi con quel clima festoso e allegro, grazie alla simpatia di Armin che fece crollare un po’ le difese solide erette dalla sua collega di lavoro, arrivando al punto da farla ridere, come non accadeva da tempo. Il ragazzo era riuscito ad annullare la sua tendenza a prendersi troppo seriamente e contagiarla con la sua, quasi infantile, spensieratezza. Inoltre, anche se come lavapiatti, Armin era decisamente pessimo, si era conquistato la simpatia di tutto il personale che lavorava al ristorante.
 
Era ormai l’una passata quando finirono di lavare anche l’ultimo piatto.
Il ristorante era già chiuso e la famiglia Yang era impegnata nelle pulizie del locale. Il proprietario insistette affinchè Ambra accettasse una retribuzione, ma la ragazza fu irremovibile mentre Lin e Armin sorridevano per i modi impacciati con cui la ragazza cercava di nascondere la sua generosità.
 
"vai a casa a piedi?"
Ambra si voltò verso Armin che le aveva aperto la porta del ristorante.
"no, penso che chiamerò la nuvola speedy" replicò sarcastica.
"non avrei mai immaginato che anche Ambra Daniels fosse una fan di Dragon Ball" la schernì divertito il ragazzo, affiancandola.
"non sono una sua fan. Mica sono infantile come te"
"guarda che ti lancio contro un'onda energetica"
La bionda ridacchiò e con lei anche il ragazzo. Casa sua non distava molto dal centro e non si preoccupava minimamente del fatto che avrebbe camminato da sola, nel buio della notte.
"mica penserai che ti lascerò andare a casa da sola a quest'ora?"
"che c'è? Vuoi che ti accompagni? " lo sfottè Ambra.
"ah-ah, guarda che sono un campione di arti marziali"
"guarda che non stiamo giocando a Tekken"
Armin rimase allibito e poi commentò:
"ma quanti videogiochi conosci?"
Ambra arrossì e si difese:
"beh… piacciono a mio fratello "
"balle! Nathaniel li ha sempre odiati... " e assumendo un'aria divertita, il moro la stuzzicò "e così Ambra Daniels è una nerd"
In tutta risposta lei sbuffò e accelerò il passo.
“che permalosa! Dai, vieni, ti do un passaggio in macchina” si offrì il ragazzo conciliante.
La bionda si arrestò e lo guardò titubante. Il ragazzo si era fermato accanto ad un pick-up e aveva estratto delle chiavi:
“tanto non ti lascerò andare a casa da sola. Quindi, a meno che tu non preferisca allungare il tempo in mia compagnia, ti conviene salire”
La bionda non se lo fece ripetere due volte e accettò l’offerta ma Armin sembrava risentito:
“uffa, avresti dovuto dire ma certo Armin! Pur di passare ancora un po’ di tempo in tua compagnia, attraverserei a piedi tutta la città”
Ambra lo guardò stizzita, irritata dalla pessima imitazione che il ragazzo aveva appena realizzato di lei. Inoltre la infastidiva quel sarcasmo dal momento che, sotto sotto, non le sarebbe dispiaciuto intrattenersi ancora a chiacchierare con lui.
Il guidatore accese la radio e la settò su una stazione che trasmetteva prevalentemente musica elettronica. La passeggera si sforzò di non protestare ma quel genere musicale proprio non riusciva a digerirlo.
"ho saputo che la sorella di Erin sta bene" commentò d'un tratto il ragazzo, facendosi serio.
Dopo ore passate l’uno accanto all’altra, ridendo e scherzano, Armin aveva cambiato espressione. Era concentrato sulla strada e il sorrisetto sornione che lo contraddistingueva, era scomparso.
"sì, l'intervento è stato molto delicato ma ce l'ha fatta"
"è una tua amica?"
"sì... una cosa del genere”
Il semaforo diventò giallo e da lontano Armin cominciò ad accelerare.
“non serve che corri così. Io non ho nessuna fretta di tornare a casa” lo frenò la ragazza “più tardi ci torno e meglio è"
"come mai?" chiese incuriosito.
"preferisco non incrociare mio padre. .. ultimamente è di pessimo umore a causa di Nuvola Rossa"
"di chi?" ripetè Armin, la cui voce uscì più acuta.
"Nuvola Rossa... l'hacker che sta violando i principali server del paese: la mia famiglia si occupa anche della messa a punto di antivirus, ma non possono nulla contro i virus informatici che produce Nuvola "
Di fronte all'espressione perplessa di Armin, la ragazza contestò:
"possibile che tu non l'abbia mai sentita nominare?"
"è una donna?" puntualizzò Armin sconvolto.
"secondo me sì: non mi sembra un nickname da uomo e poi mette di quei nomi così infantili ai virus... uno l'ha chiamato Gossip Girl... mi sorprende che un fanatico della tecnologia come te non l'abbia mai sentita nominare"
“il mio mondo è quello dei videogiochi, mica dei computer" obiettò il ragazzo.
"comunque sia, questa qui sta veramente mandando mio padre su tutte le furie... e non ti nascondo che la cosa non mi dispiace affatto" ammise la ragazza con una risatina che Armin trovò adorabile.
Si distrasse qualche secondo ad osservarla, dimenticandosi che la sua attenzione doveva essere concentrata sulla carreggiata.
"che c'è? " gli chiese Ambra
"niente" mentì il ragazzo avvampando, tornando a guardare la strada "stavo solo pensando che sei sempre stata stramba"
"senti chi parla"
"no sul serio! Sei un mistero per me”
“non vedo cosa c’entri con il discorso di prima” ribattè lei, cercando di celare il rossore che le aveva infiammato le guance. Quel ragazzo sembrava dire sempre la prima cosa che gli passava per la testa, senza curarsi degli effetti che le sue affermazioni potevano avere su chi li ascoltava.
“ti ricordi quando ti sei presa la colpa al posto di Molly?”
La bionda aprì leggermente la bocca, interdetta per quella frase, mentre Armin continuava:
“me lo ricordo perfettamente: era l’inverno scorso. Eravamo venuti io, Castiel e Lysandre a trovare Nathaniel. Mi sono allontanato da loro per cercare il bagno e ho finito per passare di fronte al salotto principale”
 
Molly era disperata.
Quel vaso era stata acquistato dalla signora Daniels nell’ultimo viaggio in Europa e si trattava di una pregiatissima ceramica spagnola. Per ripagarlo avrebbe dovuto rinunciare a due mensilità del suo stipendio, mettendo in ginocchio la propria famiglia che, rimasta senza il capofamiglia venuto a mancare l’anno prima, dipendeva da quei soldi.
Singhiozzò disperata davanti ad Ambra che goffamente, cercava di consolarla. Quella donnina così dolce e tenera, la persona che l’aveva cresciuta con l’amore e l’affetto che sua madre non aveva saputo darle, non meritava quella sofferenza.
Tuttavia, proprio in quel momento, Ingrid fece il suo ingresso nel salone: proveniva direttamente dal giardino della villa, in cui amava intrattenersi in ogni stagione dell’anno.
“che succede qui?” era sbottata con la sua voce stridula. I suoi occhi saettarono sui residui della pregata ceramica.
Guardò severamente Molly che cercava di darsi un contegno.
La governante cominciò a balbettare, sotto il cipiglio furente della padrona di casa:
“ho rotto quell’orribile statua che hai portato dalla Spagna” s’intromise Ambra, parandosi davanti alla donna.
“tu l’hai rotta? E perché?”
“te l’ho detto. Era brutta. Ti ostini ad esporla in bella vista ma è solo la dimostrazione del tuo cattivo gusto”
Molly stava per intromettersi ma Ingrid, avvelenata dalla rabbia, mollò un sonoro ceffone alla figlia, facendole voltare la testa.
Ambra incassò quel colpo mordendosi le labbra, mentre la madre sbottava:
“sei una delusione Ambra. Non è così che si comporta una signora ben educata”
“evidentemente non sei un grande esempio mamma” sputò la figlia, massaggiandosi la guancia dolorante.
Ingrid inspirò a fondo, mentre gli occhi diventavano due fessure. Girò i tacchi per evitare di ripetere quell’ignobile gesto davanti alla governate.
Lasciò sole le due donne e Molly abbracciò intensamente la sua salvatrice:
“oh Ambra, non dovevi”
“non preoccuparti Molly”
“ma perché l’hai provocata così?”
“se non l’avessi fatto, si sarebbe insospettita vedendoti piangere. Così almeno è andata fuori di testa e non ha avuto il tempo per riflettere… e poi è vero che quell’oggetto era orribile” aggiunse la bionda con un sorriso che non convinse la sua ex balia.
Il rossore sulla guancia diventava sempre più intenso e lei cercava di trattenere le lacrime di dolore:
“ti ha fatto tanto male?” si premurò la donna.
“non più di quanto me ne abbia fatto negli ultimi sedici anni”
 
“hai battute da eroe dei manga” ridacchiò Armin.
“ma hai origliato tutto!” esclamò Ambra indignata e al contempo imbarazzata.
Adorava Molly ma non accettava di farsi vedere così nobile e protettiva. Pian piano la rigida corazza che si era costruita stava cadendo in pezzi, rivelando tutta la sua fragilità e vulnerabilità.
"solo perché si trattava di Molly. Non sono una samaritana"
"e allora la tua esibizione al concerto di Natale accanto ad Erin che cos' era?"
"pensala come ti pare”
Il pick-up si fermò davanti a casa Daniels, sostando davanti l’ingresso principale.
Ambra scese dalla vettura e, prima di salutare il suo accompagnatore, commentò dolcemente:
 “era bello avervi per casa…  quando venivate a trovare Nathaniel”
Il ragazzo sorrise e non aggiunse altro.
In cuor suo, pensava che, da quando aveva scoperto quel lato misterioso e gentile del carattere di Ambra, aveva trovato un altro motivo per fare visita a villa Daniels.
 
Alexy si alzò scocciato, vagabondando per la stanza alla ricerca della porta. Non solo era stato svegliato dal fratello che rientrava dal lavoro, ma quest’ultimo stava facendo più rumore del dovuto.
Attraversò il corridoio ed entrò nella camera del gemello:
“che fai Army?”
La sua domanda venne deformata da un sonoro sbadiglio. Appena riuscì a mettere a fuoco l’immagine davanti a sé, strabuzzò gli occhi incredulo. Sicuramente stava sognando.
In diciotto anni non aveva mai visto il fratello impegnato a terra a fare addominali: Armin teneva le mani intrecciate dietro la nuca e sollevava il busto incurvandolo in avanti, risultando alquanto ridicolo.
“che stai facendo?” chiese Alexy più sconvolto che divertito.
“addominali, non si vede?”
“non si vedranno mai se li fai in quel modo… al massimo ti verrà il torcicollo”
Sconfitto, il moro sbuffò e cambiò posizione: si mise a pancia in giù, premendo i palmi delle mani contro il suolo; cercò di sollevarsi ma finì per inarcare la schiena in una sorta di posa yoga. Alexy scoppiò a ridere e si sedette sul pavimento:
“a parte l’ora assurda, si può sapere perché ti è venuta tutta questa voglia di fare fitness?”
“ti sembro uno smidollato?”
Alexy, sorpreso per quell’uscita, scrollò le spalle:
“per parlare nella tua lingua, direi che non sei esattamente Hulk… diciamo che assomigli di più a uno dei fantastici quattro”
“Mr Fantastic?” chiese il fratello speranzoso.
“la donna invisibile”
“ma vaffanculo Al!” imprecò Armin che, dopo quattro pseudo-flessioni, era già esausto.
Alexy ridacchiò mentre il fratello si metteva seduto:
“stasera ho incontrato Ambra al ristorante”
“davvero?”
“non ci crederai, ma mi ha aiutato a lavare i piatti”
Il ragazzo trattenne una risata e ammise:
“conoscendoti, mi verrebbe da dire che ha fatto il lavoro al posto tuo…ma stiamo pur parlando di Ambra Daniels… sei sicuro che fosse lei?”
“oltre che pappamolle mi ritieni pure idiota?”
“non vedo perché la cosa ti sorprenda tanto”
Armin gli lanciò una cuscinata e proseguì:
“Nuvola Rossa ti sembra un nome femminile?”
“di certo non è il massimo della virilità” riconobbe Alexy, senza capire il filo logico di quelle domande.
Armin boccheggiò spiazzato:
“m-ma, avresti dovuto dirmelo prima!”
“perchè ti importa scusa? Ti sei fatto una fama di tutto rispetto con quel nickname. Non mi pare che nessuno abbia mai denigrato la scelta di quel nome”
“Ambra pensa che io sia una donna!”
Alexy scoppiò a ridere ma dovette trattenersi per non svegliare i genitori, mentre il fratello assumeva l’aria di un cagnolino abbandonato sul ciglio della strada. Quella sera la sua virilità, o quel poco che ve ne era, era stata miseramente annientata:
“spiegami meglio: pensa che tu sia una donna o che lo sia Nuvola Rossa?”
Il moro scrollò le spalle e candidamente, ammise:
“beh, direi entrambi”
Il gemello rotolò dal ridere, mentre Armin gli stampò una pedata in faccia, irritato per essere oggetto dell’ilarità del fratello.
“non ti verranno gli addominali dall’oggi al domani Army. Non è mica come uno dei tuoi videogiochi”
“magari bastasse premere ALT e F5” sospirò sconsolato il ragazzo, riferendosi ad una sconosciuta combinazione di comandi.
“quindi vorresti diventare più virile?”
“mi sono già rassegnato. È una causa persa”
“sei troppo abituato ad avere tutto e subito. La vita non è un gioco virtuale”
“se lo fosse sarebbe molto più semplice” si lamentò il moro, distendendosi sul letto. Alexy sorrise pazientemente e, visto che ormai il sonno se ne stava andando, domandò allegramente:
“allora dimmi… quanti piatti hai rotto stasera?”
 


NOTE DELL’AUTRICE

Eccomi.
Davvero cominciavo a perdere le speranze -.-‘’. La mia voglia di pubblicare un nuovo capitolo è stata inversamente proporzionale al tempo che ho avuto per scriverlo. Tant’è che, come qualcuno di voi sa (*coff *coff Nuvola.. a proposito… piaciuta la sorpresa? XD), avevo pensato a mettere un disegno ma se aspettavo di realizzare anche quello, mi sarei rifatta viva ad Halloween. Vediamo se riuscirò a farlo più avanti (si trattava di disegnare alcuni dei personaggi alle elementari;))
Tuttavia sono riuscita ad allegare il disegno che mi ha inviato Nuvola Rossa (quella vera, non Armin XD) e che trovate al capitolo precedente: grazie L. <3.
Ok dai è tutto per ora. Lascio a voi eventuali commenti su un capitolo decisamente diverso dai soliti dal momento che è stato incentrato su personaggi che non sono i principali :). Si è aperto in modo un po’ tenero con la coppia Dajan-Kim e chiuso in maniera (spero) buffa con Armin-Ambra…
Alla prossima!
 

 
 
 
  
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