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Autore: _Frame_    18/10/2014    4 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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8. Tè e Vodka

 


23 agosto 1939

 

Le doppie eliche del Junker sollevavano un fitto vento che vorticava attorno all’aereo. Il suono assordante e stridente delle pale in movimento si univa al rombo gorgogliante del motore. Italia si premette le mani sulle orecchie e abbassò la fronte, procedendo a capo chino come nel mezzo di una tempesta. I capelli scompigliati si agitavano davanti al viso, gli entravano negli occhi e nella bocca. Italia strinse i denti e camminò seguendo i piedi di Prussia che procedevano davanti a lui.

Le gambe di Prussia saltarono sul primo gradino della scala che si innalzava davanti a loro. Italia sollevò lo sguardo verso il muso rialzato dell’aeroplano. L’arrampicata di gradini terminava proprio sotto il finestrino del pilota, di fronte alle pale roteanti.

Una mano si posò sulla spalla di Italia. Lui si voltò e l’uomo in uniforme tese il braccio, a palmo aperto, invitandolo a salire.

“Da questa parte, signore.”

Italia esitò. Strinse la mano sulla passerella fino a che il metallo non divenne caldo.

Il vento del Junker gli scostò i capelli dagli occhi e Italia tornò a sollevare lo sguardo. Prussia era a metà scalinata. Aveva anche lui una mano in testa per tenersi i capelli lontani dalla faccia. Italia gettò un’occhiata alla coda dell’aeroplano. I grandi alettoni erano tinti di un color verde militare, come tutto il corpo del Junker. Sull’ala, e nello spazio vicino all’attaccatura della coda, erano dipinte croci nere bordate di bianco.

Italia deglutì a fatica, la mano stretta all’asta di ferro s’irrigidì.

Le macerie fumanti di Guernica, le case e le strade distrutte, il cielo grigio fumo, il corpo di Spagna lacerato dalle piaghe, le braccia di Romano che lo sorreggevano a fatica. L’aereo che sorvolava la città era tatuato con lo stesso simbolo.

Italia tremò e fece strisciare un piede all’indietro. La mano dell’uomo premette sulla sua spalla.

“Ehi!”

Italia sobbalzò. Staccò gli occhi dalla croce della Luftwaffe e li puntò verso il muso del Junker. Prussia si teneva aggrappato al bordo dello sportello, l’altra mano aperta di fianco alla guancia per indirizzare la voce. I capelli d’argento oscillavano davanti agli occhi socchiusi.

“Sbrigati a salire! Che fai, dormi in piedi?” Il suono dell’elica storpiava le parole.

Italia chinò il capo, si guardò i piedi. Strinse la passerella, irrigidì le spalle. Sollevò la gamba e salì le scale.

 

♦♦♦

 

Prussia saltò giù dall’ultimo gradino e levò le braccia al cielo. Sgranchì le spalle, strizzando gli occhi per lo sforzo. “Mein Gott, che viaggio d’inferno.”

Le pale del Junker rallentarono, il rumore si affievolì come quello di un disco che si spegne lentamente. Il rombo del motore era già cessato. Prussia inclinò il capo all’indietro tenendo le braccia alzate dietro la nuca.

“Come diavolo hai fatto a dormire per tutto il tempo?”

Italia finì di scendere le scale aggrappato alla passerella con entrambe le braccia. Fece l’ultimo gradino barcollando.

“Avevo sonno,” rispose. La voce era ancora impastata. Gli occhi lucidi e acquosi per la dormita. Italia sollevò un braccio dietro la nuca e si strofinò la mano dietro i capelli scompigliati.

Dobro pozhalovat’.

Le ventole si fermarono, il motore si acquietò. Il vento si abbassò, l’aria si Mosca divenne fredda e densa come un cubo di ghiaccio.

Prussia increspò le labbra, un pugno si strinse sul fianco. Abbassò le palpebre, prese un sospiro dal naso, gonfiandosi il petto, e si voltò. Russia chinò il capo di lato e sorrise a entrambi. Gli occhi chiusi, le guance rosee.

“Avete fatto un buon viaggio?”

Prussia fece schioccare la lingua e sollevò un angolo delle labbra, scoprendo un canino. Il ghigno s’infossò nella guancia. “È stato...”

“Ciao, Russia! Ciao, Lettonia!”

Italia saltò davanti a Prussia sventolando il braccio sopra la testa. L’aria assonnata era scivolata via come dopo un fresco risciacquo al viso.

Russia sollevò la mano avvolta dal guanto vicino alla spalla e ricambiò il saluto. “Ciao, Italia.” Abbassò la mano e la strinse insieme all’altra. “Ho letto sui giornali della vostra alleanza. Congratulazioni.”

Il viso di Italia s’illuminò. “Ah, grazie!”

Lettonia sgusciò da dietro la schiena di Russia. Si strinse le spalle, facendosi ancora più piccolo, e abbassò gli occhi vacillanti. Le dita s’intrecciarono, aggrovigliandosi davanti al grembo. “C-ciao, Italia.”

Russia gli lanciò un’occhiata compiaciuta e sollevò lo sguardo verso il muso del Junker. Lo sportello era ancora aperto, la scaletta usciva come una lingua di metallo.

“Germania non è venuto?” chiese Russia. Abbassò gli occhi su Prussia e assottigliò il sorriso. “Mi aspettavo di trovare lui, oggi.”

Una piccola scossa passò attraverso i loro sguardi.

Prussia fece uno sbuffo e si allargò il colletto della giacca, inclinando la testa di lato. La fronte si aggrottò. “Ma perché diavolo dite tutti la stessa cosa?”

“Germania non è potuto venire perché aveva delle cose urgenti da fare a Berlino,” disse Italia. Rivolse un piccolo sorriso a Prussia. “Io e Prussia però ci impegneremo al meglio, giusto?”

Prussia fece roteare gli occhi al cielo. Una smorfia gli deformò le labbra. “Giusto.”

“Oh, capisco.” Un velo di ombra oscurò il viso di Russia. Gli occhi violacei si accesero. “Ha mandato il sostituto, vedo.”

Il pugno di Prussia si strinse fino a far gemere la pelle del guanto. Il braccio incollato al fianco tremò.

“Germania ha mandato anche te, Italia?” chiese Russia.

Italia annuì deciso. Unì i piedi, raddrizzò le gambe, e batté sulla fronte il saluto militare con la mano sinistra. “Io faccio la guardia a Prussia.”

“Non è vero!” Le guance di Prussia presero fuoco come i suoi occhi.

Il viso di Russia s’illuminò. Abbassò le palpebre e nascose il sorriso sotto la stoffa della sciarpa. “Meglio sbrigarsi, allora. Non vorremo deludere le aspettative di Germania, da?”

Prussia tenne gli occhi rivolti verso il cielo, e affondò le mani nelle tasche. “Come no.”

Russia posò la mano sul capo di Lettonia e il piccoletto cacciò un guaito. Lettonia irrigidì. Quando il palmo di Russia cominciò a strofinare tra i suoi capelli, prese a tremare come una foglia.

“Andiamo, allora,” disse Russia. “Non è il caso starsene a parlare in mezzo agli aeroplani.”

 

.

 

Italia sgranò gli occhi. Rivolse all’indietro la punta del naso e continuò a camminare a bocca spalancata per la meraviglia.

“Ooh!”

Passarono sotto l’arcata della torre rossa. Le cupole a spirali colorate del palazzo sparirono sopra le loro teste.

“Non pensavo che il Cremlino fosse così grande,” disse Italia.

Russia sorrise.

Il rumore dei loro passi fece eco nel corridoio d’entrata. Le colonne dorate riflettevano la luce che filtrava dalle finestre, le figure dei quattro si deformavano allungandosi sulla superficie tirata a lucido. Italia non scollava gli occhi dalle pareti e dal soffitto. Incisioni dorate e motivi floreali fuoriuscivano dal muro ricoperto di antiche miniature di santi con le teste coronate da aureole. Italia sfiorò con i polpastrelli il volto di un pastore inginocchiato davanti a un giovane uomo che fluttuava nel cielo d’oro. Grandi ali da colomba si aprivano dietro la sua schiena. Italia sollevò gli occhi e fece scivolare le dita dal dipinto. Si portò la mano davanti alla fronte, e si riparò dalla luce dei lampadari a sette braccia che pendevano dal soffitto. Gli spicchi di vetro che si aprivano attorno all’attaccatura riflettevano la luce sulla vernice dei pilastri e dei muri.

Passarono vicino a una colonna avvolta da massicce decorazioni in oro, e Italia strattonò la manica di Prussia. Sollevò il braccio, indicandogli la miniatura di un santo racchiuso dentro a una sfera sorretta da angeli scalzi.

“Sono disegni bellissimi, vero?” disse Italia.

Prussia ruotò verso l’alto gli occhi e scrollò le spalle. “Mhm.” Lo sguardo tornò a cadere si suoi piedi. La piccola ombra di Lettonia sfiorava quella di Russia, larga e scura. La luce di uno dei lampadari allungò la sagoma nera che arrivò a inglobare Prussia, inghiottendolo nel buio. Prussia saltò di lato, togliendosi dall’ombra, e sollevò un ghigno di sfida. I capelli e le decorazioni dell’uniforme tornarono a splendere sotto la luce dorata delle pareti.

“Signor Russia.”

Una figura sbucò da dietro una delle colonne del corridoio. La sua ombra si estese fino a toccare i piedi di Prussia.

“Oh, Lituania.” Russia fermò il passo e gli altri lo imitarono.

Lituania giunse le mani sul grembo e raddrizzò le spalle. Fece un piccolo inchino col capo e i capelli castani gli scivolarono sulle guance. “Bentornato.”

“Ciao, Lituania,” esclamò Italia. La mano sempre sventolante sopra la testa.

“Italia?” Lituania sbatté piano le palpebre e tornò a raddrizzare il collo. Una leggera piega gli stropicciò la fronte, i grandi occhi blu incrociarono quelli di Prussia. “Uhm, ecco, non...”

Prussia inarcò un sopracciglio.

Lituania rimuginò sulla frase e spostò lo sguardo insicuro su Russia. “Non avrebbe dovuto esserci il signor Germania?”

Prussia fece stridere i denti e alzò lo sguardo, riflettendo la luce delle lampade negli occhi vitrei. Lettonia fece piccoli passi verso Lituania, raggomitolato tra le spalle come un riccio spaurito. Si mise un palmo della mano vicino alla bocca e sollevò le punte dei piedi.

“Il signor Germania è rimasto a Berlino,” gli disse. “Italia ha detto che aveva delle cose da fare, ma forse è rimasto là solo perché aveva paura che il signor Russia – ghn!”

Il tallone di Lituania spremette il piede di Lettonia. Le guance del piccoletto si tinsero di rosso, gli occhi sgranati divennero lucidi e acquosi, le palpebre gonfie, e le labbra tremolanti. Lituania era sbiancato. Lo sguardo di panico fermo su Lettonia, come volesse farlo tacere con una sola occhiata. I denti di Lituania affondarono nel labbro inferiore. “Zitto.” Il piede continuava a premere su quello di Lettonia.

“Ce la faremo anche senza di lui,” disse Russia.

Si voltò verso Italia e gli rivolse un sorriso caldo. “Forse però non è il caso di far partecipare anche Italia a una discussione lunga e noiosa, che ne dici?”

Italia serrò le labbra che si erano appiattite. “Ecco, io, veramente...” Lanciò un’occhiata a Prussia, ma non riuscì a incrociare il suo sguardo. “Io veramente dovrei...”

“Lettonia ti terrà compagnia,” finì Russia.

Lituania tolse di scatto il piede da quello di Lettonia.

Lettonia si strinse le spalle e fece un piccolo balzo verso Russia. Gli occhioni da cerbiatto erano ancora lucidi, le guance ancora velate di rosso. “I-io, signore?”

“Portalo a visitare il giardino.” La voce morbida di Russia non faceva eco nel corridoio. Il caldo sorriso avvolse Lettonia come una carezza. “È meglio godersi la fioritura prima che tra poco appassisca.”

Lettonia si strinse le mani sul grembo. Quando serrò le dita, una piccola scossa di tremito gli attraversò tutto il corpo. “Ehm, sissignore.”

Russia distese il sorriso. “Bravo.” Aprì il palmo sul capo di Lettonia e prese a strofinargli le dita tra i capelli. Il polso si muoveva come se stesse svitando il coperchio di un barattolo. La testa tremolante di Lettonia si abbassava a ogni sfregamento. Russia sollevò lo sguardo senza staccare la presa. “Lituania, ci potresti preparare qualcosa? Porta pure tutto in sala conferenze.”

Il volto di Lituania si distese, la piega di panico svanì. Con una mano strinse il dorso dell’altra e piegò di nuovo il capo, chiudendo gli occhi. “Sissignore.”

 

.

 

La sala profumava di un intenso odore di pelle e di stoffa di velluto. Russia richiuse la pesante porta di mogano – arabeschi e altri motivi intrecciati scolpivano il legno – e la luce soffusa delle lampade a parete brillò nella penombra.

“Spero che Germania ti abbia messo al corrente dei nostri... ” Russia fece qualche passo verso le poltrone rosse di fianco al tavolino. Diede la schiena a Prussia e rimase fermo. “Precedenti accordi.”

Prussia fece una smorfia e sbuffò. Il sorriso ghignante gli scoprì un canino. “Per chi ci hai preso?” Sbottonò la prima apertura del colletto, e si massaggiò la pelle sotto la gola con le nocche. “Per dei ritardati?”

“Ah, non lo so.”

Russia strinse le mani dietro la schiena. La stoffa della sciarpa ciondolante si intrecciò con le dita. Ruotò il capo, lentamente. La penombra gli oscurava la fronte sotto i capelli, la fiamma delle lampade gli tingeva il viso di una luce rosso scuro. Gli occhi infossati nel buio si accesero come fari.

“Come chiameresti due che prima stringono alleanze internazionali al solo scopo di contrastare la mia politica e che poi vengono a elemosinare il mio appoggio con le orecchie basse e la coda fra le gambe?”

Prussia digrignò i denti. Serrò entrambi i pugni e le braccia tremarono, incollate sui fianchi. Stronzo.

“Noi non stiamo elemosinando niente a nessuno,” disse Prussia.

Le labbra piatte di Russia si curvarono leggermente verso l’alto. Russia sollevò le sopracciglia e distolse lo sguardo da Prussia. Lisciò la stoffa del cappotto che sventolava attorno alle caviglie e si mise a sedere su una delle due poltrone foderate di rosso. La sua ombra fece traballare la luce che si rifletteva sul tavolino. La vodka che riempiva la bottiglia posata sul centrino rimase piatta come olio. La luce passava attraverso il liquore senza riflettersi, come se il vetro fosse stato vuoto. I cristalli dei bicchieri brillavano, i fondi erano increspati come riempiti di schegge di diamanti.

Prussia avanzò verso la poltrona, ma non si sedette. “Un patto bilaterale di reciproca protezione, ecco quello che chiediamo.” La voce si era calmata, ma il tono rimaneva aspro e graffiante.

Russia intrecciò le dita davanti al viso, sfiorando la stoffa della sciarpa annodata al collo. Sollevò le sopracciglia e scoccò un’occhiata incuriosita a Prussia. “Mhm.” Gli indicò la poltrona vuota con un gesto del capo.

Prussia sprofondò con le spalle nello schienale, la stoffa sbuffò, e le molle cigolarono. Gli occhi di brace si accesero ancora di più sotto la luce arancio delle lampade. Russia svitò il tappo della vodka e prese uno dei due bicchieri. Inclinò la bottiglia, e il liquore scivolò nella coppa di cristallo come densa acqua limpida.

“Sì, il telegramma che mi ha mandato Germania era piuttosto curioso.” Sollevò il collo della bottiglia, la vodka smise di scendere lasciando colare l’ultima goccia dalla bocca di vetro. “In realtà speravo di parlarne faccia a faccia con lui.”

Prussia emise un sottile ringhio.

Il braccio di Russia si distese, la mano che reggeva la coppa s’inclinò leggermente in avanti, facendo ondeggiare la vodka sulle pareti di cristallo. Russia sorrise e sollevò le sopracciglia. “Vodka?”

Prussia arricciò la punta del naso e increspò le labbra. “No, non bevo quello schifo bianco.”

Russia fece una sottile risata. Posò la bottiglia sul centrino di pizzo e si portò il bicchiere alle labbra. Mandò giù la prima sorsata senza fare una piega, come avesse bevuto acqua. La coppa di cristallo rimase vicino al suo viso, la mano fece ondeggiare il liquore.

“Gli stai coprendo le spalle, Prussia?”

Prussia aggrottò un sopracciglio. La piega del viso allargò l’ombra attorno agli occhi. Russia sollevò la mano libera e portò l’indice tra le labbra. Rivolse gli occhi al soffitto, con l’espressione tenera e innocente di un bambino che pensa.

“Mi chiedo quale motivo l’abbia spinto a non partecipare oggi,” disse Russia. “Aveva forse paura di me?”

Prese un altro assaggio di vodka e sbatté le palpebre. L’aria da bimbo pensate rimase velata sul suo volto, gli occhi limpidi sempre alti. “Germania è grande e grosso, mi stupisco che si lasci intimidire così.”

“Ohi.” Prussia strinse il pugno sul bracciolo della sedia. Le unghie scalfirono la pelle vellutata. “Fatti un nodo alla lingua,” ringhiò.

Russia chiuse le palpebre e distese il sorriso. Le guance si colorarono e la voce squillò come animata da una piccola risata. “Le vecchie abitudini non muoiono mai, eh, Prussia?”

Prussia aggrottò la fronte. Le vene gonfie pulsarono sul collo. Russia gli rivolse un’occhiata profonda, le iridi viola si scurirono, la penombra delle lampade si distese a macchia d’olio.

“Anche dopo centinaia di anni, continui a essere lo stesso bambino capriccioso e arrogante.” La voce di Russia si era indurita, ma lo stampo del sorriso non lasciava le labbra. Russia premette la guancia sul pugno, il gomito poggiato sul bracciolo della poltrona, e fece oscillare il bicchiere di vodka vicino al viso. “Forse se ti dessi un’altra sonora lezione, potrei finalmente raddrizzarti, questa volta.”

Prussia fece schioccare la lingua. Rivolse lo sguardo di lato e piegò un ghigno sulle labbra che gli scoprì tutta l’arcata superiore dei denti. Sollevò le braccia e le intrecciò dietro la nuca.

“Non ho paura di te,” disse.

Sollevò le gambe e accavallò i piedi sul bordo del tavolino, facendo tintinnare bottiglia e bicchieri. Russia non ci fece caso.

“Non ne ho mai avuta, e non l'ha nemmeno West.”

“E allora perché mi state chiedendo l’appoggio?” Il sorriso sulla bocca di Russia sbiadì di colpo. L’ombra arrivò a coprirgli metà del volto. “Avete paura di un contrasto?”

Prussia assottigliò lo sguardo. Si fissarono negli occhi, e nessuno dei due fece una singola piega. Russia buttò giù quel che avanzava della vodka e posò il bicchiere sul centrino. Il vetro era limpido come se non fosse mai stato riempito. Russia tenne la guancia premuta sulle nocche e alzò lo sguardo al soffitto. L’ombra svanì, assorbita dalla luce emessa dalle lampade.

“Mhm, cosa potreste avere in mente, voi due, per temere così tanto un mio intervento che potrebbe di nuovo seppellirvi sotto il ghiaccio?”

“Noi non temiamo niente.” Prussia sfilò una mano da dietro la nuca e si spolverò la targhetta d’argento puntata sulla spallina dell’uniforme. “Quella che proponiamo è un’equa spartizione.”

Russia allargò leggermente le palpebre. “Spartizione di cosa?”

Prussia sorrise. Sollevò la punta del naso e gonfiò il petto. La croce di ferro brillò. “Io e West stiamo per cambiare un paio di cose, dopo il macello che è saltato fuori con Versailles.”

“Ah, già.” Russia chiuse le palpebre e fece una risata che trillò con una nota allegra. “Inghilterra e Francia non l’hanno presa bene. Rompere i trattati è stato molto rischioso da parte vostra.”

Prussia scrollò le spalle. “I trattati sono carta straccia. Ci stiamo per spingere oltre.” Socchiuse le palpebre, l’ombra gli coprì la pelle, e le iridi si infuocarono. “Molto oltre.”

Una luce balenò, attraversando il contorno delle pupille di Russia. Prussia allargò il ghigno e sollevò un palmo al soffitto.

“Però, vedi, siccome siamo troppo magnifici per tenerci tutto per noi, abbiamo deciso che forse sarebbe il caso di includere anche te, data la vicinanza che hai con i territori.”

Russia ridacchiò a bocca chiusa, le labbra fecero fatica a rimanere serrate. Le guance s’imporporarono come quelle di un bambino che ha appena ricevuto un complimento.

“Allora avete davvero paura di un mio contrasto.”

Prussia ebbe un sussulto. Una mano strinse sulla pelle imbottita della poltrona.

Russia sollevò una palpebra, la luce violacea brillò. “Si tratta del cordone sanitario, da?”

Prussia inspirò piano dal naso e separò le labbra per rispondere.

“Questa è l’arroganza e la sfrontatezza che conosco di te,” lo precedette Russia.

Arrogante, sfrontato. Ossia impavido, forte e assolutamente magnifico. Una nota di orgoglio ribollì nel petto di Prussia, arricciandogli gli angoli della bocca.

Russia accavallò le gambe, e la stoffa del cappotto scivolò sui fianchi. “Allora...” Giunse le mani davanti al viso e poggiò i gomiti sulle ginocchia. Palpebre basse, sorriso disteso. “Sentiamo cosa mi proponete di bello, dunque.”

 

♦♦♦

 

Lituania si chiuse la porta alle spalle. Si appoggiò di schiena, sollevando verso l’alto la punta del naso, a palpebre abbassate. La nuca sfregò il legno, i capelli scivolarono dietro il collo. Prese un lento e profondo sospiro, buttando fuori l’aria dalla bocca. Il profumo speziato e tiepido della cucina gli riempì la gola.

“Oddio, finalmente sei arrivato.”

Lituania socchiuse un occhio. Estonia staccò i pugni dal ripiano della cassapanca che dava sulla finestra e corse verso di lui. Due occhi lucidi, ansiosi, lo fissavano da dietro le lenti rettangolari.

“Allora? Ha detto qualcosa?”

Lituania tornò a nascondere entrambi gli occhi sotto le palpebre. Non si mosse di un centimetro dalla porta. “Germania è rimasto a Berlino. Ha mandato Prussia.”

Cosa?” Gli occhiali di Estonia scivolarono sulla punta del naso.

“Sì.”

Lituania si scollò dalla superficie della porta. Si avvicinò alla parete della finestra e si mise in punta di piedi, allungando il braccio verso il ripiano fissato alla parete. Le mani tastarono la mensola di legno, la pancia premette contro la cassapanca e fece tintinnare i barattoli delle spezie.

“Evidentemente questa cosa non ha davvero niente a che fare con noi.”

Estonia emise un leggero piagnucolio. “Maledizione.”

Lituania agguantò due tazze di porcellana bianca dai bordi oro e blu, e le trascinò giù dalla mensola assieme ai piattini. I contorni dei piatti erano intagliati come i petali di un fiore.

I cassetti di uno dei ripiani traballarono. Estonia si era appoggiato di peso. “E noi che pensavamo davvero che Germania ci avrebbe portato via da qui,” disse.

“A quanto pare non siamo nei suoi programmi.” Le mani di Lituania tremarono per un istante, le tazze traballarono. Le posò sul ripiano assieme ai piattini e strinse le dita sui bordi. Le unghie grattarono sulla vernice dei disegni. “Come non siamo mai stati nei piani di nessun altro.”

“Già.” Estonia premette due dita piegate sulla montatura degli occhiali e li spinse fino alla radice del naso. “Ormai è anche inutile deprimersi.”

“Non mi sto deprimendo, infatti. Metti su il bollitore.”

“Uh? Oh, sì, certo.”

Estonia aprì il lavandino e riempì la brocca di alluminio con un getto d’acqua scrosciante. Posò il bollitore sul fornello e aprì il gas. Una corona di fiammelle azzurre circondò la pancia annerita del contenitore. Estonia incrociò le braccia al petto e tornò ad appoggiarsi al ripiano. Le spalle strette, lo sguardo basso.

“Ma se non c’è dietro un trattato per i territori, perché hanno richiesto la riunione?”

“Non ne ho idea,” rispose Lituania. Scosse il capo. “Ma la faccenda sembra ben più seria di quello che sembra. Avresti dovuto vedere con che facce lui e Prussia sono entrati nella sala.”

“Uhm, già, dov’è finito Lettonia?” Estonia sollevò un sopracciglio.

Lituania indicò la finestra con un gesto del capo. “Lo ha mandato fuori insieme a Italia.”

“Ita – ” Estonia sbatté le palpebre. Lo sguardo rimase impietrito per qualche istante. Si portò una mano dietro l’orecchio e strofinò i capelli. “Ah, è vero, lui e Germania hanno stretto l’alleanza qualche mese fa.”

L’acqua nel bollitore cominciava a gorgogliare. Le grosse bolle scoppiavano nella pancia di alluminio, scuotendo il contenitore sul fornello.

Lituania aprì l’armadio a muro e infilò la mano dietro la pila di piatti. Estrasse un vassoio d’argento tenendolo per uno dei due manici intrecciati.

“E se riguardasse il patto Anticomintern?” chiese Estonia.

Lituani irrigidì. Entrambe le mani si serrarono sul vassoio. Lituania scosse il capo per cacciare via i brividi dalla schiena e posò il vassoio sul ripiano.

“In quel caso ci sarebbe ben poco da discutere.” Prese le tazze e le posò in un lato del vassoio. “Comunque dubito che stiano trattando per quello. Germania ha il suo orgoglio, e credo che serva ben più di qualche minaccia per spingerlo a ritirare il trattato, anche se si trattasse delle intimidazioni di Russia.” Lituania carezzò il bordo di uno dei piattini, le unghie passarono tra le increspature dei petali. I capelli gli caddero sulle guance. “E poi sarebbe venuto di persona, non avrebbe lasciato qualcosa di così delicato in mano a Prussia.”

“Giusto.”

Il bollitore fischiò. Un getto di vapore schizzò fuori dalla bocca, aprendo una nuvoletta bianca di fianco al braccio di Estonia. Estonia fece un balzo di lato e impugnò la manopola del gas, girò il braccio e fece scattare la chiusura. Il getto si spense lentamente, il fischio morì in un suono stridulo e sofferente. Lituania scattò a schiena dritta e aprì l’anta sopra la sua testa. Strinse il barattolo di alluminio e lo stappò infilando le unghie sotto il bordo del coperchio. Una vampata che profumava di erbe, fiori e frutta seccata, gli inebriò il cervello. Prese una delle bustine del tè e la lanciò a Estonia. Lui mise le mani a coppa e la afferrò al volo.

“In ogni caso, meno parlano di quel patto e meglio è,” disse Estonia.

Lituania si voltò a rimettere a posto il barattolo del tè. Quando chiuse l’armadietto e si voltò, la linguetta della bustina stava già penzolando dal bordo tappato del bollitore. Estonia si strinse le spalle. Fu scosso da un brivido che gli fece tremare anche gli occhiali.

“Ricordi come l’ha presa quando ha saputo delle alleanze contro di lui?” disse. “Quanto ci è voluto perché gli passasse? Due settimane?”

“Uhm, sì.” Lituania distolse lo sguardo. Si strinse una mano attorno al braccio e si massaggiò il muscolo. Il tocco gli scaricò una scossa che si arrampicò fino alla punta del mignolo. Lituania fece una smorfia, il dolore non svanì. “Ci è voluto,” si morse il labbro, “parecchio.” Fece correre il tocco fin sul fianco e le dita passarono sopra ogni singolo lacero cicatrizzato, coperto dalla stoffa dei vestiti.

Estonia prese in mano il bollitore e si avvicinò al ripiano dove era appoggiato Lituania.

“Speriamo che non sia niente che lo faccia arrabbiare di nuovo,” disse Estonia.

Versò il liquido ambrato dentro le tazze. Il vapore che si alzava dal getto gli annebbiò gli occhiali. 

   
 
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