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Autore: Diosmira    19/10/2014    1 recensioni
Una storia che parla d'amore e di paura, speranza e perseveranza.
Leggendola scoprirete la storia di una ragazza alla ricerca di ciò che le è stato tolto molto tempo fa: la Famiglia.
Lotterà con tutta se stessa per riaverla e attraversando gli oceani del tempo riuscirà ad ottenere la cosa più dolce: L'amore!
Ma potrebbe presto scoprire che spesso "l'amore può essere freddo come una tomba, un biglietto di sola andata per una tristezza infinita"
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, Successivo alla saga
Capitoli:
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Gods And Monsters

 
Chicago, Illinois. 1918
 
 
https://www.youtube.com/watch?v=FkgMbiVi_3E
 
In the land of gods and monsters, 
I was an angel,
Living in the garden of evil,
Screwed up, scared, 
doing anything that I needed,
Shining like a fiery beacon.
 
Quando Emily aprì gli occhi, la prima cosa che sentì fu dolore.
Alla testa, alla spalla, al fianco e alla gambe.
Non provò nemmeno a mettersi seduta per cercare di capire dove si trovasse:
lo sapeva già.
Era la seconda volta in meno di quarantotto ore che Emily si risvegliava in stato confusionale e ad accoglierla era l'odore di casa sua.
Lavanda e limone.
 
Sospirò e torno a chiudere gli occhi, stanca.
Si era ormai arresa al suo destino, ma non era certo entusiasta di scoprire cosa davvero l'aspettasse.
Perché non era ancora morta?
Non voleva saperlo.
Le immagini della lotta a cui aveva assistito le attraversarono la mente lasciandole una sensazione di forte spaesamento.
Rivedeva i due fratelli cercare di azzannarsi la gola a vicenda, colpirsi a sangue e continuare, incuranti del dolore; incuranti di lei che agonizzava sul marciapiede.
Con un brivido ricordò i loro artigli, gli occhi animaleschi.
Erano bestie.
 
Se si era risvegliata a casa sua doveva aver vinto William, pensò.
Non sapeva se esserne sollevata o meno.
Certo, lui l'aveva minacciata, l'aveva spinta bruscamente contro un muro, ma non era stato lui a tentare di strapparle il fegato.
No, quello era Lucas.
Chissà che fine aveva fatto. Non ci teneva a sapere neppure questo.
E pensare che l'aveva così affascinata in un primo momento!
Sembrava essere più cortese del fratello, eppure si era dimostrato molto più pericoloso.
D'altronde William l'aveva avvisata.
Le aveva detto che c'erano creature disposte a farle più male di quanto non ne avesse intenzione lui.
Buffo che si riferisse proprio a suo fratello!
 
Sospirò di nuovo e, tenendo sempre gli occhi chiusi, si portò una mano sulla fronte.
Voleva scostare i capelli che le ricadevano sul viso.
Si accorse così della benda che le fasciava il capo.
 
<< Ti sei svegliata >>
Bastò un sussurro a farle spalancare gli occhi, spaventata.
Il cuore accelerò i battiti.
Con uno scatto molto poco intelligente si tirò a sedere rapida, sentendo subito una tremenda fitta al fianco destro.
William era comodamente seduto su una poltroncina posta di fianco alla porta, dall'altra parte della stanza.
Il piede destro poggiato mollemente sul ginocchio sinistro, il braccio a reggere il capo.
Emily lo fissò a lungo, in attesa che parlasse.
Ma lui si limitò a fissarla di rimando, lo sguardo indecifrabile.
Si era cambiato gli abiti, ora indossava una camicia, blu notte, che gli fasciava il petto e ricadeva morbida sui pantaloni neri.
Non sembrava voler aprire bocca, anzi pareva molto più interessato a giocare con il sigaro spento che teneva nella mano sinistra, rigirandoselo tra  le dita.
Entrambi  si lanciavano occhiate di sottecchi, attendendo che l’una o l’altro facesse la prima mossa.
La ragazza si stancò presto di aspettare, confusa da quel gioco di sguardi.
Gli occhi di lui, ora verdi, la mettevano a disagio.
Il ricordo del bagliore felino che li aveva accesi solo poco tempo prima era ancora vivido.
<< Che cosa volete? >> chiese infine, dandogli del voi.
Tra tutte le domande che poteva fargli era certo la più banale.
Ma era anche quella più urgente: voleva sapere quanto tempo le rimaneva.
Ripensò alla discussione che qualche ora prima aveva avuto con Giulia: era davvero una mera consolazione poter decidere di che morte morire.
Vide William abbassare lo sguardo, serio.
<< Lo sai, voglio che tu venga con noi >> rispose, il tono monocorde e appena udibile.
<< Ma per il momento mi limiterò ad aspettare che tu guarisca >> concluse tornando a fissarla negli occhi.
William era fin troppo diretto, la metteva in soggezione.
Emily deglutì, distolse lo sguardo e poi si ributtò pesantemente sul letto, gli occhi chiusi, ignorando il dolore che si stava procurando.
Aveva deciso di risparmiarla, almeno per il momento, pensò.
Non sapeva se esserne sollevata o atterrita: talvolta l’attesa della morte poteva essere un’agonia peggiore della morte stessa, ma il tempo poteva darle un’infinità di possibilità.
Se avesse fatto buon viso a cattivo gioco, forse un giorno sarebbe riuscita a scappare.
Doveva solo saper cogliere il momento più opportuno.
Ripensò a suo fratello e una domanda le sorse spontanea.
<< I termini dell’accordo sono sempre validi? Mi aiuterete a trovare mio fratello? >> chiese.
Era ora completamente distesa sul letto e non riusciva più a vedere William in faccia, ma lo sentì comunque esitare nel risponderle.
<< Tuo fratello ora è nel Michigan >> disse il ragazzo.
Emily spalancò gli occhi, il respiro spezzato, ma non osò rimettersi a sedere.
Ne aveva avuto abbastanza, di dolore.
<< Come fate a saperlo? >> chiese, confusa.
<< Peter e Christian hanno seguito lui e il dottore sino al confine, stanotte >> rispose William.
Emily scosse la testa. Fece un ulteriore sforzo e si rimise seduta, lentamente.
Sentiva il bisogno di guardarlo in viso.
<< Non è possibile, sono stati via solo poche ore, non possono essere andati fino a lì per poi tornare indietro in così poco tempo, è inumano! >> esclamò fissandolo sbalordita, la mano premuta sul fianco dolorante.
Lui la ricambiò con uno sguardo a metà tra il perplesso e il divertito.
Sembrò volesse suggerirle di aver dimenticato qualcosa, un particolare importante.
Emily ripensò alla notte appena trascorsa, a quello a cui aveva assistito.
No, non se n’era dimenticata.
<< Ma che cosa siete? >> chiese, turbata.
All’improvviso la ripugnava l’idea di essere chiusa nella stessa stanza di quell’essere.
Lui accennò un sorriso mesto. Pareva pensarla esattamente come lei.
<< Mi chiedevo quando avresti fatto emergere il discorso! >> disse, stanco.
Se era rimasto in quella stanza tutto quel tempo era principalmente perché voleva essere lui ad affrontare quel tema con lei.
Avrebbe così evitato possibili malintesi e si sarebbe assicurato che non rimanesse troppo scioccata dalla verità.
Avevano bisogno che fosse lucida, quindi era meglio che sapesse cosa l’aspettava.
Non potevano permettersi che facesse altri errori.
<< È una storia lunga, ma abbiamo tempo a sufficienza >> cominciò.
Nel mentre che parlava la ragazza lo fissava rigida, preoccupata, ma con della curiosità negli occhi.
William invece si chiedeva da dove partire.
C’erano almeno tre secoli di storia che la ragazza doveva conoscere, ma pensò che non era ancora pronta per quelli.

La guardò, indeciso.
<< Secondo te cosa siamo? >> le chiese, testandola.

<< Demoni, Bestie >> rispose prontamente la ragazza.
C’era del disprezzo, nel tono e nello sguardo.
William trattenne a malapena un sorriso. Fosse stato per lui, le avrebbe dato ragione.
Ma la questione era molto più complicata di così.
Decise di andare dritto al punto, senza troppi giri di parole.
<< Siamo Figli della Luna >> disse, osservandola attentamente.
La vide inarcare le sopracciglia delicate, perplessa.
Evidentemente il termine non le diceva nulla. William non si sorprese e si apprestò a proseguire.
<< A seconda delle culture con cui abbiamo avuto a che fare siamo stati chiamati in molti modi, ma quelli per cui siamo divenuti famosi sono certamente licantropi, lupi mannari >>

La vide trasalire, cominciava a capire.
La ragazza si spinse verso la testiera del letto, come a porre maggiore distanza tra loro.

<< Dopo quello che hai visto, non ti sarà difficile credere che questa sia la verità >> disse lui, laconico.
Aspettò che Emily elaborasse meglio la situazione. Non aveva fretta.

Lei dal canto suo cominciò a ripensare a tutti quei miti che conosceva riguardo le creature della notte.
Si trovava in una situazione assurda, ma per assurdo era anche l’unica spiegazione plausibile.
C’era però qualcosa che non andava.
<< Stanotte non c’era la luna piena, e voi, per quanto mostruosi, non sembravate affatto dei lupi! >> attaccò.
<< La luna piena ci vincola, è vero, ma non nel senso tramandato dalle vostre leggende >> rispose subito William << per dirla breve, la sua presenza ci rende molto difficile avere il pieno controllo della nostra mente, una volta trasformati. 
Siamo devoti ad ogni singolo aspetto della luna, e quando essa non c’è non ci è possibile nemmeno ricorrere ai nostri istinti di lupo >> sospirò << ma c’è veramente troppo da sapere al riguardo, scoprirai tutto col tempo, vedrai >> disse, sollevandosi dalla poltrona e avvicinandosi al letto di lei.
La vide ritrarsi e tremare impercettibilmente.
Si fermò a un metro e mezzo da lei, appoggiandosi a una credenza che affiancava la specchiera della giovane.
Non voleva spaventarla.
La ragazza lo squadrò dal basso, diffidente, un dubbio in mente.
<< Se anche fosse tutto vero, cosa c’entro io? >> chiese.
Sapeva bene che era tutto vero, ma voleva ancora illudersi di trovarsi in balia di gente matta, era molto più rassicurante, come pensiero.
William scosse la testa, quasi spazientito, prima di risponderle.
Il controllo che era riuscito a mantenere sino a quel momento stava già scemando.
La sua umanità, la sua pazienza, stavano cedendo il passo a ben altri istinti.

<< Non sai che, in genere, sono le colpe dei nostri genitori a condurci alla tomba? >> disse bruscamente.
Un brivido percorse la schiena della ragazza, pervasa da una strana inquietudine.
<< 
Che intendi dire? >> volle sapere, titubante.
Il mannaro non esitò.
<< Se ti ritrovi in questa situazione devi ringraziare tua madre, Emily >> accarezzò il suo nome nel palato, in un dolce sussurro.
Gli piaceva pronunciare il suo nome, ma non si distrasse: ora arrivava la parte più delicata.
La vide deglutire, confusa.
<< Tua madre >> disse William << era una strega >> 
 
 
You got that medicine I need,
Fame, liquor, love, 
give it to me slowly.
Put your hands on my waist, 
do it softly,
Me and God, we don’t get along, 
so now I see...
 
Il nulla.
Questo aveva Emily in testa.
Dopo l’ultima uscita del giovane non era riuscita ad elaborare un singolo pensiero.
Doveva essere uno scherzo, non poteva essere vero.
Insomma, aveva capito che non era umano, poteva anche provare ad accettare l’idea che fosse un lupo mannaro, ma da lì a credere che sua madre fosse una strega, di quelle vere, beh … ce ne voleva!
Sbuffò e distolse lo sguardo dal moro, sconsolata.
Il mondo la stava prendendo in giro, o meglio, voleva farla impazzire.
Strinse le coperte tra le mani tremanti, cercando di dissipare il nervosismo.
<< Tua madre >> continuò a parlare il giovane, apparentemente incurante dello shock che le stava procurando << sapeva cosa sarebbe successo, lo sapeva da giorni.
Se la tua famiglia ora è distrutta è stato a causa di una sua negligenza. Era stata avvisata ma ha preferito ignorare la gravità dei fatti che si stavano incatenando fra loro >>
Emily non resse più, si tappò forte le orecchie con in palmi delle mani, lo sguardo basso, le lacrime agli occhi, la testa pulsante dal dolore.
<< Basta! >> gridò << Smettila! Come puoi dire questo! Non ne hai il diritto! >>
In una attimo William balzò sul suo letto e prese le sue mani, stringendole in una delle sue.
La mano libera andò a sollevarle il capo, ristabilendo un contatto visivo.
Erano vicinissimi, lui addosso a lei.
La ragazza deglutì per l’ennesima volta, trattenendo un singhiozzo.
Le sembrò di vivere un déjà-vu.
Le tornò alla mente la prima volta che il moro le aveva rivolto la parola, sprezzante, minacciandola.

Ora il suo atteggiamento era drasticamente cambiato, non la fissava più in modo spregevole, anzi si poteva quasi scorgere una nota protettiva nei suoi occhi.
Ma il timore che le incuteva si era triplicato.
Lui la fissò, severo.
Voleva che fosse forte, doveva essere in grado di reggere la verità o non sarebbe riuscita a fare quello che doveva.

Al tempo stesso, dall'intensità del suo sguardo, pareva che si stesse aggrappando agli occhi smeraldini di lei per imprimere maggiore forza ai suoi stessi sussurri.
<< È la verità ragazzina, ti conviene accettarla, e presto. Se ora sei qui è unicamente perché tua madre si è arresa. Avevamo bisogno di una strega, tu ne avevi bisogno, ed ora le cose saranno largamente più difficili. 
Ma sei una gemma, e oltre ad essere l’unica in circolazione, sei anche l’esemplare migliore che possa aiutare la nostra razza.
Ti chiediamo solo questo, di darci una mano, e noi aiuteremo te ad aiutarci. >>
Emily scosse la testa, al limite della disperazione.
<< Ma che diamine state dicendo! >> urlò.
Non cercava più di trattenere le lacrime, che ora scorrevano libere e copiose tra le sue guance, bagnando il palmo con cui il ragazzo cercava di tenerle sollevato il viso.
Lui cominciava a sentirsi fuori posto.
Non sapeva come calmare la giovane, che continuava a tremare, in preda a quella che sembrava una crisi isterica vera e propria.
I singhiozzi che, violenti, le sconquassavano il petto, le ferivano il fianco dolente.
William si rese conto di aver esagerato.
Era partito con la presunzione di poter limitare i danni, ma aveva fatto un disastro.
Le lasciò libere le mani e si allontanò un po’, intenzionato a lasciarla sfogare.
Sapeva che quelle lacrime non erano solo per le parole che le aveva detto, ma per tutto quello che le era successo negli ultimi due giorni.
La sua vita era distrutta e, forse, la colpa era più dell’esistenza di creature come lui che della madre di lei, la quale aveva peccato solo di voler avere una vita normale, piena e felice, dopo tante sofferenze.
William si sentì un verme.
La ragazza si piegò su se stessa, poggiando la testa sulle ginocchia e coprendosi con le proprie braccia, faticava a respirare.
<< Non ci capisco niente! Mamma! >> gemette, tra i denti serrati << mamma, aiuto! Mamma! >>
Piangeva ed invocava la madre, chiamava a sè la vita che le era stata negata, strappata via.
Era un fiore sradicato dalle sue radici che, sotto la luce di un sole maligno, cominciava a seccarsi piano piano, fuggendo alla vita.
Il ragazzo, impotente, si allontanò e si diresse alla porta.
Ma sapeva di non poterla abbandonare così, non quando lui aveva causato tutta quella disperazione.
Si girò nuovamente a guardarla, sofferente.
<< Emily? >> la chiamò, alzando di poco il proprio tono di voce.
La ragazza sollevò appena il volto, la mano premuta sulle labbra nel vano tentativo di soffocare i singhiozzi.
William osservò i suoi capelli che, selvaggi, le ricadevano sul viso in maniera molto disordinata.
Ma non velavano certo i suoi occhi arrossati dal pianto, né nascondevano la sua bellezza.

Non ai suoi occhi.
<< Ritroverai tuo fratello >> promise << a tempo debito farò qualsiasi cosa affinché tu possa rivederlo >>
Emily, tra le lacrime, gli riservò un’occhiata stranita.
Lo vide difronte alla porta, una mano sulla soglia, pronto ad uscire.
Ma tutto il suo corpo era rivolto verso di lei, impacciato, esitante ad abbandonare la stanza.
Il disagio, la pena e la compassione che la giovane sentiva provenire da lui non le dispiacquero, anzi, la rincuorò sapere che un essere come lui potesse provare certe sensazioni tipicamente umane.
Si sforzò di regalargli un piccolo sorriso: voleva che sapesse che lei riconosceva i suoi sforzi e che li apprezzava.
Fu un sorriso timido, stanco, triste.
Non rimase ad aspettare alcuna reazione da parte del mannaro, ma tornò laconica a posare la testa sulle ginocchia sollevate, con un sospiro chiuse gli occhi e tornò a sprofondare nelle sue lacrime.
Voleva annegare nel dolore, immergersi in quel lutto che aveva cercato di rinnegare in tutti quei giorni.
Si vergognava del destino che le era stato assegnato e desiderò uccidere nelle sue lacrime la solitudine al quale l’aveva condannata.
William, in silenzio, lasciò la stanza.
Si chiese come avrebbe trovato la forza di rivelarle che suo fratello era un mostro anche peggiore di lui.
 
 
No one’s gonna take my soul away,
I'm living like Jim Morrison.
Headed towards a fucked up holiday.
Motel sprees, sprees, 
and I'm singing,
"Fuck yeah, give it to me, 
this is Heaven, what I truly want."
It's innocence lost.
Innocence lost.
 
Forks, Washington. 2005 
Bella sospirò chiudendo la porta di casa.
Billy e Jacob se n'erano appena andati via.
Un senso di ansia la pervase. Sperò davvero che il vecchio Quileute non andasse ad impensierire suo padre.
Già era abbastanza preoccupata per dovergli presentare Edward di lì a poche ore, non aveva proprio bisogno che le vecchie leggende facessero diventare Charlie più  sospettoso.
Un sorriso le illuminò il volto ripensando alla giornata appena trascorsa.
La famiglia Cullen non era per niente inquietante come credeva.
Poteva dire che era andato tutto a gonfie vele, se ignorava la distanza che Rosalie e Jasper avevano palesemente tenuto nei suoi confronti.
Ma non poteva certo aspettarsi di piacere a tutti!
Andò in camera sua a scegliere l’abbigliamento migliore per la serata che l’aspettava: partita di Baseball vampiresca.
Intrigante.
Alla fine optò per qualcosa di vecchio e semplice da tenere nascosto sotto l’impermeabile.
Per quanto Edward si fidasse delle previsioni di Alice, lei non voleva certo rischiare.
Edward, vampiri… ancora non riusciva a credere a tutto ciò.
Ma le piaceva da morire, e tanto bastava.
Lo amava, cosa mai potevano essere due canini disumani e la vita eterna in confronto?
Niente.
Per questo non voleva che Billy si mettesse in mezzo.
Per quanto suo padre fosse molto poco superstizioso il suo amico aveva una grande influenza su di lui, e avrebbe sicuramente trovato un modo per mettere la famiglia Cullen in cattiva luce.
Fortunatamente pensava di essere stata abbastanza chiara con lui, erano affari suoi e li avrebbe gestiti lei.
Il telefono squillò al piano di sotto e lei corse fulminea a rispondere, desiderando ardentemente che fosse Edward.
Le mancava già la sua voce.
 
La delusione la pervase quando scopì che in realtà dall'altro capo della linea c'era Jessica, ansiosa di spifferarle tutti i pettegolezzi immaginabili sul ballo a cui lei non aveva partecipato, preferendo una meravigliosa radura alla pista.
Non aveva dubbi, ma ascoltando i discorsi dell’amica si convinse ancora di più che nulla avrebbe potuto sostituire le emozioni provate quel giorno.
Era felice.
Spostò lo sguardo alla finestra, contando segretamente i secondi che la separavano dal suo vampiro.
Jessica continuava a blaterare, pretendeva di conoscere i risvolti della sua relazione con Edward e Bella  faticava a tenerla a bada.
Fissò ardentemente il giardino che s’intravedeva dalla finestra del salotto, sperando di scorgere il ragazzo il prima possibile.
Ma sapeva che non era possibile, le aveva detto che sarebbe arrivato in auto.
Sentì, prima di vederla, la macchina di Charlie parcheggiare nel viale.
Salutò Jessica e si preparò a ricevere il padre quando catturò uno strano movimento in giardino con la coda dell’occhio.
Fu un centesimo di secondo, ma bastò affinchè il suo cuore mancasse un battito.
Era quasi certa di aver visto la i capelli inconfondibili di Edward tra i cespugli; le era pure sembrato di aver visto un viso delicato, femmineo.
Troppo femminile per essere di Edward.
Suo padre entrò in casa, posando i pesci che aveva catturato sul tavolo da cucina.
Bella continuò a fissare un attimo il punto in cui aveva creduto di scorgere quella figura.
Scosse la testa, dandosi della stupida: voleva tanto vederlo da immaginarselo ovunque in infiniti modi!
Sì, era stata senz’altro la sua immaginazione.
Con un sospiro si preparò a parlare del vampiro a suo padre.
Che poi, Edward non aveva gli occhi verdi!
 
 
In the land of gods and monsters, 
I was an angel,
Lookin' to get fucked hard.
Like a groupie, incognito, 
posing as a real singer,
Life imitates art.
 
Quando Emily si riprese, decise che il tempo delle lacrime era finito.
Avrebbe fatto qualunque cosa le avessero chiesto e avrebbe lottato per riprendersi la sua famiglia, anche se oramai le rimaneva solamente Edward.
In qualche modo le parole di William l’avevano rassicurata, voleva provare a fidarsi di lui.
Infondo era l’unico che, sin dall’inizio non aveva avuto peli sulla lingua con lei.
L’aveva minacciata, vero, ma sapeva che non era altro che un avvertimento.
Se invece ripensava a Lucas, o a Giulia, non poteva fare a meno di sentirsi tradita o presa in giro.
Che la rossa l’avesse in effetti trattata come una bimba immatura sin dall’inizio, le era stato chiaro, lei non era certo stata ipocrita.
Lucas invece … l’avrebbe sicuramente uccisa.
C’era quasi riuscito.
 
Si alzò in piedi a fatica, ignorando il capogiro che la colpì, e si posizionò di fronte alla specchiera.
Indossava una lunga veste da notte, simile ma non identica a quella che aveva la prima volta che si era svegliata in quella stanza.
Era azzurra e, a suo avviso, sottolineava il suo pallore.
La sollevò per controllare la fasciatura al fianco.
Era ancora pulita, le arrivava dall’anca fin sotto il seno.
Ma Emily sapeva che la cicatrice era modestamente più piccola.
La sentiva nella sua interezza ogni qual volta respirava, regalandosi piccole fitte dolorose.
Osservò la benda che le fasciava la testa e la tolse subito, ritenendo di non averne davvero bisogno.
Un leggero ematoma si estendeva dalle tempie e arrivava alla fronte.
Emily sapeva che la parte veramente lesa era il retro del capo, in cui sentiva di avere una piccola ferita aperta.
Quella era il regalo della forza bruta di William.

Prese una spazzola e si pettinò con cura i capelli, facendo attenzione a non ferirsi ulteriormente.
Passandola dietro la testa si rese conto di avere urgentemente bisogno di un bagno d’acqua bollente.
Buona parte dei suoi capelli erano infatti aggrovigliati in un bolo di sangue viscido e appiccicoso.
Storse il naso quando se lo ritrovò tra le dita: il sangue la nauseava.
In un moto di pura vanità sperò di non essersi rovinata troppo i capelli, non voleva tagliarli.
Di fatti ad ogni spazzolata se ne ritrovava sempre di più in mano, erano certo in uno stato pietoso.
Si arrese e si preparò il famoso bagno, in uno stanzino adiacente alla sua camera.
Fece in fretta, non voleva incrociare ancora nessuno, non era ancora pronta per le ulteriori risposte, che, era certa, sarebbero arrivate.
Si cambiò nuovamente d’abito, scegliendone uno nero e legò i capelli in una coda morbida.
Si promise che non avrebbe smesso di portare il lutto finché non avesse trovato il fratello, perché la sua anima era morta assieme alla sua famiglia, e solo il dolce sorriso di Edward avrebbe mai potuto resuscitarla.
Voleva rivedere i suoi occhi, verdi, così simili ai suoi ma dal taglio diverso.
Voleva risentire la sua fragorosa risata.
Voleva piangere con lui tutto ciò che avevano perduto.
 
“Basta lacrime” si disse, quando si rese conto che i suoi occhi si stavano inumidendo di nuovo.
Capì che essere forti era molto più dura di quanto avesse creduto.
 
Tre respiri profondi e uscì dalla stanza, diretta di nuovo alle cucine.
Era certa che li avrebbe trovati di nuovo lì, a discutere in quella loro strana lingua, proprio come la sera prima.
L’unica differenza era il sole che ora era alto nel cielo.
E la sua determinazione.
Aveva preso una decisione.
Entrò decisa e, sotto il loro sguardo, si sedette a capotavola.
Li guardò uno per uno, soffermandosi sulle loro espressioni.
William e Giulia se ne stavano in piedi, difronte alla credenza, il primo era oscuro, lo sguardo impenetrabile, la seconda indossava il solito ghigno sarcastico.
Ghigno fin troppo simile a quello che aveva visto in Lucas quando aveva tentato di ucciderla.
Emily rabbrividì.
I gemelli, Peter e Christian erano seduti scompostamente, sul viso un sorriso cordiale, rassicurante.
La ragazza sospirò, si fece forza e parlò.
  • Che cosa volete che faccia? –
Nella stanza calò un velo di sollievo che stemperò il nervosismo generale.
Emily si accorse che William teneva lo sguardo basso, le spalle ingobbite, come caricate da un peso immane.
I gemelli e Giulia, rilassati, si sorrisero.
Forse, erano salvi.
 
You got that medicine I need,
Dope, shoot it up, 
straight to the heart, please.
I don't really wanna know 
what's good for me.
God's dead, I said, 
"Baby that's alright with me."

 
 
 
Finlandia, Villaggio di Anaar. 1627
 
Lucas correva, fendeva gli alberi della foresta a grandi falcate.
Le zampe si fondevano ritmicamente alla terra cui apparteneva.
Il pelo, folto, si estendeva quasi a voler toccare il cielo.
Lucas volava.
Suo padre lo precedeva in forma ibridaDoveva assicurarsi che il figlio mantenesse il controllo, e intervenire in caso contrario. 
Ma Lucas il controllo lo sentiva scorrere nelle vene. Vedeva tutto con gli occhi del lupo, e con il lupo dava forza alla sua umanità.
Attraversarono un ampia radura e la luna piena si fece vedere in tutta la sua magnificenza. 
Brillava alta nel cielo, vegliando sulle sue creature.
Lucas, estasiato dalla sua bellezza, ululò al cielo, in un muto ringraziamento per il destino che gli era stato assegnato.
Era stato un umano patetico per tutta la sua vita, ora la forza era dalla sua parte.
Segretamente, si rallegrò del fatto che la mutazione del fratello paresse fallimentare.
Ora era il suo turno di dimostrare quanto valeva.
Il suo turno di proteggere il suo popolo.
Il suo turno di accudire un fratello debole e malato.
Non voleva essere utile, voleva essere indispensabile per qualcuno, anche se questo avvesse significato la rovina del gemello.
Infondo William aveva avuto i suoi anni di gloria da umano, era giusto che la gloria negli anni della bestialità toccassero a lui.
Lucas aveva patito molto in quei ventisei anni.
Rinchiuso come un appestato, continuamente coperto dall’ombra del fratello, sminuito a causa della sua debolezza.
Non c’era confronto né possibilità di pareggiare.
Lucas aveva convissuto con le sue debolezze per ventisei anni, da umano.
Era più che giusto che William facesse altrettanto con le proprie, per l’eternità, forse, ma come bestia.
Non c’era alcuna vergogna in quei pensieri.
Infondo ciò che la luna dava o toglieva era indiscutibile, e se i gemelli si erano trovati ai poli opposti di una ruta, non restava loro che correre e tentare di mantenere il passo che veniva imposto dal destino.
Per questo Lucas corse.
 
Per quanto riguarda William, stava ormai perdendo sé stesso.
Sentiva forte il bisogno di cedere ai suoi istinti, ma sapeva di non poterlo fare, era vietato.
Certo non era così lucido da pensarla così in quel momento, si limitava a combattere contro il dolore che lo pervadeva ogni volta che cedeva a uno qualunque dei suoi sensi animali.
Il primo a cuoi si era arreso era stato l’udito.
I suoni della foresta, del mondo intero, gli avevano pervaso la mente inondandolo di una macabra sensazione di onniscienza.
Sarebbe stato magnifico, se solo non si fosse sentito capace di vomitare tutti i suoi organi vitali.
Il dolore peggiore partiva infatti dallo stomaco e si irradiava in tutti i nervi, nei vasi sanguigni più insignificanti, disperdendosi in tutto il corpo, bloccandogli la respirazione.
Non era normale.
Di solito un sangue puro ci metteva minuti a mutare codice, dopodiché la trasformazione avveniva in maniera quasi naturale.
Era una rinascita.
Lui invece erano due ore che soffrivaurlavasi dimenava.
E non era ancora mutato.
Se non fosse stato certo di essere gemello di Lucas, avrebbe pensato di essere un mezzosangue.
Sapeva bene che la mutazione di Lucas era riuscita perfettamente, anche nel pieno delirio lo sentiva, sentiva le sue zampe felpate battere il terreno della foresta.
Che cosa era andato storto?
Nemmeno i mezzosangue faticavano tanto alla prima mutazione!
Un urlo gli uscì violento dalla gola, sentiva le corde vocali infuocate.
Il dolore si stava concentrando nelle mani, sentì le proprie unghie crescere, incrinarsi, le dita allungarsi ed allargarsi.
Si ferì sulla pancia, sopra la quale teneva le sue mani racchiuse in pugni. I suoi artigli.
I suoi compagni tribù lo fecero sedere e glieli legarono dietro la schiena.
William si accorse di non riuscire nemmeno a distinguerli, gli occhi offuscati dalle lacrime.
Sapeva che facevano parte della guardi di suo padre.
Alzò lo sguardo nel cielo e rivolse il capo verso la luna, luminosa.
Danzava gioiosa, giocava con le nubi, si faceva beffe di lui.
E mentre, trascorse le ore della notte, ella si apprestava alla sua caduta, William perdeva le speranza.
Se non fosse riuscito a mutare entro l’alba, sarebbe certamente morto.
Il respiro affannato, il cuore impazzito, la testa in fiamme.
Il dolore non accennava a diminuire.
Quando l’ultimo raggio di luna diede l’estremo saluto al giovane ragazzo, in un bacio di tiepida luce, William perse completamente il controllo.
Era mutato.
Era lupo.
Aveva infranto le regole.
Era bestia.
I guardiani furono colti di sorpresa: non si aspettavano che riuscisse a completare la trasformazione.
Non avevano capito che così non era stato.
Perché William non aveva completato la trasformazione.
William aveva perso il controllo.
William aveva perso se stesso.
E William li uccise.
 
No ones gonna take my soul away,
I'm living like Jim Morrison.
Headed towards a fucked up holiday.
Motel, sprees, sprees, 
and Im singing,
"Fuck yeah, give it to me, 
this is Heaven, what I truly want."
It's innocence lost.
Innocence lost.
 
Emily si ritrovò nuovamente in camera sua a preparare i suoi bagagli.
Stavolta decise di portare con sé solo gli abiti scuri che possedeva.
I mannari si erano dimostrati ampiamente contrariati davanti alla sua decisione di portare il lutto.
Non per una concezione anti religiosa, ma perché continuavano ad insistere che lei dovesse vestire solo di bianco o di azzurro, per onorare una tradizione tipicamente mannara.
Giulia le aveva pure detto che il bianco era un colore da lutto molto più puro del nero.
Ma Emily pensava che fosse semplicemente un colore troppo puro, lei che era stata marchiata dal soprannaturale non ne era degna.
Sapeva bene che il bianco voleva essere un accompagnamento per le anime che lasciavano il mondo, ma dopo quanto aveva visto, non sapeva più se era il caso di credere nelle anime.
Per compromesso alla fine promise che avrebbe utilizzato quei colori candidi nelle occasioni “speciali”.

Alla fine non le avevano rivelato molto di quello che avrebbe dovuto fare.
Avrebbe saputo tutto a tempo debito, dicevano.
William non aveva aperto bocca per tutto il tempo, si era limitato a fissare il pavimento con insistenza.
Emily non sapeva bene se fidarsi o meno, ma sinceramente non le importava un granché.
Aveva fretta che tutta quella faccenda finisse, quindi tanto valeva seguire le loro direttive, almeno per ora.
L’unica cosa che sapeva era che la mattina dopo si sarebbero imbarcati verso l’Inghilterra, dove si sarebbero uniti ad altri mannari.
Lì sarebbe iniziata la sua preparazione, fisica e mentale.
A quanto pareva essendo figlia di una strega, lo era pure lei, ed era meglio che imparasse a gestire quella sua natura.
Era una strega che doveva imparare a fare la strega.

A questo proposito ci avrebbe pensato Giulia a prepararla.
Aveva infatti scoperto che una volta, prima di diventare una mannara, era stata una strega pure lei.
Non volle sapere i particolari.
Sospettava che in quella storia c'entrasse molto sangue.
Era egoistico da parte sua, ma Emily non aveva proprio voglia di conoscere le tragedie altrui, le bastavano le sue.
 
Si diresse alla sua scrivania e raccolse la cosa più importante, l’unico ricordo che si sarebbe concessa di portare con sé.
Era un ritratto della sua famiglia, fatto quando lei aveva dodici anni e suo fratello tredici.
Loro due erano compostamente seduti su uno splendido divano. Dietro di loro i genitori avevano una mano posata sulle spalle di ciascun figlio.
Era la loro rete, il loro legame.
Lontano, nell’angolo più sbiadito c’era una sagoma oscura intenta a filare.
Era Neste.
In quell’unico ritratto c’erano tutte le persone che avevano fatto la sua felicità, le uniche persone che le facevano desiderare la vita.
Era un testimone materiale di tutto ciò che aveva perso, e grazie a quel ritratto sapeva che non avrebbe mai avuto la forza di smettere di cercare il fratello.
Si sarebbe ripresa la sua vita.
A costo di mentire.
 
 
When you talk, it's like a movie 
and you're makin' me crazy,
'Cause life imitates art.
If I get a little prettier, 
can I be your baby?
You tell me, 
"Life isn't that hard."

 
 



Salve a tutti!
La canzone utilizzata in questo capitolo è:
- Gods and Monsters, Lana del Rey.
Per chi se lo stesse chiedendo, no, non ho di dimenticato di mettere  la traduzione.
La verità è che questa canzone si adatta al capitolo solo per quanto riguarda la prima strofa, dopo di che si perde completamente.
Per questo ho deciso di tenerla solo in inglese, affinché non pesi troppo sul significato che volevo dare al cap.
Forse avrei fatto meglio a scegliere una canzone più incisiva e coerente con la mia storia, ma adoro troppo questa per non metterla!
 
Come al solito, se avete qualche domanda, se non vi è chiaro qualcosa, fatevi avanti!
 
Una persona molto simpatica (Aly23_stories) mi ha fatto capire che preferisce i PoV individuali, come quelli di cui mi sono servita nei primi capitoli.
Al momento però ho deciso di continuare con una narrazione generale, perché ho bisogno di fare pratica con questo sistema narrativ.
Se la cosa non dovesse riuscire bene e se persisteranno confusioni per quanto riguarda i diversi punti di vista che adotterò, fatemelo sapere.
Se dovessi ricevere più di tre richieste, tornerò ai PoV.
 
Ho notato che qualcuno ha tolto la mia storia dalle seguite.
Per carità, non è certo un crimine, ognuno è libero di fare quello che vuole.
Ma, come ho già detto, mi piacerebbe davvero sapere per quale motivo decidete di abbandonare questa storia, se avete intenzione di farlo.
Magari il prologo non vi è sembrato abbastanza intrigante, non sopportate i tempi d’attesa o non vi interessa l’argomento… qualunque cosa sia non ha importanza, ma dato che se pubblico questa storia lo faccio con l’intenzione di migliorare me stessa, vorrei davvero sapere cosa ho sbagliato.
Mi bastano due parole, giuro.
 
Avviso anche che sono consapevole che questo capitolo potrebbe presentare diversi orrori grammaticali, ma volevo proprio aggiornare entro oggi e non ho avuto modo di rivederlo con calma.
Provvederò il prima possibile a migliorarlo.

Nel mentre spero che la cosa non vi abbia disturbato la lettura!
 
Ciao
*Diosmy* 
  
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