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Autore: Dregova Tencligno    19/10/2014    0 recensioni
Sono la figlia di una strega, sono dotata di poteri che in molti non riuscirebbero nemmeno a immaginare. Vivo ricordi che non sono i miei ma sono gli unici indizi che ho per capire la mia natura. Sono stata una figlia, un’oggetto, un'anima, un fantasma. Se i nomi definiscono chi siamo sono stata Pulce, Piccola, Emma, Custode, Amore… Ma solo ad un nome, che ho perso molti anni fa, posso rispondere con certezza… nessuno me lo potrà togliere perché con quello sono morta e sono rinata.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi tormenta, anche se dovrebbe, il fatto di essere svenuta, ma la consapevolezza che Esmeralda ha mentito spudoratamente sulla mia prigionia.
Perché dirmi che sarei morta, che avrei perso la mia anima se non c’è nessun reale pericolo?
Sicuramente avrà avuto i suoi buoni motivi per farlo. Lo dico anche ad alta voce per convincermi, ma non ci riesco. Ho un tarlo nella testa che mi sussurra che non avrebbe dovuto comportarsi così, ma ciò che è fatto è fatto. Adesso devo capire il perché.
Appena torna mi dovrà dare delle spiegazioni. Perché adesso sono libera.
Realizzo solo ora che ho la concreta possibilità di uscire fuori a conoscere il mondo. Per adesso i dubbi sarebbero comunque rimasti tali, non avrei potuto ricevere spiegazioni non prima di tre giorni, avrei retto il gioco anche con la strega che verrà a prendermi.
Ogni mio pensiero riconduce alla rabbia per essere stata condannata alla reclusione quando avrei potuto vedere come la vita è andata avanti senza di me, e anche se continuo a pensare che di Esmeralda mi fido, che prima di allora non aveva mai fatto nulla per mettersi in cattiva luce, continuo a immaginare un vetro che si incrina mostrando tante spiegazioni, alcune impensabili, altre possibili e altre ancora terribili.
Ma oltre a rabbia e a frustrazione c’è un altro sentimento che mi anima: curiosità. Perché adesso posso veramente fare quello che ho sempre sognato.
Mi avvicino alla porta e mi basta oltrepassare la soglia per sentire sul mio viso l’aria fresca del primo mattino.
Sento una forte energia pervadermi. Elettricità mista a una misteriosa forza esplosiva.
Inizio a correre in preda all’emozione in cerchio ridendo come una matta. È fantastica la sensazione che dà l’odore della terra umida e il rumore delle foglie secche che scricchiolano allegramente sotto le scarpe.
Mi getto a terra ridendo a crepapelle e comincio a rotolare e poi mi fermo.
Resto così, semplicemente distesa aspettando di stancarmi di tutta quella felicità, ma è una cosa impossibile.
Guardo la mia casa. Capisco come mai le persone credano che sia infestata. All’esterno la struttura è fatiscente e per tutto il perimetro è circondata da filo spinato arrugginito, le finestre sono decorate con chiodi che sembrano ciglia appuntite di occhi troppo grandi. Chissà come mai la cosa non mi sorprende. Mi è noto l’odio profondo che Esmeralda cova nei confronti dei Viventi e sembra che si sia impegnata al massimo per rendere palese il suo sentimento.
Un senso di colpa mi cresce dentro. Penso che se ha fatto una cosa del genere è solo per proteggermi oltre che a tenere lontano gli esseri che odia di più tra tutti e che io non sia stata corretta nei suoi confronti arrabbiandomi per avermi tenuta in casa per tutto questo tempo. Effettivamente le cose possono essere profondamente cambiate da quando anch’io ero una Vivente, può darsi che sia pericoloso per me andare in giro in un periodo storico che ho osservato solo dalla finestra e immaginato al di là del bosco.
Per questo sono convinta che la cosa migliore da fare sia tornare in casa… ma il canto della vita è così suadente che non me la sento di abbandonare tutto senza una minima esplorazione.
Cammino fra gli alberi accarezzando i tronchi rugosi e ascoltando tutti i suoni che la foresta produce. Lo scricchiolio delle cortecce e delle foglie, il canto degli uccelli e il grido di un’aquila. È tutto stupendo e inquietante nel medesimo tempo.
Ho timore per quello che potrebbe capitarmi, anche se che i pericoli che potrebbero nuocermi rasentano quasi lo zero. Non rischio più la morte e gli unici a potermi vedere per quella che veramente è la mia natura sono solo gli animali che, in qualche modo, sono attratti da quelli come noi. Forse perché sanno che non possiamo uccidere i Viventi, neanche se fossero loro a chiedercelo.
Per la maggior parte del tempo cammino sovrappensiero e saltello leggermente quando un lupo mi passa davanti.
Ha il pelo fulvo e una maschera nera che gli decora il muso. È bellissimo nella sua semplicità. La natura riesce sempre a produrre delle opere magnifiche.
Inizialmente abbassa le orecchie e ringhia mostrando i denti. Mi sembra strano vederne uno da solo, solitamente si muovono in branco.
Gli sorriso e dopo qualche momento di istintiva indecisione l’animale si rilassa, comincia a scodinzolare cacciando la lingua e si avvicina. Ha capito che non posso nuocergli.
Mi accovaccio e gli accarezzo il bel pelo morbido facendogli dei grattini dietro le orecchie e alla base della nuca passandogli l’altra mano sul torace e in mezzo alle orecchie massaggiando queste zone vigorosamente. La coda mi sembra l’ala di un colibrì per come si muove velocemente e non posso fare a meno che ridere per la scena. Una ragazza che coccola un lupo selvatico. Da pazzi.
Si sdraia sulla schiena e mi accorgo che ha una lunga cicatrice che gli percorre tutta una zampa. Deve aver impiegato tanto tempo per rimarginarsi, a occhio sembra essere stata una ferita profonda. Forse per questo è stato lasciato in dietro. L’anello debole, l’elemento sacrificabile. Ma deve essere un animale molto forte per essere riuscito a sopravvivere da solo.
Scatta all’improvviso puntando la lepre che gli sfreccia accanto. Per lui è giunta l’ora della colazione.
Inspiro l’aria fresca anche se non ce ne sarebbe bisogno, in fin dei conti sono morta.
Mi colpisce un suono indistinto, uno sciabordare d’acqua che, seguendolo, mi porta nelle vicinanze di un fiume. La sua superficie è cristallina e vedo il letto formato da ciottoli di tanti colori, brilla come vetro colpito da una luce e delle libellule volano su di esso.
Sto per avvicinarmi per osservare meglio l’ambiente quando sento nuovamente quel rumore d’acqua mossa.
Mi nascondo giusto in tempo.
Dalla placida lastra emergono due ragazzi. Non avevo notato gli indumenti piegati vicino alla riva.
Sono entrambi nudi e mi sento un po’ strana a osservarli, ma mi è quasi impossibile distogliere lo sguardo.
Il primo ragazzo a uscire è un armadio vivente. Mi incute timore perché assomiglia a un orso come muscolatura.
Il secondo è più magro ma anche lui ha una discreta forma fisica. Ha i capelli biondo castani e gli occhi azzurri.
Non sembrano imbarazzati della reciproca nudità e anche questo particolare mi mette a disagio. Ho l’impressione di violare un rituale antico che solo due persone legate da un vincolo indissolubile possono condividere.
-Sbrigati Lovro, l’addestramento inizia tra meno di un’ora.-
-Lo so Zephyro. Dammi il tempo di asciugarmi.-
Prende da terra un telo spugnoso e se lo passa sul corpo, poi lo porge al gigante che lo ringrazia.
Entrambi cominciano a vestirsi nello stesso momento, ogni gesto simile come è simile ogni loro movenza.
La cosa che mi sorprende di più è la voce di Zephyro, dolce in confronto alla sua stazza.
Resto in silenzio a osservare lo scambio di pacche sulle spalle, di sorrisi e di battute mormorate sottovoce.
Grazie all’Empatia riesco a percepire la forza del loro legame. Un rapporto costruito nel tempo e che le esperienze hanno saldato. Però, anche se da entrambe le parti percepisco una forte emozione per l’altro, rimango un po’ male sentendo che i due sentimenti non hanno proprio la stessa intensità. L’affetto che Zephyro prova nei confronti di Lovro è più forte.
-Sbrighiamoci.-
-Altrimenti dobbiamo sorbirci Stefano.- Dice rapido Lovro.
-E Marcus.- aggiunge Zephyro.
-Pure lui, hai ragione.-
Sono le ultime loro frasi che sento perché poi scompaiono inghiottiti dalla vegetazione. Sono diretti al paesino e quella è anche la mia destinazione, ma prima devo sistemare delle cose.
Ritorno di corsa alla mia casa e prendo da sotto il tavolo vicino alla finestra il baule dove ho messo tutti i vestiti che Esmeralda non mette più. Ne prendo uno verde che mi arriva fino a metà polpaccio.
È troppo largo e lo lego in vita con un nastro celeste chiaro; completo tutto indossando un paio di scarpe di stoffa.
Adesso sono pronta ad affrontare quello che vedrò.
Imbocco il sentiero che dal lato ovest della casa porta al paesino, è coperto di foglie secche, alcune scricchiolano, altre sono umide e formano un tappeto appiccicoso che si incolla alla suola delle scarpe quando cammino.
Un pensiero mi folgora. Potrebbe essere solo una coincidenza, ma l’armadio vivente ha lo stesso nome di uno dei tre ragazzi che ho spaventato poche ore prima della partenza di Esmeralda. Mi pento per la prima volta di avere come unico passatempo quello di spaventare la gente. Se sono veramente gli stessi ragazzi potrebbero riconoscermi e per me la situazione diverrebbe spinosa, darei io stessa inizio la caccia al fantasma e anche se non possono uccidermi sarebbe un’enorme scocciatura dover scappare sia da loro sia dalla rabbia di Esmeralda. Sbuffo e metto da parte il senso di colpa.
Faccio dietrofront e ritorno a casa in cerca di qualcosa che possa celarmi alla vista altrui. Trovo un mantello di un colore simile al verde smeraldo. Non mi piace molto perché è un colore troppo brillante, quando il mio obiettivo è quello di passare inosservata. Però è l’unico disponibile al momento.
Poco dopo sono davanti all’ingresso del villaggio. Ho i nervi a fior di pelle tanto da non riuscire a far smettere alla mani di tremare. L’aria ha un odore diverso, non di casa, estraneo; non aveva niente a che fare con l’odore caldo dell’aria domestica, del legno, dei materassi e della polvere che si posava su tutti gli oggetti appena scostava lo sguardo da essi. L’aria aveva una fragranza fresca e leggera.
C’è tanta gente in giro anche se è molto presto. Donne che urlano dai balconi delle abitazioni, che stendono i panni o che sbattono i tappeti liberando nell’aria fiocchi di polvere che ricadono come neve sui passanti.
Sento l’urlo di un pescivendolo che inneggia alla freschezza della sua merce invitando i passanti ad avvicinarsi al suo carretto. Io sono una fra quelle e, anche se l’odore non è proprio dei più invitanti, rimango meravigliata nel vedere la quantità di pesci e crostacei di ogni dimensione, forma e colore, ancora muoversi.
La freschezza è assicurata penso ridendo.
Faccio per allontanarmi ma qualcuno mi urta e per poco non finisco per terra inciampando nella veste di una signora alle mie spalle; mi hanno salvata mani forti che mi sorreggono e che mi aiutano a mettermi in piedi.
-Scusa, non ti avevo vista.-
-N-non preoccuparti, non mi sono fatta niente.-
Alzo lo sguardo verso colui che mi ha salvata da una rovinosa caduta su un banco di pesci puzzolenti. Inorridisco quando vedo che è il ragazzo che si chiama Lovro ed è accompagnato dal suo amico che sta parlando con una donna, se non sbaglio proprio quella in cui sono inciampata.
-Comunque scusa ancora, andavo di fretta.-
-S-scusa t-tu se ti sto fa-facendo perdere tempo.-
Mi guarda arricciando il naso; vedo il pensiero che sta prendendo forma nella sua mente. Ha il sospetto di avermi già vista, ma non ricorda dove e in quale circostanza.
Vengo salvata dal suo amico che gli dà un colpetto al gomito.
-Sbrighiamoci.-
-Sì. Scusa ancora.- mi dice allontanandosi.
Faccio ancora in tempo a sentire Zephyro chiedergli cosa mi avesse detto per farmi assumere l’espressione di una che ha appena visto un fantasma. Non sa quanto si stia sbagliando.
Li osservo allontanarsi. C’è mancato poco che Lovro si ricordasse di me, ma Zephyro no e sono felice per questo. Se avesse collegato la sua sensazione su di me alla casa di Esmeralda mentre li spaventavo sarebbe bastata una voce per mettermi nei guai.
Mi rimetto in cammino notando come sempre più persone affollino la strada.
Un buon profumo di pane appena sfornato riempie l’aria. Una donna corpulenta sta sistemando dei banconi fuori dalla sua bottega dove un uomo esile e stempiato con dei baffi enormi posa delle pagnotte enormi.
Non so dove andare, per lo più seguo l’istinto.
È un paesino piccolo e concentrandomi riesco a percepire quante presenze vi sono. Mille anime. Pochissime.
Sicuramente si conoscono tutti e suppongo che siano più o meno tutti mezzi imparentati fra loro.
Mentre i piedi trascinano un corpo attratto da qualsiasi cosa gli occhi vedano, una casa attira il mio sguardo.
Ha le mura annerite e manca la facciata frontale. I detriti sono sparsi a terra all’esterno dell’abitazione, come si ci fosse stata un’esplosione che ha spazzato via tutto quello che c’era dentro.
Sotto le scarpe sento il rumore di vetri rotti che si frantumano ulteriormente e tra le macerie ci sono vari pezzi di stoffa e, sotto un mattone, un pupazzo.
Vengo attraversata da una scarica elettrica quando lo prendo in mano. La testa comincia a girarmi e sono costretta ad appoggiarmi a una delle pareti ancora in piedi. Spero che non decida di crollare proprio in questo momento.
Desidero lasciare quella bambola. Che cada pure nella polvere in cui l’ho trovata, mi dico. Ma la mia mano sembra essere incapace di farlo.
Alcune immagini iniziano a scorrere nella mia mente e poi davanti ai miei occhi prendendo il posto di quello che per me è la realtà.
 
‘Vedo una bambina che gioca con un pupazzo, lo stesso che stringo in mano.
Sua madre si sta vestendo. Ho un bell’abito, ma il volto esprime solo tristezza. Anche la bambina lo è.
È preoccupata per la salute di una persona molto vicina alla sua famiglia.
Al tavolo della cucina è seduto un uomo con occhi grigi come il fumo e buoni. Ha i capelli biondicci e una barba incolta screziata di bianco.
Sta intagliando un oggetto di legno. È un regalo, ma non so per chi è.
Dalla finestra entra la luce calda del sole e vedo un bambino giocare con una palla di cuoio. Ha gli stessi occhi dell’uomo, deve essere il figlio.
Ogni tanto il padre lo scruta e sorride timidamente; capisco che è uno di quei padri che sono disposti a fare qualsiasi cosa che sia in loro potere, e forse anche oltre, per i propri figli. È una roccia con incastonato al suo interno un cuore caldo.
La donna gli si avvicina e lo bacia teneramente sulle labbra. Il grembo è tondo e sodo, aspettano un altro bambino. Gli occhi di lui si illuminano e lei ride diventando un po’ rossa, si amano molto.’
 
Le immagini iniziano a cambiare sfocandosi e mettendosi a fuoco.
 
‘Non è più giorno, fuori è buio e nel camino scoppietta un fuoco caldo e invitante.
La piccola scultura di legno è terminata ed è appoggiata sul tavolo, rappresenta un cagnolino, e vicino a essa c’è la bambola che non si stacca dalla mia mano.
L’uomo è seduto ancora al tavolo, ha appena finito di cenare. Varie ciotole sono davanti a lui mentre guarda serio la porta in pensiero per sua moglie e i suoi piccoli adorati e cercando di vedere oltre essa per anticipare il momento del loro ritorno, li avrebbe abbracciati dicendo che gli sono mancati tantissimo.
Bussano alla pesante porta di legno e lui va ad aprire pieno di speranza. Pensa che siano tornati, ma la verità cozza dolorosamente sul suo naso sotto le sembianze di una figura femminile. Non riesco a distinguere nulla di lei, è l’unica parte di quella strana visione che mi appare sfocata, come se avesse una sorta di schermatura che la protegge dai miei occhi. Capisco che deve essere una bella donna per rendere imbarazzato l’uomo che la fissa senza dire una parola.
Lei gli chiede un bicchiere d’acqua perché ha viaggiato tanto ed è stanca. Dopo essere stata servita si toglie il mantello e lo posa sul tavolo accanto al cagnolino di legno di cui accarezza il profilo.
-Per chi è?- chiede con voce suadente.
-Per mio figlio.-
-Tua moglie è proprio una donna fortunata.-
Comincia a lusingarlo facendogli complimenti prima sulle sue opere e poi sul suo fisico, poi mormora una parola che non capisco. Ho il presentimento che tutto questo non porterà a nulla di buono ma appena provo a fare un passo verso di lui mi accorgo di essere bloccata al mio posto. Sono solo un’osservatrice.
L’uomo dapprima si irrigidisce e poi si rilassa, si alza dalla sedia e rimane fermo, in mezzo alla stanza.
La donna, anche lei in piedi, si avvicina a lui. Gli accarezza il volto, il mento, le labbra, i capelli che stringe fra le sue dita e gli tira indietro il capo e gli morde il collo.
L’uomo non si muove, sembra un fantoccio.
Lei si sfila l’abito rimanendo nuda, prende le mani dell’uomo e le posa sui suoi seni mentre lo accarezza con lo sguardo.
Poi gli toglie la maglia e la camicia, lo accarezza e lo bacia; l’uomo continua a rimanere immobile.
La donna gli slaccia i pantaloni e lo costringe a sdraiarsi.
Sono entrambi nudi.
Lei lo bacia e lo tocca violentemente, lui la stringe e asseconda i suoi movimenti. Incominciano a fare l’amore ma c’è qualcosa di malsano nel modo in cui lo fanno. Lei lo morde e lo graffia a sangue.
Lui si irrigidisce mentre la donna continua con le sue movenze e se avessi un cuore sicuramente finirebbe con lo spezzarsi per la pena perché l’uomo incomincia a piangere e non è per il piacere. Percepisco il suo dolore ed è più intenso di qualsiasi altro provocato da una ferita fisica.
Leggo nei suoi occhi i suoi pensieri. Vorrebbe che lei si fermasse, che lasciasse in pace lui e la sua famiglia, ma non può reagire perché i muscoli non seguono la sua volontà. Non è con lei che vuole giacere e non capisce con quale forza potrà vivere sapendo di aver tradito sua moglie in casa loro.
La donna comincia a essere scossa da fremiti e ricade sul petto di lui. Sul viso ha un’espressione soddisfatta.
Sono disgustata da quello che vedo, non riesco a chiudere gli occhi e la visione continua.
La donna ha in mano un pugnale dalla lama ondulata, non so da dove l’abbia preso.
Allarga le braccia all’uomo. Gli passa il filo della lama sul viso, sulle braccia percorrendo le vene, sul petto, sull’addome scendendo fino all’ombelico e poi risale. La punta del pugnale ferma sul cuore.
Il suo divertimento mi investe. So dove si vuole spingere.
Il pugnale affonda nel petto.
Gli occhi dell’uomo diventano due occhi neri e la pelle si ingrigisce. Lei si alza e lecca dalla lama il sangue dell’uomo che ai suoi piedi sta perdendo consistenza tramutandosi in un fumo denso che viene assorbito dal pugnale.
La osservo mentre si riveste e si guarda in torno. Non posso vedere il suo viso ma sono quasi sicura che stia sorridendo.
Allarga le braccia e una forte luce viene irradiata dal suo corpo. La casa esplode.
Dalle macerie si alza una nube scura che assume sembianze maschili e mi trafigge con le sue orbite senza occhi.’
 
Ritorno alla realtà, sconvolta per quello che ho visto e sentito.
Lascio che il pupazzo mi cada di mano. Non riesco a capacitarmi che esista veramente qualcuno in grado di fare qualcosa di simile, che possa far soffrire in questo modo le persone.
Dalle mie spalle provengono degli scricchiolii. Mi volto aspettandomi di vedere l’uomo di fumo pronto ad assalirmi, ma c’è solo una donna. Uno scheletro bianco in un abito nero che tiene per mano due bambini, un maschietto e una femminuccia, e un’altra vita in grembo.
I bambini stringono nelle mani libere delle rose rosse. I fiori dell’amore eterno.
Sono le stesse persone della mia visione.
La donna ha il volto rigato dalle lacrime che sembrano aver solcato sul suo viso due solchi scuri che dagli occhi le arrivano alla mascella.
Prendo di nuovo da terra la bambolina. Ho i nervi tesi aspettandomi di vedere nuove immagini prendere sede nella mia mente, ma con un lieve sospiro mi rilasso perché non accade nulla.
Mi avvicino a lei.
-Scusi.-
Mi osserva con circospezione. Un’ondata di tristezza e paura mi colpisce e provo il bisogno di piangere; l’Empatia non mi è molto utile ora e la sopprimo per il momento.
-Posso esserle d’aiuto?-
-Sì, ecco…- abbasso il cappuccio del mantello per farmi vedere in viso, lei pare rasserenarsi.
-So che lei era la proprietaria di questa casa, volevo solo dirle che ero entrata solo perchè avevo notato una cosa tra i mattoni.- dico mostrando la bambola.
Il volto della bambina si illumina e gliela porgo. Lei guarda il viso della madre e non leggendovi sopra nessun rimprovero, del fatto che stava accettando un regalo da una sconosciuta, la afferra e l’abbraccia come fosse una vera amica.
-Grazie.- mi dice la madre.
-Si figuri.-
-Lei non è di queste parti vero?-
Sorrido. –Cosa mi ha tradito?-
-Il suo accento.-
-Vengo da un paese non molto lontano.- le dico continuando a rivolgerle un caldo sorriso.
-Quindi sa cosa è successo.-
Vorrei non saperlo, ma è bastata la visione per capire quello che è accaduto.
-La Strega Rossa.-
-Prende tutti i nostri mariti. Non sono al sicuro, né loro e né chi vive con loro. Cerchiamo di ignorare la verità, ma qualche volta è troppo evidente per fingere di essere ciechi.-
Non so cosa dire a parte… -Mi dispiace per la sua perdita.-
-Questa volta è toccato a me. Se è venuta per cercare marito le consiglio di andarsene con il fortunato prima che una cosa simile capiti anche a voi.-
Quella della Strega Rossa è una storia molto vecchia, Esmeralda me l’ha raccontata qualche giorno dopo avermi invocata. All’inizio non avevo nessun ricordo e il racconto della Strega è stato il primo della mia nuova vita.
Esiste una ballata che parla di una bellissima donna dagli occhi ammalianti e seducenti che ricordavano i boccioli primaverili e con i capelli rossi e ricci. Si narra che abbia avuto una storia molto triste alle spalle. Abbandonata dai genitori quand’era piccola perché capace di utilizzare la Lingua di Sirena, un potere che costringe l’ascoltatore a fare quello che viene detto, fu costretta a vivere ai confini della società per paura di quello che avrebbero potuto farle. Col passare degli anni la solitudine si fece sentire e la costrinse a cercare la compagnia di una ragazza, un fantasma che nascondeva due segreti impensabili.
Un giorno la strega vide nel bosco un giovane uomo, un soldato, che ai suoi occhi diventò il tesoro più prezioso, ma il suo cuore si spezzò e l’odio crebbe quando scoprì il primo segreto del fantasma. Era innamorata di un mortale, lo stesso che lei voleva.
Aveva passato troppi anni da sola covando sentimenti negativi per sapere cosa significasse veramente amare, così l’amore diventò ossessione.
Scoprendo anche l’ultimo segreto del fantasma ottenne anche la chiave per avere tutto per sé il ragazzo. Preparò un incantesimo che il fantasma, per il dolore, si convinse a usare. Perse tutto ciò che era per tornare a essere mortale, per stare accanto al proprio amato, l’unico a cui abbia mai detto che non era più viva. Ma la parola anni non andava a genio alla strega, non poteva aspettare. Così uccise la ragazza e imprigionò nel fumo il ragazzo dopo averlo costretto al peccato veramente letale per un’anima. Il tradimento di tre capisaldi: famiglia, amicizia, amore. Creò così uno Spettro Oscuro
Ma l’anima del ragazzo ricercò sempre la sua amata e l’incantesimo della Strega Rossa non era perfetto. Riuscì a liberarsi e a ricongiungersi col fantasma… ma durò poco.
Loro due erano stati legati da un amore sacrilego. Un Vivente che ama un fantasma… non è concepibile e l’incantesimo della Strega Rossa non fece altro che dare il via a una fonte di sofferenza che continua ancora. La maledizione.
Da allora fantasmi non possono vedersi, toccarsi, parlarsi tra loro e con i Viventi. Vivono tutti in mondi separati che non possono più essere uniti. La Strega Rossa venne condannata alla vita eterna. Una vita piena di indicibile sofferenza che può essere spezzata solo da amori impuri. Quelli dati dal tradimento.
-Grazie.- mi dice, poi trascina i suoi bambini tra la folla e li perdo di vista.
Pensavo fossero solo voci, una storiella per spaventare i giovani innamorati, ma è invece la verità. La maledizione… la stessa che io vorrei spezzare… e trovare la via per ricordare il mio passato.
Continuo ad andare dove mi portano i piedi. Questa volta però non faccio attenzione a quello che mi capita attorno, sono distratta da altri pensieri dai quali mi stacco solo quando giungo nei pressi di una grande costruzione dalla quale provengono urla di ragazzi.
A sinistra c’è un muro formato da una rete che dà a un ampio campo. Ci sono tantissime ragazze che ridono in continuazione indicando qualcosa al di là della recinzione.
Capisco a cosa è dovuta la loro agitazione appena mi avvicino a loro, ed è anche un motivo stupido.
Nel campo si stanno allenando dei ragazzi. Quell’edificio è la caserma.
Mi ricordo che almeno uno dei due ragazzi che ho spaventato a casa e che ho già incontrato due volte dovrebbe essere in mezzo a quel gruppetto che corre e che fa altri esercizi. Loro due non mi hanno dato l’impressione di riconoscermi, ma il terzo potrebbe ricordarsi qualcosa. Mi copro il capo con il cappuccio.
Trovo un posto libero dal quale posso osservare i ragazzi.
Scorgo subito l’armadio umano. Zephyro, e al suo fianco c’è Lovro.
Devo ammettere che Lovro è molto agile, mai come un fantasma, ma per essere un umano se la cava bene. Segue gli ordini dell’istruttore alla lettera e in modo perfetto. Evita affondi e para con abilità. Stanno facendo allenamenti di scherma.
Sono curiosa di sapere cosa prova.
Libero l’Empatia dalla sua prigione e la lascio lavorare. Come se fosse mia, sento l’energia che pulsa nel suo petto, la felicità e la fatica che prova. Percepisco anche la sua forza, mi entra dentro e scorre attraverso me come se fosse un fiume in piena. Sento i suoi muscoli guizzare sotto la pelle che sfrega contro gli indumenti riscaldandolo. Sento il sudore scorrere per tutto il suo corpo; sento il suo respiro e il cuore che pompa il sangue in ogni arteria, arteriola e capillare per poi tornare al punto di partenza privato dell’indispensabile ossigeno dopo aver attraversato le vene. Percepisco il calore che pulsa vivo nel suo essere e dentro me si accende un tepore che cresce e che scende giù, sempre più in giù, fino…
Distolgo lo sguardo da lui quando qualcuno mi sfiora il braccio.
È una ragazza che ha più o meno la stessa età che dovrei avere io da viva, ha gli occhi di un azzurro intenso e i capelli biondiccio-castani.
Mi sta sorridendo.
-È carino vero?-
Le guance mi ardono e mi calo ancora di più il cappuccio sul volto.
-Lovro dico.-
Cerco di ignorarla anche quando si mette a ridere.
-Non ti preoccupare, fa quest’effetto a molte ragazze.-
Mi pento di averlo fatto nel momento stesso in cui lo faccio. Guardo la folla acclamante in cerca di qualcun’altra che urli il suo nome o si comporti in modo civettuolo. Dell’ultima cosa quasi tutte.
-Sto scherzando!- mi dice dandomi una pacca sulla spalla –Mi chiamo Elebene.-
Mi porge una mano e per educazione gliela stringo.
Tutta la sua vita mi scorre davanti agli occhi.
Mi sento una ladra perché niente di quello che vedo mi appartiene, ma non riesco a fare a meno di sbirciare.
 
‘Vedo il giorno della sua nascita. Un sei giugno afoso le dà il benvenuto, a lei e a un bellissimo maschietto.
I loro genitori li coccolano felicissimi.
Li vedo farsi grandi e ogni giorno o momento che osservo è quasi sempre concentrato sul prendersi cura del fratello immaturo.
Vedo quello che le piace e quello che la fa piangere, i momenti felici e quelli tristi. Posso guardare il dolore farsi largo sul suo volto quando davanti ai suoi occhi, giorno dopo giorno e inesorabilmente muore suo padre. Odo il suo cuore infrangersi in tanti pezzi e il grazie che mormora a Zephyro quando la consola e le offre una spalla su cui piangere. È sicura che suo fratello non ci sia per vederla in questo stato, ma lui c’è. Sempre.’
 
Quando la visione scompare mi accorgo di avere gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti.
-Stai male?- mi chiede Elebene guardandomi preoccupata e smarrita.
Le sorrido.
-No, non è niente. È… sono appena arrivata.-
Se le visioni mi fanno questo effetto…
-Hai bisogno di un posto dove stare.-
-No-sì-cioè no. Abito con mia sorella, ma adesso sono sola perché è dovuta partire con urgenza.-
Mi spaventa come mi sia facile mentire, come bere un bicchiere d’acqua se avesse per me senso farlo.
-Allora ci si vede in giro, anzi, se ti va, domani ci incontriamo qui. Ti faccio conoscere mio fratello e il suo amico. Sono un po’ matti, almeno… per me lo sono, ma sono sicura che ti piaceranno.-
Poi si allontana dicendomi di scusarla ma ha delle commissioni da fare.
La saluto con un gesto della mano e decido che me ne andrò pure io.
Mi volto un attimo per guardare per pochi secondi Lovro, con la luce del sole i suoi occhi assumono una tonalità verde.
Lascio quelle ragazze sbavare contro la rete e torno sui miei passi per tornare a casa, scommetto che più di una sarebbe disposta a perdere la propria verginità con uno di loro, sempre se non lo avevano già fatto.
Provo una sensazione strana… un turbinio allo…
Sono morta! M. O. R. T. A.! Non posso fare questi pensieri!
Eppure continua a tornarmi in mente il viso di quel ragazzo, l’azzurro dei suoi occhi e lui nel fiume; i suoi muscoli che promettono protezione, le sue labbra che mi chiamano sussurrandomi dolci parole provocatorie.
Nella mia mente si delinea una scena mentre nel mio stomaco sussulta una tempesta. Io sopra di lui e lui che mi stringe tra le sue braccia, mi tiene stretta al suo corpo mentre con la sua leggera peluria bionda mi solletica la cute dandomi delle scosse di sublime piacere che viene enfatizzato dalle sue mani che afferrano i miei seni e poi scivolano e trovano un varco che solo Esmeralda aveva visto e goduto. Mi sembra di sentire la sua forza, la sua passione farsi largo in me mentre io gli afferro i capelli e finalmente posso cibarmi delle sue labbra che mi fanno impazzire…
Smettila! Tu sei morta, lui vivo! È una cosa facile da capire. Mi picchietto due dita sulla fronte e penso a tutti i modi per scacciare quelle immagini e me ne viene solo uno.
Oggi ho già infranto una regola, tanto vale infrangerne un’altra. Devo vedere cosa nasconde la botola.
L’ho vista portare in quel buco nel pavimento libri che dice le servono per spezzare la mia maledizione e, sicuramente, ci sarà anche un tomo che parli di quello che accade a un fantasma, soprattutto delle capacità che può sviluppare.
Mentre cammino per le vie del paesino vedo tante coppiette che si tengono per mano e mi scopro essere gelosa di loro.
Avere l’Empatia è una maledizione in queste situazioni; ci sono troppi sentimenti e troppe emozioni in quei corpi, troppi desideri che si trovano nel loro cervello.
Su una staccionata è seduta una ragazza, sta baciando un ragazzino dai capelli neri e ricci. Sembrano volersi divorare a vicenda e il mio dono non fa altro che alimentare il carbone che ho dentro sperando possa accendere un fuoco, ma non potrà mai trarre nulla da un cadavere ambulante.
Tutti quei colori che non riesco a ignorare funzionano come una droga. Anche se voglio smettere di scrutare nei loro cuori non posso smettere di desiderarne altri.
Quando esco dal villaggio sono quasi sollevata nel sapere che non li vedrò più per molte ore.
Seguo il sentiero che mi porta a casa e quando entro nella mia dimora lascio cadere il mantello a terra.
Mi avvicino alla botola a passo veloce ma appena mi chino per afferrare la maniglia in metallo mi fermo. La stanza inizia a ruotare e dei pizzicori lungo la schiena mi avvertono che sto per avere una premonizione.
Tento di soffocarla, ma non ci riesco e il solo tentare mi fa star male.
 
‘Sono circondata dalle fiamme. Cerco di usare il mio potere per spegnerle ma in lontananza sento delle voci, non posso usarlo senza rischiare di essere scoperta. Al mio fianco sento qualcuno tossire. Un uomo di fumo nero si muove nel fuoco e mi attacca. Cerco di agire, per difendere la persona alle mie spalle.’
 
Questa volta non sento nessun dolore e anche quando è arrivata, se non l’avessi ostacolata, avrei sentito poco o nulla. È come ha detto Esmeralda. All’inizio fanno male, dopo no.
La botola non può proprio più aspettare. Devo capire cosa sto diventando e a cosa sono dovute le mie visioni.
Con un gesto della mano apro la botola e osservo la sua gola oscura.
Sono pronta.
   
 
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