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Autore: kotiropotato    19/10/2014    4 recensioni
Storia ambientata tra la fine di Blue e l'inizio di Green.
Gideon ha detto a Gwen che non la ama veramente e ora si sente in colpa.
Quando finalmente si presenta l'occasione per scusarsi e dirle quello che in realtà prova per lei, riesce a rovinare tutto
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Dal testo:
Paul mi aveva chiesto se amavo Gwen. Avevo risposto di si. Si? Se l'amavo veramente perchè le avevo fatto questo? Per proteggerla, mi dicevo. Ma non mi ero accorto che in questo modo non la proteggevo affatto, la facevo solamente soffrire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gideon de Villiers, Gwendolyn Shepherd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I disastri dell'amore.
*Gideon*
Dovevo dirglielo. Assolutamente. Il senso di colpa mi aveva afferrato e non sembrava avere intenzione di lasciarmi. Non era stato bello e nemmeno facile mentirle. Vedere quegli occhioni azzurri spalancarsi e diventare lucidi per le lacrime. Non le aveva versate, Gwen era forte, ma me ne ero accorto comunque. E mi ero sentito uno schifo. Avrei voluto tornare indietro di qualche minuto e vedermela di nuovo con Lord Alastair piuttosto che farla soffrire in quel modo. La mia mente ripercorse velocemente quegli avvenimenti. Paul mi aveva chiesto se amavo Gwen. Avevo risposto di si. Si? Se l'amavo veramente perchè le avevo fatto questo? Per proteggerla, mi dicevo. Ma non mi ero accorto che in questo modo non la proteggevo affatto, la facevo solamente soffrire.
Ero seduto su uno dei gradini dell'ingresso aspettando che arrivasse: dovevo chiarire le cose. Il battito del mio cuore raddoppiò al solo pensiero di rivederla. Per non lasciarmi prendere dal panico chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi sul calore del sole sulla mia pelle. Funzionò. Il familiare rumore del motore della limousine mi fece aprire gli occhi. Quando vidi scendere Gwen e Charlotte dalla macchina mi alzai in piedi e mi passai una mano tra i capelli per ravvivarli, come faccio sempre quando devo calmarmi. Mi ricordai che non mi ero rasato, ma ormai non potevo farci niente. Vedendo che Gwen si era accorta di me, mi spazzai via la polvere dai pantaloni, come se con quel gesto potessi cacciare via il nervosismo, ostentando calma. Visto che continuavo a mordicchiarmi il labbro inferiore, ebbi l'impressione di non essere molto convincente. 
«Ciao» la salutai guardando un punto imprecisato sopra la sua spalla, dopo averla guardata negli occhi per un lungo istante ed aver sentito le gambe diventare di gelatina.
Charlotte mi raggiunse quasi saltellando, come se non si fosse accorta di niente, e mi baciò su entrambe le guance per salutarmi. Ricambiai continuando a guardare Gwen. Sembrava che stesse per svenire. In un attimo si riprese, assunse un'espressione dura e si diresse lentamente verso la porta. Ora o mai più, mi dissi. Presi un bel respiro e, prima di poter cambiare idea, dissi: «Posso scambiare due parole con te, Gwen?» Ecco, ora arrivava la parte più difficile, ma non potevo starmene in silenzio. Feci andare via Mr. Marley e Charlotte piuttosto scortesemente, devo ammetterlo. Ma ero nervoso e dovevo assolutamente parlarle. Quando fui davanti a lei, mi venne meno il coraggio e dovetti cercare di calmarmi guardando la casa di fronte. Sentire la sua presenza davanti a me non migliorava di certo le cose. Alla fine dissi tutto d'un fiato «Come va?» mentre lei chiedeva «Come va il braccio?» Aspetta, come va? Le avevo davvero chiesto come andava? Mi sentii uno schifo. Sapevo che non stava bene e sapevo di chi era la colpa. E tutto quello che riuscivo a dirle era chiedere come stava? Ma d'altronde anche lei aveva fatto una domanda un po' impacciata, come se non avesse ancora deciso se avercela con me o no. Questo pensiero mi fece sorridere. Ah, Gwen. Piccola e ingenua Gwen. Nemmeno quando la facevo soffrire riusciva ad odiarmi veramente! Mi sorrise anche lei, facendomi dimenticare l'errore appena fatto e trovare il coraggio di dirle quello che mi aveva portato ad aspettarla sui gradini davanti all'ingresso. «Il braccio è a posto» dissi sbrigativo. Ero ansioso di arrivare al punto che più mi premeva e inoltre non ci rimaneva molto tempo. «Gwendolyn, mi spiace moltissimo. Mi sono comportato in maniera... irresponsabile». Irresponsabile? Era a minimizzazione del secolo. Le avevo fatto male. Ero riuscito a cancellarle quel dolce sorriso dalla faccia. Ero un... un... Cercai un termine abbastanza brutto per descrivermi, ma non ne trovai. «Ieri sera ho provato a chiamarti almeno un centinaio di volte sul cellulare, ma era sempre occupato». Era vero: quando ero tornato nel mio piccolo e incasinato appartamento - mio fratello non c'era e tanto meglio - mi ero buttato sul divano e, dopo aver preso il telefono, l'avevo chiamata una volta, due, tre, quattro... Fino a notte fonda, quando avevo rinunciato ed ero andato a letto. Ovviamente avevo passato la notte insonne pensando a Gwen. Cosa stava facendo? Era rimasta sveglia anche lei? Pensava a me? Mi considerava uno stronzo? Erano queste le domande che mi avevano tormentato fino all'alba. Anzi, mi tormentavano ancora.
La guardai. Mi stava a sua volta guardando mordicchiandosi il labbro inferiore. Non capii a cosa stesse pensando, ma in compenso fui assalito da un'ondata di tenerezza. Improvvisamente sentii l'impulso di percorrere quei pochi passi che ci separavano e abbracciarla. Volevo tenerla stretta a me. Volevo sentire il profumo dei suoi capelli, il mio cuore e il suo che si inseguivano, battevano all'unisono, accelleravano e rallentavano, creando una perfetta colonna sonora. E poi volevo baciarla, sentire le farfalle nello stomaco, le sue labbra umide, le nostre bocche che si muovevano insieme, le lingue che si inseguivano... Ma mi tratteni. Non era giusto nei suoi confronti, come se approfittasssi di lei. "Non ti amo, ma quando mi viene voglia ti bacio". Era spregevole. Scambiammo altre battutte durante cui radunai tutte le mie forze per farmi coraggio. 
«Però per amore si fanno cose che altrimenti non si farebbero» dissi rispondendo ad una sua osservazione e guardandola negli occhi. Una ciocca corvina le ricadeva davanti all'occhi destro. Sollevai una mano per spostarla, o forse per accarezzarle una guancia; all'improvviso mi accorsi di quello che stavo facendo e la lasciai ricadere. «Quando si ama, l'altro diventa più importante di noi stessi». Sentii l lacrime pungermi gli occhi, ma le ricacciai subito indietro. Non volevo piangere, non davanti a Gwen. Non quando era lei ad averne il diritto e a non versarne.
Un altro paio di battute sprezzanti rivolte al conte e capii che era il momento di dirglielo. Presi un bel respiro e lasciai che le parole uscissero da sole nel modo più disinvolto possibile: «Sono davvero contento di aver chiarito le cose» Mi sentii dire. Man mano che mi avvicinavo alle due fatidiche parole - ti amo - il mio coraggio scemava. «In ogni caso resteremo sempre buoni amici?» Come, prego? Buoni amici? 
«Buoni amici?» ripetè Gwen. Le sue pupille si erano dilatate, come se le mie parole l'avessero colta di sorpresa. Beh, non potevo biasimarla: avevano colto di sorpresa anche me. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
«Buoni amici, che sanno di potersi fidare l'uno dell'altra. E' importante che tu ti fidi di me» dissi. Mi sentivo come se in quel momento ci fossero due me: uno che parlava e l'altro troppo occupato a ripetere a se stesso "Non la amo. Siamo solo buoni amici" un'infinità di volte e senza nemmeno sapere il perchè.
«Sei uno stronzo!» urlò all'improvviso. «Come si può essere tanto imprudenti! Il giorno prima mi baci e dichiari di esserti innamorato di me, quello dopo dici che ti dispiace di essere stato un tale viscido bugiardo e vorresti che io mi fidassi di te?» La veridicità di quelle parole riuscì a perforare la bolla protetiva che avevo creato attorno a me con il mio mantra.
«Gwen...» sussurrai con un filo di voce, che esprimeva tutto il mio dispiacere e l'odio che provavo verso me stesso. Ma lei non mi ascoltò. Mi urlò contro, io cercavo di rispondere con un filo di voce, fino a quando non riemerse "l'altro me" che ripronunciò le parole "restiamo amici", che volevano soprattutto ingannare me stesso.
«Tu non hai la minima idea di che cosa sia l'amicizia!» esclamò tirando i capelli indietro e andandosene impettita.
Aveva ragione, ero proprio uno stronzo.
 
  
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