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Autore: Weightlessness    19/10/2014    0 recensioni
Il Cappellaio, con la sua figura contorta ed enigmatica, credo sia riuscito ad affascinare qualunque lettore e come gli altri strambi personaggi di questo strambo libro si è guadagnato una grande fama nei secoli. Ma chi è veramente? Quali piccoli segreti nasconde il suo celeberrimo indovinello? Cosa emerge dal suo personaggio e cosa no? Ho voluto provare ad inventare una risposta.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice, Cappellaio Matto, Lepre Marzolina, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Me ne andai da quella casa di matti appena il tempo migliorò e smise di diluviare. Ogni giorno lo Stregatto aveva provato ad estorcermi il cappello con i suoi infidi trucchetti di evaporiere, ma io ero stato più furbo ed ero riuscito a tenermelo ben stretto.
Da quel momento il cappello divenne il mio compagno di viaggio, il mio migliore amico e, anzi, perfino una parte di me. Lo tenni in testa così a lungo e con così tanta costanza che le rare volte che mi capitava di toglierlo mi sentivo vuoto, come un arancia spremuta, come un libro senza pagine.
A mia insaputa, intanto, il mio indovinello era diventato celebre. Celeberrissimo! E tutto questo nel giro di un mese scarso. Seppi, mentre attraversavo un paesino posto esattamente nel mezzo di decine di sterminati campi di papaveri, che stavano organizzando una sorta di gara per trovare la soluzione.


Il cappellaio scoppiò in una sonora e isterica risata e i suoi occhi divennero color bronzo e brillarono sotto la tesa del suo cappello. I suoi capelli color grano maturo riflessati di uno strano rosso corallo furono scossi da un soffio di vento e le code del nastro del cappello si sollevarono e si riabbassarono quasi come se il cappello stesse ridendo con lui. Alice indietreggiò istintivamente con la schiena e sentì un brivido freddo percorrerla mentre fissava il Cappellaio che ghignava. A volte la pazzia può far paura a chi non la sa comprendere e talvolta le cose più bizzarre, quelle che deviano dalla normalità, possono infondere un certo timore. Ma appena la parte matta di Alice si risvegliò, la paura svanì e la bambina rise insieme al Cappellaio, anche se fondamentalmente non ne capiva il motivo, ma non importava.


Nessuno sciocco sarebbe mai riuscito a risolvere il mio indovinello.

Riprese il Cappellaio con un buffo sguardo di trionfo e sicurezza sul volto ancora marcatamente giovane.


Così potevo essere certo che il mio cappello sarebbe stato al sicuro sulla mia testa e sulla mia testa soltanto.
Era gennaio, avevo trascorso l'inverno un po' qua e un po' là: qualcuno mi aveva ospitato a casa sua per qualche giorno e qualcun altro mi aveva offerto un pasto caldo quando fuori faceva freddo. Mi ero riparato nei fienili abbandonati, nelle cavità di alcune montagne, nelle strampalate osterie in cui per riuscire a pagarmi l'alloggio per un paio di giorni ero stato costretto riparare i cappelli, ormai brutti e logori che io stesso avevo fabbricato anni prima, di tutti i viaggiatori che come me cercavano un posto in cui riposare. E intanto in molti provavano a risolvere il mio indovinello, senza successo alcuno naturalmente.
Un giorno in cui il vento gelido mi pungeva la faccia e le mani scoperte in modo intollerabile, entrai in una piccola locanda dal nome ridicolo: Corri-canta-coniglio. All'interno splendeva un fuocherello sfavillante in un caminetto decorato con statuette dipinte a mano di conigli in livrea e panciotto.
Alcune lepri e leprotti stavano sgranocchiando carote e bastoncini di sedano con il muso rivolto ad un'altra lepre che decantava poesie. Un coniglio color cioccolato che stava dietro al bancone mi squadrò circospetto, poi mi spiegò -evidentemente si era accorto della mia curiosità per quello strano spettacolo- che Martin, così si chiamava il leprotto-poeta, cantava i suoi componimenti in quella locanda da un paio di anni per guadagnarsi un tozzo di pane. Ma a quanto pare non era ben visto dai suoi simili.
-Va pazzo per il tè. Dimmi, tu hai mai sentito di una lepre che beve il tè?
-Per la verità non ho mai sentito parlare di questo "tè" 
-Allora Martin é proprio matto se nemmeno gli umani come te lo bevono.
Grugnì quello, con una voce più degna di un maiale che di un morbido coniglietto.
Da quel momento, tuttavia, fui terribilmente attratto dalla figura di Martin. I suoi occhi strabici gli conferivano un'espressione sciocca e le sue orecchie un po' spelacchiate rivelavano un'età ormai piuttosto avanzata per un leprotto. Comunque il fatto che egli fosse "diverso" da tutti gli altri noiosi conigli mi attraeva. Sentivo che sarebbe diventato mio amico.
Fui l'unico ad applaudire quando Martin concluse il suo spettacolo. Credo di essergli parso subito simpatico, perché mi mostrò una fila di denti tra i quali almeno quattro erano d'oro.
Parlammo insieme per il resto della serata e si mostrò un animale estremamente dotto. Mi parlò specialmente di letteratura e mi lasciò senza parole davanti alla vastità della sua cultura. Probabilmente gli apparvi piuttosto stupido e ignorante, visto che non avevo mai studiato. Si propose quindi con entusiasmo di insegnarmi la storia e le lettere, e disse che poi mi avrebbe consigliato i libri migliori e mi avrebbe insegnato come scrivere poesie. In cambio di questo suo favore, mi chiese di regalargli un orologio. Mi parve un po' strana la sua richiesta. Non che non sia normale volere un orologio. Ciò che mi lasciò un po' perplesso fu la sua ansietà. Era evidente che ne desiderasse ardentemente uno.
-Ho un orologio molto speciale con me e ammetto che un po' mi dispiace doverlo dar via, ma credo che un'istruzione sia molto più importante di un futile marchingegno.
Gli donai dunque il mio orologio che segnava i mesi e i giorni e lui ne parve più che soddisfatto. Mi spiegò il perchè della sua richiesta con la voce tremolante per l'imbarazzo:
-Sai, tutti i conigli e le lepri più rispettabili hanno un orologio e io ci tenevo a non essere da meno. Guarda il Bianconiglio...
E mi indicò un batuffolo candido che sedeva ad un tavolino da solo. Aveva un muso arcigno e coronato da un paio di occhialetti da lettura con le lenti rotonde e la montatura sottile e ogni tanto i suoi occhietti lucidi davano una sbirciata preoccupata ad un grosso orologio da taschino.
"Riconosco la fattura di quell'orologio..." Pensai io assottigliando gli occhi. 
-Lui ha una collezione di innumerevoli orologi di ogni genere e epoca. È famoso per non essere mai in ritardo, è ossessionato dai ritardi.
Sghignazzammo insieme e riprendemmo a sgranocchiare succose carote.
Le lezioni cominciarono il giorno successivo. E devo dire, senza nemmeno una briciola di modestia, che mi rivelai un allievo molto promettente. Conobbi la passione di Martin per il tè e ne fui contagiato. Ogni giorno bevevamo in due almeno dieci teiere di tè bollente. Gli altri conigli sostenevano che così tanto tè desse alla testa, ma a noi sembrava di essere sempre uguali.
Nel giro di un mese divenni molto bravo con la retorica e la grammatica, ma la poesia non mi coinvolgeva come coinvolgeva Martin. Inventava le rime con la stessa facilità e disinvoltura con cui io un tempo avevo costruito migliaia di cappelli. Il suo talento era impareggiabile. Un giorno sentimmo parlare di una gara di poesia indetta dai sovrani per l'ultimo giorno di febbraio. Martin decise che avrebbe partecipato a tutti i costi ed io ero certo che sarebbe stato l'indiscusso vincitore. Così gli promisi che l'avrei accompagnato.


La Lepre Marzolina sussultò accanto ad Alice.
-Sta parlando di me.
Mormorò con voce rotta dalla commozione. E si asciugò il naso roseo sgocciolante sulla gonna di Alice.
-Che maleducato!
Esclamò Alice tirandogli un orecchio. La Lepre sghignazzò.
-Mi fai il solletico (anestetico, etico, patetico,...)!

Ma purtroppo quello fu un anno bisestile ed io non mi ero mai reso conto che il mio orologio non contemplasse il 29 febbraio. Fu così che andammo a palazzo il giorno prima, cioè 28 febbraio, e giustamente non trovammo nessuno. Ma quando Martin scoprì che per aver sbagliato di un giorno non aveva potuto partecipare alla gara, per la rabbia lanciò per terra l'orologio rompendolo irreparabilmente e poi impazzì del tutto. E nutriva la sua pazzia a forza di tè.
I suoi simili cominciarono a canzonarlo e a chiamarlo Leprotto Bisestile o Lepre Marzolina proprio a causa di quel famoso malinteso. E dato che io ero sempre insieme a lui e che a rigor di proverbio se si va insieme allo zoppo, si impara a zoppicare, in molti aggiunsero al mio ormai noto e abusato soprannome un altro aggettivo. A sentire la gente non era un attributo positivo, eppure io lo trovavo straordinariamente adeguato al semplice e banale nomignolo di Cappellaio. "Guardate! È arrivato il Cappellaio Matto!" dicevano. Io lo trovavo un appellativo musicale e regale quasi quanto un titolo nobiliare. E fu così che da Cappellaio, divenni Cappellaio Matto.  
  
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