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Autore: Colli58    19/10/2014    6 recensioni
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Richard Castle, Victoria Gates | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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La fortuna era dalla loro parte.
Castle sapeva di essere l’uomo giusto per la svolta sul caso e il suo sorriso sornione dopo aver decretato di essere il portafortuna della squadra era stato spento da un’occhiataccia da parte di Beckett, stemperata poi da una linguaccia beffeggiante.
“Ammettilo piccola, sono la tua dose di fortuna giornaliera!”
“Zitto Castle o quando saremo a casa troverò tempo e forza per torturati con il solletico…” Aveva replicato lei divertita. Un’arma che aveva scoperto da tempo: il solletico.
Castle lo soffriva ai piedi e lei sapeva come farlo capitolare. Alcune volte il sesso non era la sola arma di ricatto, anche se il più delle volte finivano col rotolarsi nel letto per ore.
Kate aveva scosso il capo cercando di concentrarsi sul lavoro.
Si erano quindi avvicinati con cautela all’omone fermo a guardarsi intorno sulla porta del locale.
Saul Porter, 28 anni, professione buttafuori per il locale Atlantis, era stato abbastanza disponibile nonostante fosse un po’ spaventato dalla novità. Castle e Beckett avevano affrontato il discorso con cautela, viste le dimensioni di costui si erano mossi con i piedi di piombo. Una reazione aggressiva da parte sua non li avrebbe visti in vantaggio nonostante fossero in due. La mole del ragazzo era notevole e li guardava teso dall’alto dei suoi quasi due metri. Comunque i loro sospetti su questo nuovo individuo erano solo una debolissima chiacchierata con un gossipparo di professione, oltre all’altezza e alle enormi mani che avrebbero potuto strangolare un uomo senza alcuno sforzo.
Certo poi Castle era ben lungi dal volere che Kate si mettesse a fare a botte con un individuo del genere. In confronto suonarle a Denver era una passeggiata.
L’uomo aveva comunque ammesso di essere quel Saul di cui aveva parlato Whittaca, il proprietario del Suprema, locale in cui lui e Keeler avevano passato alcune serate. Saul si era agitato molto dopo aver saputo della morte di Frederick. Raccontò di aver cercato lavoro al Suprema, senza successo, purtroppo non cercavano personale. Gli sarebbe piaciuto restare in quel posto, non solo per la presenza di Frederick ma anche perché il proprietario era un tipo più allegro e socievole di Viera, che al contrario era un vero rompipalle.
Non si oppose nemmeno al dover seguire i due al distretto, le sue parole avevano destato l’interesse di Beckett che voleva approfondire. Parlando della storia tra lui e Keeler era emerso di nuovo quell’aspetto manipolatorio da parte di elementi esterni, argomento che aveva già sollevato Whittaca. Lo scoprire che Robert, il fidanzato ufficiale della vittima, veniva regolarmente pagato da una delle finanziarie del padre di lui aveva reso quell’informazione veritiera e di particolare interesse.
Per fugare altri dubbi, Castle si era sbilanciato chiamando Ryan e invitandolo a richiamare il numero di telefono della vittima e di quello dell’ultima telefonata ricevuta. Ma il telefono di Saul era rimasto muto.
Beckett aveva restituito a Castle uno sguardo stupito, intuendo cosa aveva architettato il suo uomo.
Certo non era un test degno di valore, si sarebbe trattato di un mero colpo di fortuna se ci fosse stato un esito positivo poiché l’assassino poteva essersi liberato del cellulare di Keeler in qualche modo, tenerlo sarebbe valso un rischio troppo alto. Ryan aveva scoperto che il numero di telefono che aveva chiamato Keeler era di un cellulare usa e getta. La speranza di trovare un collegamento era scarsa, ma restava attiva la ricerca sulle celle a cui si era agganciato il telefono di Keeler nelle sue ultime ore di vita.
Castle aveva alzato le spalle con un sorriso da bambino. Un doveroso tentativo non nuoceva a nessuno.
Saul comunque poteva dare loro informazioni preziose sulla vera vita di Keeler almeno quanto Whittaca.
Esposito aveva fatto chiamare Robert e lo aveva fatto aspettare al dodicesimo il rientro di Beckett.
In macchina Saul era stato taciturno. Guardava la strada dal finestrino con aria afflitta, ma non aveva aggiunto una parola.
Beckett continuava a guidare in silenzio mentre Castle scambiava messaggi con Ryan.
Mostrò a Beckett l’ultimo arrivato.
“Robert è qui. E’ così teso che Beckett lo farà a pezzi in due minuti quando lo metterà sotto torchio.”
Kate rise e lui annuì. “Oh, non vedo l’ora di assistere…” Commentò Castle alzando le sopracciglia divertito.
Come al solito lui era galvanizzato dalle novità e si stava divertendo. Tutto sommato il tempo passato al distretto era stato molto ma lui non dava cenno di divertirsi meno in certe situazioni. Gli piaceva stare accanto a lei nella stanza degli interrogatori. Incalzare di domande sospettati e colpevoli. Scovare i punti deboli e le lacune nelle storie. Castle si divertiva, e anche lei quando i casi non li toccavano da vicino.
Però in quella situazione il pensiero di questo ragazzo e la sua solitudine non gli erano così indifferenti e il caso poteva rivelarsi un vero vaso di pandora nella vita di quelle persone. La famiglia Keeler si era data da fare per tenere gli occhi dell’opinione pubblica lontani dal proprio esuberante rampollo? L’idea folle di Castle si stava concretizzando in una realtà piuttosto amara. Ma non avevano per niente le idee chiare.

Quando guadagnarono l’ingresso del distretto, Saul avanzò accompagnato da Castle andandosi ad accomodare nella saletta per i colloqui informali e Beckett indicò ad Esposito di portare Robert nella sala interrogatori. Avrebbe dovuto loro alcune spiegazioni. Castle affidò la preziosa bottiglietta d’acqua a uno dei detective perché la portasse con urgenza alla scientifica per le analisi.
Robert passò quindi davanti a Saul mentre veniva scortato, ma i due parvero non conoscersi.
“Che ha fatto?” Chiese incuriosito Saul a Castle. Lui si girò sorpreso.
“Non lo conosce?” Saul negò. Scosse il capo e alzò le spalle. “Dovrei?”
“Forse sì. E’ il fidanzato di Frederick Keeler.” Rispose Beckett portando con sé alcuni fascicoli.
Il viso di Saul si fece scuro. La sua espressione dubbiosa lasciò poi spazio ad un gesto di negazione.
“Che importanza ha ormai…” Disse a bassa voce.
“Signor Porter potrebbe gentilmente compilare questi documenti. La raggiungerò tra poco.” Kate aveva giocato la carta burocrazia per prendere tempo e andare a torchiare Robert come si deve.
Uscì dalla stanza e Castle si alzò per seguirla, ma una volta fuori dalla saletta Kate lo fermò. “Parla con lui, cerca di capire come si è mosso con Keeler negli ultimi tempi. Fatti dire le ragioni della rottura, se c’era astio. Intanto faccio verificare il suo alibi.”
Castle sbuffò. “Volevo assistere…” Si lamentò spalancando gli occhi e mettendo su la sua infallibile espressione da tenerone, però Kate non si fece abbindolare.
“Stai qui, mi sei più utile.” Castle annuì.
La guardò allontanarsi e poi la richiamò.
“Kate?” Lei si voltò con aria interrogativa,
“Sicura?”  Lo fulminò con lo sguardo.
Entrò controvoglia, sedendosi davanti all’omone intento a scrivere.
Guardò con attenzione quelle grandi mani che sembravano ben curate. Non c’erano abrasioni o ferite di alcun genere e nemmeno altri segni. La stazza dell’uomo doveva essere un buon deterrente per evitare problemi, anche sulla porta di un locale. Ricordava le proprie mani dopo aver fatto a botte con Denver e non avevano certo quell’aspetto così sano. Rimuginò sul fatto che potesse portare guanti, ma riteneva la cosa non particolarmente comoda sebbene fattibile.
Saul sembrava non aver nulla da nascondere, era teso sì, ma non sembrava un’aria da colpevole, forse semplicemente non amava aver a che fare con la polizia. Magari aveva dei precedenti, Esposito lo avrebbe scoperto.
Castle cercò di trovare un appiglio.
“Quindi da quanto lei e Keeler avevate rotto?” L’uomo alzo gli occhi su di lui. “Saranno ormai cinque mesi.”
“Lei ha detto che qualcuno cercava di manipolare la sua vita. Che lo controllavano…”
“Già.”
“E’ accaduto qualcosa?” Chiese Castle con un tono amichevole e pieno di comprensione.
Saul smise di scrivere annuendo. Si prese qualche secondo per decidere da che parte iniziare.
“Mi hanno minacciato…” Disse piano. L’idea di raccontare quella storia non era nelle sue corde, ma Castle percepì la tua titubanza.
“Questa cosa potrebbe aiutarci a far chiarezza sul perché sia stato ucciso.” Castle cercò di farlo parlare.
Il ragazzo sospirò annuendo.
“Mi piaceva da matti Freddy. Era un tipo forte, divertente. Siamo stati insieme quattro mesi ma lui non raccontava molto di sé. E forse era la vera ragione per cui stavamo insieme. Nessuno dei due era un chiacchierone…” Prese a dire con calma.
“Diceva solo che la sua famiglia era un casino e che più ci stava alla larga e meglio stava. Non so nemmeno dove stessero di casa. Lui viveva all’università, non ci sono mai andato perché lui diceva che non era il posto adatto per incontrarsi.”
Castle si sporse sulla sedia. “L’hanno minacciata quando vi siete lasciati?”
“No, no. Le cose andavano bene, almeno io pensavo… Poi un giorno spunta un tizio…”
Mise le mani avanti deglutendo. “Uno di quelli che capisci che portano guai. Vestito di scuro, elegante. Gran macchina. Mi dice di salire e io non lo faccio, così scende lui e si avvicina. Mi mostra appena una pistola sotto la giacca e dice di volermi solo parlare…”
Castle annuì. “Con una pistola? Ovvio…” Sentenziò. Saul annuì allargando le mani.
“Beh, è quello che ho pensato anche io, così gli tiro un gancio prima che questo reagisca e mi do alla fuga, ma dal lato opposto della strada ne spunta un altro con una nove millimetri puntata contro di me e io mi fermo…” Aggiunse abbassando il capo. “Non era una bella situazione così ho pensato di diventare collaborativo. Ma al primo tizio ho lasciato il segno. Mi pesteranno, ho pensato.”
“E?” Lo incalzò Castle curioso.
“Ed invece volevano parlare di Freddy. Di cosa faceva e di dove andava. Mi hanno offerto dei soldi per fargli sapere tutto. Un bel gruzzolo, ma ho rifiutato. Gli ho detto che lo frequentavo da poco e che non era una storia seria.” Spiegò quindi abbassando la voce.
Castle lo guardò. Dalla sua espressione contrita forse aveva detto una bugia.
“Lo era? Una storia seria?” Chiese quindi dopo alcuni secondi di silenzio. Saul annuì. “Per me sì, ma Freddy… insomma… Non lo so. Quella cosa però mi ha spaventato e l’ho lasciato. Gli ho detto che quelle minacce non mi piacevano e io non volevo guai. Lui l’ha presa male. Mi ha cercato in continuazione, ma io… non volevo guai.” Ribadì alzando le mani.
Castle capì che Saul doveva avere avuto un passato difficile e il suo desiderio di non incappare in problemi doveva nascere da qualche disavventura.
“Ha qualche precedente che l’ha fatta desistere?” Chiese ma si appuntò che forse quella scelta di parole non era felicissima, non volendo accusare nessuno.
Anche perché era solo, in una stanza con un armadio a tre ante. Disarmato.
Fortunatamente per lui Saul alzò le spalle e disse solo: “vengo da una famiglia adottiva. Mio padre era un poco di buono, violento. Spacciava, beveva, picchiava mia madre. Fin da quando ero bambino c’era un andirivieni di sbirri per casa. Non ne voglio più sapere.” Spiegò con semplicità. Castle annuì.
“Pensa che quegli uomini fossero tirapiedi del padre?”
“Quando ho scoperto chi era suo padre l’ho pensato. Quando l’ho detto a Freddy non ha mai negato, ma non l’ha nemmeno ammesso. Quindi non so…” Commentò pensieroso.
“Ma lui che reazioni ha avuto quando gli ha detto dell’incontro con quei due?” Castle era curioso.
Saul alzò ancora le spalle. “Sembrava sapesse tutto. Mi ha detto che non me ne dovevo preoccupare. Gli ho chiesto cosa volevano da lui. Non ha voluto rispondermi e così ho lasciato perdere. Me ne sono andato e basta. Lo sapevo che era una montagna di guai quella.”
Castle si mosse sulla sedia. “Quindi non sa la vera ragione di quella raccolta di informazioni.”
Saul negò. “No, non la so.”
“Mai pensato di far denuncia?” La buttò lì ben sapendo quale fosse la risposta, del resto lui gliel’aveva già data fornendo spiegazioni sulla sua vita.
“Gente così comunque non si denuncia. Ti distruggono. Me ne sono andato per la mia strada e basta.”
Castle si appoggiò pensieroso alla sedia.
Potere e abuso, una bella accoppiata.
Un uomo potente che può minacciare, manipolare tanta di quella gente da diventare intoccabile. Un altro stronzo dai modi che conosceva bene, che aveva sulla coscienza la vita di qualcuno.
Fece un sospiro amaro. Per anni aveva vissuto in quello stato di cose fino a che non erano riusciti a spazzare via Bracken dal suo stallo di potere ed era costato molto. L’ombra di quello che aveva fatto non se ne sarebbe mai andata dalla vita di Kate, soprattutto a causa sua la loro famiglia doveva mantenere sempre una certa soglia di guardia.
Keeler senior era un vero aguzzino, ma contro di lui non c’era nessun sospetto o accusa. Avevano intimorito Saul, ma non lo avevano toccato. Certo credere che fosse arrivato ad uccidere il proprio figlio era un grosso azzardo, umorismo a parte. Ma dietro a tutto quello c’era proprio lui? Era tutto da provare.
“Li ha più rivisti?” Chiese infine.
“No, nessuno di loro.” Saul strinse le labbra. “Pensa che siano stati loro? Ad ucciderlo…”
Castle negò. “E presto per dirlo, ma non possiamo escluderlo.”
“In quel locale, l’Atlantis… Chi può entrare di notte?” Chiese infine Castle cambiando discorso.
“Il proprietario. Il gestore, Viera.  Altri buttafuori. Gli operai dei lavori…” Elencò portandosi le mani al viso.
“Un sacco di gente, e poi se vuole entrare davvero lo fa senza problemi.”  
Castle sbarrò gli occhi. “Questo non ci aiuta se si rivelasse essere quello il luogo del delitto.”   
L’espressione curiosa di Saul lo avvisò di aver detto troppo così si alzò. “Vuole un caffè mentre finisce di compilare quei documenti?” Disse con un sorriso di circostanza.

Esposito in piedi dietro a Beckett teneva le braccia conserte. La donna, con la testa china sui documenti, aspettava di far innervosire ulteriormente il suo interlocutore con alcuni minuti di silenzio.
Osservò di nuovo foto e dati e poi incrociò le dita delle mani piantando due occhi glaciali in quelli di Robert Randall.
“C’è qualcosa che non ci hai detto Robert? Riguardo alla tua relazione con Frederick e la sua famiglia…” Insinuò cercando di dare al ragazzo tempo per sputare il rospo in modo autonomo. Era stanca e affamata più del solito. Era tesa e quella faccia dalla pelle idratata più del fondoschiena di un bambino la stava infastidendo. Qualcosa in quel tipo troppo curato la irritava. Forse era solo perché aveva mentito, forse era per il fatto che aveva fatto il gioco sporco con una persona che si fidava di lui fingendo di amarlo? Magari era il solo pensare che aveva tradito la fiducia del suo compagno a schifarla.
Oppure era perché si era fatto comprare da un politico. Già forse era proprio quello a farla sentire così.
E per cosa si era venduto? Trattamenti di bellezza, vestiti? Peggio di una puttanella qualsiasi.
“Non ho fatto nulla di male…” Iniziò a dire.
“Spiegaci da dove vengono questi e perché.” Tagliò corto con un velo di ferocia in più nella voce.
“Perché suo padre ti paga?” Aggiunse mostrando un documento bancario.
Il ragazzo si mise una mano in fronte.
“Mi pagavano perché lo tenessi lontano da locali di Alphabet city. Volevano che la piantasse con quella doppia vita perché avrebbe screditato il padre di fronte alla città.” Iniziò a dire.
“Ma mai e poi mai mi hanno chiesto di torcere un capello a Frederick. Mai.” Aggiunse con un mezzo sorriso. Le lacrime agli occhi del ragazzo sembravano sincere, però non aveva ancora detto tutto.
“Hai mai avuto contatti diretti con Jefferson Keeler?”
Il ragazzo negò. “So che erano i suoi scagnozzi fin dall’inizio perché ho visto i gagliardetti della pubblicità elettorale nella loro macchina.
“Quindi non sai se è veramente il padre a pagarti?” Incalzò Beckett.
“Uno degli uomini con cui ho a che fare è il suo autista. L’ho visto spesso quando il vecchio veniva a trovarlo all’università. Non erano mai belle visite per Freddy. Comunque la spiegazione che mi avevano dato mi era già sembrata sufficiente...” Il suo sarcasmo fece sbuffare Esposito.
Kate sospirò guardando il collega attraverso l’immagine riflessa nello specchio davanti a lei.
“Ti hanno pagato prima o dopo aver conosciuto Frederick?”
“Appena ho iniziato a frequentarlo mi hanno avvicinato quei due e mi hanno fatto quella proposta. Ho accettato. Non mi sembrava di aver fatto nulla di male. Non ho ucciso io Freddy!” Esclamò.
Beckett annuì. Quello era vero, aveva un alibi e certo non avrebbe mai ucciso la sua gallina dalla uova d’oro.
“Ieri sera hai detto a qualcuno dove sarebbe andato? Come funzionava questo scambio di informazioni?” Lo incalzò Beckett. Qualcuno conosceva la sua posizione in casa Keeler, avevano mentito tutti in quella famiglia oppure solo il padre era al corrente di tutto?
Robert si passò di nuovo la mano sul viso. Non era del tutto fuori dai guai ma poteva aggravare la sua situazione se non vuotava il sacco.
“Ogni giorno io mandavo dei messaggi ad un numero. Era uno di quei due tipi. L’autista. Si chiama Zed. Non facevo molte domande, non era il caso. E ieri sera ho mandato questi messaggi. Allungò un cellulare e mostrò a Beckett il contatto telefonico a cui inviava informazioni. Beckett lo mostrò ad Esposito che si prese il telefono ed uscì. Avrebbe fatto cercare il numero e avrebbe approfittato nel far controllare tutto il telefono.
“Ti mostreremo delle fotografie, dovrai indicarci chi sono quei due.” Robert annuì. 
“Si sono mai veramente dichiarati come personale al servizio di Keeler?”
Il ragazzo scosse il capo. “Ce n’era forse bisogno?”
Forse quei due tizi erano stati gli ultimi a seguire il ragazzo, a vederlo vivo. Potevano essere stati testimoni di un omicidio, oppure erano implicati loro stessi? Il corpo era stato spostato, ma da chi? L’assassino? Gli angeli custodi di Frederick per depistare le indagini da un evento morboso? Se salvaguardavano l’immagine di Keeler non avrebbero lasciato il corpo in un posto discutibile, avrebbero potuto mettere in scena un malore in piscina. Una fine più credibile per un rampollo del jet set.
Qualcuno doveva sapere.
Robert sudava ora. Deglutiva e si agitava pensando alle probabili recriminazioni da parte di quella gente e Kate lo capì. Ma non era del tutto sicura di volerlo rincuorare davvero così disse con una certa freddezza:
“Faremo in modo che… non ti capiti nulla per la tua collaborazione.”
Raccolse quindi le carte sparse sul tavolo e le rimise con calma nella cartellina. Poi guardò di nuovo il ragazzo.
“Conosci l’uomo che c’era in corridoio poco fa?”
“Chi?” Chiese Robert sorpreso.
“Il ragazzo di colore. Lo conosci?” Beckett studiò con attenzione le reazioni dell’uomo che aveva di fronte.
“No.” Mormorò.
“Sicuro?” Il ragazzo annuì.
“Stavate insieme da quanto tu e lui? Cinque, sei mesi?” Incalzò.
Robert si mosse sulla sedia. “Meno, quattro e mezzo…”
“Freddy non ti ha mai parlato del suo ex?” Kate provò un certo piacere nell’infierire su di lui.
“Mai visto in uno dei locali frequentati da Frederick?” Aggiunse di fronte al suo silenzio.
Robert negò. “Non li frequentavo. Ci andava solo. Non sempre mi diceva dove andava a allora lo seguivo… Quando avevo scoperto dove andava io tornavo al dormitorio, comunicavo dov’era e basta.”
Lo sguardo fisso di Beckett su di lui non diede al ragazzo un attimo di tregua. La mente di Beckett era lanciata nel porre domande e analizzare la situazione.
“Ma sei stato pagato per tenerlo lontano dai locali, non mi sembra che tu ci sia minimamente riuscito…” Valutò con ironia.
“Ha, ha…” sbottò Robert. “Gliel’ho detto a quelli, non me lo diceva, non mi voleva con lui, quella era la sua seconda vita e io non ero contemplato. Mi hanno creduto e accettavano che io facessi da tramite per i suoi spostamenti. E poi non mi hanno mai dato così tanti soldi per fare di più.”
“Trenta denari sono bastati.” Sentenziò Beckett con ironia.
Lo aveva tradito per una cifra non certo cospicua.
La storia era debole, troppo debole per stare insieme. Il legame tra quei due era troppo superficiale.
Frederick poteva aver capito che Robert faceva il doppio gioco? Lo assecondava parzialmente per depistarlo oppure era all’oscuro di tutto? Troppe domande e nessuna risposta.
“Ti è mai sfiorata l’idea che ci fosse qualcosa di sbagliato in quello che facevi? Sia dal punto di vista umano, ma anche da punto di vista legale?” Il disprezzo nella voce di Beckett era vivido.
L’uomo non replicò.
“Provavi qualcosa per lui almeno?” Aggiunse quindi con altrettanto disprezzo.
“Certo io…”
“Allora perché non gli ha raccontato la verità? Perché non sei stato onesto con lui? Lo hai solo usato Robert. Spero solo che la cosa fosse reciproca.”
Beckett si alzò. “Resterai qui per altro tempo. Mettiti pure comodo.”
Il ragazzo annuì e poi si appoggiò allo schienale della sedia sbuffando.
Castle e Beckett si incontrarono sulla porta dell’ufficio.
Lui aveva raggiunto la postazione dietro al vetro a specchio e aveva assistito all’ultima fase dell’interrogatorio.
Aveva notato una certa veemenza in Kate, tipico di quando qualcosa la stava irritando. Come era successo anche a lui poco prima, quel caso li stava mettendo di fronte ad una storia spietata e li stava facendo riflettere allo stesso modo. La sua empatia nei confronti della vittima stava aumentando così come quella di lei, mentre il quadro si definiva in un unico reticolo di inganni e menzogne.
Frederick mentiva ai suoi e al suo ragazzo, il quale mentiva a lui. I suoi lo stavano monitorando? La sua vita era una menzogna agli occhi di tutti. E gli unici a sapere qualcosa di vero di lui erano uno strambo proprietario di night e un buttafuori. Gli unici che sembravano amarlo sul serio.
“Hai finito alla grande!” Disse lo scrittore. Il suo entusiasmo era smorzato solo dalla gentilezza del suo sguardo nei suoi confronti. Kate si permise di prenderlo per mano.
“E’ stato avvicinato da due uomini che gli hanno offerto denaro per spifferare loro i movimenti del ragazzo.” Disse Kate. “Sono scagnozzi del padre, ma non ha mai avuto contatti diretti con lui.”
“Anche Saul ha ricevuto la stessa offerta. Ma ha rifiutato.” Replicò Castle indicando la saletta con i ragazzo.
“Dice che non voleva guai. Quelli erano armati. Lui ne ha colpito uno in faccia, ma non hanno recriminato vendicandosi su di lui. Strano.” Aggiunse pensieroso.
“Che cosa ti ha detto?”
In breve Castle raccontò quanto gli era stato riferito da Saul. Raccontò della sua diffidenza e del perché non aveva voluto immischiarsi.
“Beh almeno lui ha avuto le palle ed il buon senso di non fare una carognata del genere.” Valutò Kate.
Castle annuì. “Credo che gli volesse bene davvero.”
“Mostriamo le foto dello staff di Keeler anche a Saul. Se va come penso le loro dichiarazioni collimeranno e dobbiamo quindi capire chi era al corrente della reale posizione di Frederick ieri sera.” Beckett si passò la mano sul viso. “Suo padre potrebbe aver mentito.”
Castle annuì. “Se lo pedinavano…” Mormorò lasciando ad intendere che aveva capito.
“Aspettiamo i risultati dell’acqua ora.” Kate non era del tutto convinta che quella fosse una possibile prova, però i colpi di fortuna erano più che graditi.

Esposito raccolse il fascicolo con le foto dello staff dei bodyguard e degli autisti di Keeler.
Ryan stava seduto alla propria scrivania cercando le informazioni telefoniche.
Esposito sbottò con un mezzo sorriso. “Quello stronzetto! Fa tanta scena e poi… si è pure lamentato che lo pagavano poco. Che giuda.”
“Addirittura! Ha recitato una sceneggiata stamattina…” Replicò Ryan sorpreso. “Ma c’è n’è uno in questa storia che la sta raccontando giusta?”
“Benvenuto alla omicidi!” Ryan rise.
“Bro, stasera dobbiamo andare a far domande al locale, mettiti in tiro biondino che quelli come te piacciono.” Ryan sbuffò.
“All’improvviso il latino è passato di moda? E poi sono sposato.” Replicò alzando la mano sinistra.
“Come se fosse una cosa che conta ai giorni nostri.” Esposito guardò l’amico attendendosi una replica ma l’uomo era assorto nella lettura.
“Ehi, Tori ci ha mandato i dati delle celle a cui si è agganciato il telefono di Keeler. Guarda…” Disse indicando il monitor.
La zona segnalata sulla carta di Alphabet city indicava che il cellulare non aveva ambiato area, era stato connesso alla stessa cella per tutto il tempo. Era arrivato e ci era rimasto. L’ultimo segnale era stato registrato alle 2 e 18 del mattino. Poi il telefono si era sganciato ed era andato offline.
“Qualcuno lo ha disattivato a quell’ora.” Aggiunse. Esposito osservò lo schermo pensieroso.
“Che sarà successo dalla mezzanotte alle due?” Se non ha lasciato Alphabet city può essere andato in un altro club…” Ribadì Ryan.
“Forza, mostriamo queste foto a quei due che poi dobbiamo muoverci.”

Kate si avviò verso la sua scrivania prendendo il pennarello per completare la timeline con quanto emerso.
Saul e Robert avevano riconosciuto i due uomini della scorta di Keeler.
Zed Orvak era il suo tuttofare nonché autista. Un uomo discutibile, con un passato non del tutto limpido. Proveniente dalla Serbia, si era fatto un nome per crudeltà durante la guerra e poi era scappato prima che le ritorsioni politiche lo annientassero.
Sbarcato negli States aveva trovato lavoro grazie alle sue doti di crudeltà. Negli ultimi quattro anni aveva lavorato per Keeler, ma a quanto pareva i suoi metodi non erano migliorati di molto.
I risultati sui telefoni non erano stati del tutto soddisfacenti, ma quella storia si stava rivelando una pista calda. L’indomani avrebbero dovuto interrogare di nuovo i genitori e Jefferson Keeler avrebbe dovuto dare qualche spiegazione in più.
Il contatto telefonico fornito da Robert era stato identificato come in numero di servizio di Zed Orvak ed il cerchio si chiudeva. Keeler, o quantomeno Orvak sapeva dove si trovava il ragazzo prima di morire.
Kate scrisse sulla lavagna l’orario della disconnessione del telefono dalla cella telefonica.
L’antenna copriva un raggio di circa 3 km non di più. La zona era quella.
“L’Atlantis è coperto dalla stessa cella?” Domandò Castle alle sue spalle.
Kate annuì. “Così pare…”
“Sai, Frederick doveva essere stato piuttosto preso da Saul se ha insistito per rivederlo, non voleva tagliare i ponti. Ma lui non si è fatto più trovare.” Valutò Castle avvicinandosi. “Era quindi questa la storia burrascosa di cui ci ha parlato Whittaca.”
“E’ probabile. Ma non capisco. Perché Keeler fa seguire suo figlio? Se sapeva di questa sua doppia vita perché semplicemente non chiedergli di smettere. O farlo allontanare dalla città.”
“Forse Frederick era deciso a non volerlo fare.” Replicò Castle.
“Il vecchio ha cercato di limitare i danni. Ma non lo hanno certo protetto da un omicidio…” Castle mise le mani in tasca pensieroso. “Lo hanno lasciato solo nel momento del bisogno.” Sottolineò con amarezza. Kate lo osservò.
Espirò rumorosamente e Castle la raggiunse sedendosi accanto a lei.
“A cosa serve la famiglia se cerca di ostacolarti, se cerca di cambiare ciò che sei. Che ti abbandona quando sei in pericolo o non ti aiuta quando sei in un brutto guaio?” Le prese una mano. La strinse con dolcezza e lei ricambiò. “Con tutti i casini che ho fatto io mia madre avrebbe dovuto abbandonarmi all’età di otto anni.” Sbottò sorpreso. Lei sorrise. “Castle non sono tutti aperti come Martha…”
“Forse lei lo è troppo.”
“Oh piantala. L’adori…” Kate gli diede un colpo con la spalla. Castle annuì “Già. Lo ammetto.”
Kate tornò seria ad osservare la lavagna. “Non sono tutti come te, come noi…”
Per quanto fosse stata sempre una sfida, essere sinceri tra loro, confrontarsi e aiutarsi anche in situazioni in cui le opinioni erano divergenti era stata una costante degli ultimi anni. E prima, quando molte cose tra loro non erano ancora state chiarite, quell’aiuto reciproco dato dal legame che si era instaurato tra loro non era mancato. Gli errori grossi li avevano fatti quando avevano preso strade diverse, allontanandosi in silenzio. Kate ripercorse con la mente alcune delle cose accadute. Castle c’era sempre stato, nel bene e nel male. E della sua vicinanza era grata ogni giorno come sapeva che anche per lui valeva la stessa cosa.
“So di ripetermi, ma se non ci foste voi, la mia famiglia, io sarei un uomo perso.” La guardò e sorrise con dolcezza. Per lei quella era una verità profonda. “Vale anche per me. Dove sarei ora se tu non ci fossi stato, se tu non avessi preso quella posizione accanto a me…” Citò volutamente quella frase. Quelle parole che avevano segnato la sua vita dal giorno della morte di Montgomery.
Castle sorrise guardando la lavagna e poi di nuovo lei. “Anche Frederick poteva avere qualcuno. Peccato che Saul si sia tirato indietro. Peccato perché mi sembra quello più sincero di tutti.”
Anche Kate la pensava così. Annuì. Si toccò il collo e mosse il capo ciondolando. Lo sentiva pesante come prima di un’influenza.
“Non chiedermi come sto Castle.” Fermò subito la domanda che stava per uscire dalla bocca di suo marito con un sorriso.
“Hai l’aria stanca, sei pallida da quando abbiamo lasciato il Suprema.” Mormorò Castle ricambiando con un sorriso disarmante. Lei espirò. “Ci devo fare l’abitudine no?” Disse quindi appoggiando la testa alla sua.
“Ma qualche abitudine dovrai cambiarla… tipo fare tardi qui.”
Kate si morse il labbro. Castle aveva ragione ma era ancora presto. Erano solo le diciannove e trenta e il caso aveva appena preso una piega interessante.
“Aspettiamo in risultati dell’acqua dalla scientifica. Ci dovrebbe voler poco tempo. Prendiamo i dati di Porter e poi ce ne andiamo a casa. Abbiamo solo da aspettare fino a domani per cercare i due uomini.
Ryan li raggiunse. “Che faccio con il tipo grosso nella saletta?”
“Lascialo andare e digli di tenersi a disposizione. Non credo proprio sia da mettere nei sospettati, ma potrebbe ancora esserci utile.”
L’irlandese annuì e li lasciò soli. Beckett era insolitamente stanca, cosa che rafforzava la sua tesi così si allontanò sorridendo.
“Scusate…” La Gates comparve dopo pochi minuti alle loro spalle e tossicchiò interrompendo quel momento di calma tra loro.
La donna sembrava sulle spine e Beckett si alzò per andarle incontro.
“So che non dovrei chiederlo a voi… ma… c’è stato un problema…” Castle si alzò seguendo Kate con stupore.
La Gates non era una così facile da mettere in imbarazzo, ma lo era sinceramente.
“Che tipo di guaio signore?”
La Gates espirò. “Un guaio di nome Denver.”
“Mi sembra di sentir parlare di quel dinosauro antropomorfo dei cartoni animati… Faceva un casino dietro l’altro, ma almeno era colorato e simpatico!”
“Signor Castle?” Lo richiamò la donna con uno sguardò di disappunto, ma non infierì. C’era qualcosa che evidentemente stava per chiedere loro perché Beckett era silenziosa e il capitano davvero troppo in imbarazzo.
“Che ha fatto?”
“E’ uscito con i ragazzi della squadra di Johnson per il caso di omicidio dello spacciatore. E’ finito in una zona rossa di spaccio e i ragazzi hanno cercato di farlo uscire. C’è stato segnalato un conflitto a fuoco e da allora non ci sono state più comunicazioni da parte loro. Sono irrintracciabili.”
Castle sbuffò. “Spero lo abbiano centrato!”
Kate gli diede una leggera gomitata in un fianco e lui si lamentò dolorante ripiegandosi di lato. “Ahi…”
Il capitano scambiò un’occhiata comprensiva con Beckett che annuì.
“Beh… so che siete gli ultimi a cui lo dovrei chiedere ma…”
Kate si voltò. Guardò Castle con serietà e lui smise di fare il pagliaccio.
“Quindi... per cena sparatoria tra spacciatori e poliziotti?” Mormorò un po’ teso.
“Pensavo che l’azione ti piacesse…” Rispose lei incrociando i suoi occhi. L’umorismo aiutava ma capiva cosa stava passando nella mente di Castle. Lo sapeva e sperava che lui capisse.
Lui si avvicinò. “Beh, sì. Però per stasera mi era già fatto un film che prevedeva la tua pelle morbida avvolta da una soffice schiuma…”
La Gates si sentì per un attimo di troppo vedendo Castle avvicinarsi alla moglie.
Kate sorrise e lui fece scorrere un dito sul suo braccio. Non era felice di quella decisione che li metteva in pericolo. Ma non poteva negare che Johnson e la sua squadra erano degli amici e avevano fatto parte di tante squadre che erano accorse in loro aiuto nei momenti difficili. Era il minimo ricambiare il favore.
“Starai molto attenta ok?” Mormorò. Stemperò la tensione con un sorriso dolce e pieno di comprensione.
Kate annuì con lentezza. Aveva letto la paura nei suoi occhi ma anche la sua determinazione. In ogni caso la sua resa gli era costata ma aveva capito.
Loro non erano come Denver. Il dodicesimo era una famiglia e lui ne faceva parte.
“Tu verrai con me. Come sempre.” Sorrise voltandosi verso la Gates.
“Lo facciamo per Johnson e i ragazzi.”
Il capitano sorrise compiaciuta osservando quello cambio con imbarazzo e attenzione. Era la sua miglior detective e sapeva anche il perché. E non l’aveva delusa. Ma da donna in quel momento un po’ le dispiacque doverla mettere in una situazione difficile. Però loro erano poliziotti e quella era la loro strada. Sperò di non doversi pentire della sua scelta.
“Contavo sulla vostra partecipazione.” Disse quindi con soddisfazione. Si mise le mani sui fianchi.
“Chiamate Esposito e Ryan, voi guiderete la squadra di recupero. E non vi preoccupate… se Denver torna vivo… lo finisco io.”
Kate, ridendo, si mosse per andare a prepararsi.
La Gates le si avvicinò. “Quando torna, l’aspetto nel mio ufficio per una chiacchierata…” Concluse con un sorriso benevolo quindi se ne andò a preparare il resto della sortita.
Kate deglutì spostando lo sguardo su Castle che replicò strabuzzando gli occhi sorpreso.
“Oh!” Disse soltanto.
Iron Gates non era solo d’acciaio, aveva sviluppato anche qualche altro senso.
Castle ne era più che convinto.

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Rieccomi! Si lo so, ho la tempistica un po' sballata ma purtroppo il lavoro non è affatto migliorato lasciandomi poco tempo per l'immaginazione creativa, chiamiamola così.
Vediamo le indagini progredire, ed i nostri Caskett interagire presi da piccoli confronti e da pensieri. Eh già, le cose stanno un po' cambiando sotto gli occhi attenti di amici e colleghi...
 

  
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