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Autore: Aru_chan98    20/10/2014    2 recensioni
Quale prezzo si è disposti a pagare per diventare padre? Arthur è solo un giovane universitario che sogna di diventare padre in una società distopica in cui anche una cosa bella come un figlio è negata a chi non possiede un particolare DNA. Ma un incontro cambierà la sua vita e il suo destino per sempre.
Tratto dal testo:
"Adoravo le storie che tuo nonno raccontava sulla sua infanzia. Tutte quelle storie sul correre nei prati, giocare con gli animali e gli altri bambini. Per non parlare poi del poter avere una famiglia come e quando si voleva. Sarebbe stato bellissimo se tutto questo fosse durato fino ad oggi..." disse Francis, passando da un tono sognante ad uno che non tradiva una nota di amarezza. Ormai, nella loro società bisognava avere una dote speciale a livello genetico per avere una prole.
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Era la notte della vigilia della realizzazione del fatidico piano. Avevano fatto tutti i preparativi necessari e avevano pure stabilito il punto d’incontro: le porte della città alle undici di notte del giorno seguente. Sarebbero fuggiti col favore delle tenebre. Quella notte né Arthur né Alfred avevano molto sonno: i due erano svegli nonostante l’ora tarda, abbracciati l’uno all’altro, sotto le leggere coperte verde giada del loro letto. “Riesci a crederci? Domani finalmente saremo tutti liberi” disse Alfred con eccitamento, “In realtà fatico un po’. In fondo, avrei un solo rimpianto” gli rispose l’inglese. “Un rimpianto? Di che stai parlando?” gli chiese l’altro, alzando leggermente la testa dal braccio che aveva dietro di essa. “Beh, alla fine tutti avranno ciò che più desiderano: Francis riavrà suo figlio, Kiku potrà leggere tutti i libri che vuole e tu potrai finalmente vivere come un ragazzo. Ma sai, il mio più grande sogno, altre a poter stare con te fino alla fine dei miei giorni, è poter avere un bambino. Ma come ben sai, non è possibile” gli rispose Arthur, con la testa appoggiata tra la spalla e il petto del compagno. L’americano gli accarezzò i capelli e alla fine disse “E… se un modo esistesse?”. Arthur sgranò gli occhi per poi dire, con la gola quasi secca “C-cosa?”. Non credeva alle sue orecchie: un modo per poter eludere i controlli nonostante tutto? Però, quando la tempesta che quelle parole avevano causato in lui si placò, una consapevolezza lo attraversò. “A-aspetta però a dirmi il come. Se ci penso mi viene da sorridere per la felicità, però… nonostante tutto mi sono reso conto che se quel bambino fosse solo figlio mio, ottenuto tramite una portatrice, non mi andrebbe bene” “Cosa intendi?” gli chiese l’americano, con aria dubbiosa. Arthur arrossì fino alla punta dei capelli prima di dire “P-perché… p-perché voglio che sia il figlio di entrambi. Il nostro bambino, non il mio o il tuo. Cioè, so che è impossibile, ma sarebbe davvero bello se potesse essere così” “Appunto, e se ti dicessi che questo tuo desiderio potrebbe realizzarsi?” gli disse Alfred, alche Arthur gli chiese di spiegarsi. “Sai che il mio DNA è completamente mutabile, no? Beh, dopo aver letto la lettera di tuo nonno ho cominciato a farmi alcune domande e alla fine mi è venuta in mente una soluzione. Però, per potersi realizzare ho bisogno dell’aiuto di Kiku” “Cosa intendi dire?” “Intendo che, potremmo usare una soluzione che potrebbe essere definita fuori dagli schemi. Se prendessimo una della mie cellule riproduttive maschili e ne cambiassimo il codice genetico per farla diventare femminile il tuo desiderio potrebbe davvero realizzarsi”. Arthur rimase senza parole: quella soluzione gli sembrava davvero assurda, quasi impossibile, ma voleva credere alle parole del suo ragazzo. “Ma- ma come intendi fare? Anche ammesso che fosse possibile, un bambino ha bisogno di nove mesi in una donna per potersi sviluppare come si deve. Noi non potremo avere a disposizione una portatrice prima di tutto, secondo, non esistono incubatrici così potenti da permettere ad un feto di vivere e crescere in un ambiente artificiale. E se anche ci fosse, noi domani notte ce ne andremo, quindi sarà comunque inutile” disse Arthur, dando voce a tutti i suoi dubbi, ma si bloccò quando vide una strana luce negli occhi dell’altro, uguale a quella di Francis quando aveva dei piani infallibili in mente. “Andiamo allo studio di Kiku, domani all’alba. Ti spiegheremo tutto noi. Fidati di me, voglio riuscire a realizzare il tuo desiderio come regalo di ringraziamento per tutto quello che stai facendo per noi” gli disse convinto l’americano. Arthur gli si avvicinò per posargli un bacio leggero sulle labbra dicendo “Va bene, mi fido di te my hero”.


All’alba del giorno dopo, i due si svegliarono con uno strano senso d’ansia per ciò che quella giornata avrebbe portato loro. Si prepararono per uscire in fretta e si diressero da Kiku senza fare colazione. Alfred avvertì Kiku che stavano arrivando tramite un sms scritto in codice. Il giapponese li fece entrare da una porta nascosta nota solo al personale interno: a causa dell’orario la maggior parte delle telecamere erano spente o impostate per registrare solo rumori e non immagini, così, i tre dovettero fare attenzione a camminare in silenzio fino allo studio di Kiku, la cui telecamera si era “misteriosamente” rotta il giorno prima. “Qui dovremmo essere al sicuro da orecchie indiscrete” disse il giapponese, chiudendo la porta col minimo rumore possibile. “Adesso che siamo qui, potreste spiegarmi quale sarebbe esattamente il vostro piano?” chiese loro Arthur con un filo d’impazienza. “Devi sapere che il padre di Alfred ha lasciato davvero alcuni documenti importanti qui, solo che è stato abbastanza abile da nasconderli. Infatti noi abbiamo trovato i suddetti fogli sotto una tegola del pavimento del suo ex ufficio. Al suo interno c’erano scritte alcuni suoi progetti su delle cose che potrebbero rivoluzionare questo mondo” “Che tipo di progetti?” chiese l'inglese “Se stessimo a spiegarteli tutti perderemmo tempo, che è già molto limitato” s’intromise Alfred. “Comunque, in alcuni dei suoi appunti è riportato un pezzo di una sua conversazione avuta con un vecchio amico di famiglia. Dice che questo altro scienziato avesse avuto un sogno la notte dopo che il nipote era nato e che quindi lo aveva aiutato ad elaborare alcune tesi interessanti che riguardano la modifica del DNA “dell’umano perfetto” a scopo riproduttivo e a come mantenere il feto anche senza una portatrice. Abbiamo deciso di portare via con noi questi documenti e di distruggerli perché, se finiti in mani sbagliate, potrebbero condannare per sempre tutti noi” riprese Kiku “Ho capito. Va bene, non chiederò altro. Cosa devo fare?” disse infine Arthur. Kiku gli spiegò con cura cosa pretendeva la procedura, stando attento a non farlo imbarazzare, anche perché era un argomento alquanto imbarazzante per chiunque. Ma anche dopo tutta la spiegazione, sia Arthur che Alfred si scambiarono uno sguardo carico di parole per farsi coraggio e lasciarono che il giapponese facesse il suo lavoro. La parte che richiese più tempo ed impegno da parte sua fu cambiare il codice genetico, controllando che fosse stabile e senza errori. Per tutto il tempo, i due amanti si tennero la mano attraverso la tenda che li separava, per farsi coraggio e ricordarsi che sarebbe andato tutto bene. Quando ebbero finito tutte le procedure e gli accertamenti, Kiku disse loro che non c’era niente di cui preoccuparsi, ma che per questioni di comodità e per non dare nell’occhio, era meglio se recuperavano “l’esperimento” poco prima della fuga: prima di allora se ne sarebbe preso cura lui. Ma nonostante tutto Arthur non poteva fare a meno di sentirsi teso. Durante la giornata entrambi fecero i “preparativi” per la loro partenza: entrambi si licenziarono dal loro lavoro, dando come spiegazione che la loro vita privata stava prendendo più tempo del previsto. Arthur passò il suo ultimo giorno di università tra le lacrime delle sue compagne di corso e il dispiacere di professori e amici. Aveva fatto domanda di rinuncia agli studi e quelli erano i suoi ultimi giorni di scuola. Anche Francis si era ritirato e anche lui fu sommerso di gente che lo salutava. Ritornando a casa, l’inglese trovò il suo compagno, che lo aspettava al tavolo della cucina, apparecchiato con due piatti ancora caldi del piatto preferito del britannico. Arthur si stupì, visto che di solito cucinava lui, tranne quando l’altro non si portava dietro del cibo precotto o simili. “Essendo il nostro ultimo giorno qui, pensavo di trattare la cosa come un’occasione speciale” si giustificò l’americano. Nel pomeriggio i due prepararono le valigie con la massima cura possibile e pulirono l’appartamento. La sera controllarono di aver preparato tutto e Arthur volle uscire a fare un giro della città per vederla un’ultima volta. Avrebbe davvero voluto che Alfred non dovesse vestirsi da ragazza per quell’ultima uscita, ma non potevano farsi scoprire proprio mentre erano ad un passo dalla riuscita del loro sudato piano. Girarono tutta la città passando per i loro posti preferiti, tenendosi per mano per tutto il tempo, senza dare importanza al luogo in cui erano, come a voler dare alla città un tacito segno del loro amore. La loro ultima meta fu il caffè della loro prima uscita insieme e,proprio come l’ultima volta, si sedettero al tavolo più vicino alla ringhiera del balcone. “Posso farti una domanda Al?” chiese l’inglese da dietro la sua tazza di the. “Dimmi pure” gli rispose l’americano con una punta di curiosità “Come mai mi hai portato qui quel pomeriggio?” “Perché venivo qui fin da ragazzino ogni volta che ero triste o agitato. Il paesaggio mi calmava sempre, ma ho sempre pensato che se ci fossero stati degli animali sarebbe stato ancora più bello. Ti ci ho portato perché prima di tutto eri triste, secondo perché volevo condividere con te il posto che preferisco di più in assoluto di tutta la città” disse Alfred, prendendo una delle mani che l’altro aveva sul tavolo e accarezzandola col pollice. Rimasero a guardarsi negli occhi ancora per un po’, prima che il cameriere robot li interrompesse, posando davanti all’americano un piatto pieno di ciambelle e una tazza di caffè nero caldo, che spargeva una gradevole fragranza nell’aria circostante. Il tramonto che faceva da cornice al loro piccolo momento privato era splendido, forse uno dei più belli che entrambi avessero mai visto. Incredibilmente, Arthur propose al compagno di mangiare al suo ristorante preferito quella sera. “Ma Arthur, non dici sempre che quelle sono solo schifezze?” chiese confuso l’americano “Si, ma… stasera è speciale no?” gli rispose tutto timido l’inglese. Passarono una serata stupenda, per poi tornare a casa stanchi. Si cambiarono mettendosi i vestiti che avrebbero usato per il viaggio e si sdraiarono sul letto della loro camera da letto, sopra le coperte, uno tra le braccia dell’altro, chiacchierando per cercare di tenere lontana l’ansia crescente che stava in loro. Poco prima dell’ora fatidica, i due ricevettero un sms da Kiku, dicendo loro di passare in laboratorio per poi dirigersi al punto di ritrovo dove Francis li aspettava. Presero i loro bagagli e uscirono dall’appartamento. Gli occhi di Arthur si riempirono di lacrime non appena girò la chiave per chiudere la porta una volta per sempre: nonostante tutto, quella era sempre la casa in cui aveva vissuto per tanto tempo, in cui aveva abitato con suo nonno, nel quale lui e Alfred avevano fatto l’amore per la prima volta. Era un posto molto speciale per lui e lo sarebbe sempre stato. Afferrò la mano che il suo compagno gli tendeva, finalmente libero di non dover sembrare una donna e si diressero verso il luogo dell’incontro con Kiku. Furtivi come gatti, si avvicinarono all’edificio e si misero ad aspettare il complice vicino all’entrata segreta. Kiku comparve sulla porta pochi minuti dopo, trasportando con sé un oggetto avvolto da un telo nero e un fagotto che si dimenava leggermente. “Cosa c’è lì sotto?” gli chiesero i ragazzi, ma Kiku li liquidò dicendo loro che non era il momento adatto per dare spiegazioni. I tre salirono sulla macchina del giapponese e si diressero al punto di ritrovo per raccogliere il francese e tentare di fuggire. “Allora, hai quello che ti ho chiesto?” chiese Francis a Kiku “Si. Ecco la planimetria dei confini della città”. I quattro la studiarono bene e decisero che la porta ad est era quella meno sorvegliata. Arrivarono nei pressi di quell’uscita nel giro di un’ora ma la trovarono ben sorvegliata: c’erano almeno 8 soldati armati di fucili con puntatori al laser a guardia del piccolo cancello che li separava dalla libertà. Armandosi di coraggio, diedero il via al piano. Kiku tirò fuori il suo fidato computer portatile e si mise ad hackerare (con grande successo) le telecamere di sicurezza e i sensori di movimento che si trovavano nella zona. Alfred si occupò di acciuffare una delle guardie che si erano allontanate delle altre (dopo aver ricevuto una falsa segnalazione da Francis, in merito ad un intruso all’interno del perimetro) e, dopo avergli dato una bella lezione, si sostituì a lui. Una volta lì, con uno stratagemma ben architettato, fece allontanare le guardie dalla porta, per poi dare ai suoi compagni il segnale per procedere. I quattro coraggiosi ragazzi attraversarono di corsa il varco, ma il fagotto che Kiku aveva portato si mise a piangere, attirando purtroppo l’attenzione delle guardie, che cominciarono ad inseguirli. Kiku guidava più veloce che poteva, cercando di seguire il tracciato di strade ormai abbandonate da tempo, nel tentativo di seminare i loro inseguitori, che sembravano non voler mollare la presa. In più, a complicare ulteriormente la situazione, le guardie si misero a sparare contro la jeep nera, così Arthur fu costretto a ribattere col fucile che avevano preso alla guardia svenuta. Stavano andando molto bene, ormai li stavano distanziando quando Kiku cominciò a sterzare bruscamente: un proiettile era riuscito a bucare una delle loro ruote, facendogli perdere velocità. Nell’impatto, il pc del giapponese volò fuori dal finestrino. Fortunatamente, l’inglese riuscì a prendere le ruote delle macchina degli inseguitori, che furono costretti a fermarsi. “Kuso!” esclamò Kiku, accorgendosi della scomparsa del suo portatile, una volta che si fermarono a distanza sufficiente da considerarsi fuori pericolo. Si erano fermati per sostituire la ruota danneggiata e assicurarsi che la macchina non avesse subito altri danni. “Cos’è successo Kiku?” chiese preoccupato Francis. “Ho perso il mio portatile. Maledizione, è probabile che lo abbiano trovato quei maledetti” rispose Kiku. Ripartirono in fretta, soprattutto perché il giapponese disse loro che il loro tempo era agli sgoccioli. Si diressero verso la costa ad est del continente, proprio dove la mappa segnava la posizione del laboratorio del nonno di Arthur. Una volta lì, scesero dalla jeep, Kiku col misterioso oggetto e il fagotto, mentre l’inglese apriva la porta e lasciava che gli altri entrassero. “Non pensi sia tempo di spiegazioni Kiku?” disse Alfred. Il giapponese annuì e si diresse verso il francese. “Congratulazioni amico mio, è proprio un piccolo sano” gli disse, porgendogli il fagotto nero, che si rivelò contenere il figlioletto del francese, che dormiva beato. Francis non la smetteva di piangere dalla gioia di riavere suo figlio, lo strinse forte al petto, rischiando di bagnare anche lui con le sue lacrime. Gli altri poterono che sorridere alla scena e i due amanti si presero persino per mano. “Quanto a voi due…” cominciò il giapponese, prendendo a due mani l’oggetto avvolto dal telo nero. I due gli prestarono completa attenzione mentre l’amico toglieva il telo. Sotto di esso c’era una strana scatola metallica con delle fialette e un misuratore di temperatura attaccati, di forma rettangolare e di color grigio metallico.
 
“Che cos’è questa cosa Kiku?” chiese Arthur, mentre sia lui che il suo compagno ricevevano l’oggetto dalle mani del giapponese. “Avevo promesso delle spiegazioni, no? Negli appunti del padre di Alfred abbiamo trovato dei progetti per costruire un’incubatrice che potesse garantire la sopravvivenza ad un feto anche in un ambiente artificiale. Mi ci sono volute due settimane per costruirla e proprio perché era un progetto complesso sia io e Alfred abbiamo deciso di non dirti niente finché non ci fossimo accertati che la macchina fosse pienamente funzionante. Penso che sia andato tutto bene, l’embrione è stabile ed ha sia nutrimento che calore sufficiente per sopravvivere per tre settimane abbondanti. Se nascerà o meno, sta solo alla fortuna, ma vi auguro di poter diventare papà” disse loro lo scienziato, felice per averli potuti aiutare. Arthur quasi non voleva tenere quella scatola per paura di farla cadere per l’emozione. Era al settimo cielo. Dopo che si furono riposati un momento, ripresero con la seconda parte del piano: la partenza dei due innamorati. L’aereo era davvero un vecchio macinino militare, ma era conservato così bene che farlo partire non richiese molta fatica. “Che cosa farete adesso” chiese Alfred agli altri due suoi amici. “Beh, nessuno di noi due può tornare in città ormai: Francis ha riottenuto Matthew, che era un prezioso soggetto per la loro ricerca se non proprio quello determinante per scoprire come creare in laboratorio “l’umano perfetto”. Se tornasse lo ucciderebbero. Nemmeno io posso più tornare: anche ammesso che riuscissi ad eludere le guardie di un settore qualunque, quelle guardie avranno sicuramente recuperato il mio pc. Che anche se incredibilmente danneggiato, può sempre essere usato per risalire a me. Penso che rimanere qui sia la nostra unica scelta. Però mi sembra un posto molto pulito per essere abbandonato” disse Kiku, “Beh, il nonno era leggermente fissato con le pulizie. Non mi stupirei se fosse venuto qui senza dirmi nulla o avesse programmato qualche macchinario per tenere tutto in ordine e fornire viveri e acqua. Essendo uno stakanovista credo che ci passasse un sacco di tempo qui dentro, quindi non dovreste avere molti problemi” gli rispose Arthur. I due si prepararono per il viaggio, portandosi con loro due taniche di benzina per ogni evenienza, un po’ di provviste, sistemarono la piccola incubatrice i modo che non potesse assolutamente cadere e si misero gli zaini in spalla, pronti a partire. Alfred strinse calorosamente la mano ai due soci, con un sorriso splendente, ringraziandoli per tutto mentre Arthur non poté fare a meno di scoppiare in lacrime, ringraziando di cuore Kiku e abbracciando più forte che poteva il francese. “Mi mancherai da morire old chap” gli disse, alche il francese, sorridendo tra le lacrime gli disse “Sono sicuro che ci rivedremo. Mattie deve ancora chiamarti zio infondo e non vedo l’ora di sentire il tuo bambino chiamarti papà e chiamarmi zio a sua volta”. Dopodiché, sia Kiku che Francis, rimasero a salutare i due ragazzi, mentre l’aereo cominciava ad avanzare. “Ah, Kiku. Un’ultima cosa!” urlò l’inglese per sovrastare il suono del motore dell’aereo. Lanciò al giapponese una chiave verde e una di bronzo urlando “La verde è quella della biblioteca mentre quella di bronzo è di tutto il laboratorio e le sue funzioni e meccanismi! Fatene buon uso e buona fortuna!”. Infine, l’aereo accelerò per poi staccarsi da terra e dirigersi sempre più in su nel cielo, diretto verso est, verso la misteriosa seconda città.


L’aereo era ormai a secco di carburante, ma per fortuna i due avvistarono terra in fretta. Riuscirono ad atterrare con un po’ di fortuna, ma completamente indenni. I due presero le loro cose e si affrettarono a raggiungere la città che era segnata sulla mappa. Impiegarono un giorno intero di cammino ed arrivarono che erano esausti. Vennero accolti da alcune persone che sembrava non parlassero la loro lingua. Arthur prese la lettera di suo nonno e la consegnò ad una delle persone che li stavano osservando. Questo aprì la busta e dopo averne letto parzialmente il contenuto, sparì tra la folla, chiamando qualcuno probabilmente. I due ragazzi si reggevano a malapena in piedi, provati dai precedenti due giorni in cui non avevano chiuso occhio per arrivare più in fretta alla meta. Alla fine, la folla si divise in due e un anziano con un pappagallo su una spalla si avvicinò loro. I due si stupirono più alla vista dell’animale che dell’uomo: avevano visto i pappagalli solo nei libri di biologia. “Chi voi essere?” chiese loro l’anziano “E perché voi essere qui a Terenzi con lettera di buon vecchio Alibert?”. Arthur aprì la bocca per parlare, ma il suo compagno fu più veloce di lui. “Io non so se voi avete letto la lettera di Alibert, ma questo ragazzo è suo nipote, Arthur Kirkland. Siamo scappati da Darfel perché in grande pericolo. Noi siamo una coppia. Ma vi prego, prima di interrogarci, aiutateci. Il feto del nostro bambino sta morendo. So che voi siete svegli come i nostri scienziati, quindi vi prego aiutateci”. “Se voi rispondere a nostre domande dopo, io promette che mia gente aiuta voi”  disse l’anziano, dopo averci riflettuto un po’ su. Entrambi i due ragazzi annuirono vigorosamente e giurarono sul loro onore. Allora, il vecchio diede qualche ordine nella sua lingua e degli uomini aiutarono i due ragazzi a reggersi in piedi e uno di loro prese la piccola incubatrice per portarla dove il piccolo feto sicuramente sarebbe stato al sicuro. I due ragazzi volevano fidarsi di quella gente. Appena il loro bambino fu in salvo, entrambi cedettero e svennero per la fatica e la stanchezza. Tre giorni dopo, riaprirono gli occhi in un ambiente bianco che puzzava di medicinali. “Un ospedale eh” pensò l’inglese, tirandosi su a sedere, per poi cercare con lo sguardo il suo amato. Lo trovò in piedi vicino alla finestra, intento a chiacchierare con un piccolo passerotto che si faceva accarezzare con piacere. “Sai vero che nelle storie è la principessa che parla agli animali, non il principe” lo prese in giro, sorprendendolo con un abbraccio da dietro. “Vedo che ti sei finalmente svegliato my love. Come stai?” gli chiese l’americano, avvolgendolo in un abbraccio prima di baciarlo con dolcezza. “Mai stato meglio. Questo posto sembra davvero meraviglioso” gli rispose, per poi stupirsi nel guardare il magnifico scenario che si spandeva davanti ai suoi occhi: Un’intera metropoli completamente in simbiosi con la natura. Pieno zeppo di alberi e animali di ogni sorta. Era una delle cose più belle che Arthur avesse mai visto. Il piccolo passerotto sembrò dispiaciuto che l’americano avesse smesso di fargli le coccole, così provò a fargliele l’inglese. Le piume dell’uccellino erano davvero piacevoli al tatto. L’americano rimaneva abbracciato al compagno, anche se quest’ultimo si era girato dandogli le spalle. Alfred affondo il volto nell’incavo tra il collo e la spalla del suo amato e assaporò il profumo della sua pelle e dei suoi morbidi capelli color del grano. Erano finalmente liberi e quella sensazione, la sensazione di non essere più un animale in gabbia gli stava dando alla testa: ora che non doveva più provare paura o preoccupazione, il suo cuore era libero di riempirsi completamente dell’amore che provava per Arthur. Avrebbe voluto farlo suo nuovamente su quel letto d’ospedale, ma un’infermiera entrò nella loro stanza, per poi uscire a chiamare qualcuno, tutta rossa in viso. I due ebbero a malapena il tempo di ricomporsi (anche se continuavano a tenersi per mano) prima che l’anziano che avevano visto all’inizio entrasse. “Allora ragazzi? Come voi sentire oggi?” “Molto meglio, grazie signor…?” chiese l’inglese. “Voi potere chiamare me Ian. Vecchio Alibert spiegato me alcune cose in sua lettera, anche se io conoscere lui da molto tempo io continuo a essere stupito quando lui prevede cose in sogno” rispose il vecchio, ridendo giovialmente. Il vecchio Ian li mise a loro agio e li spinse a raccontagli la loro storia con cura. I due ragazzi allora si misero a spiegare tutto, sia perché erano scappati, sia perché erano in pericolo, sia chi li aveva aiutati, sia come si erano conosciuti. Alla fine della storia Ian fece loro un grande sorriso e disse loro “Se voi non essere come malvagi capi di Darfel che vuole noi come schiavi, allora Terenzi da voi suo benvenuto. Prometto che mi prenderò cura di voi. Voi imparerete nostra lingua e io aiutare voi a cercare una bella casa. Riguardo a vostro bambino… Voi stare tranquilli. Lui essere al sicuro. Tu avere avuto ragione Alfred, nostra tecnologia molto buona, così noi potere mantenere vostro feto in vita fino a nascita”. I due espressero la loro gratitudine, che era più grande di quello che l’anziano potesse immaginare.

Dopo essere stati dimessi dall’ospedale, i due ragazzi vennero aiutati da Ian nel trovare una casa accogliente e ne trovarono una davvero bella: Era molto grande, con ben due stanze enormi da letto, un soggiorno ben arredato, una bella cucina e un giardino magnificamente verde. Decisero di comune accordo che avrebbero vissuto bene lì, anche quando sarebbero finalmente diventati in tre. In pochi giorni in cui erano stati lì si erano accorti che quella città e la gente che ci viveva era straordinaria: c’era un libertà incredibile. La gente era gentilissima ed educata, la criminalità quasi inesistente. Vivevano in totale comunione con la natura e gli animali, cosa che sembrò loro una cosa al limite della fantascienza. Erano anche incredibilmente avanzati in fatto di tecnologia e le malattie mortali non esistevano da loro. La prima notte che trascorsero in quella notte fu la più carica di eccitazione per loro: senza dover più pensare a niente, erano liberi di amarsi, anche nella società. Infatti, una delle particolarità che l’anziano aveva detto loro, era che le coppie dello stesso sesso erano apprezzate e avevano gli stessi diritti di quelle normali e che tutti erano liberi di creare una famiglia a loro piacimento. “Avresti mai immaginato che saremmo riusciti a raggiungere questo posto?” chiese Alfred, prendendo fiato dopo un lungo bacio passionale. “No, nemmeno nei miei sogni più belli my darling” gli rispose Arthur, per poi attirarlo a sé abbracciando il suo corpo nudo. Era la loro prima notte di vero amore in quella casa e non poterono non sorridere quando l’alba salì, illuminando i loro volti pieni di gioia e stanchezza per la notte insonne e stancante. Ma quello non fu solo il primo giorno in quella casa, fu il loro nuovo giorno della loro nuova vita insieme.


Piccolo Angolo dell'Autrice:
Ed eccomi di nuovo qui, stavolta più in fretta delle ultime volte. Devo dire che questo capitolo dovrebbe essere una specie di finale vero vero di tutta la storia, quindi il prossimo capitolo sarà una specie di "Cosa accade dopo la fine", ma che comunque rimane molto importante ai fini della trama ;) Scrivere questo capitolo è stato leggermente più facile di quelli iniziali, forse perchè volte scene le avevo immaginate da un bel pò. Spero si stato scritto bene e che sia piaciuto (Per chi non avesse una buona infarinatura di giapponese, il "kuso" usato da Giappone, qui viene usato per dire "Merda")
   
 
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