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Autore: Cara Jaime    20/10/2014    0 recensioni
I lunghi e lisci capelli neri fluttuavano nella brezza del mattino. L’esile figura di nero vestita si stagliava sullo sfondo dai contorni nebbiosi e vaghi della Zona Grigia. Wishcast, per gli amici Wish, guardava i Romantici vivere la loro vita beata nel paesaggio bianco e argenteo della città di Romance. Chiuse gli occhi spremendo le lacrime e posò il suo sguardo sulla vetrina di una boutique. Quell'abito decorato di pizzi e tulle argentati, dalle ampie pieghe, rappresentava tutto ciò che aveva sempre desiderato.
NdA: mi riservo la possibilità di intervenire sul testo in futuro per modifiche e correzioni
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I lunghi e lisci capelli neri fluttuavano nella brezza del mattino. L’esile figura di nero vestita si stagliava sullo sfondo dai contorni nebbiosi e vaghi della Zona Grigia. Wishcast, per gli amici Wish, guardava i Romantici vivere la loro vita beata nel paesaggio bianco e argenteo della città di Romance. Chiuse gli occhi spremendo le lacrime e posò il suo sguardo sulla vetrina di una boutique. Quell’abito decorato di pizzi e tulle argentati, dalle ampie pieghe, rappresentava tutto ciò che aveva sempre desiderato.

Wish fece ritorno a casa sua, nella città di Shadowcast, all’alba. I genitori la accolsero con lo sguardo che si riserva alle pecore nere di una famiglia. Poi incrociarono gli sguardi. Dalla sua cameretta, arredata in stile gotico, secondo la moda, Wish li udì parlottare.
“Dove vuoi che sia stata?” esclamò una donna sulla trentina, abbigliata come una strega moderna.
“Dovremmo portarla all’Istituto di Correzione.” replicò annoiata. Il marito la ascoltava taciturno. “Non socializza con i coetanei, a sedici anni è ancora vergine, non frequenta i rave party come i giovani normali.”
“Sai bene che lei è attratta da un altro tipo di vita.” ribatté lui calmo. Il marito di Alvita portava una giacca di seta nera aderente, il colletto alla coreana. Pantaloni di pelle e stivali a punta con il tacco basso completavano il look classico degli uomini di Shadowcast.
“E indovina di chi è la colpa?” inveì la moglie lanciando un bicchiere contro il muro, usanza del posto per esprimere ira e fastidio. Cameron guardò passivamente il bicchiere infranto a terra.
“Il suo cuore è diverso dal nostro, Brigitta.” Lei non appartiene a questo mondo.
“Non me ne frega un cazzo! Che io sia relegata nei Giardini dei Romantici se le permetterò di lasciare la città! Siamo discendenti dei padri fondatori di questa città, i Cast. L’unico errore che ho commesso è aver sposato un mezzo Romantico come te, Cameron!”

I gemiti e le esclamazioni provenienti dalla stanza superiore mettevano Wish molto in imbarazzo.
“Tuo padre sta sodomizzando tua madre?” fece la ragazza accasciata sul suo letto.
“Non mio padre. L’avvocato.”
“Ah, però!” Poi tacque, guardando l’espressione depressa di Wish. “Devo chiamare Safrax?”
“No!” Wish si voltò di scatto verso la sua migliore amica.
“Tesoro, ” fece lei, “so che siamo completamente diverse. Allora dimmi tu come posso farti sentire meglio.” Wish le rivolse uno sguardo eloquente, che l’amica conosceva bene. Lucretia alzò gli occhi al cielo.
“Non so che ci trovi, comunque…” e sfilò dalla sua borsa nera di cuoio un sacchetto colmo di morbide caramelle marshmellow.
“Grazie, bella.” Wish sorrise e ne addentò uno, sospirando di sollievo. Lo zucchero era l’unica cosa buona in quella città. Safrax, il suo ex, fratello di Lucretia, non faceva altro che sfruttare le sue donne… Wish l’aveva mollato dopo un mese. E non lo gradiva neanche come amico.

Wish stava passeggiando nella gelida notte del suo quartiere, persa nei suoi pensieri. Dopotutto cosa c’era da vedere attorno a lei, se non la gioventù decadente della sua età?
Una coppia copulava rumorosamente appoggiata a un muro di mattoni al lato della strada. Un ubriacone in giacca di pelle lunga veniva lanciato fuori da un bar illuminato da luci psichedeliche. Un giovanotto dalla pelle chiara si accostò alla ragazza.
“Ciao amore.” fece Safrax.
“Non sono il tuo amore e tu non sei sicuramente il mio.” ribatté lei.
“Chiaro.” fece lui, poi sbottò: “Ti servono soldi?”
“Lo sai che è così.” rispose lei amareggiata. Da due anni metteva da parte denaro per scappare da casa. E trasferirsi a Romance. Una nuova vita… Safrax continuò a chiacchierare come se nulla fosse.
“Un ricco della Zona Grigia vuole una giovane donna che lui e il suo collega si faranno dopo una riunione.”
“Quanto?”
“Mille a testa.” Wish sgranò gli occhi da cerbiatta. Lui sorrise.
“Per loro sono spiccioli. E tu, ” la squadrò inumidendosi le labbra, “sei un bocconcino.”
“Hai i soldi?” fece lei, voltando il capo, disgustata.
“Certo.”
“Vado a prepararmi.“

Il giorno seguente sarebbe stato un inferno. I soldi erano il passaporto per la sua nuova vita. Arrivata a casa, posò il denaro appena ricevuto in cassaforte in camera sua. Si gettò sul letto a peso morto. Coprì il viso con i palmi delle mani e pianse lacrime amare.

Due giorni dopo, di mattina, Wish giaceva ancora assopita nel suo letto. Venne svegliata da un trambusto che non riusciva a mettere in chiaro, ancora assonnata. Due robusti infermieri in camice nero, accompagnati da Alvita, fecero irruzione nella stanza da letto e sollevarono di peso la ragazza e la condussero al piano inferiore. Poi la rinchiusero nella cabina blindata di un furgone. Il dolore che esplose nel cuore di Wish superava notevolmente l’indolenzimento delle sue membra.

Stroncata dal dolore emotivo del recente tradimento di Alvita, Wish si lasciò trasportare in lacrime lungo un corridoio, fino in un ambulatorio scuro, come un agnello condotto al macello. A quel punto la sua vita poteva anche finire. Il suo cuore non sarebbe mai cambiato. La sua permanenza in quell’Istituto di Correzione l’avrebbe portata in un’unica direzione. Alla pazzia.

La ragazza, inerme, fissava il soffitto piatto e lucido della stanza, incurante di ciò che le accadeva intorno. Giaceva su un lettino traballante da ambulatorio. Stava scivolando in un’insensibilità confortante, quando un ago le penetrò una vena, rilasciando del liquido nel suo corpo. Di lì a poco, Wish si sentì agitata e nervosa. Le sue emozioni represse, la rabbia e la disperazione vennero a galla in un’esplosione d’ira incontrollabile. Rovesciò il lettino, scaraventò l’infermiere di lato gridando e imprecando, prese a pugni gli infermieri del furgone fino a farli sanguinare e nessuno riusciva ad arrestare la sua furia chimicamente indotta. Dopo soltanto un minuto, Wish crollò in preda alla spossatezza, tutto si fece buio intorno e perse conoscenza. Un uomo che aveva l’aria di essere un medico annuì, avendo osservato la scena da un angolo lontano.
“E’ un primo passo.”

Tre giorni più tardi, Alvita venne all’Istituto per vedere la ragazza.
“Sta facendo progressi.” le aveva detto il medico al telefono. Quella che stava ora osservando nella mensa, era una ragazza scontrosa, prepotente, che trattava le compagne come stupide galline, e i compagni come possibili partner per l’accoppiamento.
“Questa è la Wish che volevo vedere.” disse con gli occhi lucidi.

Dopo la cena, Wish sedeva in camera sua, leggendo i tarocchi sul letto. La stanza era scura e asettica. C’era un’atmosfera opprimente nella stanza. La porta si aprì e una testa sbucò nella stanza. Uno scarpone nero e robusto precipitò in faccia al giovane che si afferrò il naso con una mano.
“Cazzo, mi rompi il naso!” lamentò rosso in viso.
“Non hai bussato.” ribatté lei, tranquilla e senza distogliere lo sguardo dalle carte. “So cosa vuoi, Sarus. E la risposta è no.”
“Perché non vuoi più scopare?” domandò lui.
“Perché l’ho già fatto con te.” rispose lei fissandolo negli occhi neri. “Ne voglio un altro.” Un altro ragazzo si avvicinò da dietro Sarus e si fece rudemente largo nella stanza sbattendo la porta dietro di sé. Wish lo avvicinò e portò le sue labbra a un millimetro dalle proprie. Dopo solo cinque minuti il malcapitato volò fuori dalla stanza.
“Vattene, stupido! Fatti una sega!” urlava lei, furiosa, e sbatté la porta. Per quella giornata, la recita era finita. Una volta fuori dall’Istituto, Wish avrebbe preso soldi e documenti e sarebbe fuggita nella notte. Quello era il piano. Alla fine della settimana l’avrebbero dimessa. E tutto era pronto.


Wish controllò il trucco per l’ennesima volta allo specchio della sua cameretta. Era vestita di stile dark di tutto punto e stringeva la borsetta sottobraccio. Attraversò a grandi passi la cucina per uscire.
“Dove vai?” esclamò la madre, Alvita. Wish si voltò, lo sguardo infuocato.
“Cazzi miei,” mormorò con tono basso. Si voltò bruscamente e uscì da casa sbattendo la porta. La donna tornò al suo stufato, visibilmente soddisfatta. Ho creato un mostro, diceva fra sé e sé.

Nel locale illuminato da luci basse rosse, la tappezzeria scura, rimbombava il ritmo assordante di una musica elettronica. Wish pareva non gradire. Bevve a collo l’ultimo sorso del miscuglio alcolico che aveva ordinato, lasciò una banconota sul bancone e uscì dal locale, diretta a nord, verso la Zona Grigia, scomparendo nell’oscurità.


Wishcast aprì gli occhi, stesa al caldo sotto le coperte della stanza di un albergo a tre stelle della Zona Grigia. 'Perché dovrei alzarmi', pensava. Ho bisogno di riposo. Aveva pagato l’albergatore in contanti chiedendo specificamente di evitare di registrare i suoi documenti. La ragazza non voleva essere rintracciata. Alvita non avrebbe insistito molto per cercarla. Dopotutto non le fregava niente della figliastra. La giovane chiuse gli occhi e si assopì nuovamente.

Un viso dall’espressione addormentata si tuffò nell’acqua fredda del lavabo. Wish si sollevò di scatto, buttando all’indietro i capelli. I suoi occhi incontrarono uno sguardo spento nello specchio di fronte a lei. Cos’era quella faccia? Aveva dormito parecchio, eppure le sue energie erano scarse. ‘Non posso crollare ora.’
Uscendo dall’albergo, la ragazza si fermò sulla soglia. Si guardò intorno. Un uomo d’affari con l’impermeabile color nocciola la sfiorò passandole davanti, lo sguardo vacuo e inespressivo di un automa. ‘Che cos’ha la gente di questo posto?’ Wish ripensò allo sguardo di poco prima nei suoi occhi. “Mio Dio…” La gente si muoveva nella foschia della città come automi programmati, lo sguardo fisso davanti a sé. ‘Provano ancora qualcosa?’ Vacillò per un attimo. L’aria pungente e umida della città rendeva la respirazione difficoltosa. Wish inspirò con fatica. Un macigno invisibile pesava sul suo petto. Con determinazione mosse i suoi passi, continuando il suo viaggio verso nord.

Il sole tramontava sulla Zona Grigia. L’aria era a malapena attraversata da una luce violetta dei raggi del sole, che rendeva l’ambiente circostante un po’ spettrale. Non era prudente restare fuori la sera. Wish osservava le luci fioche dalla finestra del nuovo albergo. ‘Quanto è grande questa città?’ Non se ne vedeva la fine. Eppure, la ragazza camminava da tutto il pomeriggio. Nessuno le aveva rivolto più di un paio di parole. ‘Non so quanto potrò resistere in questo posto senza diventare come loro’. Wish si sentiva ora completamente sola.

Il giorno seguente, la mattina presto, la ragazza uscì dall’albergo, dopo aver saldato il conto. Fece per muovere un passo, ma si accorse di aver perso la direzione. ‘Possibile?’ Il suo cuore iniziò a battere all’impazzata. La ragazza fece scorrere lo sguardo intorno a sé. Si voltò a sinistra. ‘Sono arrivata da là?’ Si volse a destra. ‘Oppure da là?’ Wish chiuse gli occhi per riprendere il controllo di sé. ‘Oh, no.’ Una fortissima sensazione di paura stava crescendo nel suo petto e invadendo la sua mente. Il cuore in gola e il respiro soffocato offuscarono ancora di più il suo giudizio e l’orientamento. ‘Mi sono persa.’ Questo fatto non l’aveva messo in conto. Caparbia, gli occhi velati di lacrime, s’incamminò marciando in una direzione qualsiasi, pestando i piedi e spingendo chiunque la sfiorasse. Continuò la sua marcia disperata pure incespicando, finché inciampò e cadde in ginocchio sul freddo cemento, scossa da tremori incontrollabili. Non sapeva se fosse giorno o notte né quanta strada avesse fatto. Le immagini erano un caleidoscopio di frammenti grigi ai suoi occhi colmi di lacrime. Poco prima di cedere, Wishcast si sentì afferrare da salde mani e scuotere con vigore. Poi il buio.


Wish si agitava in uno strano liquido denso che percepiva attorno a sé. Si rese conto di essere nuda. Era buio e non vedeva a un palmo dal naso eppure dall’esterno di quell’angusto spazio giungevano suoni e voci. Poi un lampo di luce accecante e il dolore.


La ragazza si svegliò urlando e piangendo. Si ritrovò seduta su un letto a due piazze, a baldacchino, in una stanza finemente arredata in stile barocco. Le lenzuola erano di seta, le coperte di ottima lana vergine. ‘Che posto è questo?’ Wishcast respirò profondamente. Il macigno nel petto era svanito, le forze perse così facilmente, recuperate. Un brivido di sollievo la colse, dalla nuca scivolò lungo la schiena. Il sole filtrava dalla grande finestra incorniciata da tende rosa.
Qualcuno bussò alla bianca porta di legno massiccio. Wish fissò il vuoto davanti a sé, sorpresa. “Sì?” disse timidamente. “Finalmente ti sei ripresa.” La donna che entrò nella stanza aveva un’aria familiare. Nel suo tono di voce percepì che era sincera. Si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei. Indossava un ampio vestito color crema, lungo. Il colletto era ornato da un pizzo. Le maniche erano ampie a sbuffo. I capelli biondi erano raccolti in un elegante chignon. Gli occhi blu erano limpidi come cristallo.

“Chi sei?” domandò la ragazza, incantata dalla grazia e dalla dolcezza di quella visitatrice inaspettata.
“Serenity Romance. Sei nella mia casa.” Wish era ammutolita.
“Cosa ci faccio qui?” sussurrò, girando gli occhi intorno.
“Le risposte arriveranno presto. Ora hai fame?” domandò la padrona di casa, soave. Lo stomaco di Wish rispose con un gorgoglio, mentre la sua mente si affollava di numerose domande senza risposta. Serenity sorrise. I suoi denti erano porcellana bianca.
“Nell’armadio troverai un abito pulito,” indicò un armadio decorato alle sue spalle. “Quando hai fatto, vieni nell’altra stanza. Il pranzo è pronto.” La donna sorrise e poggiò una mano sulle ginocchia della giovane. Poi si alzò in piedi e uscì dalla stanza.

Wishcast scivolò lentamente da sotto le lenzuola e posò i piedi a terra. Il pavimento era ricoperto da piastrelle ruvide di color marrone chiaro. Erano fresche sotto i piedi. Senza alcuna fretta, si spogliò degli abiti impolverati e strappati della sua vecchia vita. Indossò un abito ampio come quello di Serenity, color oro. Il corpetto era ricamato, intrecci che terminavano in graziose spirali, e calzava perfettamente. Wish percepiva ancora nessun cambiamento dentro di sé. Il veleno del suo passato aveva lasciato delle tracce nella sua anima. ‘Tempo. Mi serve tempo.’ disse fra sé e sé mentre chiudeva le porte dell’armadio.


‘Sto sognando?’ si domandava la ragazza. ‘Dove sono?’ Allungò la mano, che sembrava più piccola del solito. Sfiorò qualcosa di soffice. Tutt’intorno c’era liquido e silenzio. ‘Sono sott’acqua?’ I pensieri le riecheggiarono nella mente come l’eco di una stanza spoglia. All’improvviso venne capovolta e spinta lungo un tunnel dalle pareti che si contorcevano. Poi una luce accecante e un gran fuoco nei polmoni. Infine un viso riempì la vista. Il viso di Serenity Romance.


Wish si destò ansimando. Era seduta sulla sedia a dondolo nel patio che dava sul cortile della casa.
“Mi sono appisolata di nuovo,” affermò rivolta a Serenity, che stava lavorando a uncinetto, seduta su una sedia simile accanto a lei. “Continuo a fare sogni strani.”
“Che tipo di sogni?” domandò gentilmente la donna. Wish continuava a percepire un legame con quella signora così ospitale. E i suoi sogni erano iniziati al suo arrivo in quella casa.
“Sogno di nascere.”
“Pensi che potrebbe trattarsi di un ricordo?” disse Serenity posando il lavoro sulle gambe. ‘Qual è la differenza?’ La ragazza non ne aveva idea.
“Non lo so.” concluse ad alta voce. Serenity sorrise.
“Di solito sogni con gli occhi aperti?” La ragazza fissò la signora Romance pensierosa. Poi spostò lo sguardo al recinto dei cavalli, lontano davanti a sé. Un bellissimo esemplare di razza araba, il mantello nero, coda e criniera lunghe, trottava in cerchio. Nel mezzo un giovane uomo lo spronava con schiocchi della lingua. Il volto giovanile tradiva una certa timidezza, eppure nei suoi modi erano riflesse nobiltà d’animo e dolcezza. Wishcastlo fissò per qualche minuto, incurante del cuore che accelerava il battito.
“Prince Lovejoy.”
“Prego?” Wish si scosse dai suoi pensieri.
“E’ il suo nome. È un ragazzo d’oro. Conosco suo padre da quando ero ragazza, lui da quando era in fasce. Intelligente, a modo, di grande talento. E’ ancora alla ricerca della donna giusta.” Serenity sorrise dolcemente.
Wish si avvicinò alla finestra della sua camera. Sbirciò da dietro la tenda. Nel cortile sul retro si stava preparando una grigliata. Prince si occupava della carne sulla griglia. Serenity e una donna bruna che le somigliava preparavano una lunga tavolata per una decina di persone. Il giovane sembrava ignaro della sua presenza. Wish uscì in cortile e lo affiancò, esitante.
“Sembra buono.” commentò, riferendosi alla carne sul fuoco.
“Lo spero!” esclamò lui sorridendo. “Altrimenti le sentirò dalla padrona di casa.” Lei ricambiò il sorriso. Era piacevole stare in compagnia di Prince. “Hai qualche preferenza? Per la carne intendo.”
“Oh, non proprio.”
“Ho capito. Scommetto che preferisci frutta e dolci.” ribatté lui con un bellissimo sorriso.
“E’ vero! Come l’hai capito?” esclamò lei. Un blocco di ghiaccio nel suo cuore stava sciogliendo le sue prime gocce.


Wish correva e saltellava nel giardino verde e fiorito di casa sua. Il suo cuore di bambina era pieno di gioia. Il sole splendeva nel cielo e gli uccelli accompagnavano la melodia della primavera. All’improvviso il cielo si oscurò di nubi e la pioggia iniziò a scendere copiosa. Wish scivolò nel terreno umido e cadde in una pozza d’acqua. Sorpresa e sconvolta pianse.  Le lacrime che le rigavano il viso la svegliarono dal sonno. ‘Che mi succede? Perché mi sento così?’


Serenity sedeva all’ombra in un angolo. Fuori l’oscurità era rischiarata dalle stelle e da uno spicchio di luna. Quando vide che si svegliava si avvicinò e sedette sul letto accanto alla ragazza. L’abbraccio e Wish proruppe in singulti.
“I ricordi portano alla luce ricordi sommersi.” disse. “Quando avevi pochi anni di vita, tuo padre venne sedotto da una donna di Shadowcast. Portò via la mia adorata figlia, perché non aveva cuore di separarsene. Così facendo, ignorò che ti strappò dalla tua gioia infantile.” Serenity guardò dolcemente la figlia negli occhi, accarezzandole i capelli. “Sei stata costretta a crescere troppo in fretta, tesoro mio. Riprenditi la tua vita e non permettere a nessuno di costringerti a fare ciò che non vuoi.”


Prince e Wish passeggiavano attorno al recinto dei cavalli.
“Così sei la figlia di Serenity.”
“L’ho saputo oggi. Non riesco ancora ad abituarmi.” Per un istante che sembrò un’eternità, i due si fissavano negli occhi. Le labbra si sfiorarono in un dolce bacio. Il giovane percepì che il battito del cuore di Wish aumentava. Quando tornò alla realtà, il petto le faceva deliziosamente male, sentiva i capogiri e il rossore era salito alle guance chiare della giovane. E una consapevolezza prese forma come un paesaggio all’alba.


Sarus parlava concitato al telefono con Alvita.
“Hai scoperto dov’è?”
“Non ancora, ma sono sulla buona strada.” fece lei. “Stai tranquillo. Non la lascerò andare così facilmente. Lei dev’essere l’erede di famiglia e tu la controllerai insieme ai suoi soldi.” Il giovane riagganciò e lanciò una freccetta verso il bersaglio appeso sul muro del suo squallido appartamento dalle pareti annerite. Al bersaglio era appesa una foto di Wish.


La ragazza indossava un ampio abito lungo, rosso che lasciava le spalle scoperte. Con le dita sollevava i lembi della gonna per non calpestarli. Passeggiava nel bosco. La luce del sole filtrava tra i rami. All’improvviso l’aria si fece fredda e leggera come un fantasma, la luce pallida della luna si sostituì a quella dorata del sole. Wish percepì una costante presenza oscura intorno a sé. Un fruscio a destra attirò la sua attenzione. Girò la testa di scatto, i capelli lisci che svolazzavano ricadendo sulle spalle. Un lupo dal pelo folto e nero uscì al galoppo da un cespuglio e ringhiando la aggredì.


La giovane si svegliò di soprassalto e si sollevò dal giaciglio, ansimando. Deglutì a fatica e scivolò giù dal letto. Spinse i capelli all’indietro pettinandoli con le dita. Dopo essersi lavata il viso con l’acqua di rose, indossò un abito ampio e lungo che lasciava le spalle scoperte. Trattenne i capelli con una fascia di pizzo.
Entrando nel salone, notò a terra un libro aperto. Lo raccolse tenendo il segno con l’indice e si guardò attorno. Nella stanza non c’era nessuno. Gettò un’occhiata e vide l’illustrazione di un grosso lupo nero, identico a quello che aveva visto nel suo sogno. Gli occhi erano verde smeraldo e digrignava i denti mostrando le zanne. Wish lesse il titolo del libro inciso sulla copertina. Sogni. Lesse subito il testo che incorniciava l’immagine. Un’aggressione. Una persona che dal passato ritorna guidata da rabbia e rancore. Chiuse il libro e lo infilò al suo posto tra altri volumi che stavano nella libreria del salone.

Nel sotterraneo di casa Cast, una donna dai capelli neri e gli abiti scuri gettava manciate di qualcosa in un calderone colmo di un liquido scuro che bolliva sul fuoco. Alvita mormorava frasi in un’antica lingua del posto.

Un calore inaspettato colse improvvisamente Wish non appena ebbe riposto il libro. Come la maga gettò una manciata di qualcos’altro nel calderone, la ragazza svenne e si accasciò sul pavimento, rossa in viso.

Wish osservava il suo corpo disteso sul letto della sua camera. Intorno stavano Serenity e l’amato. Erano piuttosto silenziosi. La giovane non percepiva più il peso del suo corpo, né alcuna sensazione fisica. Si sentiva incredibilmente leggera. All’improvviso, d’impulso, la ragazza si voltò. Si accorse di una macchia nera sul muro dietro di sé. Guardò meglio e notò che più che una macchia pareva una nebbia fitta. Un sussurro basso giungeva dalle sue profondità. “Vieni.” mormorava la voce. Sibilava il suo nome con la voce di un invisibile serpente. Wish si domandava se dovesse entrarci oppure no. Subito, altre domande affollarono la sua mente. Perché il suo corpo era a letto con la febbre? La ragazza percepì la natura innaturale della sua malattia. Nonostante il forte senso di pericolo che pulsava dalla nebbia nera, decise di attraversarla, come se fosse l‘unica via d‘uscita.


Alvita stava ultimando il suo oscuro incantesimo. Così avrebbe potuto controllare la sua mente. In quel momento, Cameron entrò di soppiatto in cantina. Quando vide le foto e le ciocche di capelli di sua figlia, sparsi sul tavolo insieme a polveri e pestelli, la rabbia gli montò furiosa alla testa. Iniziò a sentire un ronzio acuto che copriva tutto il resto. La vista si annebbiò. Afferrò il badile da giardino accanto al caminetto e vibrò un colpo alla testa della moglie, che si staccò parzialmente dal collo. La donna crollò a terra senza un suono.


Wish si ritrovò nel lungo corridoio di una villa rustica. Sembrava non esserci nessuno eppure non pareva abbandonata. Alle pareti, color pesca, erano appesi diversi quadri che ritraevano persone che non aveva mai conosciuto. All’improvviso la casa tremò e la ragazza percepì un cambiamento.
Il suo corpo si agitò tra le coperte, dopo un’ora d’immobilità simile alla morte.
La ragazza si voltò e alle sue spalle il corridoio si allungò fino a diventare infinito. Un altro terremoto scosse d’edificio dalle fondamenta. Il pavimento di marmo coperto di tappeti si crepò e la ragazza iniziò a sprofondare nelle viscere della terra, verso un baratro nero.


Wish si risvegliò di soprassalto nel suo letto. Il cuore batteva forte e aveva il fiatone.
“Amore tutto bene?” esclamò Prince, abbracciandola. La ragazza vide che aveva gli occhi lucidi. Ricambiò debolmente l’abbraccio.
“Cos’è successo?”
“Cosa ricordi?” domandò lui, mentre passeggiavano nella tenuta. “Ricordo che stavo rimettendo a posto un libro. Immagino di aver perso i sensi. E poi mi sono svegliata a letto.”
“Nient’altro?”
“Nient’altro, amore mio.”

Sarus rispose al telefono. Aspettava trepidante la telefonata di Alvita.
“Pronto?”
“Sarus?”
“Sì, chi parla?”
“Cameron.”
“Oh. Che c’è?” Sarus era sorpreso e insospettito. Cameron non lo aveva in simpatia. La voce all’altro capo del telefono mormorò: “Il gioco è finito.”


“Mamma… che mi è successo?” domandò Wish, mentre prendevano il té nel soggiorno.
“Finalmente ti sei rimessa, mia piccola.” Serenity posò la tazza sul piattino, sul tavolo del salone. “Io credo che la tua matrigna sta cercando di riaverti. Tuo padre, lo conosco, non farebbe mai una cosa del genere. È la persona più mansueta che conosco. Alvita, lei sì, lo farebbe.” La figlia tacque, pensierosa.
“Come avrebbe fatto?”
“Vedi, cara, Alvita come altre persone come lei, è in grado di influire sugli eventi e sulle persone. Conosce l’antica arte.”
“Io credevo fosse una leggenda.”
“Tutte le leggende contengono un fondo di verità.”


Wish sedeva sul suo letto a gambe incrociate e leggeva un libro. L’ora era tarda e tutti gli altri si erano coricati. Un fruscio di tende attirò l’attenzione della giovane. Il tessuto si mosse come increspato dalla brezza. Udì poi un suono di campanelle. Accanto al letto comparve una donna vestita di una lunga veste bianca, se pareva risplendere di luce come la luna. Alle sue spalle spuntavano due grandi ali di cigno. Wish rimase a bocca aperta, il respiro sospeso.
“Buongiorno, fanciulla dei desideri.” Di fronte a lei, la ragazza provò un impeto di profonda riverenza, come di fronte a una dea.
“Chi sei, mia Signora?”
“Sono l’Angelo che veglia su di te dalla nascita. Hai molte domande cui vorresti trovare risposta. Percorreremo questa strada insieme.” La donna tese la mano destra verso Wish, porgendole un ciondolo a forma di campanella, infilato in una catenella d’argento. “Ascolta il tuo cuore, e tramite questo talismano t’indicherà la via.”


Il mattino seguente, mentre facevano colazione, la radio diede la notizia della morte di una donna e un giovane uomo della città di Shadowcast. La donna si chiamava Alvita e le era stata mozzata la testa. L’altra vittima, Sarus, era stato impalato nel suo appartamento. Non c’erano indizi a carico del colpevole e le forze dell’ordine brancolavano nel buio. Sembrava il delitto di un fantasma.
“Vuoi andare al funerale?” domandò Serenity.
“No.” rispose Wish, con un pizzico di amarezza nella voce. “Non appartengo più a quel mondo.”


La sera stessa era in programma una grigliata nella tenuta. Gli invitati chiacchieravano lieti e i bambini giocavano gioiosi con i cani. Prince e Wish passeggiavano l’una accanto all’altro poco più in là.
“Ricordo la prima volta che ci siamo parlati.” disse lui.
“Era una sera come questa.” confermò lei.
“Sì. Mi sei piaciuta subito. Il tuo modo di fare, la tua squisita timidezza…” Il giovane sorrise.
“Anche tu mi sei piaciuto subito. Hai un’aria nobile.”
I due innamorati si sedettero su una panchina ai piedi di un grande salice, poco lontani dal rumore degli ospiti.
“Poi ho iniziato ad amarti, più ti conoscevo. E, quando sei stata preda della febbre, ho capito che non potrei vivere senza di te.” Gli occhi di Wish si fecero lucidi. “Wishyn Romance, vorrei passare il resto della mia vita con te. Solo con te.” La giovane tremò dall’emozione.
“Prince Lovejoy, pure io vorrei passare la mia vita solo con te!” esclamò e si abbracciarono. Contemplarono reciprocamente gli sguardi l’uno dell’altra e le labbra si sfiorarono in un lungo, dolcissimo bacio.

 
Fine
   
 
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