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Autore: Hermione Weasley    20/10/2014    5 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 9 -

 

 

 

“State giù!”

Natasha sterzò bruscamente di lato, riguadagnando freneticamente la strada mentre il contraccolpo mandava Thor e Bruce a sbattere contro le pareti del furgone.

“Cazzo.” Clint era impallidito al suo fianco, lo sguardo allucinato fissato sullo specchietto retrovisore che lasciava intravedere il SUV nero che li stava inseguendo. Uomini dall'aria decisamente poco raccomandabile, sporti quasi per tutto il busto attraverso i finestrini anteriori, stavano prendendo la mira, pronti a sventagliare la seconda raffica di colpi.

“Ci hanno sparato addosso!” La voce di Bruce, carica d'angoscia, non fece altro che palesare ciò che era già ben evidente a tutti.

“Lo faranno di nuovo,” chiosò Natasha, prima che il rimbombo di alcuni spari non arrivasse a darle ragione. “Merda!” Mentre schiacciava il piede sull'acceleratore e cominciava a procedere a zig zag nel disperato tentativo di non dare riferimenti agli inseguitori, si voltò verso i due nel retro, lanciando un'occhiata preoccupata in direzione del dottore. La situazione era sicuramente una di quelle che avrebbe definito ad alto stress e se c'era una cosa che aveva capito da quell'intero giorno di viaggio che aveva condiviso con Banner, era che il dottore non rispondeva granché bene alla tensione.

“Dobbiamo rispondere al fuoco!” Clint, dopo un primo attimo di puro shock, sembrava aver ripreso vita, fatto scattare il proprio cervello in modalità emergenza.

“La Glock è nello zaino!”

“A fanculo la Glock!” Sbraitò in risposta, recuperando la sua sacca da viaggio per estrarne arco e frecce.

“Hai i colpi contati con quello!” Protestò mentre un proiettile arrivava a portarsi via lo specchietto di sinistra.

“Me li farò bastare!”

Natasha stritolò il volante tra le mani, irritata: quello era esattamente il tipo di crisi che era stata addestrata ad affrontare nel migliore dei modi da che aveva memoria. Peccato fosse impegnata ad assicurarsi che nessuno di quei colpi raggiungessero i loro pneumatici per potersi occupare d'altro. Appiedati il cielo solo sapeva dove, senza armi adeguate e costretti a fronteggiare quegli individui sicuramente molto meglio equipaggiati di loro: non avrebbero di certo fatto una fine ideale.

Mentre Clint scavalcava il sedile anteriore per passare sul retro, l'arco già imbracciato e la prima freccia pronta ad essere scoccata, Natasha afferrò lo zaino che aveva premuto tra sé e lo schienale nella speranza di stare più comoda. Riprese a guidare con una sola mano, mantenendo la medesima andatura irregolare, mentre con l'altra cercava la Glock requisita all'arciere solo qualche giorno prima.

Non appena fu sicura di aver messo abbastanza spazio tra il furgone e il SUV – per quanto il motore di quel catorcio glielo concedesse – spense i fari, nella speranza che il buio improvviso facilitasse loro la fuga.

Una sventagliata di colpi crivellò violentemente l'estremità posteriore del mezzo, rischiando di farle perdere il controllo.

“Thor, prendi il posto di guida!” Ordinò, improvvisamente certa che affidarsi solo ed esclusivamente alla velocità non avrebbe concesso loro una reale chance di uscirne più o meno indenni.

L'uomo non perse tempo, sgusciando oltre Clint per infilarsi sgraziatamente e a forza nell'intercapedine tra i due sedili anteriori per raggiungere quello del passeggero.

“Dottore!” Il pensiero successivo di Natasha fu per Banner. “Come stiamo messi là dietro?”

“U-Una favola,” biascicò quello. Rannicchiato com'era nell'angolo più interno del materasso, subito alle sue spalle, non le riuscì di scorgere la sua espressione.

Aspettò che Thor afferrasse almeno il volante, operando un brusco cambio di posto che arrestò il furgone per un paio di istanti, prima che il gigante biondo prendesse finalmente il controllo, accelerando ancora.

“Bruce,” Glock alla mano, Natasha poté finalmente occuparsi di Banner. Aveva una pessima cera, la fronte ricoperta da un velo di sudore, il respiro corto, le braccia contratte attorno al suo borsone da viaggio. “Tutto a posto?”

Non fece in tempo ad ottenere risposta che Clint, probabilmente decretandolo un momento opportuno, spalancò il portellone laterale, sporgendosi letteralmente fuori dal veicolo per scoccare la sua prima freccia.

“M-Mai stato meglio.” La voce del dottore tornò a distrarla.

“Forse è il caso di tirar fuori quel sedativo.”

“C-Credo che sia... u-un'ottima idea,” convenne debolmente, senza tuttavia riuscire a muovere neanche un muscolo.

Intanto il rumore di quella che le era sembrata un'Uzi cessò di colpo, segno che Clint era riuscito a mettere fuoriuso almeno uno dei passeggeri del SUV scuro, che non sembrava avere la benché minima intenzione di lasciarseli sfuggire.

Natasha datti una cazzo di mossa. Attualmente, le condizioni del dottore la preoccupavano di più degli assassini furiosi che avevano alle calcagna. Mise rapidamente in ordine le proprie priorità, decidendosi infine a strappare la borsa dalle mani dell'uomo alla ricerca del sedativo. Il buio pressoché totale e il vento che si infilava a forza dal portellone aperto non l'aiutarono affatto nelle operazioni.

“Dov'è?” Domandò, vedendosi costretta ad urlare pur di farsi sentire.

“Una... u-una scatolina lunga, di metallo.”

L'ennesima cascata di proiettili l'assordò per un interminabile istante: Clint si era ritirato all'interno del furgone, approfittando della copertura di alcune delle infinite cianfrusaglie che si ritrovavano là dietro.

Natasha saggiò freneticamente la consistenza di tutto ciò su cui riuscì a metter mano (camicie, intimo, biscotti, quello che le sembrò un kit per il pronto soccorso, un accendino, strumenti di laboratorio di vario genere), finché le sue dita non si richiusero su quello che faceva al caso suo. Ne sollevò il coperchio, afferrando una delle dieci fialette ordinatamente disposte e l'unica siringa disponibile.

“Riesci a farcela da solo?” Gli chiese con urgenza, togliendo il cappuccio all'ago per conficcarlo nella linguetta argentea della dose di sedativo con estrema agilità.

“P-Penso di sì,” balbettò il dottore, annuendo tanto vigorosamente da farle capire che non era affatto sicuro della veridicità della propria risposta. Gli afferrò una mano, guidandola attorno all'impugnatura della siringa, obbligandolo a serrarci sopra la presa.

“Andrà tutto bene.”

“C-Certo.”

Non ebbe altra scelta che fidarsi di lui, lasciarlo alle proprie manovre e affiancare finalmente Clint.

“Quanti sono?”

“Quattro... adesso due,” fu la pronta, asciutta risposta.

“Del prossimo me ne occupo io. Possiamo alternarci.”

“Sono perfettamente in grado d-”

“Se finisci quelle tue cazzo di frecce siamo nella merda,” si ritrovò a puntualizzare con un po' troppa verve. “Tu prova ad atterrargli le ruote, io mi occupo di quei figli di puttana.”

Anche nella semi-oscurità che regnava tutt'attorno, Natasha riuscì a distinguere i tratti contriti del suo volto, le linee del viso ancora scavate nonostante la concentrazione che sembrava conferirgli una certa, imperscrutabile solidità.

“Va bene,” acconsentì infine, chinandosi di fianco al portellone, arco alla mano, mentre Natasha si sistemava alle sue spalle, in piedi. Nel momento esatto in cui l'ennesima sventagliata di fuoco si placò, scattarono entrambi in azione, sporgendosi oltre il portellone per prendere la mira.

Adattandosi all'ingombro dell'arma dell'arciere, Natasha riuscì a colpire un paio di volte l'uomo che stava occupando il sedile posteriore di destra, decisamente troppo lento a rientrare nella copertura offerta dall'abitacolo. Clint, d'altro canto, era sul punto di scoccare la sua ennesima freccia, ma una brusca sterzata di Thor gli fece perdere l'equilibrio, impedendogli di piazzare il colpo.

“Cazzo!”

Natasha rientrò in tutta fretta, lanciando una rapida occhiata al dottore: la testa riversa all'indietro, le palpebre semichiuse, la siringa ancora conficcata in una coscia. Se non altro non avrebbero avuto un altro problema da aggiungere alla lista che andava via via infittendosi con ogni secondo che passava. Fu di nuovo su Clint, vedendolo incoccare ben due frecce, pronto a tornare in azione.

“Sei impazzito?” Non poté impedirsi di chiedere, chinandosi su se stessa mentre alcuni proiettili raggiungevano il lato di sinistra del veicolo: i tiratori di destra erano già stati eliminati, ma il furgone non concedeva la possibilità di prendere decentemente la mira dall'altra parte. Certo, potevano rischiare di sfalzare l'allineamento dei due veicoli, ma in quel caso avrebbero offerto una linea di tiro pulita dritta dritta nel loro fianco scoperto.

“No, non possiamo impedire agli altri due di sparare,” furono le poche parole che ricevette in risposta.

“E quindi?”

“Quindi ho intenzione di atterrare due gomme in un colpo solo,” decretò seccamente. “Coprimi.”

Non ebbe il tempo di ribattere che Clint già si muoveva per riprendere il suo posto oltre il portellone. Si lanciarono un brevissimo sguardo di intesa prima di sporgersi sul vuoto della strada: Natasha cominciò a sparare verso il parabrezza, sperando che la pioggia di fuoco scoraggiasse i due tiratori ancora attivi a non abbandonare il riparo dell'abitacolo.

Furono solo pochi secondi che le parvero, piuttosto, lunghi un'eternità: il suono del grilletto che veniva premuto a vuoto le fece scendere il gelo nello stomaco, annunciandole che aveva esaurito le munizioni. Trattenne malamente il respiro mentre un innaturale silenzio li avvolgeva. Gli occupanti del SUV dovevano aver deciso che era finalmente arrivato il loro turno: il clic delle armi ricaricate la fece inorridire. L'auto nera sbandò di lato, avvicinandosi pericolosamente al limite dell'asfalto per disallineare le loro posizioni, permettere ai tiratori di sinistra di poter puntare direttamente all'interno del furgone.

La deflagrazione di due spari contemporanei le rimbombò nelle orecchie.

“Clint!” Il suo nome le uscì senza che l'avesse preventivato.

L'arciere lasciò finalmente andare la corda tesa fino all'inverosimile: le frecce partirono con un sibilo, fendendo l'aria come un coltello nel burro. Lo afferrò malamente per un braccio, riuscendo a strattonarlo all'interno del furgone prima di sentirlo urlare.

Un boato assordante li raggiunse alle spalle: i dardi avevano trovato le loro vittime designate. In mancanza della stabilità delle ruote sinistre e sotto l'impeto della velocità alla quale stava procedendo, il SUV si accasciò violentemente su un lato, riempiendo l'aria del caos delle lamiere che incontravano l'asfalto in una fontana di scintille accecanti.

“Merda,” un'imprecazione carica di nevrotico sarcasmo andò a mischiarsi con le inquisizioni agitate di Thor.

“Concentrati sulla strada!” Gli gridò prima di tornare a prestare attenzione a Clint.

Solo allora Natasha si rese conto di esserglisi letteralmente gettata addosso e che una grande quantità di sangue stava cominciando a scendergli giù per l'avambraccio.

L'arciere era stato colpito.

 

*

 

“Thor, riaccendi i fari!”

Il dolore era tanto e tale, che il suo unico orecchio buono non sembrava intenzionato a registrare il benché minimo suono. Capì solo che Natasha aveva dato l'ordine quando i suoi occhi tornarono a distinguere l'interno del furgone, adesso fiocamente illuminato dalla piccola luce alogena sistemata tra il davanti e il retro della vettura.

“C-Cazzo,” si sentì di ripetere, giusto per non rimanersene lì, con le mani in mano.

Non era sicuro della dinamica dei fatti: l'unica cosa che aveva capito era che era riuscito a mettere a segno un cazzo di colpo da maestro che gli aveva permesso di mandare a fanculo quel maledetto macchinone. Ne era stato capace nonostante le pessime condizioni in cui si trovavano in quel momento, a dispetto della mancanza di una visuale quantomeno decente, del continuo spostarsi del veicolo lungo la carreggiata e della variabile costituita dal vento. Ma era stato troppo lento a rientrare: uno degli ultimi proiettili che quei dannati figli di puttana erano riusciti a scagliar loro contro, l'aveva colpito appena sotto la spalla sinistra. Quello di cui non era sicuro era se fosse stato l'impatto con lo sparo a respingerlo violentemente all'interno del furgone o se era stata Natasha a metterlo presumibilmente in salvo con poca, pochissima grazia. Non ricordava neanche se il proiettile l'avesse raggiunto prima o dopo essersi sentito strattonare all'indietro: se così fosse stato, allora c'era una vaga possibilità che quel colpo mirasse ad un'area ben più vitale del suo braccio.

“Sta' fermo.” La voce di Natasha, subito dopo il boato del portellone che si richiudeva, arrivò ad interrompere tutte quelle riflessioni estemporanee ed inutili.

“Hai visto? C-Ce l'ho fatta.”

“Ho visto,” convenne lei dopo avergli lanciato un'occhiata indecifrabile. “Riesci a metterti seduto?”

Clint rifletté attentamente: a parte un intenso bruciore alla spalla e un fastidioso pulsare che si trasformava in vero e proprio dolore solo a tratti, si sentiva bene. In forma... per quanto in forma si potesse sentire uno a cui hanno appena sparato.

Lasciò che la donna gli sfilasse di mano arco e frecce senza protestare (almeno non vocalmente), senza aspettare alcuna istruzione specifica per tirarsi su col busto e appoggiarsi alla parete retrostante, crivellata di colpi.

“C-Che palle,” esalò, mentre Natasha gli si riavvicinava per esaminare la ferita. “Sei pure un'esperta crocerossina?” Si detestò per il modo in cui si ritrovò a rivolgerlesi: la donna riusciva a mandarlo sui nervi facendo più o meno qualsiasi cosa. Il che – sospettava – dipendeva probabilmente da una serie di riflessioni con se stesso che Clint stava accuratamente (disperatamente) tentando di evitare ormai da un pezzo.

“Fottiti,” fu la sua sintetica risposta.

“Mi mancherà sentirmi m-mandare a farmi fottere... con tutta questa i-insistenza.”

“Rallegrati,” lo rassicurò lei, “ne avrai ancora per un po'. Il proiettile ti ha passato da parte a parte.” La sua voce gli risuonò diversa, un po' come la prima volta che gli aveva parlato di suo padre: nessuna traccia d'accusa, nessun nervosismo o voglia di farlo a pezzi. Pacata.

“Che culo.” Si passò una mano sul viso, sentendo la testa girargli leggermente. Aveva fame e sete e un nodo allo stomaco che non pareva intenzionato a sciogliersi tanto presto, nonostante si fossero lasciati alle spalle l'attrazione principale della serata.

Le scoccò un'occhiata storta mentre armeggiava con il borsone del dottore – che, per la cronaca, era ancora mezzo addormentato nel suo angolo – per estrarne quello che riconobbe essere un kit di pronto soccorso. Thor li stava spiando attraverso lo specchietto retrovisore, un'espressione contrita sul volto: a giudicare dal modo in cui si stava tenacemente aggrappando al volante, il siparietto-sparatoria non era esattamente stato di suo gradimento. Clint non lo biasimava minimamente.

“E' il tuo cliente, giusto?”

Sbatté le palpebre tornando a mettere a fuoco il volto di Natasha, impegnata a fare qualcosa di non meglio definito al suo fianco.

“Chi?”

“Quelli... erano gli scagnozzi del tuo cliente.”

La preoccupazione e l'ansia che l'avevano tormentato per tutto il giorno si acuirono nuovamente, imponendosi ferocemente alla sua attenzione, reclamando di essere presi in considerazione una volta per tutte. Aveva cominciato a sospettare quando il telefono non aveva squillato allo scadere delle quarantotto ore: aveva passato l'intera notte insonne alla ricerca di una scusa sufficientemente credibile per giustificare l'ennesimo ritardo nel completamento della missione, ma la signora Drakov non l'aveva mai contatto per aggiornamenti. Se una parte di lui si era voluta illudere ad ogni costo che, magari, se n'era semplicemente dimenticata, o che forse aveva avuto degli impegni inderogabili che le avevano fatto momentaneamente passare di mente l'esistenza dell'arciere-ladro-spia che lei stessa aveva assoldato per eliminare l'assassina di sua figlia; l'altra, quella razionale che non accettava stronzate di alcun tipo, sapeva che non era un buon segno, che la loro ultima telefonata doveva aver avuto conseguenze ben peggiori di quanto avesse inizialmente immaginato.

L'aveva fatta incazzare. Elizaveta Drakov si era probabilmente resa conto che contattare Hawkeye era stato un pessimo affare e che, dopotutto, non era più interessata a mantenere attiva la loro collaborazione.

“Penso di sì,” esalò infine, trovandosi terribilmente in difficoltà nel sostenere lo sguardo inquisitore della donna. Non che avesse bisogno di chissà quale conferma: Clint si era accorto che Natasha aveva la situazione fin troppo chiara. Era quella una delle doti della donna che più lo facevano uscire di testa, il modo in cui osservava disinteressatamente tutto ciò che la circondava, intuendo processi e meccanismi che sarebbero risultati oscuri ai più, ma non a lei, dannatamente perspicace com'era.

“Suppongo che tu sia di nuovo disoccupato, allora,” suggerì a mezza voce, spruzzando un liquido dall'odore acre su una garza pulita prima di passargliela sul foro che il proiettile aveva scavato nella sua carne. Il dolore fu tanto acuto ed immediato che mancò poco gli strappasse un gemito stonato. Serrò le labbra e trattenne il respiro, impedendosi di emettere il benché minimo suono.

“G-Grazie della precisazione,” ci tenne a sottolineare, non appena fu più o meno sicuro di non rischiare una figura di merda.

“Perché ti ha assoldato?” Una veste di artefatta nonchalance accompagnò la sua domanda.

“Per vendicare la morte di sua figlia.” Non esitò a rispondere, tanto ormai che importanza poteva avere? Clint dubitava fortemente che esistesse un modo più concreto ed efficace per comunicare la volontà di rescindere un contratto che mandare degli energumeni inferociti a distribuire pallottole a destra e a manca.

Natasha non aggiunse nient'altro e si limitò a procedere con le sue operazioni. Dopo aver disinfettato la ferita su entrambi i lati, la fasciò con delle bende sottili fermandole con un pezzo di scotch di carta.

Approfittò della sua concentrazione per scrutarla in viso a distanza ravvicinata: non aveva l'aria dell'assassina. Certo, aveva scoperto che sapeva essere incredibilmente pericolosa quando voleva, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che non smetteva di dargli un'idea di... ingenuità, forse. Si poteva essere ingenui e letali al tempo stesso?

“Deve aver rintracciato il telefono.” La donna riprese la parola dopo un paio di istanti di completo silenzio. “Dovresti sbarazzartene.”

Clint annuì, dandole tacitamente l'assenso per andare a recuperare la sua sacca ancora abbandonata sul sedile del passeggero e ripescarne il cellulare prepagato. Aveva un'aria talmente innocua: sembrava impossibile fosse stato quel coso inerte a comunicare la loro posizione agli scagnozzi della signora Drakov. Osservò Natasha mentre schiantava il telefono contro il bordo della cassetta degli attrezzi miracolosamente sopravvissuta all'andatura impazzita che il furgone aveva mantenuto durante l'inseguimento.

“Mi devi ben due milioni di dollari,” le rammentò, più divertito e pacificato che ostile.

Si sarebbe persino vergognato ad ammetterlo a chiunque altro oltre che a se stesso, ma si sentiva sollevato: la decisione che l'aveva tormentato assiduamente, giorno e notte, era appena sfumata nel niente. Non era più compito suo scegliere tra la vita di Natasha e il lauto compenso che la signora Drakov gli aveva offerto in cambio dei suoi servizi. Era un pensiero da vigliacchi, se ne rendeva perfettamente conto. O forse era solo contento di non dover riconoscere che tutti quegli anni trascorsi a convincersi che la priorità era occuparsi solo ed esclusivamente di se stesso e delle proprie necessità, senza guardare in faccia niente e nessuno, erano stati del tutto inutili. Una mera illusione di guarigione da quelle tendenze fastidiosamente altruistiche che l'avevano messo ripetutamente nei guai, che gli erano inevitabilmente connaturate.

Quale che fosse la conclusione alla quale era arrivato, i fatti rimanevano: aveva preferito infilarsi in un'assurda serie di guai piuttosto che conficcare una delle sue frecce nel cuore della donna. Non importava quanto forte e quanto insistentemente avesse strepitato ai quattro venti che l'avrebbe fatta fuori, prima o poi. Si rendeva conto, adesso, nonostante stesse cercando disperatamente di non prenderne atto, che aveva semplicemente rimandato quel momento giorno dopo giorno, non perché avessero stretto quel bizzarro accordo, ma perché non voleva ammazzarla.

“Non hai l'aria di esserci rimasto poi così male,” gli fece notare. Si era seduta sul lato opposto del furgone, occupando l'angolo di materasso che il dottore aveva lasciato libero.

“Era un lavoro nato storto comunque,” liquidò la cosa, controllando distrattamente la fasciatura al braccio. “Dove hai imparato a farlo?”

“Mio padre.” Scrollò leggermente le spalle, come si fosse trattato di un dettaglio di nessuna importanza. “Se non ti fidi ti basta aspettare che Bruce si svegli.”

“Mi fido,” si affrettò a replicare senza realizzarlo fino in fondo. “E poi il dottore non si sveglia neppure con le cannonate.”

Un'impercettibile risata parve scuoterla leggermente.

“Se non altro qualcuno di noi riesce a riposare.”

“Dillo a me. Comincio a vederci pure doppio.”

“Ti hanno appena sparato,” obiettò lei.

“Sul serio?” Le rivolse un ampio sorriso, sgranchendo finalmente i muscoli – ormai quasi atrofizzati – del viso. “Non me n'ero accorto.”

 

*

 

2 ore dopo
nei pressi di Birmingham, Alabama

 

Stando alle indicazioni stradali, mancava meno di un miglio al loro imminente ingresso a Birmingham: la città coi suoi grattacieli e edifici scintillanti, si stagliava in lontananza sulla linea dell'orizzonte. Avrebbero avuto bisogno di una mappa per individuare l'indirizzo riportato sul biglietto che il dottor Banner aveva ricevuto, ma Natasha contava comunque di poter risolvere celermente la faccenda, sperando che Steve Rogers, chiunque egli fosse, si lasciasse convincere a seguirli o quantomeno ad affidar loro il contenuto del pacchetto che gli era stato recapitato (o così si supponeva), senza opporre troppa resistenza.

Al calare dell'adrenalina, fame e sete – che li tormentavano ormai da tutta la notte – erano tornate a farsi sentire, reclamando l'attenzione di tutti.

Thor aveva proposto di fermarsi al drive-through di un fast food che avevano scorto in lontananza, ed era lì che erano andati ad arenarsi.

“Allora, tre cheeseburger, un hamburger, due toast, patatine per tutti e...,” Bruce si bloccò, grattandosi la sommità del capo con la matita che aveva usato per scarabocchiare le ordinazioni su un pezzo di carta qualunque, “... cos'è che avevi detto?” Si voltò verso di lei, lanciandole un'occhiata confusa.

“Un tè.”

“Oh, giusto,” si rammentò improvvisamente.

“E un caffè,” intervenne Clint. “Prendimi anche una birra.”

“Non sono nemmeno le nove del mattino,” protestò Bruce. “E comunque con gli antidolorifici che hai preso non puoi assumere alcool.”

L'arciere sospirò in modo tanto teatrale da strapparle un sorriso, abbandonato com'era sul retro, il braccio ferito ancora fasciato e la sacca contenente l'arco possessivamente stretta in quello sano.

“Un caffè nero, allora,” si arrese. “Triplo.”

“Non mi stupisce che tu sia sempre così nervoso,” asserì il dottore.

Finalmente la station wagon grigia che bloccava loro la strada riprese a procedere, permettendo a Natasha di avanzare e fermarsi davanti alla schermata che riportava il menù del ristorante.

“Benvenuti da Wendy's, il mio nome è Bella, come posso esservi utile?” Un'assonnata voce femminile li raggiunse dallo speaker, trattenendo a stento uno sbadiglio.

Natasha squadrò l'infernale aggeggio che aveva appena parlato, lanciando un'occhiata perplessa in direzione di Bruce, seduto al suo fianco.

“Basta che le comunichi le ordinazioni,” la incoraggiò quello, passandole il foglietto stropicciato su cui aveva segnato... parole incomprensibili. Non si sorprese più di tanto nello scoprire che il dottor Banner, esattamente come ogni suo altro collega che si potesse definire tale, aveva una calligrafia indecifrabile.

“Ci siete?” Bella cominciava a spazientirsi.

Si affrettò ad elencarle – più a memoria che affidandosi alla lista di Bruce – i vari piatti, sporgendosi un poco fuori dal finestrino per assicurarsi che la donna riuscisse a sentirla.

“Sono... quarantasette dollari e settantaquattro centesimi,” dichiarò Bella in tono monocorde, “le vostre ordinazioni vi aspettano proprio dietro l'angolo. Grazie per aver scelto Wendy's e buona permanenza a Birmingham.”

Natasha seguì le istruzioni della donna, fermandosi davanti ad una finestra aperta oltre la quale alcuni dipendenti in t-shirt blu andavano muovendosi a rilento, inscatolando e insacchettando i cibi in confezioni di forme e dimensioni diverse. Un ragazzo che doveva avere meno di vent'anni, si sporse verso di lei senza neanche degnarla di uno sguardo, consegnandole un'enorme busta di carta e prendendosi in cambio la banconota da cinquanta che gli stava porgendo.

“Arrivederci,” salutò con aria annoiata, restituendole il resto con una mano guantata. “Il prossimo.”

“Non c'è nessun prossimo,” fece notare Thor, mentre Natasha passava la busta a Bruce e Clint, impaziente, si rimetteva in piedi sul retro per avere la propria razione di cibo.

“Strano,” commentò il dottore. “Ero convinto che ci fosse qualcuno dopo di noi.”

“Che importanza ha? Ho fame,” si lamentò l'arciere, andando a tediarlo sul sedile anteriore affinché gli passasse il suo cheeseburger.

L'ennesima, pessima sensazione si impossessò di lei. Era vero che non erano stati gli ultimi a deviare verso il drive-through del ristorante...

Strinse leggermente il volante tra le mani, decidendo che – quale che fosse la situazione – non aveva molta altra scelta se non quella di avanzare e reimmettersi in strada per macinare gli ultimi metri che li separavano da Birmingham.

Fece appena in tempo a sbucare sulla carreggiata, Clint ad addentare il suo cheeseburger, Thor a ingollare il suo in due miseri morsi e Bruce a cercare un fazzoletto con cui pulirsi gli occhiali, quando uno stuolo di sirene e luci lampeggianti rosse e blu non li investì bruscamente, costringendo Natasha a frenare di colpo.

La polizia li aveva appena circondati.


__________________________________________

Note:
E per un pericolo appena scampato, ne arriva un altro fresco fresco. La questione Drakov verrà archiviata per un po' mentre i nostri dovranno trovare un modo per liberarsi della polizia. Intanto l'universo ha finalmente concesso a Clint una scusa valida per non uccidere Natasha (sono convinta ne avesse a bizzeffe, ma poca intenzione di prenderne realmente atto). Faremo la conoscenza del penultimo Vendicatore nel prossimo capitolo... ma non dico nient'altro :P
Ringraziamenti come sempre alla sclerosocia Eli :* e a chiunque mi segua, leggendo, commentando, spulciando, ecc. Apprezzo tantissimo :')
Alla prossima!
S.
  
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