20/10/2014
3 recensioni
«Hai voluto la bici, Emily?»
Mi rimproverai, con un vuoto nel cuore ed un senso di colpa inverosimile. Ero così, andavo avanti dritta per la mia strada convinta di avere ragione, poco utile dire che ogni volta o mi accadeva qualcosa, o facevo mosse sbagliate, ritrovandomi nei guai fino al collo. Che ci vogliamo fare, se una persona nasce quadrata, certamente non diventa tonda: dovevo accettarlo.
Il mio ``nuovo´´ mondo mi interessava parecchio, c'erano ancora tante cose che avrei voluto capire e che al contempo non dovevo-potevo sapere. Tante cose di cui non ero a conoscenza, su di me e la mia vita. Tante cose, semplicemente. Non riuscivo a controllarmi, ero ancora inesperta e ciò causava in me una solitudine interna immensa. Preferivo uscire di sera da sola, che stare con gente e magari aggredirli per assenza di autocontrollo.
Da sola, invece, l'unica che avrei potuto colpire sarebbe stata me stessa.
Ero stanca, di tutto, di tutti. Giravo per le strade poco illuminate della cittá con la mia macchina grigia, l'acceleratore era più premuto del solito. I lampioni emettevano una luce fioca, a tratti: era come se dovessero morire da un momento all'altro, come me. Fermai la vettura sul ciglio del marciapiede e mi avventurai lungo il bosco, immersa nei miei pensieri. Chi ero? E perché? Domande senza possibili risposte, che mi tormentavano la mente.
«Devo smetterla.»
Misi le mani nelle tasche del mio cappotto e con passo deciso, testa bassa e occhi gonfi dalle lacrime, continuai il mio percorso fino a sbucare in una stradina desolata, la voce impaurita di una ragazza catturò la mia attenzione: senza volerlo, avevo calpestato un ramo caduto per terra, spezzandolo in due. Feci un passo avanti senza darle una risposta, credevo che il mio viso bastasse.
Avanzai lentamente verso la ragazza, il suo viso sporco di terra venne illuminato dal raggio di luce fioca di un lampione dul ciglio della strada, aveva dei bellissimi lineamenti, mi ricordava molto il viso delle bambole di porcellana, così fine, spaventato, piccolo.
I suoi biondi e lunghi capelli erano sporchi di fango, spettinati. Sul viso riportava delle ferite, tutti quei fattori messi insieme mi fecero pensare ad una possibile lotta: volevo aiutarla, non potevo lasciarla in quelle condizioni, di sera, magari con qualcuno pronta ad ucciderla.
«Tranquilla, non voglio farti del male.»
Le porsi una mano, cercando di rassicurarla. Mi fece cenno di no con la testa.
«Non uccidermi, ti prego.» Mormorò tra un singhiozzo e l'altro, le sue lacrime ticchettavano per terra come pioggia nascente.
D'improvviso, qualcuno mi strinse le mani al collo, da dietro, l'unica cosa che riuscii a sentire furono le urla della bionda, che fece colmare il suo cuore ancora più di paura di quello che era già.
Riuscii miracolosamente a liberarmi, l'uomo mascherato cadde a terra e senza pensarci due volte, trascinai la ragazza dietro di me.
Corremmo per il bosco affannosamente, fino ad arrivare alla mia auto. Era completamente distrutta.
Prendeva fuoco, mi si illuminarono gli occhi, mentre sentii il fine corpo della bionda stringersi a me.
«A, come Alison.» Mi sussurrò.
Prima flashfic Emison! Sì, lo so, non è un gran che ma giuro che mi rifarò, volevo solo provare il "brivido" di scrivere un probabile incontro tra le due, per il resto, spero che la storia vi sia piaciuta. Lasciatemi un commento (anche negativo ovviamente, accetto tutto) per farmi sapere cosa ne pensate, se posso migliorare in qualcosa. Sappiate che se volete criticarmi per il puro gusto di farmi rimanere male non ci riuscirete: prendo ogni cosa come costruttiva e se provate a fare una cosa simile me ne accorgo ignorandovi completamente.
Un bacio.
- G.