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Autore: Roxar    20/10/2014    2 recensioni
Stati Uniti, seconda metà degli anni '80.
Andrea, da poco arrivato in America insieme a Gabriele, ha qualche difficoltà ad imparare l'inglese. Il fatto, poi, che non abbia voglia di imparare o la pazienza per farlo, non facilita certo Gabriele nel suo tentativo di aiutarlo.
A meno che Gabriele non decida di adottare un metodo forse poco ortodosso, ma incredibilmente efficace...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Warnings: Slash, Lime, Spin-off, Tematiche delicate
Note: Mi ero ripromessa, un anno e qualche settimana fa, che non avrei mai più ripreso in mano questi miei personaggi, perché mi sembrava di peccare di presunzione. Ma poi è capitato che sia arrivato il compleanno di qualcuno (ogni riferimento a cose, fatti o Aika è puramente casuale) e la tentazione di riprendere in mano questi due è stata troppo forte. E, lo ammetto, mi erano mancati moltissimo - al punto da aver già plottato un sequel, coff. Quindi sì, quello che vi apprestate a leggere è uno spin-off di Nessun Dio, qualcosa che, nel caso in cui vi venisse voglia di leggerla, vi consiglio di prendere molto con le pinze, soprattutto per gli argomenti trattati. Non è necessaria la lettura, ma sarebbe opportuna per capire certi riferimenti all'interno della storia. Ma uno su tutti, onde evitare spiacevoli equivoci, voglio chiarirlo subito: Gabriele è un ex sacerdote che, dopo essersi innamorato di Andrea, ha rinunciato all'abito e alla vita religiosa (motivo per cui ho inserito l'avvertimento Tematiche delicate, giusto per andare sul sicuro).
Patti chiari, amicizia lunga: se l'argomento vi innervosisce o ferisce la vostra sensibilità, chiudete la pagina adesso. Nessuno ve ne vorrà, lo giuro. :') Se invece non vi lede, siete i benvenuti.

Ma, bando alle ciance, Aika, dolcezza, questa è per te. Seppur con un piccolo ritardo, augurissimi, splendore. <3 Sei rara, you know. <3

 

___

 

– Senti, basta. Tanto non ci capisco niente.
Andrea spinse da parte un libro di inglese per bambini, iniziando ad abbozzare uno dei suoi disegni mozzafiato sul foglio coperto di parole che proprio non riusciva a mandare a memoria. Glielo aveva spiegato più volte: non era capace di imparare una lingua così difficile, o un'altra lingua in generale, eppure Gabriele non si era arreso. Per lui si riduceva tutto alla forza di volontà e alla pazienza, intrecciate entrambe alla voglia di imparare. Andrea, sfortunatamente per lui, non possedeva nessuna delle tre: non solo non aveva voglia di apprendere, ma era fatto risaputo che la pazienza non era annoverata tra le sue virtù – non che ne vantasse tante, poi.
Accigliato, mosse rapidamente la mano sul foglio, tratteggiando quella che a Gabriele, dalla sua prospettiva, sembrava una finestra. Non una qualsiasi, intuì, ma quella della sua vecchia canonica, le cui assi racchiudevano uno scorcio di spettacolare bellezza marittima. Si domandò, e non per la prima volta, se Andrea fosse contento di quella loro sistemazione, se non provasse rimorso per essersi lasciato trascinare dall'altra parte del mondo, lontano dagli sguardi malevoli di chi li avrebbe indubbiamente condannati. E come può esserlo?, si domandò, sospirando silenziosamente. Non poteva esserne felice, perché lui stesso non lo era. La segretezza era stata un brivido eccitante che era scemato con l'incedere del tempo, tramutandosi in un guinzaglio troppo stretto serrato intorno alla gola della loro libertà. Se pesava a lui, che aveva imparato a coltivare la pazienza e l'indulgenza, non poteva non pesare anche per Andrea, il cui carattere solare e impulsivo si discostava nettamente dal proprio. E ciononostante, non c'erano altre soluzioni; perfino il sogno americano aveva i suoi limiti di tolleranza.
– Andrea, per favore. Imparare la lingua del posto è il primo passo per integrarsi. E poi, l'hai detto tu stesso che sei stanco di non capire quello che dicono i tuoi colleghi, – lo blandì, posizionando nuovamente il libro di inglese tra loro, preso in prestito dai loro vicini, i cui figli ormai erano troppo grandi per poter usare quel testo. Andrea lo ignorò apertamente, continuando a disegnare, premendo intenzionalmente e con foga la penna là dove svettavano frasi e parole in inglese.
– I miei colleghi li capisco benissimo, – ribatté con ostilità, mordendosi la guancia. Amava Gabriele, ma non poteva tollerare i suoi discorsi paternalistici, trasudanti di condiscendenza e indulgenza. Non era un bambino né uno dei suoi vecchi parrocchiani. Era il suo compagno, per la miseria.
– Solo quelli italiani, che sono una piccolissima parte. Andrea, davvero, provaci. Che ti costa?
– Mi costa che perdo un sacco di tempo e non c'ho voglia di continuare.
Un ricordo lontanissimo affiorò lentamente in superficie, pieno di polvere e nostalgia. Gabriele ricordò sua nonna – la sua amata, carissima nonna – mentre cercava di istruirlo e insegnargli i rudimenti della lingua italiana. Aveva l'abitudine di scrivere una parola su un foglio, pronunciare con chiarezza ogni singola lettera e poi intercettare l'oggetto corrispondente. Così, a soli quattro anni, Gabriele aveva imparato a leggere e scrivere una discreta quantità di parole. E se ci era riuscito lui, senza alcuna base, perché non avrebbe dovuto farlo anche Andrea? Non era suo obiettivo arricchire il suo dizionario inglese – non adesso, almeno; voleva solo instillare in lui quel poco di interesse necessario a smuovere la sua attenzione.
– Vogliamo provare con un altro metodo?
Suo malgrado, Andrea avvertì un brivido colargli lungo la schiena. Non c'era più alcuna condiscendenza nella voce di Gabriele, quanto piuttosto una nota di suadente malizia, accentuata dal tono basso e caldo. Smise prontamente di disegnare quando l'altro si alzò e si posizionò alle sue spalle, sfilandogli la penna dalle mani, non senza prima aver sfiorato tutte le dita con le sue in un gesto nient'affatto involontario o casuale. Qualunque cosa avesse in mente, Gabriele aveva la sua totale, incondizionata attenzione. Serio e pacato com'era, capitava raramente che avesse voglia di giocare. Meglio approfittarne, decise.
Abbassò gli occhi sulla sua mano snella e affusolata, seguendo la penna mentre tracciava in bella grafia una parola.
Sweater, – pronunciò lentamente e la penna venne adagiata sul foglio mentre le sue dita stringevano l'orlo della maglia di Andrea, sollevandola piano, le nocche che sfregavano gentilmente contro la pelle dell'addome e del petto, fino a sfilargliela e posarla sul tavolo.
Sweater, – ripeté contro il suo orecchio, imprimendo un piccolo bacio dietro il lobo. Fu un gesto tenero, ma Andrea se ne sentì comunque eccitato. Deglutì e fissò l'indumento, sforzandosi di ignorare le mani di Gabriele ferme sui suoi fianchi nudi.
– Maglia, – esalò, ricevendo in cambio il suono lieve di un sorriso ammirato.
– Esatto. Proviamo con questa, – continuò, riappropriandosi della penna per vergare un'altra piccola parola. – Hair, – scandì e la sua bocca scese sulla nuca scoperta, inanellando una sequenza di baci lungo i suoi capelli, scansando infine quelli davanti per potergli baciare la fronte.
– Capelli? Fronte? – domandò, chiudendo gli occhi mentre un'espressione dolente piegava i lineamenti del suo viso, mentre l'erezione premeva contro i pantaloni, sfregando dolorosamente contro il tessuto degli slip.
– Capelli, – confermò Gabriele e scrisse nuovamente, sussurrando poi al suo orecchio un debolissimo, "Arms" mentre le sue dita scivolavano leggerissime lungo le sue braccia, indugiando sui polsi per intrecciarsi, infine, con le sue.
– Braccia, – mormorò Andrea, vergognandosi un poco della voce che si spezzò sull'ultima sillaba e delle dita che strinsero con forza quelle di Gabriele.
– Visto? Qualcosa stai capendo, – lo blandì Gabriele, chinandosi per posare le labbra sulla sommità della sua testa e trattenerle lì per un tempo che, ad entrambi, parve infinito, finché Andrea non scattò in piedi, sciogliendo la stretta delle loro dita e voltandosi per gettargli le braccia al collo e baciarlo. Ricordò le settimane trascorse in canonica, al fianco di Gabriele, a quante volte avesse trascorso la notte fantasticando su come sarebbe stato baciarlo proprio in quel modo – lingua, denti, labbra, tutto – sfregando, nel frattempo, la mano sull'erezione gonfia, nel vano tentativo di lenirla o soddisfarla. Ma per quanto avesse immaginato e sognato, la sua immaginazione non era stata all'altezza della realtà; non aveva saputo rievocare la consistenza e il calore delle sue labbra, o i movimenti impacciati e inesperti della sua lingua, o quelli incerti e cauti delle sue dita affusolate, che vagavano sempre con una certa ritrosia, come se non sapessero dove posarsi o avessero paura di fargli del male.
Eppure, mentre Gabriele spingeva il bacino contro il suo per indurlo ad arretrare fino a cozzare piano contro il tavolo, Andrea notò che non c'era alcuna riluttanza nei suoi movimenti, come se di punto in bianco avesse finalmente preso confidenza con il suo corpo e con la loro relazione.
Rabbrividì quando si sentì spingere contro il tavolo e il piano freddo accolse la sua schiena, suscitandogli un vago fastidio che venne però prontamente rimpiazzato dal corpo di Gabriele, che scese a coprire il suo, mentre lo invitava ad allargare le gambe per distendersi meglio sul suo petto nudo. Sentì qualcosa di duro e spigoloso premergli contro la nuca e voltò la testa, sfuggendo momentaneamente al bacio dell'altro, le cui labbra si muovevano come in una muta preghiera contro il suo collo. Il libro di inglese premeva fastidiosamente e Andrea lo allontanò con una manata decisa, mandandolo ad impattare contro il pavimento.
Non era affatto il momento di studiare, decise, voltando la testa per accogliere nuovamente le sue labbra.

– Senti, – biascicò Andrea, sollevando appena la testa così da non abbandonare l'incavo del collo di Gabriele e, allo stesso tempo, poter mettere insieme parole comprensibili. – Com'è che si chiama, quest'altro metodo?
Gabriele rise pianissimo e il tremito della sua risata scosse dolcemente Andrea, che tornò a rifugiarsi in quel suo angolo di pelle umida e capelli troppo lunghi.
– È un metodo di cui hai l'esclusiva. Possiamo chiamarlo andreismo. Il metodo dell'andreismo, per esempio.
Andrea sbuffò un sorriso e gli baciò il collo. – Mi piace l'andreismo. Mi dai qualche altra lezione?
Gabriele, spingendo il bacino nudo contro il suo in un gesto eloquente, sorrise e acconsentì, sussurrandogli parole in inglese all'orecchio e indicando, immediatamente dopo, il loro corrispettivo italiano sul corpo di Andrea, come fosse stata una preziosa mappa concettuale.
Aveva brevettato un buon metodo, pensò vagamente compiaciuto, mentre chiudeva gli occhi per accettare un altro dei suoi baci.

   
 
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