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Autore: dolls_    20/10/2014    1 recensioni
Lui si avvicina e le posa una mano sul braccio - Permettimi di aiutarti -
La sta implorando?
- O-okay -
La porta in macchina, la fa sedere al posto del passeggero.
- Dove mi porti? - domanda lei.
- Al sicuro -
E questo basta a rassicurarla, a farla sentire protetta. Chiude gli occhi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Survive for live
 
<< I must have held your hand tight. You didn’t have the will to fight.
 I guess you needed more time to heel >>

Genova.

Una ragazza è appena uscita da scuola, lo zaino di jeans sulle spalle, un maglione rosso e una sciarpa di lana al collo. Abbassa il viso, nascondendolo con la sciarpa, per ripararsi dal vento freddo di metà Ottobre. Per un attimo rimane ferma a fissare la punta delle sue converse, una lacrima le solca la guancia destra. La ragazza la asciuga in fretta.
Poi arrivano alcuni suoi compagni di scuola. Un ragazzo afferra lo zaino della ragazza e la strattona indietro << Sei solo una sfigata >> dice << Non sai neanche come si porta lo zaino >>. E detto questo, il gruppetto dei ragazzi che si era avvicinato a lei, si allontana ridacchiando. Qualcuno le lancia ancora un’occhiata.
Lei sospira, si passa una mano fra i capelli e si toglie una bretella dello zaino. Così si porta lo zaino, su una spalla sola. Eppure lei non potrebbe farlo, ha la scoliosi e in questo modo aggraverebbe di più il problema alla schiena. Hanno ragione i suoi amici, lei è una sfigata.
Un altro sospiro e si avvia fuori dalla scuola. Percorre la strada che la separa da casa sua in fretta, quasi come se fosse inseguita, e una volta dentro getta tutto per terra e corre in camera sua.
Si guarda intorno, cerca evidentemente qualcosa, ma non riesce a trovarlo. La ragazza si porta le mani sui capelli, tirandoli leggermente. Fa qualche passo avanti, poi torna indietro. Si accascia per terra e cerca sotto il letto.
<< Cosa stai cercando? >> le chiede una donna sulla quarantina appoggiata allo stipite della porta: sua madre.
<< La foto di papà, quella che tenevo sul comodino >>
<< L’ho buttata >> dice la donna prima di tornare in cucina.
La ragazza si accascia per terra. Non può credere alle parole della madre. Quella foto era tutto ciò che le rimaneva del padre, morto di cancro ai polmoni. Lei capisce il dolore di sua mamma, il fatto che non riesca a sopportare di vedere in giro il volto dell’uomo che ha amato per anni e che ora non le è più accanto, ma si domanda perché buttare proprio quella foto, l’unica che le faceva tornare ancora la voglia di sorridere.
Sospira e si alza da terra. Scende al piano di sotto, in cucina, e abbraccia la madre. Sono rimaste solo loro due e il dolore con il quale devono imparare a convivere.
 
Entra nel bar, deve comprare una bottiglietta d’acqua e una pizzetta per la pausa pranzo. Si avvicina al bancone per domandare dell’acqua, ma il suo sguardo si posa improvvisamente su una ragazza bionda, poco più grande di lei, che beve della vodka direttamente dalla bottiglia.
<< Perché mi fissi? >> le domanda la bionda << è perché sto bevendo vero? Vuoi sapere perché bevo? >>. È completamente ubriaca. Lei non sa cosa risponderle, perciò rimane in silenzio.
<< Dicono che il silenzio sia una risposta affermativa. Lo sai? Beh, bevo per dimenticare. Tutti abbiamo qualcosa da dimenticare: bere è il modo più semplice per farlo. Prova anche tu dai, scommetto che anche tu vorresti scordare qualcosa >>
La bionda si alza dal bancone barcollando, le viene incontro e le offre la bottiglia. La ragazza scuote la testa << No, grazie >>
<< Dai bevi >> la esorta, ma non aspetta un’altra sua risposta, un altro suo rifiuto, le fa aprire la bocca con forza e la costringe a bere. Il liquido caldo le brucia la gola e lo stomaco. Lei tenta di sottrarsi alla stretta ferrea di quella ragazza bionda che ancora cerca di farla bere e nel frattempo ride, come se fosse pazza.
Con uno strattone la ragazza si allontana. Le gira un po’ la testa e le viene da vomitare, ma non ha tempo per riprendersi, deve andare a scuola.
 
“Tutti abbiamo qualcosa da dimenticare: bere è il modo più semplice per farlo”
Le parole di quella ragazza la tormentano già da un po’. In fondo aveva ragione. Lei vuole dimenticare il dolore che la perdita di suo padre le ha causato. E se bere fosse davvero la soluzione? Se potesse scordare per un attimo tutto quel dolore?
Queste sono le domande che frullano nella sua mente, mentre sta ferma, in piedi, davanti allo stesso bar nel quale era entrata quella mattina, incerta sul da farsi.
Forse è davvero la soluzione migliore.
Entra nel bar.
La ragazza si siede al bancone. Le mani le tremano, sta sudando freddo e respira irregolarmente. Ce la può fare.
<< Posso offrirle qualcosa, signorina? >> il barman si è avvicinato e attende una sua risposta.
<< Ehm, i-io, magari … >> la voce le traballa, si spezza e una lacrima calda le solca una guancia. Cosa sta facendo?
<< Ho capito, qui ci vuole qualcosa di forte, eh? >>
Lei sta per fare cenno di no con il capo, ma il cameriere è già sparito.
Torna pochi minuti dopo con una birra in mano << Avrei voluto portarti qualcosa di più forte, ma sei solo una ragazzina, questa ti basterà >> indica la bottiglia che ha appena poggiato sul bancone e incrocia le braccia al petto. Forse sta aspettando per vedere se lei berrà.
La ragazza si sente gli occhi puntati addosso. È in soggezione e non sa cosa fare. Afferra la bottiglia di vetro verde. La odora. Storce il naso per la puzza che proviene dalla bottiglia. Il barman la sta ancora fissando.
<< Butta tutto giù in un sorso, non pensarci >> le suggerisce.
E lei fa così. Appoggia le sue labbra al collo della bottiglia e manda giù il primo sorso. Il sapore non è forte come quello della vodka che ha bevuto stamattina. Si infonde coraggio e ne beve un altro sorso. Può farcela, può dimenticare.
In pochi minuti ha finito la bottiglia di birra. Ne ha ordinata un’altra, e poi un’altra ancora. Dopo tre bottiglie, la testa le gira talmente forte che neanche lei sa come sia riuscita ad alzarsi in piedi. Barcolla verso l’uscita, ubriaca fradicia.
Non appena esce dal bar incontra il gruppetto di amici che è solito prenderla in giro a scuola.
<< Ciao coglioni >> saluta. Probabilmente è stato l’alcool a parlare per lei.
<< Oh-Oh >> la schernisce una ragazza fingendosi sorpresa.
<< Levati di torno >> biascica lei, cercando di passare.
Un ragazzo alto e muscoloso, dai capelli castani e gli occhi azzurri la blocca fra le sue braccia.
<< Così sei molto più fragile del solito >> ridacchia << Chissà perché ti sei ubriacata … >>
La spinge per la schiena e lei finisce addosso ad una biondo poco naturale con due palle da bowling al posto del seno.
<< Stronza! >> urla scrollandosela di dosso con una spinta.
Questa volta la ragazza cade per terra, sbatte un ginocchio e urla per il dolore.
<< Forse dovremmo aiutarla >> sente mormorare da qualcuno, una ragazza.
<< Non pensarci nemmeno >> la ammonisce qualcun altro.
La ragazza, ancora distesa per terra, osserva i suoi compagni di scuola. Fumano tutti una sigaretta, qualcuno anche uno spinello, o forse è una canna? L’alcool le annebbia la vista e non riesce a distinguere bene nulla.
<< Facciamola fumare, tanto peggio di così non può ridursi! >> esclama qualcuno prendendola per un gomito e costringendola ad alzarsi.
<< La vuoi una sigaretta? >> le chiede la bionda sulla quale era finita prima.
<< I-io … >> avrebbe voluto dire “non lo so” o semplicemente “no”, ma il desiderio di farsi accettare dai suoi compagni di scuola la spinge ad annuire e prendere fra le mani una sigaretta.
Se la rigira e la rimira per un po’, poi allunga la mano verso un ragazzo per farsi prestare un accendino di plastica verde.
Accende la sigaretta. La poggia sulle labbra e facendo appello a tutto il suo coraggio, aspira un po’ di fumo. La sensazione è orribile, il fumo le invade i polmoni e la gola, per un attimo non riesce più a respirare. Poi lascia fuoriuscire la nebbiolina di fumo dalla bocca e comincia a tossire.
I ragazzi intorno a lei ridono.
Non può essere umiliata ancora. Aspira altro fumo e lo getta via solo per riprenderne dell’altro. Piano piano comincia ad abituarsi.
I ragazzi non ridono più. Finalmente è una di loro.
<< Tieni >> le dice un ragazzo, regalandole un pacco di sigarette per metà pieno e un accendino di plastica viola, simile a quello verde che stringe fra le mani.
<< Grazie >> sussurra lei senza convinzione.
 
La ragazza si sveglia con un forte mal di testa. Ha passato la notte a vomitare anche l’anima, a causa del fumo e dell’alcool, intromessi nel suo organismo con forza e troppo presto.
Si alza dal letto. Sono le otto in punto, ha perso la prima ora di scuola.
Scende al piano di sotto, in cucina. Sua madre non c’è ma le ha lasciato un biglietto: “mi hanno chiamata stanotte a lavoro, spero di tornare per quando ti svegli. In caso contrario, ci sono dei biscotti sulla credenza”
Sua madre è un’infermiera, probabilmente quella notte era reperibile. Si avvicina alla credenza. I biscotti poggiati sul piatto hanno un aspetto molto invitante, ma lei decide di non mangiarli, sta ancora troppo male.
Ha bisogno di schiarirsi le idee perciò decide di farsi una doccia. Sotto il getto caldo dell’acqua i suoi muscoli si rilassano, i suoi pensieri però rimangono ingarbugliati, deve trovare una soluzione a questo strazio.
Si veste, si trucca e si acconcia i capelli nel miglior modo possibile. Sta per uscire di casa, quando il suo sguardo cade sul pacchetto di sigarette che le ha regalato uno dei ragazzi il giorno prima. Lo prende e lo infila nella tasca posteriore dei jeans stretti.
Lungo la strada che ogni mattina percorre per andare a scuola, si accende una sigaretta e comincia a fumarla. Deve abituarsi, se vuole essere accettata.
In fondo le sigarette non hanno un sapore così terribile, le è sempre piaciuto l’odore, perché non dovrebbe gradirne anche il sapore?
 
È passata una settimana da quando ha cominciato a fumare. Ogni tanto beve qualche birra, ma non si è più ubriacata come quella sera. Sta bene: i compagni, se non l’hanno del tutto accettata, almeno la salutano quando la incontrano la mattina e hanno smesso di prenderla in giro. Lei si sente parte del mondo degli adolescenti. Eppure c’è qualcosa che la tormenta tutt’ora, mentre la sigaretta continua a consumarsi da sola fra le sue dita. La cenere cade sul materasso del letto, sopra il quale è seduta lei, le gambe distese.
Sta pensando a suo padre.
Era morto di cancro ai polmoni. E lei fumava.
Avrebbe dovuto essere colpita dall’avvenimento, avrebbe dovuto imporsi delle regole e soprattutto capire che quello che stava facendo era sbagliato. Eppure se non lo faceva era lei a sentirsi sbagliata.
Aveva bisogno di distrarsi. Di pensare ad altro, solo per un minuto.
Si siede al computer e scorre la home di facebook. Stati di ragazza depresse continuano ad alternarsi a frasi ed esclamazioni dei ragazzi che hanno visto la partita la sera prima.  
Lo sguardo le cade su un’immagine in particolare. É la foto del polso di una ragazza autolesionista. I tagli sono brutti e la lametta del temperino, insanguinata, giace accanto al suo braccia. Sulla foto c’è scritto: “È meglio il dolore fisico che quello psicologico”.
La ragazza non capisce, o almeno non lo fa subito. È un altro modo per dimenticare, più o meno. L’alcool ti impedisce di pensare, non ti rendi conto di nulla. Se provi a tagliarti sei troppo presa dal dolore fisico per dar sfogo a quello psicologico.
E se … ? E se questo fosse un modo più efficace per dimenticare? Lei non voleva che la vista le si annebbiasse ogni qual volta desiderasse scordare il proprio dolore, non voleva perdere i sensi o risvegliarsi con quel mal di testa straziante.
Si precipitò in cucina. Prese un coltello appuntito e tornò in camera.
Doveva provarci. Doveva trovare il coraggio dentro di sé. Avrebbe dimenticato, e tanto bastava.
“Mio padre è morto”
Appoggia il coltello sul polso, preme un po’. Un fiotto di sangue si riversa fuori dal taglio. Cavolo se fa male.
“Mia madre è sempre assente, il mio rapporto con lei fa schifo”
Un altro taglio, vicino al primo.
“Non sono entrata a far parte della comitiva dei miei compagni, continuano a prendermi in giro e io permetto loro di farlo”
Poggia di nuovo il coltello sul braccio. Affonda la lama.
“Sono un disastro”
Un quarto taglio si aggiunge agli altri.
Osserva il suo polso, pieno di tagli sanguinanti, guarda il coltello sporco del suo stesso sangue così come le mani.
Che ha fatto?
Si alza dal letto e si affretta a ripulire la stanza prima che sua madre torni dal lavoro.
Fascia il suo polso con alcune bende bianche che ha trovato in casa e copre quest’ultime con la lunga manica del maglione che indossa.
Sciacqua il coltello e lo ripone.
Ha eliminato ogni traccia, fortunatamente.
 
Quella sera sta passeggiando per le strade deserte. È ubriaca fradicia, sta sudando e barcolla dopo due bottiglie di vodka alla fragola e una di birra. Intanto fuma una sigaretta dopo l’altra. È mezzanotte passata e sicuramente sua madre si sta chiedendo dov’è andata a finire. Ma a lei non importa più niente. Quel giorno sua mamma ha scoperto i tagli, ha visto il sangue che si era scordata di ripulire in camera sua. Ha urlato, l’ha schiaffeggiata e l’ha ferita: “Mi fai schifo!”.
Lei è ricorsa ai ripari. Ha bevuto, sta fumando e rischia di cadere a terra svenuta da un momento all’altro. Questa volta ha proprio esagerato. Ma non le importa. Non le importa davvero.
Intravede i fanali di una macchina davanti a lei, nella strada buia.
Non si scosta. Rimane ferma. Forse morire è la soluzione migliore, rincontrerà suo padre. Si, decide, è meglio morire.
Ma la macchina si ferma.
Ne scende un bel ragazzo, dai capelli ricci, le labbra carnose e gli occhi verde smeraldo che sembrano illuminare la notte.
<< Ehi, che ci fai tutta sola per strada? >> le domanda avvicinandosi.
“Ecco, ora mi stupra” pensa la ragazza.
<< Mi guardo in giro >>
<< Oh … oh, ma tu sei ubriaca >> il ragazzo sgrana gli occhi.
<< Che intelligente >> commenta lei.
Lui si avvicina e le posa una mano sul braccio << Permettimi di aiutarti >>
La sta implorando?
<< O - okay >>
La porta in macchina, la fa sedere al posto del passeggero.
<< Dove mi porti? >> domanda lei.
<< Al sicuro >>
E questo basta a rassicurarla, a farla sentire protetta. Chiude gli occhi.
 
Si sveglia in un letto che non è il suo, in una stanza che non è la sua, in una casa che non è la sua. Dove si trova?
Si accorge di avere addosso i suoi jeans e un maglione enorme che non è il suo. Ci nuota, dentro quel maglione. Lo osserva: è grigio e ha una striscia bianca sul seno, dalla scollatura si capisce che è decisamente maschile. Ma cosa è successo quella notte?
Esce dalla stanza, scende le scale e si trova nel salotto. È ampio ma lo spazio sembra occupato per la maggior parte dall’enorme divano rosso davanti al quale si trova una televisione dallo schermo decisamente gigantesco. Magari quella fosse casa sua.
Sospira. Ha sete, perciò entra in cucina per bere un bicchiere d’acqua.
<< Buongiorno >> dice qualcuno dolcemente.
La ragazza salta in aria, grida dallo spavento e poi osserva il ragazzo che si trova davanti a lei, dal lato opposto del tavolo. Ha un vago ricordo di lui, dei suoi ricci e di quegli occhi così verdi.
<< Scusa, non era mia intenzione spaventarti >>
<< N-non fa nulla >> balbetta lei.
<< Ti ricordi di ieri sera? >>
<< Molto vagamente >>
<< Beh, cominciamo dalle cose semplici allora >> esclama il ragazzo avvicinandosi  << Io sono Harry Styles >> si presenta porgendole la mano.
Lei gliela stringe.
<< E il tuo nome è …? >>
<< Oh … Mi chiamo Erika Russo >>
<< Quanti anni hai? >>
<< Quindici, e tu? >>
<< Venti >>
Sembra portarne molti di meno.
<< Sai … sai dirmi perché mi trovo qui? >> domanda lei, in imbarazzo.
Harry sospira << Ieri sera ti ho vista per strada, era tutto buio e stavo per venirti addosso. Poi ti ho vista: avevi le braccia aperte e le gambe leggermente divaricate, come se stessi aspettando che ti venissi  contro da un momento all’altro, come se stessi aspettando di morire. Mi sono fermato, sono sceso e ti ho aiutata a salire in macchina. Eri ubriaca. Abbiamo scambiato due parole in croce, poi ti sei addormentata. Quando siamo arrivati, ti ho presa in braccio e ti ho portata nella mia camera, per farti distendere sul letto. Poi sono sceso per prenderti un bicchiere d’acqua. Quando ho cercato di farti bere ti sei svegliata e hai cercato di allontanarmi, ma quando hai capito che cercavo di aiutarti mi hai lasciato fare. Hai bevuto l’acqua. Volevo lasciarti dormire, solo che … eri troppo sudata e ti saresti presa qualcosa … >> a quel punto Harry arrossisce << … perciò mi sono preso la libertà di sfilarti la maglietta … >>
<< Cosa!? >> urla all’improvviso Erika, colta dall’imbarazzo.
<< Ehi, guarda che te l’avevo chiesto e hai risposto di si >>
Erika abbassa gli occhi << Scusa, dicevi? >>
<< Niente, beh … ho visto i tuoi polsi fasciati e mi sono chiesto perché. Perché sfrutti il tuo corpo così? Bevi, ti tagli e chissà cos’altro. Ho provato una grande pena per te e mi sono tormentato sul fatto che magari potessi avere una storia orribile alle spalle. Ad ogni modo, ho cacciato via ogni traccia delle mie emozioni, non ti ho fatto domande e ti ho aiutata a metterti un mio maglione per dormire la notte. Sei crollata non appena hai poggiato la testa sul cuscino >> finisce di raccontare il ragazzo riccio che era corso in suo soccorso la notte precedente.
Erika chiude gli occhi, non sa cosa dire, quel ragazzo è stato così dolce e gentile con lei.
<< Dimmi perché ti fai del male >> implora a quel punto Harry.
Ed Erika, sospirando, gli apre il suo cuore.
 
<< Come faccio? È troppo difficile >> si lamenta Erika osservando Harry.
<< è solo una confessione, stai tranquilla >>
<< E se … e se qualcosa va male? E se il parroco mi guarda malissimo a causa di tutte le cose che ho fatto? E se mi blocco e non riesco a parlare? >> domanda Erika, nel panico.
<< Ce la farai >> risponde Harry con un sorrisetto.
Harry è un ragazzo che frequenta la chiesa, aiuta i più piccoli, alle volte serve la messa e spesso canta nel coro. È una persona di certo migliore di lei.
La porta davanti a loro si apre, la signora che ha appena finito di confessarsi esce fuori a passo svelto con le lacrime agli occhi. Adesso Erika ha ancora più paura di prima.
<< Vai >> la sprona Harry con una leggera spinta alle spalle.
Erika, tremante, entra nella stanza e fissa Padre Antonio, seduto su una sedia.
<< Prego, accomodati, qual è il tuo nome?>> le dice quest’ultimo, indicando la sedia vuota di fronte a lui.
La ragazza si siede << Erika >>
<< Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen>>
Erika si fa il segno della croce. Suda ancora freddo: è da molto che non si confessa.
<< Prego, parlami dei tuoi peccati, sono qui per ascoltarti >>
<< Ehm … io … ho litigato con mia madre >> comincia tentennando. No, non è questo che deve confessare. Cioè, non è la cosa più importante.
<< Continua >>
<< Non la aiuto spesso in casa e a volte le rispondo male. Ho detto qualche parolaccia e qualche bugia >> Erika sospira << Ma non sono venuta qui solo per questo. Il problema è che io sono una persona peggiore di quanto sembri. Bevo, fumo e mi taglio e chissà cos’altro avrei potuto combinare ieri sera, se non fosse arrivato Harry ad aiutarmi. In realtà volevo farmi mettere sotto dalla sua macchina. So che quello che ho fatto è sbagliato. Quando è morto mio padre il mio mondo è crollato, quasi come se fosse uno dei castelli che costruivo con le carte, da piccola. Non so neanche io perché ho fatto quel che ho fatto e mi dispiace così tanto. Sono davvero pentita, perché ho capito cosa ho fatto, ho capito che mi stavo distruggendo, ho capito di aver rovinato il rapporto con mia madre e di aver distrutto la mia stessa vita. Ma se sono qui, adesso, è solo per ricominciare >> le lacrime le rigano il viso già da un po’, ormai, ma lei non si cura di asciugarle, si sta sfogando e spera in un perdono in cui forse, prima di allora, non credeva.
<< Hai compiuto molti peccati, Erika, ma l’importante è saper riconoscere i propri errori e capire di aver sbagliato. E se sei qui adesso è perché te ne sei resa conto e, per fortuna, l’hai fatto in tempo. Dio ti perdona, Erika. Ti assolvo da tutti i tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen >>.
E fu come se ogni peccato, se ogni dolore, scivolasse via, lontano da lei. Si sentì libera, finalmente. 
 
<< Tra le mani non ho niente, spero che m’accoglierai, chiedo solo di restare accanto a Te. Sono ricco solamente dell’amore che mi dai, è per quelli che non l’hanno avuto mai. Se m’accogli mio Signore, altro non ti chiederò, e per sempre la Tua strada la mia strada resterà, nella gioia e nel dolore, fino a quando Tu vorrai, con la mano nella Tua camminerò. Io ti prego con il cuore e so che Tu mi ascolterai, rendi forte la mia fede più che mai, tieni accesa la mia luce fino al giorno che Tu sai, con i miei fratelli incontro a Te verrò. Se m’accogli mio Signore, altro non ti chiederò, e per sempre la Tua strada la mia strada resterà, nella gioia e nel dolore, fino a quando Tu vorrai, con la mano nella tua camminerò >>
Il canto si diffonde per tutta la chiesa. Erika stringe la mano di Harry contro la sua. Grazie a lui adesso ha ricominciato a vivere. Ha conosciuto il Signore, L’ha conosciuto davvero, e si sente parte della comunità della chiesa. Si sente protetta dall’amore di Dio, al quale si è aggiunto quello di Harry. Harry è riuscito a ridarle la gioia che aveva un tempo, quand’era bambina.
I rapporti con sua madre sono migliorati. Anzi, forse il loro rapporto si è rafforzato ancora più di prima.
Erika, ormai, non vive più a casa di sua madre. In parte perché quella casa le ricorda il periodo più brutto della sua vita e il dolore che ha passato e in parte perché l’amore tra lei ed Harry è diventato talmente forte che entrambi hanno avuto bisogno di convivere.
Quando la messa finisce, entrambi escono dalle grandi porte, salutando il Signore con il Segno della Croce, e si dirigono verso casa.
<< Ti amo, Erika >> le sussurra lui all’orecchio mentre camminano.
<< Anch’io ti amo, Harry. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me >>
Harry ridacchia << Allora ti conviene trovare un adeguato ringraziamento perché il tuo amore comincia a non bastarmi più >>
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HOLA!
Come potete vedere ho pubblicato una nuova One-shot.
Beh, in realtà non mi piace molto come è venuta, ma a me non piace mai nulla di quello che scrivo io, perciò lascio a voi i commenti, qualora ce ne fosse qualcuno.
Premetto che non ho la più pallida idea di quale trama mettere alla storia, ma beh, mi scervellerò per trovare qualcosa di decente. Come potete notare ho pensato prima a voi che alla descrizione da mettere eh eh. Adesso voglio un applauso (immaginate quella faccina di whatsapp che ha un sorrisetto pacato e sta a dire tipo: “Eh, io lo sapevo, mi dispiace ma ho sempre ragione” o qualcosa del genere. Sempre se avete capito di che faccina sto parlando). Okay, oggi mi sono definitivamente resa ridicola davanti a voi. Un urrà per me!
Comunque ci tenevo a precisare che la parte religiosa non l’ho inserita per fare un “torto” (non è esattamente questa la parola che volevo usare ma non mi viene) alle altre religioni o a chi non crede in Dio. Semplicemente l’ho inserita perché è parte di me. Io, come credente e cristiana convinta, ho sentito la necessità di inserirla ma non vorrei che voi vi offendiate.
Beh, cos’altro dire?
Questa One-shot mi è venuta in mente perché ieri, che era la festa di Santa Tecla nel mio Paese, abbiamo realizzato uno spettacolo e i ragazzi più grandi hanno creato un mimo in cui appunto c’era questa ragazza che subiva tutte le cose che ho descritto. Alla fine arrivava un ragazzo, che all’inizio era vestito da prete o da chierichetto, si toglie la veste, e la salva. E tutti i ragazzi che avevano rappresentato i mali che si affliggevano sulla ragazza venivano sconfitti quando lei si metteva in preghiera.
Perciò si, questa OS non è esattamente un’idea mia, ma la rappresentazione mi ha colpita così tanto che ho sentito il bisogno di scriverci una OS.
E beh, non ho nient’altro da dire.
Grazie se siete arrivati qui e avete letto questa One-shot, spero vi sia piaciuta (:
Un bacione,
Kikkia.
  
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