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Autore: diejungs    21/10/2014    1 recensioni
"La perspettiva di vita, il punto e l’angolo esatto dal quale si può apprezzare la freschezza, gli avvenimenti e dettagli di una mattina, possono cambiare a seconda di quanto tempo Do Kyungsoo possa dimenticarsi che è un nuovo giorno e che deve alzarsi dal suo letto."
(Kaisoo)
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: D.O., D.O., Kai, Kai
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Un po’ di felicità

(Un poco de felicidad)

 

 
Autrice: yuyusoo
Fanfiction: Un poco de felicidad  
E sì. Eccomi qui con la seconda fanfiction che traduco. Vi prego di dare un’opportunità a questa storia perchè veramente merita essere letta. Ormai sono molte le fanfic che si traducono di autrici inglesi o americane (comunque di lingua inglese) ma quasi nessuno traduce quelle in lingua spagnola. E quindi eccomi qui, per farvi apprezzare questo piccolo capolavoro. L’autrice è stata veramente carinissima e mi ha dato il permesso per tradurre tutte le sue fanfic. La ringrazio con tutto il cuore, veramente, perchè le sue storie sono qualcosa che riempono d’amore. Quindi, bando alle ciance e buona lettura~
 
 
 
La perspettiva di vita, il punto e l’angolo esatto dal quale si può apprezzare la freschezza, gli avvenimenti e dettagli di una mattina, possono cambiare a seconda di quanto tempo Do Kyungsoo possa dimenticarsi che è un nuovo giorno e che deve alzarsi dal suo letto. Non è che vorrebbe essere morto o sparire, o che sia insoddisfatto di come vanno le cose per lui a casa. Quelle cose sono okay.
 
Non è neanche che vorrebbe suicidarsi, assolutamente no.
 
Non è sicuro del perché, ma semplicemente si sente sprofondato sotto una nuvola poco amichevole, spessa e bagnata i 365 giorni all’anno. È lo sufficientemente leggera per sospirare, annoiato, ma così spessa che gli riesce difficile respirare l’essenza piacevole di una soleggiata mattina di primavera dopo una notte di pioggia.
 
Sua madre ha cercato di farlo sorridere come quando aveva 9 anni in diversi modi, alcuni poco convenzionali, in realtà. Dal coccolarlo con tutto fino all’iscriverlo in concorsi di talento, club di lotta -con un cattivo risultato- e centri per qualcosa così come depressi anonimi. Nessuno di quei tentativi ha dato i suoi frutti, ovvio. Lo psicologo da cui andava gli disse che poteva essere qualcosa come distimia, e che ovviamente gli mancava svilupparsi nell’ambito sociale. Dopo tutto, aveva solo 16 anni e non aveva vissuto quasi niente per assenza di amici.
 
Una domanda di ogni mattina sarebbe come ti senti oggi?, e lui, la avrebbe guardata solo qualche secondo ed avrebbe detto sono una macchia, mi sento come una macchia, completamente in bianco ed avrebbe continuato a mangiare i suoi cereali. Era come al solito, e sarebbe una bugia se qualcuno dicesse che la madre di Kyungsoo non si spaventava per la salute mentale di suo figlio a causa dei confronti molto poco comuni che faceva.
 
Tuttavia è sempre lo stesso, a volte cambiava rispondendo con sinonimi o concetti simili, come raion od ombra, nel peggiore dei casi.
 
Kyungsoo non ferisce sé stesso; i suoi compagni sono gentili con lui; ha buoni voti e come non ha mai conosciuto suo padre, non esiste quel vuoto di mancanza della figura paterna perché sua madre ha sempre fatto entrambi i ruoli. La sua stanza è spaziosa e di tonalità chiara; ha un cellulare ed un computer moderni; una console con molti videogiochi abbandonata che usa ogni tanto o quando Chanyeol -l’unico amico d’infanzia che gli è rimasto- viaggia da un’altra città a casa sua e ci rimane per alcune settimane durante le vacanze. C’è anche una tv al plasma di fronte al suo letto e molto, veramente molto denaro risparmiato sul comodino che gli da sua madre e che non ha in cosa spenderli –né con chi-, e quindi lo risparmia quasi interamente.
 
Potrebbe avere quel che volesse -sua madre gli ha offerto, letteralmente, quel che voglia- ma semplicemente non ci sono i desideri di volere qualcosa. Semplicemente, non è felice.
 

                                                                                  ☁

 

 È il primo giorno di lezioni nella sua nuova scuola -sua madre tutti gli anni lo cambia in attesa di qualche cambiamento- e nel suo penultimo anno attraversa l’entrata dell’aula aspettando il niente. Cammina verso l’ultimo banco e si siede sul lato del corridoio, nonostante il banco accanto alla finestra sia vuoto e fuori ci sia un giorno relativamente bello. Lui semplicemente non lo vede così, come tutti gli altri.

 
Le lezioni passano; la prima, la seconda e così fino all’ultima in una monotonia esattamente uguale a quella di tutti gli anni. Ogni tanto qualcuno si avvicina a lui per chiedergli il suo nome o cose del genere per pura curiosità, ma tutti finiscono col dirigergli parole gentili di benvenuto per dopo allontanarsi con i loro rispettivi gruppi d’amici. Niente di nuovo. Può essere che sia l’aura grigia o lo stato d’animo spento che dimostrava con le sue espressioni, riflette Kyungsoo.
 
Ma di quello che Kyungsoo non si rende conto, è che non dimostra nessuna espressione quando parla.
 
Sono passeggiate casuali, che presto potrebbero diventare una routine, nelle quali scopre certi posti nella scuola dove gli è più comodo stare. La biblioteca, per esempio, che è veramente tranquilla -ovviamente- e la maggior parte del tempo vuota. Inoltre c’è quell’angolo del cortile, nell’altro lato del campo da calcio, dove c’è un solo albero su un suolo d’erba rigogliosa per spendere il tempo dopo le lezioni. E durante il pranzo, è confortevole mangiare nella mensa, giacché quasi tutti preferiscono farlo fuori per godersi le belle giornate che ci sono grazie alla stagione.
 
Kyungsoo inizia ad abituarsi a quei luoghi, stando da solo ma senza dargli importanza. Come se non ci fosse già abituato.
 

                                                                                                       

 Nel cominciare il secondo mese di lezioni, un nuovo alunno entra nel corso. Il professore lo presenta, ma Kyungsoo gli mette esattamente nessuna attenzione, concentrato in una lettura di tragedia del suo libro di scuola. Si rende conto della presenza di qualcun altro solo quando la sedia accanto a lui è mossa ed un ragazzo sconosciuto, alto dalla carnagione leggermente abbronzata si siede insieme a lui.
 
 –Kim Jongin –si presenta sorridendogli, denti retti e bianco abbagliante, ricordandogli una pubblicità che dice qualcosa come vivi pienamente, sorridi ai problemi e dimenticati delle preocupazioni con la nuova polizza di vita.
–Do Kyungsoo –risponde sottovoce senza minimamente impegnarsi nel sorridere, perché sa che da quello solo potrebbe uscire fuori una smorfia orrenda, spaventando subito al suo nuovo compagno di banco. Verificato, gli era già successo alcune cinque o sette volte prima.
 
Quella prima settimana con Jongin come suo compagno si sviluppa in un infinito cerchio di punti d’interrogazione. Jongin, al contrario degli altri, si sforza per mantenere una conversazione con lui, chiedendogli cose come: Anche tu sei nuovo? Di quanto mi sono perso? Qual è il tuo gusto di gelato preferito? I tuoi capelli sono così o li hai tinti? La quale non ha molto senso, giacché il suo colore castano è così naturale come quello di chiunque. Jongin si emoziona persino quando parla, e di conseguenza il professore lo azzittisce più di una volta nel corso della giornata,  ma quello non lo ferma dal continuare a parlare quando l’uomo si gira.
 
–Hey Kyungsoo, mi hai sentito?
–N-non ti risponderei se non lo facessi –dice con un filo di voce, copiando le infinite formule ed esercizi che il professore ha scritto nella lavagna.
–Hai ragione –conclude Jongin annuendo con la sua testa, Kyungsoo sbircia gli appunti del suo quaderno e si rende conto che il ragazzo miracolosamente ha tutti gli esercizi scritti e poco più di un terzo di essi già risolti. Mistero totale.
–E, puoi– inizia di nuovo Jongin, ma il professore dirige loro uno sguardo assassino durante dieci secondi nei quali entrambi si congelano, prima di togliere l’attenzione su di loro –far suonare la rotula del tuo ginocchio?
–Credo che a volte.
–Si? Anche io. Si sente, non lo so, non si sente niente, ma è geniale ascoltare come suona. –Kyungsoo gira completamente la testa verso di lui, per la prima volta da quando lo conosce, e lo fissa attentamente senza sapere cosa pensare. Il ragazzo gli sorride come un cucciolo emozionato, ma Kyungsoo decisamente non sente nessuna emozione nell’aria.
Forse Jongin è un idiota naturale, pensa, ma quello non spiega per niente che il suo quaderno sia completamente scarabocchiato con i processi di un esercizio che a lui gli sta costando più di quel che dovrebbe.
–Ti sei rotto qualche ossa qualche volta? –Jongin continua con il suo interrogatorio, avvicinandosi di più a lui per non essere scoperto a parlare, un’altra volta. Kyungsoo dal canto suo ritorna al suo esercizio di matematica e subito pensa la risposta.
–Il polso destro –ricorda quella volta in cui stava giocando con Chanyeol sullo scivolo, non si afferrò bene ed il suo buon amico nel cercare di aiutarlo riuscì solo a gettarlo dalla cima.
–Oh, davvero? Anche io.
 

                                                                                                       ☁                  

 Durante i primi intervalli nelle classi, i secondi, l’ora pranzo e persino a fine giornata, Jongin è lì. Appiccicato, come un cane fedele seguendo il suo padrone. Gli racconta aneddoti che potrebbero far ridere chiunque, ma l’effetto esilarante non arriva con l’impressione sufficiente ai muscoli facciali di Kyungsoo per farlo ridere, che semplicemente annuisce e lo guarda per fargli sapere che lo sta ascoltando.
 
Jongin, dal canto suo, soffre la sindrome del male del sorriso. Appena Kyungsoo apre bocca per rispondergli a qualunque domanda sicuramente senza senso alcuno, il più alto già si trova con un sorriso raggiante sulle sue labbra. Jongin ride alle sue stesse battute, sospira soddisfatto ogni volta che finisce di raccontargli qualche storia e durante quel pranzo, quando videro un ragazzo inciampare col nulla per poi fare come se non fosse successo niente imbarazzato, Kyungsoo assistì al primo attacco di risata di Jongin, rannicchiato sul suo stomaco e completamente rosso per l’eccesso di risate e la mancanza d’ossigeno.
 
Kyungsoo, comunque, non smette di chiedersi quanto tempo passerà prima che Jongin si allontani naturamente da lui e la sua nuvola scura per avere un gruppo di amici che sì ridano con lui ed abbiano temi interessanti dei quali parlare. Sarà presto? Nel giorno preciso nel quale si renderà conto che è una persona noiosa, che non è capace di godersi la vita, e che sarà solamente come una di quelle figure sfocate che vede attraverso la finistra quando viaggi in qualche veicolo ad alta velocità.
 

                                                                                                        

 Settimana dopo settimana  passano e le cose non sembrano cambiare tanto, in realtà, sembrerebbero mancare di un concetto o avere una chiara direzione. Come Kyungsoo aveva predetto per sé stesso di notte -per non avere altro con cui occupare la sua mente-, Jongin combacia perfettamente con il resto dei suoi compagni, oltre al fatto di essere completamente bravo negli studi. D’altra parte, quel che non aveva predetto fu che Jongin continuasse parlandogli e passando tutto il giorno con lui. Nel senso che, oltre al sedersi insieme, lo accompagnava nella sua routine, nella biblioteca, nella mensa, ed in quel posto lontano del cortine sotto l’albero.
 
Kyungsoo si abitua, con certa paura, all’avere Jongin tutto il tempo dietro di sé o al suo fianco. Si ricorda costantemente che non dovrebbe, dato che prima o poi quello finirà, no? Perché Kyungsoo continua senza essere altro che una macchia.
 
Succede quando sono sotto quell’alberom su quell’erba, quel pomeriggio piacevole che non è capace di godersi, che una domanda faccia che Kyungsoo si domandi se in realtà Jongin è realmente così Sr. Felicità  come sembra.
 
—Quando svegli, non ti è mai successo che non vuoi alzarti dal letto nonostante ci sia un giorno fresco e bello fuori? O in realtà non vuoi mai fare molte cose, perché non sai con chi. Non ti è successo, Kyungsoo? —gli chiede senza guardarlo, perso in qualche posto nella sua testa. Quel suo sorriso tipico assente e senza neanche qualche traccia di esso. Per la prima volta da quando si conoscono, Kyungsoo sente l’ambiente serio con Jongin.
 
Passati alcuni secondi, le pupille di Jongin catturano le sue e Kyungsoo annuisce.
 
—E non ti è successo, qualche volta, in qualche momento, che ti rendi conto che la tua esistenza non è altro che un punto cieco nella vita degli altri? —Kyungsoo annuisce di nuovo, con un brivido nel suo collo a causa degli occhi scuri di Jongin. —A me succede sempre —dice Jongin con una lieve risata, che risuona chiara in Kyungsoo come quella brezza calda d’estate sbattendo sulla sua pelle.
 
Non parlarono di nuovo per il resto del pomeriggio. Non ci furono più domande, né fragorose risate di Jongin, né aneddoti da essere raccontati, né esercizi da risolvere. Fu solo quando, in piedi all’ingresso della scuola, con i zaini sulle spalle ed un sentimento strano nell’aria, che parole furono dette ad alta voce— Sai, Kyungsoo? Sei un buon amico. —Perso in qualche parte di quella frase, Kyungsoo non dice niente. —Ed è qualcosa di positivo, non credi? Non sarai più una macchia se decidi continuare ad essere mio amico, e forse, chissà, anche io smetta di esserlo qualche giorno.
 

                                                                                                 

 Verso la fine del secondo mese da quando Kyungsoo conobbe Jongin, un cambiamento lento e graduale inizia a svilupparsi.  La nuvola spessa non è più così spessa, e Kyungsoo si ritrova a sé stesso alzandosi dal suo letto senza ritardare tanto come prima perché ha una ragione che lo spinge a farlo ed andare a scuola. Una ragione chiamata oh, è vero, Jongin oggi mi ha chiesto che arrivassi presto. Ed ogni pomeriggio al salutarsi glielo diceva, ma comunque non diceva mai il perché.
 
Così ogni mattina Kyungsoo arrivava mezz’ora prima, e Jongin era lì pronto per bombardarlo con una conversazione divertente o qualche notizia presa da internet o la televisione o qualche rivista; come— Dimmi, cosa pensi dei pinguini? Non sono adorabili? Inoltre i maschi sono quelli che si prendono cura delle uova, lo sapevi quello, Kyungsoo?
 
Altre volte furono ufo, o varietà di succhi di frutta, o persino di quanto erano schifosi in realtà i prodotti di carne confezionati. Alcune cose che sinceramente preferiva non sapere, ma che comunque ascoltava perché era Jongin chi gliele diceva.
 
Oltre a quello, Kyungsoo iniziò a fare esercizi -alcuni davvero ridicoli- e avrebbe picchiato sé stesso per quella stupidaggine qualche mese prima, ma ogni mattina, mentre si spazzola i denti davanti allo specchio del bagno, fa smorfie cercando di sorridere. La sua principale aspirazione è il sorriso invidiabile di Jongin, e se esiste qualche modo di copiarlo con facilità, probabilmente gli toglierebbe tutte le preocupazioni a sua madre ed anche a Jongin, che smetterebbe di fargli domande sul suo stato d’animo – ironicamente le stesse che gli fa sua madre.
 
Ovviamente dopo un po’, Jongin noterebbe che Kyungsoo non sorride, né si esalta, né si arrabbia, né si emoziona, né gli fanno ridere molte cose, né una lunga lista di neanche.
 
Un’altra specie d’esercizio che fa è quello di elaborare domande che Jongin non gli ha ancora fatto, cosa difficile visto che le loro conversazioni si basano su una lunga serie di domande e risposte, l’89% fatte da Jongin, e passano i loro giorni così.
 
È semplice, uno domanda ed entrambi rispondono.
 
Kyungsoo potrebbe dire che ricorda molti dettagli di Jongin, e già sa tantissime cose su di lui per questo motivo. Inoltre dato che non ha molto in cui pensare a casa sua, le ripassa una e più volte nella sua testa. Potrebbe persino scriverle se volesse. Per esempio: è più grande di Jongin con la differenza di un giorno intero; è allergico ad alcune medicine e le punture degli insetti, ma non è affatto stucchevole. Si è trasferito tre volte di casa -ai 5 anni, ai 12 e quest’anno- e come lui ha solo un amico d’infanzia, Sehun, ma non lo vede da tanto, tanto tempo. Sono entrambi figli unici, e Jongin ha una specie di depressione insolita che sopprime sorridendo: quest’ultimo non detto letteralmente, ovviamente, ma è stata la conclusione più giusta che poté trovare. Ama ballare e vedere un reality che trasmettono passate le 10pm in un canale poco conosciuto, che anche Kyungsoo guarda per pura curiosità adesso, e condividono una passione reciproca e forte per i dolci di fragole con caramello e panna.
 
Un’altra cosa importante è che è stato quasi investito due volte, ed una terza volta in realtà lo fu, finendo con una ferita secondo lui schifosa e brutta nel ginocchio per andare con i pantaloncini corti.
—Dovresti fare più attenzione —gli disse analizzando la cicatrice che Jongin gli mostrava con certo orgoglio durante una lezione di educazione fisica.
—A volte sono troppo sbadato, credo.
 
E così è come continua la lista, e così è anche come Kyungsoo si riempe di valore mentre pranza del semplice riso insieme a Jongin seduto al suo fianco per fargli una domanda personale ma che è da giorni che gira nella sua testa.
 
—Jongin?—chiamò senza allontanare i suoi occhi dal cibo; tre, due, cinque chicchi di riso cadendo dalle sue bacchette per incontrarsi con il tavolo. Aggrotta la fronte alcuni centimetri per aver fatto cadere i chicchi e mette il resto nella bocca, masticandoli lentamente.
—Non sapevo che potessi aggrottare la fronte.
—Cosa? —chiede alzando lo sguardo e trovandosi con un Jongin sorridente osservandolo.
—Sai, Soo? Prima pensavo che avessi qualche specie di paralisi facciale —continua il più alto e ride. —Oh, lo stai facendo di nuovo —dice infantilmente emozionato, i suoi occhi incollati alle sopracciglia di Kyungsoo.
—Non capisco —Kyungsoo inclina leggermente la testa e la sua espressione ritorna vuota.
—Fai espressioni, ma di quelle che si notano. —Dice il ragazzo rubando un po di riso dalla sua fonte. —Non è più così sottile, è un processo, non credi?
Kyungsoo annuisce e per un istante, sente i muscoli vicini alla sua bocca formicolare.
—Bene, cosa mi stavi per chiedere? —chiede rubando un altro po’ di riso.
—N-niente.
Jongin avvicina nuovamente le sue bacchette alla fonte di Kyungsoo, e lui finisce mettendo il cibo in mezzo ad entrambi così può prenderne liberamente.
—Su, chiedi.
Kyungsoo morde l’interno della sua guancia e già non è più tanto sicuro di come suonerà se lo fa, ma non c’è niente da perdere. Sospira una volta e dice —Hai avuto qualche ragazza, Jongin?
—Ne ho avute due.
—E adesso stai con qualcuna?
—Si.
 
Nonostante Kyungsoo pensasse che le emozioni per lui non erano altro che leggere correnti che passano dopo qualche minuto si era sbagliato. Perché quella specie di malessere simile all’essere malato dello stomaco, che nacque dalla risposta di Jongin durò tutto quel pomeriggio, ed il fine settimana che arrivò.
 
La nuvola diventò persino un po’ più nera, facendo notare la sua presenza intorno a lui, quasi così negativa come lo era prima che Jongin saltasse dentro la sua vita.
 

                                                                                                 

 La stanza di Kyungsoo è piena di qualcosa che Jongin chiama un’aria di tristezza, e di fatto è la prima cosa che dice nell’entrare in essa con una borsa appendendo dal suo braccio e vestiti casuali, senza divisa. Jongin era stato già due volte nella casa di Kyungsoo durante quel trimestre, ma era stato per fare compiti o risolvere esercizi sul tavolo del soggiorno al primo piano. La madre di Kyungsoo, sorpresa per la facile comunicazione che aveva suo figlio con il piacevole ragazzo Kim, insistette sul fatto che rimanesse a casa loro per alcuni giorni durante le brevi vacanze di una settimana che avrebbero avuto prima del nuovo trimestre.  
 
—Odora come aria di tristezza —Jongin lascia la sua borsa dove gli dice Kyungsoo, sul letto, e si siedono in essa.
—La tristezza non si odora —dice Kyungsoo cercando di odorare l’aria della sua stanza. È abituato a quell’odore. Il suo naso si piega con l’azione ripetitiva e Jongin lo tocca con le sue dita facendolo stringere i suoi occhi prima di lasciarlo.
—Quante code ha un gatto? —chiede improvvisamente Jongin, e Kyungsoo fa quello che fa ogni volta che il più alto se ne esce con domande simili; lo guarda direttamente agli occhi trasmettendo un davvero? che in realtà non sembra mai arrivargli.
—Una? Quello non ha avuto senso, Jongin. —Il ragazzo citato si butta all’indietro sul materasso che rimbalza tre volte prima di ristabilirsi.
—Hai ragione. Comunque avresti potuto rispondere due.
Allora Kyungsoo si sdraia lentamente come l’altro mentre parla.
—Ma quello non cambierebbe il fatto che i gatti hanno una sola coda.
—Ma pensalo così, —Jongin gira la sua testa per osservarlo e lui lo copia, ed essere in quella posizione così vicina e nuova gli fa sentire che forse la nuvola non è così cattiva come pensava, perché il suo stomaco non si sente più malato in un senso sgradevole. —Se tu pensi che ne ha due, per te ne avrà due e sarà vero, nonostante tutti sappiano che non è così. Allora se io dico che odora a tristezza, è così vero come se tu dicessi che profuma di lenzuola pulite con sapore a lavanda ed il profumo di frutta del tuo shampoo, che potrebbe essere la realtà oggettiva. È la prospettiva, Kyungsoo. Il modo in cui vedi le cose, dal punto ed angolo esatto in cui ti trovi e le esperienze che hai avuto. È tutto valido, a patto che tu lo creda in quel modo.
Il silenzio che segue le sue parole è utilizzato per scrutare i dettagli degli occhi scuri di Jongin, la consistenza delle sue labbra e le sue ciocche color cioccolato che cadono sulla sua fronte e quelli che si schiacciano contro il copriletto.
 
—Allora preferisco credere che il gatto semplicemente non ha coda. —Osa dire, rompendo quella tranquillità diversa a quella che lo ha accompagnato tutti quegli anni, una che descriverebbe come dolce se la nuvola non fosse persino nella sua lingua, privandolo di assaporare completamente i secondi.
Se quella nuvola non ci fosse, potrebbe sentire i lontani mormorii della felicità, vedere il luccichio speciale negli occhi di Jongin, odorare il profumo d’innocenza e sentire la consistenza di un volevo fare questo  quando le punte delle dita di Jongin toccano leggermente la sua mano.
 
Potrebbe allontanare giusto di qualche centimetro le sue dita od accerezzarle completamente, ma prefersicono lasciarlo così.
 
—Non hai capito quello che ti ho detto, vero? —dice Jongin sorridendogli in un modo che Kyungsoo sa che è diverso.
—Certo che sì.
 
Allora i muscoli del suo volto si contraggono, ed i suoi occhi si socchiudono in mezze lune, e gli angoli della sua bocca si stirano, e le sue guance di sentono pesanti come la malattia nel suo stomaco. E tutto quello non è altro che un sorriso sulle labbra di Kyungsoo, un sorriso che è restituito immediatamente.
 
Kyungsoo si chiede se Jongin gli ha mai sorriso alla sua ragazza in un modo così splendido come quello.
 

                                                                                             

 I raggi del caldo sole si sciolgono nei suoi piedi, colorando la pelle bianca di Kyungsoo in arancione e l’abbronzatura di Jongin in dorata. Sono seduti con le loro gambe incrociate sotto quell’albero e sopra quell’erba nella scuola. Le lezioni sono finite da circa un’ora, ma il pomeriggio risulta essere diverso. In effetti, Kyungsoo aveva voluto -sì, aveva voluto qualcosa- rimanere un po’ di più in quel posto per mantenere la sensazione.
Non è più qualcosa di noioso, monotono, adesso il suo sentimento non è la solitudine, è una pace delicata ed un po’ di Jongin.
Kim Jongin.
 
È già da qualche giorno, Kyungsoo potrebbe dire dalle brevi vacanze che ci sono state, che Jongin è una sorta di sentimento. Non è solo lui, come persona e amico; è anche un fremito nervoso, una calore sulle sue guance, un piccolo sorriso e salti nervosi nel suo cuore quando si trovano troppo vicini senza bisogno. O Jongin gli sorride in quel modo, o le sue dita sono prese in altre mani perché Jongin si è abituato a giocherellare con loro quando sono da soli parlando.
 
Kyungsoo non sa cos’è quello, ma si fa un’idea ed ha paura di accettarla, perciò ha deciso semplicemente di chiamarlo Jongin.
 
È confuso, e l’atteggiamento di Jongin solo lo confonde di più, ed è per questo che è arrivato ad una regola che applica quando tutto è troppo piacevole, e troppi colori chiari, e la nuvola non è pesante, ma è come se galeggiasse in essa. Una regola dolorosa, che inizia con una domanda che brucia sulle sue labbra.
 
—Jongin?
—Hm?
—Quanto tempo è che stai con la tua ragazza?
 
—Sei mesi.
 
                                                             

                                                                                                 

 Durante i mezzogiorni di quella nuova stagione c’è un freddo lieve e moderato. Il sole ancora c’è di giorno, certamente, ma è uno di quelli che solamente illumina e non scalda come nell’estate. Le foglie degli alberi s’intossicano di arancione e giallo dalle punte verso il centro, ed il fruscio delle foglie sul suolo si percepisce come il cereale che viene masticato all’interno della bocca.
 
I pranzi non sono più così privati, la maggior parte delle persone adesso preferisce rimanere nella mensa a quelle ore ed il silenzio prima interrotto solo dalle loro voci, adesso è tagliato anche da altri rumorosi ed inutili.
 
—Cos’hai portato oggi, Kyungsoo? —gli chiede mentre escono dalla classe verso il corridoio.
—Niente, ho portato un po’ di soldi.
—E cosa comprerai?
—A dire la verità non ho fame. —Kyungsoo lancia uno sguardo a Jongin camminando al suo fianco e vede come il suo sorriso si trasforma in una linea. —Vuoi comprare qualcosa per te?
Ci sono alcuni passi di riflessione prima che Jongin risponda. —Solo se lo mangi con me.
Ed è così come finiscono manginado ognuno la metà di un panino, seduti sull’angolo più allontanato dalla mensa, condividendo un succo e frasi casuali.
 
—Dovremmo fare una lista. —Suggerisce Jongin, guardando al vuoto e dopo a lui, sorridendo come quasi sempre. Kyungsoo alza un po’ le sue sopracciglia. —E dovremmo farla adesso, perché hai appena fatto quello.
 
Le sopracciglia di Kyungsoo allora si aggrottarono di confusione allo stato puro. Jongin si trascina per la panca finché le loro coscie si toccano, e la sua mano s’infila nella tasca della giacca di Kyungsoo mentre morde nuovamente il suo pane, tirando fuori il cellulare del ragazzo. —La farò qui, me lo presti, vero?
 
E Kyungsoo annuisce evitando guardare cosa possa star facendo Jongin, concentrandosi sul cibo fra le sue mani e lasciando l’altro fare quel che fosse col suo cellulare. L’unica cosa che ha, dopo tutto, sono cinque numeri telefonici -sua madre, Chanyeol, Jongin, una zia e suo cugino-, alcuni giochi che Jongin gli aveva suggerito per combattere la noia, un po’ di canzoni -per gentile concessione di Jongin, nuovamente- e qualche foto. Quelle foto.  Kyungsoo apre esageratamente i suoi occhi e gira la testa giusto in tempo per vedere un sorriso tenero sulle labbra del ragazzo insieme a lui mentre osserva lo schermo.
 
Il più basso sente le sue guance arrossire e la voglia di alzarsi, andare lentamente verso casa sua e rimanere sotto le lenzuola del suo letto per il resto della settimana ed un giorno.
 
—Perché non mi hai detto che avevi queste foto? —commenta allegro ed emozionato, tirando fuori il suo cellulare dal pantalone per inviarsi le immagini.
—Mamma le ha fatte.
—Quando? Non me ne sono accorto. —Kyungsoo si avvicina un po’, ingoiando la vergogna ed osserva le immagini essendo trascinate dalla punta dell’indice di Jongin.
 
La prima è stata presa da un lato; entrambi giocano con la console di Kyungsoo, Jongin completamente concentrato e lui senza molta espressione ma con una scintilla di fuoco nei suoi occhi. Nella seconda si vede lui in piedi con una divisa molto diversa nell’ingresso di un’altra scuola ed i capelli leggermente molto schiacciati.
—E questa?
—Mamma ha insistito nello scattarmi una foto l’ultimo giorno che ho dovuto indossare quella divisa.
—Carino. —Kyungsoo annuisce analizzando la divisa scura aggiustata al suo corpo, pulito e semplice, anche se in realtà sì aveva quel tocco di eleganza misteriosa. —Ah, no. Non mi riferivo alla divisa. —Chiarisce Jongin, e Kyungsoo fino quel momento non avrebbe mai saputo che il suo viso poteva sentirsi tanto accaldato a causa di parole.
 
Quelle he seguirono erano simili a quella, Kyungsoo con la sua faccia di sempre, un po’ più infantile, scattate in un’esplosione di amore materno. Le uniche variazioni erano i vestiti, il paesaggio di fondo ed i tagli dei suoi capelli nel corso degli ultimi tre anni. Kyungsoo picchiandosi mentalmente per non averle cancellato dopo averle inviate alla donna che lo aveva dato alla luce, dopotutto erano sul suo computer.
 
Dopo quelle continuano altre di quei tre giorni passati insieme. Tutte da relativamente lontano, e poche quasi di fronte, che gli fanno domandarsi in quale preciso istante sono state scattate. Nella maggior parte di esse Jongin è quella ricchezza di felicità che gli sorride a Kyungsoo, e solo in una il ragazzo gli sorride reciprocamente. Non sono più di dodici.
 
La penultima è come uscita fuori da una rivista di vendita di materasso. Kyungsoo rannicchiato in sé stesso guardando verso il muro e Jongin vicino a lui, appoggiando la fronte sulla sua schiena, con le braccia sulle lenzuola ed espressioni così dolci da far che tutti volessero quel materasso. Jongin scorre l’ultima volta e Kyungsoo vuole morire, non letteralmente, certo, ma certamente non vuole seguire lì. È una foto di Jongin dormendo, scattata da vicino ed è ovvio che dal punto in sui si trova, è stato Kyungsoo anche lui disteso a farla.
 
—Questa non l’ha scattata tua madre. —Jongin lascia scappare una risatina e Kyungsoo sprofonda la testa il più che può tra le sue spalle. Prova a balbettare senza formare qualcosa di sensato, e Jongin  sorride nuovamente divertito. —Va bene, Soo. Non sei l’unico che fa quelle cose.
—Ah? —Kyungsoo alza la sua testa e nel secondo esatto in cui lo guarda confuso, il suono dell’otturatore della fotocamera di Jongin suona puntandolo direttamente. Il sorriso di Jongin diventa uno orgoglioso e gira il suo cellulare per mostrargli una foto di lui con occhi grandi, persi e guance arrossate.
—Anche io ne ho tue. Potrei essere il tuo fanboy numero uno se fossi un cantante o qualcosa del genere.
Kyungsoo scuote la testa e si alza, pronto a compiere con il suo piano di affogarsi sotto la nuvola sobria e scura nella sua stanza. Comunque Jongin lo segue da vicino e afferra il suo polso per dargli il suo telefono, senza prima accarezzargli leggeremente la sua mano. Oh, vero, lo aveva ancora lui.
 
Quella notte, quando Kyungsoo ritorna ad esaminare il suo cellullare -come fa ogni notte, in realtà-, la prima cosa che vede allo sbloccare il suo schermo, invece della notte stellata che aveva, è una foto sconosciuta. Sono Jongin e lui distesi sullo stesso letto nel quale si trova. Lui sta dormendo, e Jongin sorride alla fotocamera per la foto che lui stesso scattò.
 
Quasi sul punto di addormentarsi, Kyungsoo si ricorda di quella lista della quale parlò Jongin. L’avevano dimenticata completamente.
 
                                                              

                                                                                                ☁

 
È venerdì pomeriggio e le nuvole del cielo sembrano mischiarsi con quella di Kyungsoo in un solo colore. Non tanto chiaro, non molto scuro,ma coprendo il cielo completamente in tutte le forme. Per qualche ragione non si sente come gli altri giorni, è una sensazione malaticcia e non molto piacevole.
 
—Come ti senti oggi? —chiede Jongin quando si siede nel suo posto insieme a Kyungsoo prima che tutti siano arrivati. Il tempo è grigio, ed è come se avessero regredito ai primi giorni in cui cercava di parlare con il ragazzo.
—Come, forse, una macchia. —Risponde senza staccare gli occhi dal suo tavolo.
—Pensavo già sapesi che non lo sei per me. —Dice delicatamente con attenzione ogni parola, come se queste avrebbero rotto Kyungsoo. —Adesso sì è un buon momento per fare la lista.
—Di cosa? —indaga senza poter evitare spiare il sorriso accattivante dell’altro, che gli fa scaldare un po’, minimamente, la vaga sensazione.
—Dei tuoi progressi. Per esempio, siamo passati da no sorrisi, a tre per settimana, e dopo cinque, finché sei riuscito a farlo almeno una volta tutti i giorni. Quello è importante, bisogna scriverlo.
Jongin tira fuori un foglio a caso dal suo quaderno e scrive velocemente scarabocchi e parole in essa. Kyungsoo sospira, aspettando, finché Jongin finalmente si raddrizza e gliela porge.
 
 
   Kyungsoo è capace di:                                Lista di emozioni/sentimenti:
   Sorridere davvero: tutti i giorni                              Paura:
   Ridere: molte poche volte                                       Angoscia:
   Aggrottare la fronte: spesso                                   Rabbia:
   Arrossire: spesso                                                     Dolore:                                    
   Piangere:                                                                  Tristezza:
   Rilassarsi: dopo le lezioni                                       Gelosia:
   Sospirare: spesso                                                    Odio:
   Godersi un bel giorno:                                            Amore:       
                                                                                     Felicità:  
 
Scorrendo i suoi occhi sul foglio alcune due volte, gliela restituisce e mette le sue dita su alcune dichiarazioni per chiarire.
 
 —Questa è a volte  —dice puntando la parola paura —E questa è spesso —con la parola tristezza. —E queste due, a volte anche —con angoscia e dolore.
Jongin prende una matita ed inizia ad aggiornare le informazioni —Che n’è delle altre?
—Non... non sono sicuro. —Mormora, ed attraverso la finesta dietro Jongin può vedere come cadono le prime gocce d’acqua per una pioggia per la quale non è pronto, dato che ha lasciato il suo ombrello a casa.
—Non sei felice, Soo?
Il ragazzo prende il suo tempo per rispondere, ma non arriva a nessuna conclusione.
—Non lo so. Credo di no.
Jongin sorride, ma Kyungsoo sa che non lo fa per davvero. —Neanche io.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
N/T:
Olééé! Come vi è sembrata questa prima parte? Io l’adoro;; Well well~ l’autrice di questa fanfic mi ha detto che le farebe piacere se le facessi sapere cose ne pensano i lettori italiani delle sue storie, e anche a me piacerebbe saperlo così continuo a tradurre le sue altre fanfic (tutte kaisoo). E vi giuro che c’è una che è bellissima, e fluffissima, e mi fa piangere il cuore ;; Quindi, non fate i timidoni e se volete recensite. Per me è importante, mi spingono a continuare. Ah! Mi scuso per gli errori di traduzione (l’ho controllata mille volte, ma sono quasi certa che qualcuno sia ancora in giro).
Quindi~ ci si legge alla prossima, bellissimi mortali♥
  
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