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Autore: Eneri_Mess    21/10/2014    3 recensioni
Uomini e donne, reduci da un’epoca cesellata di leggenda, agiscono per sovvertire le sorti di un mondo ignaro e di sognatori, il cui unico scopo è quello di raggiungere il più famoso e ambito dei tesori, il One Piece.
Ma il nuovo Re dei Pirati, colui che conquisterà ancora una volta ricchezza, fama e potere, sarà solo uno.
« Non peccare di presunzione. Gli eredi sono quattro, i pretendenti molti. Non sarai tu a scegliere chi diventerà Re dei Pirati e come egli – o ella – deciderà il futuro di ciò che resta del mondo »
Dal Capitolo XX:
« Non vedo cosa dovrei ricordarmi di te, Portuguese. Non tratto coi pirati » sibilò in tono velenoso, avventato, ma non riusciva a domare un pulsante senso di ansia crescente.
Quel tipo sapeva il suo vero nome. Quello che lei tentava di insabbiare da anni, e che se fosse arrivato alle orecchie sbagliate avrebbe provocato troppi casini.
Ciononostante, il pensiero sparì, come vapore, dopo aver sentito la “spiegazione”.
« Mi avevi detto che bacio bene. Pensavo che questo fosse qualcosa di bello da ricordare » dichiarò offeso.
Genere: Avventura, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Nota introduttiva: questa storia venne pubblicata per la prima volta nel 2006, sempre sotto il titolo “Heavenly Eve”. Da qualche tempo l’ho ripresa e riscritta da capo, soprattutto aggiungendo personaggi ed eventi accaduti negli anni nel manga di One Piece.
Alcuni vecchi capitoli sono stati riadattati, altri scritti ex novo. Spero che la nuova forma vi piaccia.
Buona lettura!

 
 
 
 
 

 
Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
-  Prologo -
(Parte prima)
 
[L’Erede]
 
 
 
 
 
I am the son and the heir
Of nothing in particular
 
[How soon is now? – The Smiths]
 
 
 
 

 
North Blue. Isola di Salmoa, città di Isca.
Quattro anni prima dell’inizio di questa storia.
 
 
 
 
 
 
 
 
« È stata proprio una sciagura… anni fa il padre, ora la madre… »
« Eeh… la vita di mare è dura… »
« Dicono sia stato un incidente! Qualcosa non ha funzionato sulla nave e un tifone li ha spazzati via… »
« Che tragedia lasciare tre ragazzini a loro stessi! »
« Aspetta… sai, solo il moretto era suo, gli altri due sono orfani di cui si occupava… »
« Davvero? Oh, poverini… »
 
La conversazione delle comari fu interrotta dal rumore secco e brusco delle persiane chiuse con violenza. Quella sola azione non bastò a far smettere di tremare le mani del ragazzo, che assestò un calcio al muro sottostante, sfogando la rabbia in un gesto doloroso che gli fece digrignare i denti. Ribolliva dentro, gli sembrava di sentire la collera serpeggiargli sotto pelle, come un impulso irrefrenabile. Ma niente scenate, basta si era detto.
« Bryan! »
La voce rotta e senza fiato arrivò dal fondo della stanza, sulla porta, dove si era affacciata una giovane alta e slanciata, bionda come il sole ma con le occhiaie buie e gli occhi stanchi di chi non ha più lacrime da versare.
Egli, voltatosi a guardare la sorella, strinse ancora di più la mascella, impedendo alle urla che aveva in gola di sfociare, sapendole inutili. Iniziò tuttavia a tremare e si sfogò assestando un secondo colpo alla parete col pugno serrato. La casa tremò per un istante; dal pavimento, nel punto in cui si trovava, una scossa vibrò sottoterra, irradiandosi come un richiamo lontano.
« Bryan! »
Irrigidita un attimo dallo spavento, la ragazza si slanciò in avanti. Lo raggiunse, bloccandolo in un abbraccio in cui cercò di infondere tutta la propria forza per renderlo saldo e rassicurante, nonostante la stanchezza accumulata nei giorni. Una mano affondò nei capelli color grano del fratello, guidando il suo viso nell’incavo del proprio collo e in poco qualsiasi tremolio, del corpo o del pavimento, cessò.
Avrebbe voluto dire qualcosa, sentendo le dita di lui afferrarle le spalle, ma non aveva più parole che anche alle sue orecchie risultassero consolatrici.
« Non è giusto… » sussurrò soffocato Bryan, la bocca impastata da un groppo amaro che continuava a risalirgli dallo stomaco ogni volta che il peso di quei giorni si riaffacciava nella sua mente. « Perché le persone a cui voglio bene muoiono? Prima la mamma… ora Giulya… perché Bonnie?! »
La sua presa tornò solida, quasi ferrea, per non sentire se stessa vacillare nell’aggrapparsi anch’essa a  quella domanda, avvertendo come i suoi soli sedici anni, e i quattordici del fratello, fossero troppo pochi per aiutarli in una risposta. Nuove lacrime le invasero gli occhi celesti, mentre si mordeva il labbro per impedire a tre inutili parole come “Non lo so” di essere l’unico responso che riuscisse a formulare.
« Io non ti lascerò » disse in fine, stirando le labbra in un sorriso umido ma sincero, scostando un po’ il fratello da sé per guardarlo dritto nelle sue iridi dorate. Annuirono a vicenda e, come se fossero tornati entrambi ad avere poco più di sei anni, si asciugarono le gote arrossate tirando su col naso, per poi stringersi le mani a vicenda.
« Ehi… »
Un terzo ragazzo fece capolino dalla porta della stanza. Alto come gli altri due, magro e con una zazzera di capelli neri scompigliati, fissò fratello e sorella con uno sguardo vagante, spento, il viso pallido e tirato sugli zigomi e le labbra secche.
« Lewis… » accennò Bonnie, giratasi verso l’uscio con ancora le dita intrecciate a quelle di Bryan.
« Usciamo di qua, mi sento soffocare. Voglio andare da lei » la interruppe il nuovo arrivato in tono piatto. Senza attendere risposta, tornò sui suoi passi, presto seguito dagli altri due.
 
 
 
 

 
Nord di Salmoa.
Limitare della città di Isca.
 
 
 
« C’è un rapporto da parte di Anago, Irwin-senchou »
La donna-pesce con la carnagione arancione si avvicinò con quanto più silenzio potesse tra l’erba alta, scostando il mantello quel tanto che bastava per porgere il piccolo Den Den Mushi rosa all’uomo appostato al muretto che li separava dall’ingresso della città.
Questi scostò lo sguardo dalle strade che stava controllando per ritirarsi un po’ indietro, occhieggiando seria l’altra.
« Non chiamarmi senchou, Estella. Ne abbiamo già parlato » ribadì calmo, per poi prendere il lumacofono e rispondere. « Sono Irwin. Parlate »
« Senchou-sama, dovete agire! Abbiamo avvistato navi in avvicinamento da sud! »
Stancamente, sia per l’appellativo sia per la situazione, nuova e dai contorni nefasti, il primo tornò a parlare:
« Che bandiera battono? » chiese.
Ci fu un fruscio di fondo, un bisbiglio secco e altri a seguire.
« Marina! Quarta divisione! »
Irwin rimase a fissare il ricevitore, una smorfia a piegargli le labbra che non si trattennero dal sibilare un nome.
« … Armstrong »
« Come dice, Senchou-sama? »
Lasciò perdere il pensiero, scoccando uno sguardo al panorama di case bianche che aveva davanti, oltre il muretto e gli alberi che coprivano sé e il resto degli uomini-pesce alla vista degli abitanti sereni di Isca.
« Osservate la situazione senza muovervi. Attraccheranno al primo o al secondo molo di Isca. Non date nell’occhio e contattateci sui loro spostamenti »
« Ricevuto »
Lo Snail tornò a riposo, riconsegnato nelle mani di Estella.
« Irwin-sama... » lo richiamò lei, ma il suo capitano la ignorò, vagando con lo sguardo sui tetti rosa e oltre questi, verso il mare cristallino che si intravedeva a perdita d’occhio fino all’orizzonte sgombro, dove si ricongiungeva con un cielo altrettanto limpido.
Erano rare giornate come quelle, lì a Salmoa. Era un’isola con un clima prettamente autunnale, sempre con qualche nuvola pronta a congiungersi ad altre per un temporale improvviso. Quel dì sembrava invece una bella giornata di primavera, quasi con un calore confortevole a solleticare la pelle e un piacevole soffio del vento a frusciare tra le foglie. Un tempo beffardo, sia per quello che era successo in quei giorni, sia per quello che sarebbe avvenuto di lì a poco e di cui non andava fiero.
Dopo quasi tre anni li avrebbe rivisti… e li avrebbe strappati via a quella pace apparente, dando loro un assaggio di mondo reale che non gli avrebbero mai perdonato.  
“Perdonami tu, Maryn…”
« Irwin-sama! » ripeté Estella, riportandolo coi piedi per terra. Quando egli si volse, si ritrovò a fissare i volti dei quattro uomini-pesce che erano con lui, le espressioni tirate e preoccupate sulle pelli squamate di colori diversi. Sarebbe stato ironico dire di sentirsi “un pesce fuor d’acqua”, ma la battuta non si scostava troppo dal reale. Bastava un’occhiata a distinguerli, loro con le fattezze tipiche delle creature senzienti marine, lui che, invece, sembrava in tutto e per tutto un essere umano. E questo lo avrebbe aiutato a scivolare non visto tra la gente del luogo, sperando che nessuno di loro rammentasse la sua chioma color corallo. E oltre l’aspetto fisico, a dividerli c’era anche quell’opinione che avevano di lui: continuavano a chiamarlo “Senchou”, o appellarlo in maniera onorifica, e aveva la vaga sensazione che quel giorno avrebbero dato la vita per la riuscita del piano e la sua incolumità, senza nemmeno conoscerlo minimamente.
A lui questo proprio non andava giù. Non avrebbe voluto avere niente a che fare con loro, coinvolgerli in un’impresa di cui già vedeva i primi spiragli di difficoltà con l’arrivo della Marina, ma da solo non ce l’avrebbe fatta. Sapeva che se non fosse stato per le sue occhiatacce eloquenti lo avrebbero appellato “Wakasama”, visto come erano bastate tre sole parole - “È mio figlio” - perché una ventina di quegli uomini-pesce si inginocchiassero di fronte a lui pronti a qualsiasi suo ordine. Quei gesti erano gli stessi da cui era fuggito per tutta la sua giovinezza. Ma ora non poteva permettersi di fare lo schizzinoso e, per come poteva, secondo come si sarebbero messe le cose, avrebbe cercato di ricambiare quella cieca fiducia in lui tentando di farli uscire tutti vivi da lì.
« Chiama Maguro, chiedigli conferma della situazione » ordinò rivolto alla donna-pesce che ormai era diventata la sua vice. « Voi altri preparatevi a muovervi » aggiunse, rivolto al resto del gruppo. Ma l’occhiata che tutti gli rimandarono gli fece aggrottare la fronte.
« Abbiamo un problema, Irwin-sama » iniziò Estella, tirando fuori dal mantello un secondo lumacofono giallo, attivo ma statico. Il brusio di un’interferenza continua riempì il breve silenzio. Sulla fronte di lei vi erano impresse rughe di seria preoccupazione.
L’uomo dai capelli rossi vagliò velocemente la situazione. Il gruppo di Maguro si trovava sul lato Sud-Est dell’isola, ai moli esterni alla baia, nella zona periferica del mercato e delle bettole. Era forse il luogo meno raccomandabile di Salmoa, ma quella che si poteva appellare come gentaglia del posto erano si e no pescatori che versavano in miseria o chi aveva avuto la giornata storta. L’isola era troppo tranquilla e benestante in generale per permettersi delinquenti come pirati o simili, nessuno così sciocco da mettersi contro un uomo-pesce. E un intero gruppo di cinque di questi, con addestramento militare delle profondità, era strano che sparisse o lasciasse aperta una comunicazione, o si perdesse una trasmittente.
« Fugu » chiamò, mettendo sull’attenti l’interessato dalla pelle beige a macchie. « Va a vedere cosa è successo e riferisci »
« Senchou-sama è sicuro che dividersi sia una buona idea? » intervenne Estella.
« Meno siamo a muoverci verso l’obiettivo, meno daremo nell’occhio. E tre di voi saranno più che sufficienti » puntualizzò Irwin, forse con tono troppo secco. Non voleva darlo a vedere, ma per quanto i suoi ordini potessero essere decisi la preoccupazione lo stava divorando, e il dubbio era sempre più presente in lui. Non era tagliato per quel genere di situazioni, anzi, era una delle ultime in cui avrebbe mai voluto trovarsi. Una vena di fretta iniziò a pulsare in lui.
« Andiamo » disse infine, alzandosi e calandosi il cappuccio sul capo.
Si cominciava.
 
 
 
 

 
Promontorio ovest di Salmoa.
Cimitero.
 
 
 
Il soffio del vento si stava intensificando, agitando le chiome degli alberi sulla parte bassa del promontorio, dove la strada di ciottoli bianchi si snodava da Isca attraverso il bosco rigoglioso, fino al cimitero. L’odore di salsedine onnipresente si mescolava a quello più umido tipico della pioggia, anche se le nuvole tardavano ad arrivare.
I tre ragazzi si strinsero tra loro, seduti a terra, più che per le folate fresche per un senso di ignoto che inumidiva le loro guance con nuove lacrime. Trattenerle era davvero impossibile lì davanti alla pietra liscia e bianca che occupava la loro vista, rendendo qualsiasi cosa circostante superflua, qualsiasi pensiero negativo.
Sulla lapide erano state incise eleganti lettere che ognuno di loro avrebbe voluto cancellare in qualsiasi maniera, se fosse servito a non renderle tanto tangibili e reali.
 
Giulya Ottavia Armstrong
Madre affettuosa, Marine coraggiosa.
 
« Quando  il nonno tornerà per riprendermi gli dirò che voi venite con noi » esordì Lewis, alla sinistra di Bryan, le gambe cinte al petto mentre tirava su col naso cercando di assumere un’espressione caparbia tra i residui di lacrime e le gote arrosate. « Anche la mamma avrebbe voluto così » puntualizzò con decisione, come se la cosa non potesse che risultare ovvia.
Di fianco a lui, il biondino continuò a giocherellare con l’erba del prato, strappandone steli con distrazione e nervosismo, la fronte aggrottata.
« Non sapeva neanche che lei si occupasse di noi. Hai visto la sua faccia sorpresa. Non ci ha rivolto una parola » gli fece presente senza alzare lo sguardo dal verde sottostante.
Rammentò tra sé la scena di una settimana prima, quando due marines, di una divisione che non avevano mai visto, si erano presentati alla porta per comunicargli che Giulya Armstrong era morta in un tragico incidente mentre prestava servizio. In un primo momento l’aveva preso per uno scherzo, non aveva minimamente ricollegato le parole tra loro, soprattutto col tono piatto e disinteressato con cui quei due avevano messo la notizia. Poi però, quella che per lui era sembrata la barzelletta più brutta di sempre, era proseguita: i due avevano continuato dicendo che la salma della sua madre adottiva sarebbe arrivata l’indomani per i funerali insieme al Vice Ammiraglio Ottavio Augustus Armstrong, padre della deceduta. Terminato il rapporto con un “Condoglianze” incerto, i due si erano ritirati, chiudendosi dietro la porta con uno schiocco che aveva riportato alla realtà i tre ragazzi, precipitandoli subito in un vuoto di consapevolezza che si era realizzato sul serio solo la mattina seguente, quando una bara color ciliegio era stata sotterrata davanti ai loro occhi e una lapide di marmo posta simbolicamente su di essa. E Bryan riusciva a stento a ricordare le ultime parole che Giulya gli aveva detto prima di partire per il suo servizio settimanale, le sue raccomandazioni e il suo sorriso, che quella pietra nivea non riusciva a imitare.
« Non mi importa! » lo riscosse dal torpore dei pensieri Lewis, voltandosi verso i due fratelli. « Non vado da nessuna parte senza di voi! Noi siamo una famiglia! E lui dovrà accettarlo! » affermò con rabbia e una risolutezza un po’ incerta. Non riusciva ad accettare che sua madre fosse morta, e meno che mai che di lì a breve la sua vita sarebbe cambiata ulteriormente.
Il giorno del funerale aveva conosciuto quello che diceva di essere suo nonno. Non ricordava di averlo mai visto, anche se sua madre di tanto in tanto gliene aveva parlato come un tipo dedito al dovere e all’onore, ma il discorso era sempre caduto nel dimenticatoio, visto che lui in prima persona non si era mai presentato a casa loro, nemmeno per le festività. Ora, di punto in bianco, era piombato nella sua vita nel momento più difficile, cercando di spiegargli con logica che sarebbe diventato il suo tutore e aggiungendo, in un discorso che solo il vecchio riusciva a seguire, che presto sarebbe diventato un marine di cui la stirpe Armstrong sarebbe stata fiera. Tutte parole che la mente del ragazzino moro aveva faticato a registrare. « E poi quel vecchio non mi piace… continua a chiamarmi Giulius » aggiunse in fine, tornando a serrare le ginocchia con le braccia, sbuffando.
« E’ il tuo nome… » rincarò sovrappensiero Bryan, senza rivolgergli attenzione, lasciandosi risuonare dentro la parola “famiglia” cercando di capire che significato potesse avere ora.
« Non mi piace! Io sono Lewis! »
« Resta il fatto… che probabilmente a tuo nonno noi non interessiamo. E avrebbe anche ragione… perché dovrebbe farsi carico di altri due orfani? » disse tristemente Bonnie, rimasta fino a quel momento in silenzio a osservare i fiori carezzati dal vento che davano colore a quel posto fatto solo di solidi ricordi grigi.
La sua mente provava ad andare avanti, a pensare a cosa sarebbe stato di lei e del fratello da lì a poche ore se Lewis fosse partito davvero senza di loro, ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo il volto rassicurante di Giulya sparire nelle ombre cupe dei suoi ricordi. In quanto sorella maggiore avrebbe dovuto riflettere su come sarebbero sopravvissuti, non avendo con loro se non pochi averi di nessun valore e una casa vuota dell’infanzia dove però né lei né Bryan avrebbero mai più voluto rimettere piede. Le fredde e dubbie fondamenta di un futuro poco roseo si insinuavano tra i suoi pensieri, aumentando solo l’angoscia che da una settimana non l’aveva mai abbandonata.
« Se non venite anche voi, io non andrò proprio da nessuna parte! »
Quest’ultima affermazione fu un grido risoluto che scosse anche gli altri due, facendoli alzare gli occhi sul fratellastro, scattato in piedi a fissarli con gli occhi grigi contratti da rabbia, sconforto e un senso di impotenza con cui lottava strenuamente. Si morse il labbro inferiore, iniziando a tremare. « Non voglio perdere anche voi! Questo posto è casa mia! E non indosserò nessuna stupida divisa della marina per fare contento un vecchio che non sa un accidenti di me! »
Davanti a quello sfogo Bryan e Bonnie riuscirono solo a fissarlo e a condividere le sue parole come una profonda ingiustizia. Purtroppo, quello che per loro al momento sembrava un baratro buio e senza uscita, presto sarebbe divenuto l’inferno.
 
 
Fu una folata di vento a portare le parole che cambiarono radicalmente il loro mondo. In realtà, furono due semplici nomi, i loro, e poche altre sillabe che li trafissero come frecce alla schiena, inaspettate e sleali, pronunciate dall’ultima persona al mondo che pensavano avrebbero più rivisto.
« Bryan, Bonnie » li chiamò l’uomo apparso all’ingresso del cimitero, scostando dai capelli color corallo il cappuccio che fino ad allora lo aveva nascosto alla vista. Fissò i due ragazzi con sguardo indecifrabile, nascondendo le mani serrate sotto la cappa, pensieri contrastanti a sfrecciargli per la testa. « Dovete venire con me »
La ragazza non riuscì a muoversi, gli occhi sgranati da un misto di emozioni contrastanti che le bloccarono qualsiasi parola in gola, secca e pulsante di un cuore che batteva all’impazzata nel tentativo di aiutarla a registrare l’apparizione inaspettata.
« O… otousa- » quell’unica parola le scivolò dalle labbra involontaria, ma troncata sul finire da un ruggito gutturale alla sua sinistra e un tremito che la riportò alla realtà, facendole sbarrare ancora di più gli occhi, questa volta, di paura.
Bryan, scattato in piedi, immobile, fissava il nuovo arrivato con un odio che gli trasfigurava il viso e gli sbiancava le nocche per la tensione nel tenerle serrate. L’aria fremette, e Bonnie registrò in una frazione di secondo quello che sarebbe avvenuto di lì a poco, ma non fece in tempo a reagire.
La terra tremò sotto i loro piedi e lei non vide più nulla.
 
 
 
 

 
Città di Isca.
Casa di Giulya Armstrong.
 
 
 
Il calcio del fucile si abbatté sullo zigomo dell’uomo-pesce senza pietà, buttandolo a terra come un sacco e facendogli sputare sangue sul pavimento di marmo rosa. Maguro tentò per l’ennesima volta di rompere le catene che lo legavano con tutta la forza di cui disponeva, ma invano. Imprecò e apostrofò gli uomini in completo nero che lo rimisero seduto di fronte all’aguzzino che gli aveva appena spaccato la faccia.
« Precisiamo che per voi rifiuti dell’evoluzione le buone maniere non sono contemplate »
A fare quella precisazione con tono indifferente fu un ufficiale, che si distingueva dagli altri solo per il giaccone poggiato sulle spalle, dove i kanji di giustizia spiccavano come uno schiaffo ricamati oro su bianco. Era seduto sul tavolo della cucina, rigirandosi una spada sguainata tra le mani, lo sguardo nascosto da un paio di occhiali da sole nonostante la penombra della casa. Non era particolarmente prestante, ma nessuno sarebbe stato in grado di azzeccarne l’età senza sbagliare di molto. Aveva i capelli brizzolati, e qualche ruga a solcargli il viso, ma gli occhi erano vigili e perforanti, calcolatori e spietati.
« Cosa ci fa un gruppo di uomini-pesce, che tenta malamente di passare inosservati sotto ridicoli mantelli, a Salmoa? Cercate vostri simili tra i banchi del mercato? » riprese beffardo con un sogghigno, sebbene il tono non sembrasse voler essere ilare.
Maguro lo guardò con profondo disprezzo, serrando i denti macchiati e non proferendo parola.
L’ufficiale fece un cenno ai suoi uomini, che ripresero a picchiare il prigioniero, mentre lui dava una seconda occhiata all’ambiente circostante. Una casa discreta per un Capitano di Vascello la cui famiglia vantava fama e ricchezza. Era arredata in maniera luminosa, quasi giocosa con i colori pastello, anche se ora che i suoi l’avevano rivoltata da cima a fondo sembrava più la stanza disordinata di un bambino.
« Vice Ammiraglio! Guardi! » uno dei sottoposti richiamò la sua attenzione sul loro ospite squamato. L’uomo brizzolato assottigliò lo sguardo di fronte al tatuaggio che l’uomo-pesce aveva sul pettorale sinistro, prima nascosto dalla casacca strappatasi nella colluttazione. Il disegno tondeggiante, impresso nero sulla pelle grigiastra, rappresentava una sirena stilizzata che nuotava intorno a una corona. Un lampo passò negli occhi del più alto in grado, una cupa e sgradita consapevolezza in testa.
Si alzò da dove era rimasto seduto fino a poco prima, avvicinandosi al prigioniero. Levò la spada che aveva rimirato fino a quel momento puntandogliela al petto al centro del tatoo, la mano ferma, nonostante un antico ribollire lo avesse colto in un primo momento.
« Sto cercando un uomo, si chiama Irwin. Dove si trova adesso? » chiese, e l’ambiente cadde in un silenzio carico di tensione.
« Va all’inferno » furono le ultime parole di Maguro, un invito alla lama a trafiggergli il petto, che scivolò in un solo fendente verso il simbolo della sirena, penetrandolo a metà. Presto, il sangue zampillò, cancellandolo quasi del tutto in una macchia cremisi, tra gli spasmi che colsero il malcapitato.
« E tu vai ad aprire la strada alla tua Regina Coralia, uomo-pesce » gli rise all’orecchio il Vice Ammiraglio, prima che la luce svanisse dai suoi occhi. I pezzi del puzzle si stavano ricomponendo in maniera sorprendentemente veloce quel giorno, e lui già sentiva addosso un piacevole senso di vittoria.  
« Shirami-chuujou… » a richiamarlo ancora fu un altro dei suoi uomini, appena rientrato dalla porta principale. L’ufficiale gli fece cenno di parlare, mentre estraeva la spada dal cadavere ai suoi piedi. « Al molo due sta attraccando una nave della quarta divisione. Si tratta del Vice Ammiraglio Armstrong »
« Ah sì… giusto » rispose sovrappensiero, guardandosi intorno e valutando rapidamente la notizia. « Ascoltatemi. L’Operazione Kinshi passa al protocollo tre. Trattate qualsiasi uomo-pesce che incontrerete come un pirata di livello rosso. Se la popolazione fa domande, dite che sono stati attaccati ed è meglio che si rifugino in casa. Riguardo ad Armstrong, lasciate che ci parli io » ordinò, grattandosi la tempia infastidito.
Gli era già bastata la figlia di quel pomposo di Ottavio a fare troppe domande, sperava che il vecchio non si rivelasse un’altrettanta spina nel fianco. Se avesse giocato le sue carte al meglio, entro quella sera, un re, un fante e una dama sarebbero finiti in mano sua, e forse, finalmente dopo più di quindici anni, la sua preda ultima non sarebbe stata poi così inarrivabile.
Ma a scuoterlo dai suoi pensieri su un’improvvisa scossa di terremoto che fece tremare l’abitazione, cogliendo tutti di sorpresa. Fu un tremore secco e repentino, del tutto inaspettato a cui seguì un ruggito che aveva solo vagamente qualcosa di umano, seguito dalle urla della gente di Isca.
Gli uomini in giacca e cravatta accorsero al fianco del loro capo per assicurarsi che stesse bene, ma quest’ultimo non fece in tempo a chiedersi che diavolo fosse successo, che un altro sottoposto rientro nella casa trafelato e visibilmente spaventato.
« Chuujou! Deve venire a vedere! La terra…! » cercò di spiegare, ma fu incapace a trovare delle parole che potessero descrivere quanto visto.
Shirami non perse tempo, uscendo all’aria, tra gli affanni e le grida spaventate dei cittadini.
Da dove si trovava poteva guardare quasi nella sua interezza l’isola di Salmoa, a forma di uncino, ma fu un punto in particolare ad attirarne l’attenzione.
Una nube di polvere si addensava al capo ovest, sul promontorio. Acuì la vista da dietro le lenti scure, prima di intravedere, tra l’ammasso di pulviscolo che andava a diradarsi… un picco. Una conformazione che, ci avrebbe giurato, prima non ci fosse, vista l’innaturalezza con cui si ergeva tra quello che intuì essere il cimitero dell’isola e la foresta retrostante.
« Vice… » iniziò uno dei suoi, senza fiato.
« Raduna tutti e muoviamoci » fu l’ordine secco che impartì, una goccia di sudore che gli scivolò sul lato della fronte. « E manda a prendere le munizioni di agalmatolite che abbiamo di scorta »
La questione si stava facendo delicata.

 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Salmoa e Isca: rispettivamente “salmone” e “amo/uncino” in portoghese, giusto per sottolineare il settore economico in cui l’isola eccelle e la sua conformazione…!
- Anago, Fugu, Maguro, Estella…: sono tutti nomi giapponesi di tipi di pesce, come “anguilla”, “pesce palla”, “tonno rosso”, a parte Estella che significa stella. Che fantasia eh?
- Otousan: giap. “papà”
- Senchou: giap. “capitano”
- Chuujou: giap. “Vice Ammiraglio”
- Wakasama: giap. “signorino” (modo rispettoso per riferirsi al figlio di una persona di alto rango)
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Si riparte per una vecchia/nuova avventura!
Grazie per chi si è arrivato fino a qui e per chi spenderà cinque minuti in più a leggere queste note atte a comprendere meglio in che tipo di lettura vi state imbarcando…!
Nel lontano 2006 iniziai a pubblicare questa storia, con un sacco di idee e buoni propositi. Dopo otto anni, rieccoci qui di nuovo, con il doppio delle idee e il triplo dei propositi! Non so se tra di voi ci siano i vecchi lettori della storia, ma ho smantellato e riadattato buona parte dei capitoli dell’epoca, eliminandone in tronco alcuni e aggiungendone di nuovi, come questo Prologo, diviso in due parti perché davvero lunghetto.
Il riadattamento della fanfic è stato necessario perché quando la iniziai i nostri della ciurma non avevano tra loro Franky e Brook, e soprattutto navigavano ancora sulla Merry. Oltre al fatto che Oda ha tirato fuori personaggi nuovi a cui non ho saputo resistere e che ho voluto introdurre (Rayleigh, Trafalgar e Kidd, per citarne qualcuno).
 
Passiamo alle note serie:
 
- TEMPO/LUOGO: la storia si svolge PRIMA del Time Skip del Manga, ossia in un periodo/luogo imprecisato tra Thriller Bark e Sabaody. Potrebbero esserci delle imprecisioni e dei riadattamenti da parte mia perché la storia era concepita per seguire binari diversi, ma spero che il tutto vi piaccia comunque =)
 
- Sottotitolo: l’ho adottato perché, per come ho concepito la storia finora, la fanfic conterà quattro saghe (ah ah), di cui questa è la prima =)
 
- Personaggi OC: mettetevi l’anima in pace. Ci saranno talmente tanti personaggi di mia invenzione che potrebbero quasi concorrere con quelli canonici… ma ci tengo a precisare che i PROTAGONISTI rimarranno sempre i Mugiwara. Tutti gli OC ruoteranno intorno ad essi, anche avendo capitoli dedicati come questo.
Di volta in volta vi elencherò chi si aggiungerà alle file della storia, per non perdere il filo!
 
- Rating: Arancione nel generale, ma non escludo che più avanti si arrivi a quello Rosso. Avviserò di volta in volta!
 
 
Queste sono le precisazioni iniziali che volevo fare =)
Le note vere e proprie su personaggi/spiegazioni le riporterò nella seconda parte del Prologo!
 
Come per qualsiasi autore, sapere che qualcuno spenderà due minuti per lasciare un commento mi riempirà di immenso gaudio e buon umore. Io incrocio le dita nel sperare che gradiate l’opera!
Nene
 
 
Ps: per chi fosse interessato, dato che sono una maniaca delle mie storie (!), su questo blog (http://heavenlyeve.tumblr.com/ ) pubblicherò oltre i capitoli, anche eventuali disegni di ispirazione! O altro… curiosità, ecc..!!
Per ora, ecco la Mappa di Salmoa: http://heavenlyeve.tumblr.com/image/100571157816
   
 
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