Di
ladruncole, piccioni e rivelazioni scioccanti
Il lungomare
della settantaduesima spiaggia della Città degli Angeli era
caotica e viva come
al solito: i ragazzi abbronzati giravano in costume con la tavola da
surf sotto
braccio nel tentativo di ammaliare le ragazze in bikini che a gruppetti
passeggiavano ridacchiando, mentre famigliole armate di ombrelloni,
cestini da
pic-nic e tutta l’attrezzatura da mare possibile e
immaginabile si dirigevano
alla ricerca di un angolo di sabbia dorata dove passare la giornata,
sotto
l’occhio attento degli anziani seduti sulle panchine che
ricordavano i vecchi
tempi.
Il campo da
caccia
perfetto. Caotico, colorato, sfuggente e popolato: nessuno avrebbe
fatto caso a
lei.
Una ragazza
di, a occhio e croce, sedici anni si alzò dalla panchina su
cui finora era
rimasta seduta a scrutare il via vai di persone con fare attento; i
lunghi capelli
ramati, che le cadevano in boccoli morbidi sulle spalle fino alla vita,
ondeggiarono nel vento caldo che sapeva d’estate e il suo
volto dai tratti fini
e leggermente infantili iniziò a voltarsi a destra e
sinistra alla ricerca
delle preda.
Poi li vide e
sorrise, di un sorriso scaltro e divertito: a una ventina di metri da
lei
discutevano animatamente tre ragazzi che giudicò avessero
più o meno la sua
età; uno di loro, il più alto, aveva i capelli
neri, leggermente lunghi e
scompigliati che gli ricadevano sulla fronte, mascherando gli occhi
neri che
risaltavano a contrasto con la carnagione pallida, e lei lo
giudicò subito come
il più pericoloso dei tre: i suoi occhi erano profondi e
indagatori, di quelli
che sono abituati ad analizzare e svelare inganni. Il secondo invece
stimò che
fosse assolutamente innocuo, con quelle stampelle e l’aria un
po’ persa; infine,
alla vista del terzo, non riuscì a reprimere uno sbuffo
irritato: il tipico
playboy pervertito. Capelli scompigliati e del colore del grano maturo,
occhi
blu come l’oceano, il fisico abbronzato, slanciato e
muscoloso e infine il
sorriso malandrino. Ovviamente lui era il più innocuo di
tutti: data la sua
natura non avrebbe mai resistito alla sua arma segreta.
Con un
ghignetto si sistemò la felpa, nera e sicuramente di due
taglie in più, in modo
che fosse leggermente slacciata davanti per lasciar intravedere il seno
prosperoso fasciato dal costume e che coprisse quasi del tutto gli
shorts di
jeans bianchi come le sue All Stars. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.
A passo
svelto si incamminò verso di loro, pensando a quale
obiettivo sarebbe stato il
migliore, quando il biondo gesticolò e la luce del sole
accarezzò un bracciale
che aveva al polso facendolo scintillare; la ragazza sgranò
gli occhi, nell’osservare
quel gioiello di un materiale che mai aveva visto, intrecciato con
maestria, e
poi sorrise. Bersaglio trovato.
La sua
andatura decisa si trasformò in una dal passo più
dolce ma affrettato, la sua
bocca si strinse in una linea di preoccupazione e gli occhi
scintillarono di
lacrime trattenute.
Come se
inseguita da qualcuno iniziò a voltarsi per osservare dietro
di sé, con il
respiro che si faceva accelerato.
Poi si
scontrò.
Il ragazzo
biondo sentì solo una forte botta contro la spalla prima che
nel suo campo
visivo entrasse una ragazza dai capelli ramati, inciampando nei suoi
piedi, e
d’istinto l’afferrò a pochi centimetri
da terra per evitare che diventasse una
frittella.
L’ombra
di un
sorriso sulle labbra della ramata venne sostituita da una smorfia
spaurita e
imbarazzata, con tanto di gote arrossate, e aggrappandosi al braccio
del suo
salvatore iniziò a scusarsi.
“Mi
spiace,
mi spiace…” mugolò con la voce
trillante incrinata e piena d’ansia, la mano che
veloce faceva scattare silenziosa l’apertura del bracciale
del ragazzo e se lo
fece scivolare nella manica, tenendo d’occhio di sfuggita gli
altri due
ragazzi.
“Non ti
preoccupare…” tentò di rassicurarla la
voce calda del ragazzo mentre l’aiutava
a rimettersi in piedi. Con disgusto lei pensò che
probabilmente le stava già
guardando nella scollatura.
“Grazie…”
gli
rispose, aggrappandosi a lui e rimettendosi in piedi, e poi
usò la sua arma
segreta: con lentezza calcolata alzò gli occhi su di lui
fino a incontrare i
suoi, sbattendo le lunghe ciglia nere e vide il ragazzo guardare
sorpreso
quelle enormi pozze bicolore incastonate nel suo viso, una di un viola
intenso
da mozzare il fiato e l’altra nera, come se volesse
risucchiarlo, intense e
elettriche. Lei accennò un timido sorriso di scuse e fece
per allontanarsi soddisfatta,
ma la mano del ragazzo l’afferrò per il polso.
“Aspetta!”
le
ordinò perentorio e leggermente irritato, tanto che per un
attimo la maschera
della ragazza di incrinò mentre si voltava nuovamente a
guardarlo. Di solito
non andava così. Di solito la guardavano andarsene con la
faccia da beoti e la
bava alla bocca, non la trafiggevano con lo sguardo e le labbra sottili
tese in
una smorfia.
“Cosa?”
chiese guardandosi intorno con aria sperduta, ma il ragazzo
sogghignò e
l’avvicinò a sé di scatto, mentre
l’amico moro alzava gli occhi al cielo.
“Il
bracciale.” Pronunciò guardandola
dall’alto e tenendola ferma per il braccio
con forza; la ragazza sbuffò, ma ormai non aveva
più bisogno di tenere la sua
maschera d’angioletto, che fu sostituita da uno sguardo
tagliente e un ghigno
freddo. Piano B: massacrare e scappare con il bottino.
Veloce libero
il braccio dalla presa e caricò un pugno dritto contro la
faccia del ragazzo;
solitamente aveva tutto il tempo di scappare mentre il malcapitato
giaceva
stordito per strada, ma evidentemente quella non era la sua giornata
fortunata.
E neanche la sua giornata in generale.
Il biondo
bloccò il pugno e con una mossa repentina la
sbilanciò facendola cadere
all’indietro per poi bloccarla per le spalle con la schiena a
terra,
sogghignando; la ragazza lo guardò ringhiando e fulminandolo
con gli occhi.
La terra
sotto di lei tremò.
Il ragazzo
con le stampelle inspirò l’aria e
spalancò gli occhi muschio, prima di gettarsi
sul biondo sotto lo sguardo stranito del moro.
“Fermo
Gray!”
urlò come spiritato, mentre la ragazza si divincolava per
liberarsi e scappare
con quel bellissimo bracciale. Anzi no, prima lo voleva prendere
adeguatamente
a calci nel fondoschiena…
“È
una di
noi.” Aggiunse il ragazzo abbassando la voce e guardandosi
intorno con
preoccupazione, “E anche bella forte…”
continuò mentre gli occhi di tutti e tre
si puntavano sulla ramata, che decise di incrociare le braccia e
sbuffare
fulminandoli. Noi chi?! Lei lavorava in solitario, niente gang,
gentaglia o
altro…Forse l’avevano scambiata per qualcun
altro…oppure avevano fatto uso di
strane sostanze…
“Sei
sicuro
Chris?” chiese il moro con voce calma guardandola sospettoso
e mettendola a
disagio coi suoi occhi d’ossidiana.
Il ragazzo
sembrò…annusarla?! Ora sì che aveva
paura…
“Sicuro.
L’odore è mascherato con un forte profumo e per
questo non l’ho sentito subito,
ma non deve averlo messo oggi e quando si è arrabbiata mi
è arrivata una
folata.” Spiegò serio accovacciandosi con gli
altri due intorno a lei. La
situazione le stava sfuggendo decisamente di mano…
“Non
vorrei
sembrare scortese…” tentò di richiamare
la loro attenzione ironica, ma Gray la
interruppe subito con voce tagliente.
“Chi
dei tuoi
genitori manca, ti ha abbandonato o è morto?”
chiese scrutandola e inclinando
leggermente la testa, come per leggerle dentro.
Domanda
sbagliata.
“E a te
cosa
importa?” ringhiò irritata lei riiniziando a
dimenarsi per liberarsi,
“Lasciatemi subito andare razza di maniaci
psicotici!” iniziò ad urlare nella
speranza di attirare l’attenzione della gente intorno a loro,
ma nessuno sembrò
dar loro nemmeno un’occhiata.
“Maniaci
a
noi? Hai un bel coraggio ladruncola…”
sbuffò il biondo per poi alzarsi da terra
e trascinarla con sé, “Senti, o ci porti dai tuoi
oppure ti portiamo dalla
polizia.” La minacciò tenendola sempre ferma per
entrambe le braccia e dallo
sguardo serio lei capì che non bleffava. Era in trappola.
“Gray
non ce
n’è bisogno…”
cercò di calmarlo il moro mettendogli una mano sulla spalla,
ma
Gray gli lanciò un’occhiata scettica.
“Lo sai
che
non è vero Jace.” gli rispose con un sorrisetto a
cui avrebbe voluto dare
fuoco. Cosa poteva fare?! Non voleva vedessero sua madre, ma non voleva
nemmeno
che sua madre scoprisse quello che faceva….
Con un
sospiro smise di dimenarsi e richiamò la loro attenzione.
“Va
bene,
seguitemi.” Disse
loro infastidita,
mentre cercava di nascondere l’agitazione, ma il ragazzo non
la lasciò andare.
“Che
c’è?”
sbotto lei aggressiva, ma a un’occhiata a metà tra
il divertito e l’irritato di
lui, gli riallacciò il bracciale al polso con uno sbuffo.
“Ora va
meglio ladruncola!” le disse ghignando e liberandola.
“Andiamo.”
La
richiamò Jace iniziando a camminare mentre Chris si guardava
intorno agitato.
“Muoviamoci…”
mormorò soltanto il ragazzo prima di seguirla.
“Come
ti
chiami? I nostri nomi li sai già e mi sembra inutile
ripeterli.” Le chiese il
biondo mentre attraversavano di corsa la strada trafficata, verso il
centro.
“Rebecca.”
Rispose lei guardandosi intorno e cercando di orientarsi in quel
labirinto di
palazzi e quella folla di persone.
“Non
hai
risposto alla domanda di prima.” Le fece notare Jace
afferrandola al volo prima
che si schiantasse per essere inciampata nei suoi stessi piedi.
“Non
capisco
perché dovrei.” Rispose lei tagliente
allontanandosi da lui e riprendendo a
camminare mentre osservava stranita come i tre l’avessero
circondata, quasi a
proteggerla. Si sentiva un puffo tra i giganti data la scarsa
altezza…
“È
importante.” La supplicò Chris con gli occhi da
cucciolo e lei non ebbe cuore
di dirgli di no; era il più simpatico tra i tre e le faceva
quasi tenerezza
mentre arrancava dietro di loro con quelle stampelle malandate.
“Mio
padre.
Ci ha abbandonate.” Gli rispose alzando gli occhi verso i
cartelli e cercando
di decifrare i nomi delle vie. Maledetta dislessia!
“Voi
cosa
volete da lei?” chiese di rimando mentre schivava con
abilità una scolaresca in
gita.
“Non
è il
posto giusto per parlarne…” le rispose lui
tremante guardandosi alle spalle,
mentre Jace e Gray si stringevano intorno a lei, non riuscendo a
rimanere fermi
nemmeno al semaforo rosso. Erano anche loro iperattivi?
“Perché
hai
rubato il mio bracciale?” chiese nuovamente Gray con
leggerezza, facendole
saltare i nervi. Era un quiz a premi o un interrogatorio?!
“Perché
lo
volevo.” Rispose con un sorriso amaro e guardandolo dritto
negli occhi come a
sfidarlo a risponderle, ma lui vide troppo emozioni diverse vorticare
nei suoi
occhi per decidere cosa dire e alla fine si limitò a
picchiettarle un dito
sulla fronte.
“Non si
può
avere tutto quello che si vuole ladruncola…”
mormorò e lei non rispose,
accelerando e inoltrandosi in una via squallida e
dall’aspetto poco
raccomandabile; dopo alcuni minuti in cui camminavano fra edifici
fatiscenti e
cassonetti dell’immondizia giunsero a piccolo condominio in
cemento grigio. O
forse una volta era giallo, ma non era possibile stabilirlo con
chiarezza.
I ragazzi
osservarono un cambiamento naturale e graduale nella ragazza man mano
che
salivano di piano in piano, finché non giunsero
all’ultimo davanti a una porta
in legno marcio; per un attimo gli occhi le diventarono lucidi mentre
inseriva
la chiave nella toppa e apriva la porta di casa sua, ma fatto un passo
all’interno la tristezza sul suo volto venne sostituita da
una gioia forzata.
“Mamma
sono a
casa!” trillò mentre aspettava che tutti
entrassero per poi chiudere la porta
dietro di loro. Era un vecchio appartamento, con un arredamento povero
e
malconcio: il piccolo salotto aveva solo una piccola libreria, un
divano verde
smorto e una tele degli anni ’80; proseguendo dietro di lei
passarono di fianco
a una piccola cucina, con solo un vaso di fiori al centro del piccolo
tavolo
rotondo a rallegrare l’atmosfera, e infine giunsero alla fine del corridoio, con
una porta per lato;
quella centrale era leggermente aperta e si intravedeva un piccolo ma
pulito
bagno bianco, quella a destra era chiusa ma aveva una
“R.” incisa al centro e
infine quella a sinistra dava su una stanzetta inondata della luce
calda del
sole pomeridiano.
“Becky?
”chiamò una voce dolce e melodica dalla stanzetta
e Becky entrò seguita dai
ragazzi; era una camera da letto umile, con la carta da parati a fiori,
un
armadio in legno, un cassettone con sopra uno specchio e vicino alla
finestra
un grosso letto, ma non un letto da camera, uno da ospedale; sopra, adagiata a vari
cuscini così da poter
star semi-seduta, c’era una delle donne più belle
che i ragazzi avessero mai
visto; aveva dei lunghissimi capelli del colore del tramonto che in
onde
ordinate scivolavano sui cuscini come un aureola, la pelle era del
colore del
latte e i lineamenti erano di un’eleganza e di una finezza
senza pari, mentre
gli occhi….gli occhi erano di un viola intenso, elettrico e
vivo, che
ammaliava.
Fu questa la
loro prima impressione della donna, mentre la ragazza si avvicinava a
lei per
inginocchiarsi accanto al letto con un sorriso, ma pian piano i loro
occhi
videro tutti i dettagli che l’abbaglio iniziale aveva
oscurato: la pelle
sottile e fragile delle braccia, le dita magre tra le pagine del libro
che
stava leggendo, le piccole occhiaie sotto gli occhi e alcuni capelli
bianchi
nella cascata rossa.
“Sono i
tuoi
amici Becky?” le chiese con gioia bambina guardando i tre
ragazzi e rivolgendo
loro un sorriso da accecare il sole.
“N-non
proprio mamma…” mormorò lei agitata,
non sapendo cosa dire e muovendosi
fremente sul posto.
“Signora…”
iniziò Jace, per poi interrompersi rendendosi conto di non
essersi e non esser
stato presentato.
“Lily,
mio
caro, chiamami Lily.” Completò lei la frase
cercando di raddrizzarsi un po’,
curiosa, ma il suo corpo non reagì bene e Becky si
affrettò a prenderla per le
spalle fragili e riappoggiarla con delicatezza ai cuscini.
“Non
fare
sforzi…” l’ammonì con voce
piena di tenerezza rimboccandole le coperte, mentre
la madre rideva come una bambina.
“Scusate,
ma
la mia malattia mi impedisce di muovermi come vorrei e mia figlia
è costretta
ad accudirmi.” Si scusò imbarazzata ma tutti e tre
le dissero precipitosamente
di non preoccuparsi in alcun modo.
“Lily…”
riiniziò Jace prendendo un respiro profondo, chiedendosi
perché dovesse essere
così difficile, “Siamo Jace, Gray e Chris...
semidei del campo Mezzosangue.”
Spiegò diretto guardandola negli occhi; subito il sorriso di
Lily si spense e
la donna tremò leggermente, mentre piccole lacrime si
raccoglievano nei suoi
occhi profondi.
“Sapevo
sarebbe arrivato questo giorno…”
sospirò infine con un sorriso mesto guardando
la sua amata bambina.
“Cosa
stai
dicendo mamma? E cosa stanno dicendo loro?” le chiese
preoccupata facendo
danzare gli occhi da lei ai tre strani ragazzi.
“Piccola,
è
ora che tu sappia: ti ho mentito. Tuo padre non è un uomo,
è un dio. Un dio
dell’Olimpo.” Le spiegò seria come mai
prima d’ora e mentre la ragazza a bocca
aperta si lasciava cadere in ginocchio sul pavimento, iniziò
a raccontarle la
realtà di quel mondo.
Dopo dieci
minuti Lily finalmente tacque, mentre guardava Rebecca che tremante
immagazzinava tutte quelle nozioni sugli dei, i miti greci, la
civiltà
occidentale e i semidei; poi finalmente prese un grosso respiro e sotto
lo
sguardo carico di attesa dei quattro intorno a lei si alzò
in piedi.
“Credendo
anche che tutto questo sia vero, non vedo il problema o in che modo mi
riguardi.” Disse volgendo il capo per guardare fuori dalla
finestra.
“Dobbiamo
portarti al campo con noi.” Le spiegò sintetico
Jace perforandola, ma lei lo
ignorò.
“Per
favore…!”
iniziò cercando di darsi un tono scocciato e spolverandosi
le ginocchia, “In
sedici anni non mi è mai successo niente di strano,
né un fantomatico mostro mi
ha attaccato…non ne vedo la necessità.”
Terminò con sguardo di sfida verso i tre,
incrociando le braccia, i quali non osarono rispondere, guardandosi
incerti:
effettivamente era strano che fosse ancora viva e illesa, soprattutto
se era potente
come diceva Chris.
“Quello…quello
è colpa mia.” Intervenne Lily, stropicciando
imbarazzata le coperte con le dita
affusolate, “Quando tuo padre mi spiegò del campo
ero davvero spaventata
all’idea di doverti mandare via così presto
e…gli chiesi un regalo: un modo per
proteggerti fino all’ultimo. Lui era generoso e mi amava
moltissimo, così mi
accontentò: mi diede un profumo speciale che permetteva di
nascondere alla
perfezione i semidei e un indirizzo per poterlo ordinare, dato che
andava messo
ogni giorno.” Spiegò senza alzare gli occhi e
ignorando lo sbuffo di Rebecca
alle parole “Mi amava moltissimo”.
Rebecca
strinse i denti pensando ai danni di quello stupido profumo e maledisse
suo
padre, ma al momento aveva problemi più urgenti.
“E che
problema c’è?” riprese forzando un
sorriso e alleggerendo il tono “Continuerò a
metterlo e rimarrò con te…Amo la nostra vita
insieme, le mie amiche, la scuola,
le uscite al sabato e le chiacchierate con te; i giorni poi in cui
facciamo i
biscotti sono i migliori.” Aggiunse con una risata, che
subito gli si smorzò in
gola quando la mano della madre le accarezzò la guancia e
incontrando i suoi
occhi la vide piangere lacrime cristalline.
“Mi
spiace
Becky…per tutto quello che hai sopportato per me; avrei
voluto darti una vita
migliore…ti voglio così bene bimba mia, che ora
sono pronta: è il momento che
tu viva la tua vita, quella per cui sei nata.” Le disse con
un sorriso così
dolce da far distogliere lo sguardo ai tre, che si sentivano quasi
degli
intrusi.
Becky
sgranò
gli occhi e poi se li coprì con una mano, sorridendo amara:
ovviamente lei
sapeva e aveva sempre saputo.
“Non
andrò.”
Disse decisa ricacciando indietro le lacrime.
“Devi.
Io
chiamerò i nonni. Starò bene.” Rispose
la madre scostandosi da lei e
asciugandosi le lacrime, ma prima che Rebecca potesse ribattere un
grido
straziante lacerò l’aria, facendola rabbrividire.
Era a metà tra l’urlo delle
donne nei film horror e il verso di un aquila.
“Cos’è
stato?” urlò la ragazza guardandosi intorno
spaventata, mentre sentiva il suo
autocontrollo sbriciolarsi.
“Dannazione,
dannazione, dannazione!” iniziò a mugolare Chris
guardandosi intorno con il
puro terrore negli occhi.
“L’hanno
trovata?” chiese Jace precipitandosi alla finestra per
guardare fuori.
“Becky
hai
messo il profumo stamattina?” le chiese la madre guardandola
con rimprovero e
paura, non era difficile immaginare che forte aurea dovessero mandare i
tre più
sua figlia. Una calamita per mostri.
“NO CHE
NON
L’HO MESSO, QUELLO STUPIDO PROFUMO!”
urlò lei allora perdendo completamente il
briciolo di calma che le era rimasta, “SMETTETELA CON QUESTA
STUPIDA STORIA!”
“Arpie!”
mugolò Chris mettendosi le mani tra i capelli.
“Dovete
andare!” li incitò la madre, ignorando la figlia e
voltandosi a parlare con gli
altri semidei.
“MAMMA
NON MI
IGNORARE!” urlò ancora Becky indietreggiando fino
a trovarsi con le spalle al
muro e avvolgendosi le braccia intorno alla vita, ferita.
“Chris
in camera
di Rebecca, c’è uno zaino di emergenza preparato
apposta per quest’occasione dietro
la porta appeso all’appendiabiti” lo
istruì mentre il ragazzo annuendo si
precipitava fuori; Jace intanto aveva estratto quello che sembrava un
coltellino svizzero nero e continuava a osservare fuori dalla finestra,
in
fremente attesa.
“IO NON
VADO
DA NESSUNA PARTE!” cercò ancora di opporsi la
ragazza, ma Lily guardò
supplicante Gray che con un sospiro le si avvicinò.
“Mi
spiace.”
Le disse guardandola con serietà, prima di afferrarla per i
fianchi ignorando i
suoi tentativi di divincolarsi e gettandosela in spalla.
“Mettimi
giù
maniaco!” gli urlò lei prendendolo a pugni sulla
schiena, ma lui si rivolse a
Lily.
“Starà
bene
lei?” le chiese come se indeciso se prendere in spalla anche
lei o meno.
“Andate!”
gli
rispose lei trattenendo le lacrime e sorridendo con forza.
Chris, che
stava rientrando, venne spinto fuori da Gray con la furia urlante in
spalla, e
Jace li avrebbe seguiti se Lily non lo avesse richiamato.
“Jace?
Per
favore… guardami.” Gli chiese la donna e il
ragazzo si avvicinò perplesso,
concentrandosi solo su di lei…e vide. Vide la
verità così abilmente celata a
chiunque altro.
“Ma
lei…!”
tentò di dire sgranando gli occhi, ma la donna si pose un
indice sulle labbra e
sorrise tra le lacrime.
“Hai i
suoi
stessi occhi.” Gli disse prima di accasciarsi esausta sul
cuscino, cadendo in
un sonno profondo.
Becky aveva
smesso di dimenarsi appena uscita dall’edificio e si era
aggrappata alla felpa
del suo rapitore singhiozzando. Non capiva perché, non
capiva cosa stava
succedendo…aveva abbandonato sua madre che avrebbe dovuto
umiliarsi a chiedere
aiuto ai suoi insopportabili genitori, tre ragazzi sconosciuti la
stavano
portando chissà dove e, l’unica cosa che sapeva
con certezza, era che la colpa
era di suo padre. Dio o no, lo avrebbe fatto a pezzi.
“Mi
spiace
Becky che sia accaduto così…” si
scusava intanto a ripetizione Chris, belando
di tanto in tanto, ma era troppo stordita per farci caso; Jace li aveva
raggiunti subito dopo e Gray si era accorto subito che
l’amico era scosso, ma
non aveva detto nulla e avevano continuato a correre per le strade di
Los
Angeles, coperti dalla Foschia che abilmente manipolava.
Stavano
giusto svoltando in alcuni vicoletti deserti, quando
l’ennesimo urlo disumano
torturò i loro timpani.
“Ci
hanno
raggiunto!” sbottò Gray fermandosi
all’improvviso e guardandosi intorno
scocciato, seguito da Jace e Chris, terrorizzato.
“Non ci
resta
che affrontarle.” Mormorò il moro mettendosi di
fianco a lui e, sotto gli occhi
increduli di Becky, il coltellino svizzero si trasformò in
una grossa spada a
due mani nera come la notte.
“Ma
che…?”
gemette prima che Gray la scaricasse di mala grazia a terra e Chris le
posasse
accanto lo zainetto viola, “Se ci tieni alla vita, non fare
scherzi ladruncola
e sta ferma.” Le disse il biondo causandole uno scompenso di
nervi e un forte
istinto omicida.
Prima che
però potesse ribattere, dal cielo scesero in picchiata la
conferma dei suoi
peggiori incubi: due donne grasse e bitorzolute dagli occhi cattivi e
il
sorriso sdentato; ma la cosa peggiore erano le ali grigio sporco che
spuntavano
dalla loro schiena e la parte inferiore del corpo come quella di un
piccione.
Jace e Gray
si misero davanti a lei per proteggerla e quest’ultimo
accarezzò il
braccialetto, che con uno luccichio dorato si fuse in un elegante arco
intarsiato, grosso la metà di Becky.
“Guarda
chi
si rivede…i vecchi polli!” le schernì
prima di afferrare la corda dorata a e
tenderla, mentre nelle sue mani si formava da un globo luminoso una
freccia
piumata che sembrava fatta di luce pura.
“Semidei!
Morirete
qui e oggi per mano nostra.” ringhiarono le due sgranchendo
gli artigli con
grande terrore di Becky, prima di slanciarsi contro i loro avversari.
Jace si
lanciò contro la sua avversaria tentando di tranciarla di
netto con un fendente
allo stomaco, ma quella aprì le ali e lo evitò
saltando verso l’alto, per poi
ricadere verso di lui con gli artigli pronti a ghermirlo; il moro
allora si
gettò si lato e rotolò sul fianco, facendo poi
perno sul piede e lanciandosi
nuovamente su di lei. Intanto Gray bersagliava di frecce con precisione
letale
l’arpia, ma quella volava senza sosta nel tentativo di
evitarle e allo stesso
tempo di avvicinarsi, rimediando così pochi graffi;
sfortunatamente per lei non
appena arrivò a un metro da lui, il ragazzo
afferrò con entrambi le mani l’arco
al centro e lo girò orizzontalmente, per poi tirare verso le
due parti opposte:
con un'altra luce dorata l’arco si divise in due corte daghe
con cui ingaggiò
un combattimento a corpo a corpo.
Fu proprio
mentre Rebecca li guardava allucinata sfregandosi gli occhi e
chiedendosi che
tipo di strategia di fuga adottare, che un fruscio dietro di lei le
fece
saltare il cuore in gola e, solo grazie a Chris che la spinse via, non
finì
sotto gli artigli dell’arpia.
“Attenta
Becky!” le urlò prima di scalciare via il mostro;
già, scalciare: le stampelle
erano a terra e le scarpe gli erano scivolate via lasciando in bella
vista due
amabili zoccoli caprini. Zoccoli caprini.
“È
mezzo
capra…mezzo capra…” ripeté
scioccata guardando l’arpia rincorrere il povero
Chris terrorizzato; da qualche parte le si accese una luce con scritto
dentro “Satiro”,
forse grazie ai racconti mitologici che la madre le leggeva da piccola,
ma non
ci fece caso. Era troppo.
“Io vi
odio
tutti…vi odio proprio…”
iniziò a mormorare con il corpo che le tremava dalla
rabbia mentre cercava di rimettersi in piedi, “Voi pazzi
sconosciuti…la capra…mia
madre…voi stupidi piccioni e…mio padre. Lui lo
odio proprio!” continuò alzando
la voce leggermente isterica, mettendosi finalmente dritta e guardando
con uno
scintillio folle negli occhi l’arpia, che improvvisamente
aveva smesso di
inseguire il satiro e si avvicinava a lei. Con calma assassina si
girò di lato
e sorrise sadica, per poi afferrare da terra il grosso coperchio di un
bidone
della spazzatura.
“Ehi
ladruncola cosa…?” le urlò Gray
voltandosi un attimo per controllarla, la sua
attenzione richiamata dai deliri di lei, e per poco non
inciampò dallo shock
nel vedere la ragazza avvolta da un aura assassina correre incontro
all’arpia
urlando come un invasata e sbatterle sul muso il coperchio a
ripetizione.
“STUPIDO
PICCIONE!” Urlò menandole un colpo dritto sul
naso,” RIDAMMI LA MIA VITA! LA
ESIGO!” continuò mentre quella cercava di
colpirla, ma a parte qualche graffio
non riuscì a sconfiggere la belva che la stava trasformando
in un ammasso di
lividi. Infine una freccia dorata si conficco nel suo petto e la
creatura si dissolse
in sabbia, quasi sollevata che avessero presto posto fine alle sue
sofferenze.
La ragazza si
voltò ansimante brandendo la sua fedele arma, ma a guardarla
trovò solo Jace
che ghignava, Chris spaventato e Gray che si rotolava dalle risate.
Rebecca li
guardò
in silenzio fremente e per un attimo il tempo parve cristallizzarsi.
Poi
scattò.
Dieci minuti
dopo Jace, Chris e Gray con in spalla Becky raggiunsero una grossa jeep
nera
parcheggiata in una via deserta.
“Non
voglio
venire.” ripeté per la trecentesima volta Becky, a
braccia incrociate e scura
in volto, oltre che a testa in giù.
“L’abbiamo
capito da quando hai cercato di scappare dopo l’incontro con
le arpie; tra
l’altro: bello scatto, sei già piuttosto allenata
o sbaglio?” le chiese Gray
con ironia scaricandola direttamente sul sedile posteriore e legandola
con la
cintura di sicurezza prima che potesse fuggire di nuovo; non che ci
avrebbe
riprovato dato la velocità con cui l’avevano
ripresa, umiliarsi una volta
bastava e avanzava.
“Non
potete
obbligarmi.” ripeté fulminandoli e masticando
insulti a mezza voce.
“Sì
che
possiamo!” rispose con un ghigno il biondo mentre Chris
belava cercando di
calmarli, dopo essersi seduto di fianco a lei mentre quello si sedeva
davanti
con Jace alla guida, che a quanto pare era diciottenne e quella
macchina era un
regalo di suo padre.
“Sei
inseguita dai mostri, non puoi tornare da tua madre perché
ti rispedirebbe da
noi e hai solo uno zainetto…credo che ti convenga venire con
noi.” Le fece
notare pratico Jace, ma lei sbuffò.
“Me la
caverei…me la sono sempre cavata.”
mormorò guardando fuori dal finestrino
mentre si allontanava dalla sua caotica città e Gray metteva
una stazione radio
inascoltabile, tanto che cominciò a lamentarsi e a tentare
di imporsi finché
non mise quella che voleva lei.
Passò
il
viaggio ad alternare minuti interminabili di silenzio ostile verso i
suoi
aguzzini a minuti ancora più lunghi (per gli altri) in cui
li tempestava di
domande sul campo, lamentele e battute sarcastiche; fortunatamente era
talmente
stanca e provata psicologicamente che dopo un’oretta si
addormentò
appallottolandosi contro il finestrino e Gray poté rimettere
la sua amata
stazione.
Era ormai il
tramonto quando Becky si risvegliò con Gray che la scuoteva
per la spalla; per
un attimo si guardò intorno persa, ma subito dopo iniziarono
a tornarle in
mente gli avvenimenti di quel giorno e il suo sguardo smarrito
lasciò lo spazio
ad uno freddo e circospetto. Con un salto balzò
giù dalla jeep e guardò la
collina davanti a cui si erano fermati: a prima vista non aveva niente
di
speciale ma concentrandosi ad un certo punto lo vide…un
grosso e maestoso pino,
che i ragazzi gli avevano spiegato esser stato una figlia di Zeus della
precedente generazione, la grande eroina Talia Grace, attorno a cui si
avvolgeva in spire un grosso dragone dormiente. Il segno del confine
del Campo
Mezzosangue.
Dopo
aver preso un profondo respiro ed essersi
sistemata la felpa in modo non si vedesse che era ancora in costume, si
stampò
in faccia la migliore maschera di ostentata sicurezza che aveva e si
incamminò
al fianco di Jace e Chris dietro Gray; più avanzava,
più ammirava il campo
davanti a lei e più era difficile non sgranare gli occhi e
saltellare eccitata
e spaventata al tempo stesso: le mostrarono l’arena, le Case
e il punto di
ritrovo per il banchetto, vide altri satiri, ammirò le ninfe
ballare tra i
boschi e le sirene salutarli dal lago. Venne presentata a Chirone,
davanti al
cui posteriore equino non poté non trattenere un commento
scioccato, nonostante
fin da subito sentisse una profonda ammirazione e rispetto per quel
centauro, e
al signor D che la chiamò Rachele tutto il tempo irritandola
in maniera impressionante
e che l’assegnò alla Casa di Ermes in attesa che
fosse determinata, come già le
avevano spiegato gli altri.
“La
casa dei
ladri…ti si addice ladruncola!” ghignò
Gray mentre l’accompagnavano alla sua
casa e lei lo colpì con un pugno sulla spalla, inviperita.
“Ti
conviene
tacere…” gli sibilò prima di accelerare
per lasciarlo indietro, ma quello la raggiunse
subito, salutando intanto ragazzi in armi che correvano e
chiacchieravano da
tutte le parti, mentre Chris sbuffava esasperato e Jace rimaneva chiuso
in un
silenzio che Gray non aveva problemi a identificare come preoccupato e
teso.
“Non ti
piace
l’idea che possa essere lui tuo padre?” gli chiese
cercando di sbrogliare la
mente di quella ragazza, ma lei si girò a guardarlo e
sorrise falsa e fredda.
“Non me
ne
frega di chi sia…lo voglio sapere solo per prenderlo a calci
in culo.” Proferì
scrocchiandosi le nocche, come pregustandosi il momento, e per un
attimo intorno
a lei si diffuse un’intensa aura omicida, ma Jace le mise una
mano sulla testa,
facendola calmare all’istante e voltare stupita.
“Devi
stare
attenta a come parli Becky, è pur sempre un dio e non sai
perché abbia fatto
quel che ha fatto.” Le disse scrutandola con gli occhi neri
come la notte, ma
lei distolse lo sguardo.
“Non mi
interessa…” mormorò chiudendosi in se
stessa.
“E poi
è raro
che i padri incontrino i figli, avresti poche occasioni per
farlo.” Aggiunse
Gray alzando le spalle e lei sbuffò frustrata.
“Non
devi
andare nella Casa di Apollo a fare qualcosa o a infastidire
qualcun’altro?” gli
chiese riprendendo a camminare al fianco di Jace, ma lui rise e la
guardò
curioso.
“Come
sai che
sono figlio d’Apollo?” le chiese divertito,
prendendola al volo prima che si
schiantasse a terra per essere inciampata in una maledetta radice.
“L’arco.”
Rispose lei sicura scostandolo orgogliosa, “Da come lo usi
devi essere per
forza un figlio di Apollo, dato che Artemide non ha figli.”
Spiegò scrollando
le spalle.
“L’hai
studiato a scuola?” le chiese Chris colpito, ma le guance di
Becky si tinsero
di rosso e lei si voltò dall’altra parte.
“No,
mia
madre mi raccontava i miti greci quando ero piccola...ho smesso di
andare a
scuola al primo anno di liceo.” Rispose guardando per terra e
accelerando la
sua andatura.
“Perché?
E
cosa facevi?” chiese subito Gray mentre Jace mormorava
qualcosa riguardo al
“riserbo” e al “tatto”, cose a
lui completamente sconosciute.
“Perché
non
ti fai gli affari tuoi?” ribatté infatti lei
piccata e i due avrebbero
ingaggiato un’altra schermaglia verbale se Chris, esasperato,
non fosse
intervenuto per distrarli.
“La
Casa di
Ermes!” urlò con il dito teso a indicarla e subito
lo sguardo della ragazza si
catalizzò sulla sua casa temporanea e i suoi abitanti: occhi
malandrini, visi
dai tratti sfuggenti, mani affusolate…Becky strinse le
cinghie dello zaino
viola che portava in spalla e assottigliò gli occhi. Era
vero che era andata a
scuola al liceo solo tre mesi, ma non era difficile immaginare che
l’atmosfera
al campo non fosse molto diversa: sistema gerarchico in ordine
d’età,
popolarità e forza; la prima impressione era fondamentale e
la sopravvivenza
veniva prima di tutto. Doveva attuare una strategia efficace per non
farsi
fregare e allo stesso tempo per non farsi etichettare come bersaglio,
debole o
frigna e contemporaneamente non doveva scoprire le sue carte.
Altrimenti era
finita.
Con un
respiro profondo rilassò tutti i muscoli e si
stampò un sorriso gentile ma
sicuro in viso e camminando salutava timidamente con la mano i ragazzi
di
Ermes, che contraccambiavano felini, mentre i suoi accompagnatori
osservavano
la metamorfosi diffidenti.
“Lui
è Atlas,
il capogruppo.” Presentò Jace un ragazzo alto e
magro venuto loro incontro, che
ricordava un’aquila, dai capelli biondo cenere, “E
lei è Becky.” I due si
strinsero la mano cordiali, ma Gray sorrise beffardo nel vedere il
lampo di
diffidenza e allo stesso tempo di divertimento negli occhi della
ragazza: non
sapeva cos’aveva in mente, ma di sicuro si sarebbe fatta
presto
rispettare…oltre che molti nemici.
Gray e Jace
rividero Becky solo a cena e subito sospirarono scambiandosi
un’occhiata
leggermente esasperata e divertita: camminava dietro ad Atlas a passo
felino,
con il suo sorrisetto stampato in volto, le mani nascoste nelle grosse
tasche
della felpa nera da uomo che portava con i leggins dello stesso colore,
la
maglietta del campo che neanche si vedeva, e i ragazzi della casa
intorno a lei
che o la guardavano irritati o ammirati, segno che aveva già
combinato
qualcosa. E a vedere dal numero di quelli irritati, qualcosa di grosso.
“Ancora
non
mi hai ancora detto cosa stai rimuginando…” fece
notare Gray a Jace mentre
tenevano la ladruncola sott’occhio, ma il ragazzo
sospirò scompigliandosi i
capelli.
“Lo
saprai
presto temo.” Rispose prima di andare a sedersi al suo tavolo
in solitaria,
lasciando un Gray innervosito a ipotizzare sul segreto del ragazzo. Se
c’era
qualcosa che non sopportava erano i segreti, soprattutto se glieli
tenevano i
suoi amici. E la musica house, ma quello era un altro discorso.
Becky nel
guardarli si diede della stupida per non aver chiesto in che casa fosse
Jace,
ma a giudicare dal tavolo dove sedeva da solo doveva essere per forza
figlio di
un dio minore raro o di uno dei Tre Pezzi
Grossi…interessante, chissà quali
grandi poteri aveva! Dopo cena glielo avrebbe chiesto, sempre che fosse
sopravvissuta alla cena… la metà della casa di
Ermes la odiava, l’altra la
trovava divertente…era probabile un tiro mancino
nell’immediato. E dire che si
era solo difesa…O almeno così reputava rubare un
pugnale, fare finta di dormire
per poi balzare addosso agli incauti che cercavano di avvicinarsi ai
suoi averi
e minacciarli di morte e dolore …evidentemente non gli
piaceva trovare qualcuno
furbo quanto loro.
Non fece
neanche in tempo a pensarlo che la ragazza che le camminava accanto, la
prima
vittima dal pessimo carattere, la spintonò e le fece lo
sgambetto con il piede
facendola cadere a terra, ma Becky era pronta a tutto in quel momento e
atterrando sulle mani si rialzò con una capriola in avanti.
“Oh
scusa
Rebecca!” le disse la ragazza dai capelli corvini ostentando
un sorriso falso,
ma lei si limitò a rispondere con un ghigno di sfida.
“Non ti
scusare, non mi hai fatto proprio niente.”
Pronunciò soffermandosi sulla parola
niente, per sottolineare come fosse molto più difficile
metterla in difficoltà,
e sistemandosi i capelli dietro un orecchio, degnandola solo di
un’occhiata di
sfuggita. E tutto sarebbe finito lì, con i ragazzi che
andavano al tavolo a
mangiare e le ragazze che borbottavano inviperite, se Becky nel
voltarsi non
avesse notato uno luccichio nella mano della ragazza. Sgranando gli
occhi si
tastò il polso e poi ringhiò verso di lei,
mettendosi in posizione di guardia.
“Ridammelo!”
le sibilò perdendo ogni atteggiamento di composta
superiorità.
“Che
cosa?”
le chiese quella fingendo innocenza, mentre l’attenzione di
tutto il campo, in
attesa dell’arrivo di Chirone e il Signor D, si concentrava
su di loro nella
speranza di una bella lotta tra ragazze.
“Il
bracciale!” ringhiò in risposta Becky stringendo
le nocche fino a farle
sbiancare.
“Ti
riferisci
a questo?” le chiese facendole dondolare davanti agli occhi
un semplice
braccialetto a catenella, in argento, con al centro un ciondolo a
goccia di
ossidiana, “Mi spiace, principessina, ma se non stai attenta
alle tue cose non
è colpa mia di certo!” le disse facendo
ridacchiare alcuni compagni di casa.
“Ridammelo.”
Ringhiò nuovamente Becky mentre tutta la rabbia che provava
le ribolliva nelle
vene.
“Vieni
a
prenderlo!” la sfidò l’altra prima di
lanciarlo in aria per poi prenderlo al
volo e metterselo nella tasca dei jeans sdruciti, e Becky le
scattò contro
all’istante; ma per quanto fosse abituata a cavarsela da sola
e conoscesse le
basi del combattimento, non aveva speranze contro una che si allenava
giornalmente e in un battibaleno finì con la schiena a terra
e il piede della
ragazza che le premeva sulla gola.
“Tutto
qui? Ti
senti umiliata? Da come ti comportavi pensavo potessi fare di
meglio.” La
sbeffeggiò l’avversaria mentre riprendeva a farle
dondolare il prezioso
braccialetto davanti agli occhi pieni di rancore.
“Deve
valere
molto per fare quella faccia…” la
schernì ghignando.
Lily era riuscita
ad uscire di casa
quel giorno, proprio per il compleanno di Becky, che non riusciva a
smettere di
sorridere mentre camminavano lentamente sul lungomare chiacchierando e
ridendo.
Avevano mangiato un gelato insieme, avevano fatto un giro allo zoo e
ora
stavano decidendo dove mangiare la sera…Era una giornata
perfetta. E lo fu
ancora di più quando passando di fianco a una bancarella sua
madre si fermò a
occhi sgranati.
“Quello!”
le disse indicando con gli
occhi che le brillavano un piccolo braccialetto con una catenella
d’argento e
un ciondolo in ossidiana a goccia, “È perfetto per
te!” le disse orgogliosa.
“Non ce
n’è bisogno…”
cercò di
dissuaderla Becky, sapendo che non avevano molti soldi e avrebbe
comunque
potuto rubarlo, ma sua madre non ne voleva sapere e finì per
comprarglielo.
“È
il mio regalo per te, un ricordo
che ci terrà sempre insieme!” le disse sorridendo
mentre glielo allacciava al
polso.
“Ridammelo!
È
mio!” le urlò ancora divincolandosi, ma quella la
ignorò.
“È
argento?
Dici che si spezza facilmente?” chiese invece la mora
estraendo un pugnale e
passandolo nel bracciale, per fare poi pressione contro la catena con
la lama e
osservare sadica l’espressione di terrore che per un attimo
balenò sul suo
viso.
“Basta
Malika!”
la voce di Gray che si faceva largo a spintoni tra i ragazzi curiosi
che li
avevano accerchiati, divisi fra tifosi di una e dell’altra
ragazza, per un
attimo fece sobbalzare la figlia di Ermes, che vedendo Jace seguirlo
con
sguardo cupo per un attimo tremò, ma poi li
ignorò e la sua presa si fece più
forte.
“Così
impari
a sfidarci!” le mormorò prima di tirare con forza,
ma non fece in tempo a
spezzarlo che un rombo squarciò il cielo.
Il terreno
prese a tremare con forza e improvvisamente si aprirono grosse crepe
intorno a
loro.
“Non
osare.”
Sibilò Becky seria e fredda come la morte prima di afferrare
la caviglia di
Malika e spingerla all’indietro facendola cadere sul
fondoschiena, con una
forza che neanche lontanamente pensava di avere.
La ragazza la
guardò a occhi sgranati, incapace di proferire parola.
“Dammelo.”
Ringhiò poi alzandosi e tendendo la mano, un forza oscura
che sembrava arderle
nelle vene, l’oscurità bruciarle fredda negli
occhi.
Contro le sue
aspettative la ragazza glielo lanciò e lei poté
riallacciarselo al polso con un
sospiro di sollievo, mentre già tutta la ferocia andava
spegnendosi in lei; fu quando,
alzando gli occhi, scorse tutti guardarla scioccati che capì
che qualcosa non
andava e a disagio si guardò intorno, ma non
riuscì a trovare nulla di strano.
Dai, non potevano fare tutta quella scena per una rissa…o
forse era perché
aveva battuto Malika?
“Sei
stata
riconosciuta.” la voce di Jace, calma e per nulla stupita,
ruppe il silenzio
creatosi e il flusso di pensieri della ramata, “Alza gli
occhi.” Le suggerì e
seguendo il consiglio i suoi occhi incontrarono un grosso stemma nero
che
volteggiava brillante sulla sua testa.
“Benvenuta
al
Campo Rebecca Black, figlia di Ade.” La voce di Chirone
rimbombò chiara tra i
ragazzi che si inginocchiarono davanti a lei, imbarazzata e scioccata.
Tutti
tranne Jace, che la raggiunse a passo felpato e le pose una mano sul
capo.
“Benvenuta
sorellina.” Le ripeté accennando un sorriso mentre
lei rimaneva a bocca aperta.
Non sarebbe
stato più così facile prendere a calci suo padre.