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Autore: StelladelLeone    21/10/2014    0 recensioni
Una giovane ladra dal pessimo carattere che lotta per la sua sopravvivenza.
L'odio per un padre che l'ha abbandonata insieme alla madre.
Un errore di calcolo nel scegliere il nuovo bersaglio da borseggiare.
L'assurdo incontro che le stravolgerà la vita.
Non tutto ciò che credeva era vero, ora lo sta scoprendo a suo rischio e pericolo: una nuova vita da affrontare, persone e sentimenti da scoprire e una maschera da gettare.
**
“Io vi odio tutti…vi odio proprio…” iniziò a mormorare con il corpo che le tremava dalla rabbia mentre cercava di rimettersi in piedi, “Voi pazzi sconosciuti…la capra…mia madre…voi stupidi piccioni e…mio padre. Lui lo odio da morire... Rivoglio la mia vita!” continuò alzando la voce leggermente isterica, mettendosi finalmente dritta e guardando con uno scintillio folle negli occhi l’arpia, che improvvisamente aveva smesso di inseguire il satiro e si avvicinava a lei.
~ Questa storia partecipa al contest "OC semidèi in cerca di penna e d'autore (Percy Jackson contest)" indetto da MaryScrivistorie (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10905934) ~
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Chirone, Dioniso, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di ladruncole, piccioni e rivelazioni scioccanti

 

 

Il lungomare della settantaduesima spiaggia della Città degli Angeli era caotica e viva come al solito: i ragazzi abbronzati giravano in costume con la tavola da surf sotto braccio nel tentativo di ammaliare le ragazze in bikini che a gruppetti passeggiavano ridacchiando, mentre famigliole armate di ombrelloni, cestini da pic-nic e tutta l’attrezzatura da mare possibile e immaginabile si dirigevano alla ricerca di un angolo di sabbia dorata dove passare la giornata, sotto l’occhio attento degli anziani seduti sulle panchine che ricordavano i vecchi tempi.

Il campo da caccia perfetto. Caotico, colorato, sfuggente e popolato: nessuno avrebbe fatto caso a lei.

Una ragazza di, a occhio e croce, sedici anni si alzò dalla panchina su cui finora era rimasta seduta a scrutare il via vai di persone con fare attento; i lunghi capelli ramati, che le cadevano in boccoli morbidi sulle spalle fino alla vita, ondeggiarono nel vento caldo che sapeva d’estate e il suo volto dai tratti fini e leggermente infantili iniziò a voltarsi a destra e sinistra alla ricerca delle preda.

Poi li vide e sorrise, di un sorriso scaltro e divertito: a una ventina di metri da lei discutevano animatamente tre ragazzi che giudicò avessero più o meno la sua età; uno di loro, il più alto, aveva i capelli neri, leggermente lunghi e scompigliati che gli ricadevano sulla fronte, mascherando gli occhi neri che risaltavano a contrasto con la carnagione pallida, e lei lo giudicò subito come il più pericoloso dei tre: i suoi occhi erano profondi e indagatori, di quelli che sono abituati ad analizzare e svelare inganni. Il secondo invece stimò che fosse assolutamente innocuo, con quelle stampelle e l’aria un po’ persa; infine, alla vista del terzo, non riuscì a reprimere uno sbuffo irritato: il tipico playboy pervertito. Capelli scompigliati e del colore del grano maturo, occhi blu come l’oceano, il fisico abbronzato, slanciato e muscoloso e infine il sorriso malandrino. Ovviamente lui era il più innocuo di tutti: data la sua natura non avrebbe mai resistito alla sua arma segreta.

Con un ghignetto si sistemò la felpa, nera e sicuramente di due taglie in più, in modo che fosse leggermente slacciata davanti per lasciar intravedere il seno prosperoso fasciato dal costume e che coprisse quasi del tutto gli shorts di jeans bianchi come le sue All Stars. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.

A passo svelto si incamminò verso di loro, pensando a quale obiettivo sarebbe stato il migliore, quando il biondo gesticolò e la luce del sole accarezzò un bracciale che aveva al polso facendolo scintillare; la ragazza sgranò gli occhi, nell’osservare quel gioiello di un materiale che mai aveva visto, intrecciato con maestria, e poi sorrise. Bersaglio trovato.

La sua andatura decisa si trasformò in una dal passo più dolce ma affrettato, la sua bocca si strinse in una linea di preoccupazione e gli occhi scintillarono di lacrime trattenute.

Come se inseguita da qualcuno iniziò a voltarsi per osservare dietro di sé, con il respiro che si faceva accelerato.

Poi si scontrò.

Il ragazzo biondo sentì solo una forte botta contro la spalla prima che nel suo campo visivo entrasse una ragazza dai capelli ramati, inciampando nei suoi piedi, e d’istinto l’afferrò a pochi centimetri da terra per evitare che diventasse una frittella.

L’ombra di un sorriso sulle labbra della ramata venne sostituita da una smorfia spaurita e imbarazzata, con tanto di gote arrossate, e aggrappandosi al braccio del suo salvatore iniziò a scusarsi.

“Mi spiace, mi spiace…” mugolò con la voce trillante incrinata e piena d’ansia, la mano che veloce faceva scattare silenziosa l’apertura del bracciale del ragazzo e se lo fece scivolare nella manica, tenendo d’occhio di sfuggita gli altri due ragazzi.

“Non ti preoccupare…” tentò di rassicurarla la voce calda del ragazzo mentre l’aiutava a rimettersi in piedi. Con disgusto lei pensò che probabilmente le stava già guardando nella scollatura.

“Grazie…” gli rispose, aggrappandosi a lui e rimettendosi in piedi, e poi usò la sua arma segreta: con lentezza calcolata alzò gli occhi su di lui fino a incontrare i suoi, sbattendo le lunghe ciglia nere e vide il ragazzo guardare sorpreso quelle enormi pozze bicolore incastonate nel suo viso, una di un viola intenso da mozzare il fiato e l’altra nera, come se volesse risucchiarlo, intense e elettriche. Lei accennò un timido sorriso di scuse e fece per allontanarsi soddisfatta, ma la mano del ragazzo l’afferrò per il polso.

“Aspetta!” le ordinò perentorio e leggermente irritato, tanto che per un attimo la maschera della ragazza di incrinò mentre si voltava nuovamente a guardarlo. Di solito non andava così. Di solito la guardavano andarsene con la faccia da beoti e la bava alla bocca, non la trafiggevano con lo sguardo e le labbra sottili tese in una smorfia.

“Cosa?” chiese guardandosi intorno con aria sperduta, ma il ragazzo sogghignò e l’avvicinò a sé di scatto, mentre l’amico moro alzava gli occhi al cielo.

“Il bracciale.” Pronunciò guardandola dall’alto e tenendola ferma per il braccio con forza; la ragazza sbuffò, ma ormai non aveva più bisogno di tenere la sua maschera d’angioletto, che fu sostituita da uno sguardo tagliente e un ghigno freddo. Piano B: massacrare e scappare con il bottino.

Veloce libero il braccio dalla presa e caricò un pugno dritto contro la faccia del ragazzo; solitamente aveva tutto il tempo di scappare mentre il malcapitato giaceva stordito per strada, ma evidentemente quella non era la sua giornata fortunata. E neanche la sua giornata in generale.

Il biondo bloccò il pugno e con una mossa repentina la sbilanciò facendola cadere all’indietro per poi bloccarla per le spalle con la schiena a terra, sogghignando; la ragazza lo guardò ringhiando e fulminandolo con gli occhi.

La terra sotto di lei tremò.

Il ragazzo con le stampelle inspirò l’aria e spalancò gli occhi muschio, prima di gettarsi sul biondo sotto lo sguardo stranito del moro.

“Fermo Gray!” urlò come spiritato, mentre la ragazza si divincolava per liberarsi e scappare con quel bellissimo bracciale. Anzi no, prima lo voleva prendere adeguatamente a calci nel fondoschiena…

“È una di noi.” Aggiunse il ragazzo abbassando la voce e guardandosi intorno con preoccupazione, “E anche bella forte…” continuò mentre gli occhi di tutti e tre si puntavano sulla ramata, che decise di incrociare le braccia e sbuffare fulminandoli. Noi chi?! Lei lavorava in solitario, niente gang, gentaglia o altro…Forse l’avevano scambiata per qualcun altro…oppure avevano fatto uso di strane sostanze…

“Sei sicuro Chris?” chiese il moro con voce calma guardandola sospettoso e mettendola a disagio coi suoi occhi d’ossidiana.

Il ragazzo sembrò…annusarla?! Ora sì che aveva paura…

“Sicuro. L’odore è mascherato con un forte profumo e per questo non l’ho sentito subito, ma non deve averlo messo oggi e quando si è arrabbiata mi è arrivata una folata.” Spiegò serio accovacciandosi con gli altri due intorno a lei. La situazione le stava sfuggendo decisamente di mano…

“Non vorrei sembrare scortese…” tentò di richiamare la loro attenzione ironica, ma Gray la interruppe subito con voce tagliente.

“Chi dei tuoi genitori manca, ti ha abbandonato o è morto?” chiese scrutandola e inclinando leggermente la testa, come per leggerle dentro.

Domanda sbagliata.

“E a te cosa importa?” ringhiò irritata lei riiniziando a dimenarsi per liberarsi, “Lasciatemi subito andare razza di maniaci psicotici!” iniziò ad urlare nella speranza di attirare l’attenzione della gente intorno a loro, ma nessuno sembrò dar loro nemmeno un’occhiata.

“Maniaci a noi? Hai un bel coraggio ladruncola…” sbuffò il biondo per poi alzarsi da terra e trascinarla con sé, “Senti, o ci porti dai tuoi oppure ti portiamo dalla polizia.” La minacciò tenendola sempre ferma per entrambe le braccia e dallo sguardo serio lei capì che non bleffava. Era in trappola.

“Gray non ce n’è bisogno…” cercò di calmarlo il moro mettendogli una mano sulla spalla, ma Gray gli lanciò un’occhiata scettica.

“Lo sai che non è vero Jace.” gli rispose con un sorrisetto a cui avrebbe voluto dare fuoco. Cosa poteva fare?! Non voleva vedessero sua madre, ma non voleva nemmeno che sua madre scoprisse quello che faceva….

Con un sospiro smise di dimenarsi e richiamò la loro attenzione.

“Va bene, seguitemi.”  Disse loro infastidita, mentre cercava di nascondere l’agitazione, ma il ragazzo non la lasciò andare.

“Che c’è?” sbotto lei aggressiva, ma a un’occhiata a metà tra il divertito e l’irritato di lui, gli riallacciò il bracciale al polso con uno sbuffo.

“Ora va meglio ladruncola!” le disse ghignando e liberandola.

“Andiamo.” La richiamò Jace iniziando a camminare mentre Chris si guardava intorno agitato.

“Muoviamoci…” mormorò soltanto il ragazzo prima di seguirla.

“Come ti chiami? I nostri nomi li sai già e mi sembra inutile ripeterli.” Le chiese il biondo mentre attraversavano di corsa la strada trafficata, verso il centro.

“Rebecca.” Rispose lei guardandosi intorno e cercando di orientarsi in quel labirinto di palazzi e quella folla di persone.

“Non hai risposto alla domanda di prima.” Le fece notare Jace afferrandola al volo prima che si schiantasse per essere inciampata nei suoi stessi piedi.

“Non capisco perché dovrei.” Rispose lei tagliente allontanandosi da lui e riprendendo a camminare mentre osservava stranita come i tre l’avessero circondata, quasi a proteggerla. Si sentiva un puffo tra i giganti data la scarsa altezza…

“È importante.” La supplicò Chris con gli occhi da cucciolo e lei non ebbe cuore di dirgli di no; era il più simpatico tra i tre e le faceva quasi tenerezza mentre arrancava dietro di loro con quelle stampelle malandate.

“Mio padre. Ci ha abbandonate.” Gli rispose alzando gli occhi verso i cartelli e cercando di decifrare i nomi delle vie. Maledetta dislessia!

“Voi cosa volete da lei?” chiese di rimando mentre schivava con abilità una scolaresca in gita.

“Non è il posto giusto per parlarne…” le rispose lui tremante guardandosi alle spalle, mentre Jace e Gray si stringevano intorno a lei, non riuscendo a rimanere fermi nemmeno al semaforo rosso. Erano anche loro iperattivi?

“Perché hai rubato il mio bracciale?” chiese nuovamente Gray con leggerezza, facendole saltare i nervi. Era un quiz a premi o un interrogatorio?!

“Perché lo volevo.” Rispose con un sorriso amaro e guardandolo dritto negli occhi come a sfidarlo a risponderle, ma lui vide troppo emozioni diverse vorticare nei suoi occhi per decidere cosa dire e alla fine si limitò a picchiettarle un dito sulla fronte.

“Non si può avere tutto quello che si vuole ladruncola…” mormorò e lei non rispose, accelerando e inoltrandosi in una via squallida e dall’aspetto poco raccomandabile; dopo alcuni minuti in cui camminavano fra edifici fatiscenti e cassonetti dell’immondizia giunsero a piccolo condominio in cemento grigio. O forse una volta era giallo, ma non era possibile stabilirlo con chiarezza.

I ragazzi osservarono un cambiamento naturale e graduale nella ragazza man mano che salivano di piano in piano, finché non giunsero all’ultimo davanti a una porta in legno marcio; per un attimo gli occhi le diventarono lucidi mentre inseriva la chiave nella toppa e apriva la porta di casa sua, ma fatto un passo all’interno la tristezza sul suo volto venne sostituita da una gioia forzata.

“Mamma sono a casa!” trillò mentre aspettava che tutti entrassero per poi chiudere la porta dietro di loro. Era un vecchio appartamento, con un arredamento povero e malconcio: il piccolo salotto aveva solo una piccola libreria, un divano verde smorto e una tele degli anni ’80; proseguendo dietro di lei passarono di fianco a una piccola cucina, con solo un vaso di fiori al centro del piccolo tavolo rotondo a rallegrare l’atmosfera, e infine giunsero alla  fine del corridoio, con una porta per lato; quella centrale era leggermente aperta e si intravedeva un piccolo ma pulito bagno bianco, quella a destra era chiusa ma aveva una “R.” incisa al centro e infine quella a sinistra dava su una stanzetta inondata della luce calda del sole pomeridiano.

“Becky? ”chiamò una voce dolce e melodica dalla stanzetta e Becky entrò seguita dai ragazzi; era una camera da letto umile, con la carta da parati a fiori, un armadio in legno, un cassettone con sopra uno specchio e vicino alla finestra un grosso letto, ma non un letto da camera, uno da ospedale;  sopra, adagiata a vari cuscini così da poter star semi-seduta, c’era una delle donne più belle che i ragazzi avessero mai visto; aveva dei lunghissimi capelli del colore del tramonto che in onde ordinate scivolavano sui cuscini come un aureola, la pelle era del colore del latte e i lineamenti erano di un’eleganza e di una finezza senza pari, mentre gli occhi….gli occhi erano di un viola intenso, elettrico e vivo, che ammaliava.

Fu questa la loro prima impressione della donna, mentre la ragazza si avvicinava a lei per inginocchiarsi accanto al letto con un sorriso, ma pian piano i loro occhi videro tutti i dettagli che l’abbaglio iniziale aveva oscurato: la pelle sottile e fragile delle braccia, le dita magre tra le pagine del libro che stava leggendo, le piccole occhiaie sotto gli occhi e alcuni capelli bianchi nella cascata rossa.

“Sono i tuoi amici Becky?” le chiese con gioia bambina guardando i tre ragazzi e rivolgendo loro un sorriso da accecare il sole.

“N-non proprio mamma…” mormorò lei agitata, non sapendo cosa dire e muovendosi fremente sul posto.

“Signora…” iniziò Jace, per poi interrompersi rendendosi conto di non essersi e non esser stato presentato.

“Lily, mio caro, chiamami Lily.” Completò lei la frase cercando di raddrizzarsi un po’, curiosa, ma il suo corpo non reagì bene e Becky si affrettò a prenderla per le spalle fragili e riappoggiarla con delicatezza ai cuscini.

“Non fare sforzi…” l’ammonì con voce piena di tenerezza rimboccandole le coperte, mentre la madre rideva come una bambina.

“Scusate, ma la mia malattia mi impedisce di muovermi come vorrei e mia figlia è costretta ad accudirmi.” Si scusò imbarazzata ma tutti e tre le dissero precipitosamente di non preoccuparsi in alcun modo.

“Lily…” riiniziò Jace prendendo un respiro profondo, chiedendosi perché dovesse essere così difficile, “Siamo Jace, Gray e Chris... semidei del campo Mezzosangue.” Spiegò diretto guardandola negli occhi; subito il sorriso di Lily si spense e la donna tremò leggermente, mentre piccole lacrime si raccoglievano nei suoi occhi profondi.

“Sapevo sarebbe arrivato questo giorno…” sospirò infine con un sorriso mesto guardando la sua amata bambina.

“Cosa stai dicendo mamma? E cosa stanno dicendo loro?” le chiese preoccupata facendo danzare gli occhi da lei ai tre strani ragazzi.

“Piccola, è ora che tu sappia: ti ho mentito. Tuo padre non è un uomo, è un dio. Un dio dell’Olimpo.” Le spiegò seria come mai prima d’ora e mentre la ragazza a bocca aperta si lasciava cadere in ginocchio sul pavimento, iniziò a raccontarle la realtà di quel mondo.

 

Dopo dieci minuti Lily finalmente tacque, mentre guardava Rebecca che tremante immagazzinava tutte quelle nozioni sugli dei, i miti greci, la civiltà occidentale e i semidei; poi finalmente prese un grosso respiro e sotto lo sguardo carico di attesa dei quattro intorno a lei si alzò in piedi.

“Credendo anche che tutto questo sia vero, non vedo il problema o in che modo mi riguardi.” Disse volgendo il capo per guardare fuori dalla finestra.

“Dobbiamo portarti al campo con noi.” Le spiegò sintetico Jace perforandola, ma lei lo ignorò.

“Per favore…!” iniziò cercando di darsi un tono scocciato e spolverandosi le ginocchia, “In sedici anni non mi è mai successo niente di strano, né un fantomatico mostro mi ha attaccato…non ne vedo la necessità.” Terminò con sguardo di sfida verso i tre, incrociando le braccia, i quali non osarono rispondere, guardandosi incerti: effettivamente era strano che fosse ancora viva e illesa, soprattutto se era potente come diceva Chris.

“Quello…quello è colpa mia.” Intervenne Lily, stropicciando imbarazzata le coperte con le dita affusolate, “Quando tuo padre mi spiegò del campo ero davvero spaventata all’idea di doverti mandare via così presto e…gli chiesi un regalo: un modo per proteggerti fino all’ultimo. Lui era generoso e mi amava moltissimo, così mi accontentò: mi diede un profumo speciale che permetteva di nascondere alla perfezione i semidei e un indirizzo per poterlo ordinare, dato che andava messo ogni giorno.” Spiegò senza alzare gli occhi e ignorando lo sbuffo di Rebecca alle parole “Mi amava moltissimo”.

Rebecca strinse i denti pensando ai danni di quello stupido profumo e maledisse suo padre, ma al momento aveva problemi più urgenti.

“E che problema c’è?” riprese forzando un sorriso e alleggerendo il tono “Continuerò a metterlo e rimarrò con te…Amo la nostra vita insieme, le mie amiche, la scuola, le uscite al sabato e le chiacchierate con te; i giorni poi in cui facciamo i biscotti sono i migliori.” Aggiunse con una risata, che subito gli si smorzò in gola quando la mano della madre le accarezzò la guancia e incontrando i suoi occhi la vide piangere lacrime cristalline.

“Mi spiace Becky…per tutto quello che hai sopportato per me; avrei voluto darti una vita migliore…ti voglio così bene bimba mia, che ora sono pronta: è il momento che tu viva la tua vita, quella per cui sei nata.” Le disse con un sorriso così dolce da far distogliere lo sguardo ai tre, che si sentivano quasi degli intrusi.

Becky sgranò gli occhi e poi se li coprì con una mano, sorridendo amara: ovviamente lei sapeva e aveva sempre saputo.

“Non andrò.” Disse decisa ricacciando indietro le lacrime.

“Devi. Io chiamerò i nonni. Starò bene.” Rispose la madre scostandosi da lei e asciugandosi le lacrime, ma prima che Rebecca potesse ribattere un grido straziante lacerò l’aria, facendola rabbrividire. Era a metà tra l’urlo delle donne nei film horror e il verso di un aquila.

“Cos’è stato?” urlò la ragazza guardandosi intorno spaventata, mentre sentiva il suo autocontrollo sbriciolarsi.

“Dannazione, dannazione, dannazione!” iniziò a mugolare Chris guardandosi intorno con il puro terrore negli occhi.

“L’hanno trovata?” chiese Jace precipitandosi alla finestra per guardare fuori.

“Becky hai messo il profumo stamattina?” le chiese la madre guardandola con rimprovero e paura, non era difficile immaginare che forte aurea dovessero mandare i tre più sua figlia. Una calamita per mostri.

“NO CHE NON L’HO MESSO, QUELLO STUPIDO PROFUMO!” urlò lei allora perdendo completamente il briciolo di calma che le era rimasta, “SMETTETELA CON QUESTA STUPIDA STORIA!”

“Arpie!” mugolò Chris mettendosi le mani tra i capelli.

“Dovete andare!” li incitò la madre, ignorando la figlia e voltandosi a parlare con gli altri semidei.

“MAMMA NON MI IGNORARE!” urlò ancora Becky indietreggiando fino a trovarsi con le spalle al muro e avvolgendosi le braccia intorno alla vita, ferita.

“Chris in camera di Rebecca, c’è uno zaino di emergenza preparato apposta per quest’occasione dietro la porta appeso all’appendiabiti” lo istruì mentre il ragazzo annuendo si precipitava fuori; Jace intanto aveva estratto quello che sembrava un coltellino svizzero nero e continuava a osservare fuori dalla finestra, in fremente attesa.

“IO NON VADO DA NESSUNA PARTE!” cercò ancora di opporsi la ragazza, ma Lily guardò supplicante Gray che con un sospiro le si avvicinò.

“Mi spiace.” Le disse guardandola con serietà, prima di afferrarla per i fianchi ignorando i suoi tentativi di divincolarsi e gettandosela in spalla.

“Mettimi giù maniaco!” gli urlò lei prendendolo a pugni sulla schiena, ma lui si rivolse a Lily.

“Starà bene lei?” le chiese come se indeciso se prendere in spalla anche lei o meno.

“Andate!” gli rispose lei trattenendo le lacrime e sorridendo con forza.

Chris, che stava rientrando, venne spinto fuori da Gray con la furia urlante in spalla, e Jace li avrebbe seguiti se Lily non lo avesse richiamato.

“Jace? Per favore… guardami.” Gli chiese la donna e il ragazzo si avvicinò perplesso, concentrandosi solo su di lei…e vide. Vide la verità così abilmente celata a chiunque altro.

“Ma lei…!” tentò di dire sgranando gli occhi, ma la donna si pose un indice sulle labbra e sorrise tra le lacrime.

“Hai i suoi stessi occhi.” Gli disse prima di accasciarsi esausta sul cuscino, cadendo in un sonno profondo.

 

 

Becky aveva smesso di dimenarsi appena uscita dall’edificio e si era aggrappata alla felpa del suo rapitore singhiozzando. Non capiva perché, non capiva cosa stava succedendo…aveva abbandonato sua madre che avrebbe dovuto umiliarsi a chiedere aiuto ai suoi insopportabili genitori, tre ragazzi sconosciuti la stavano portando chissà dove e, l’unica cosa che sapeva con certezza, era che la colpa era di suo padre. Dio o no, lo avrebbe fatto a pezzi.

“Mi spiace Becky che sia accaduto così…” si scusava intanto a ripetizione Chris, belando di tanto in tanto, ma era troppo stordita per farci caso; Jace li aveva raggiunti subito dopo e Gray si era accorto subito che l’amico era scosso, ma non aveva detto nulla e avevano continuato a correre per le strade di Los Angeles, coperti dalla Foschia che abilmente manipolava.

Stavano giusto svoltando in alcuni vicoletti deserti, quando l’ennesimo urlo disumano torturò i loro timpani.

“Ci hanno raggiunto!” sbottò Gray fermandosi all’improvviso e guardandosi intorno scocciato, seguito da Jace e Chris, terrorizzato.

“Non ci resta che affrontarle.” Mormorò il moro mettendosi di fianco a lui e, sotto gli occhi increduli di Becky, il coltellino svizzero si trasformò in una grossa spada a due mani nera come la notte.

“Ma che…?” gemette prima che Gray la scaricasse di mala grazia a terra e Chris le posasse accanto lo zainetto viola, “Se ci tieni alla vita, non fare scherzi ladruncola e sta ferma.” Le disse il biondo causandole uno scompenso di nervi e un forte istinto omicida.

Prima che però potesse ribattere, dal cielo scesero in picchiata la conferma dei suoi peggiori incubi: due donne grasse e bitorzolute dagli occhi cattivi e il sorriso sdentato; ma la cosa peggiore erano le ali grigio sporco che spuntavano dalla loro schiena e la parte inferiore del corpo come quella di un piccione.

Jace e Gray si misero davanti a lei per proteggerla e quest’ultimo accarezzò il braccialetto, che con uno luccichio dorato si fuse in un elegante arco intarsiato, grosso la metà di Becky.

“Guarda chi si rivede…i vecchi polli!” le schernì prima di afferrare la corda dorata a e tenderla, mentre nelle sue mani si formava da un globo luminoso una freccia piumata che sembrava fatta di luce pura.

“Semidei! Morirete qui e oggi per mano nostra.” ringhiarono le due sgranchendo gli artigli con grande terrore di Becky, prima di slanciarsi contro i loro avversari.

Jace si lanciò contro la sua avversaria tentando di tranciarla di netto con un fendente allo stomaco, ma quella aprì le ali e lo evitò saltando verso l’alto, per poi ricadere verso di lui con gli artigli pronti a ghermirlo; il moro allora si gettò si lato e rotolò sul fianco, facendo poi perno sul piede e lanciandosi nuovamente su di lei. Intanto Gray bersagliava di frecce con precisione letale l’arpia, ma quella volava senza sosta nel tentativo di evitarle e allo stesso tempo di avvicinarsi, rimediando così pochi graffi; sfortunatamente per lei non appena arrivò a un metro da lui, il ragazzo afferrò con entrambi le mani l’arco al centro e lo girò orizzontalmente, per poi tirare verso le due parti opposte: con un'altra luce dorata l’arco si divise in due corte daghe con cui ingaggiò un combattimento a corpo a corpo.

Fu proprio mentre Rebecca li guardava allucinata sfregandosi gli occhi e chiedendosi che tipo di strategia di fuga adottare, che un fruscio dietro di lei le fece saltare il cuore in gola e, solo grazie a Chris che la spinse via, non finì sotto gli artigli dell’arpia.

“Attenta Becky!” le urlò prima di scalciare via il mostro; già, scalciare: le stampelle erano a terra e le scarpe gli erano scivolate via lasciando in bella vista due amabili zoccoli caprini. Zoccoli caprini.

“È mezzo capra…mezzo capra…” ripeté scioccata guardando l’arpia rincorrere il povero Chris terrorizzato; da qualche parte le si accese una luce con scritto dentro “Satiro”, forse grazie ai racconti mitologici che la madre le leggeva da piccola, ma non ci fece caso. Era troppo.

“Io vi odio tutti…vi odio proprio…” iniziò a mormorare con il corpo che le tremava dalla rabbia mentre cercava di rimettersi in piedi, “Voi pazzi sconosciuti…la capra…mia madre…voi stupidi piccioni e…mio padre. Lui lo odio proprio!” continuò alzando la voce leggermente isterica, mettendosi finalmente dritta e guardando con uno scintillio folle negli occhi l’arpia, che improvvisamente aveva smesso di inseguire il satiro e si avvicinava a lei. Con calma assassina si girò di lato e sorrise sadica, per poi afferrare da terra il grosso coperchio di un bidone della spazzatura.

“Ehi ladruncola cosa…?” le urlò Gray voltandosi un attimo per controllarla, la sua attenzione richiamata dai deliri di lei, e per poco non inciampò dallo shock nel vedere la ragazza avvolta da un aura assassina correre incontro all’arpia urlando come un invasata e sbatterle sul muso il coperchio a ripetizione.

“STUPIDO PICCIONE!” Urlò menandole un colpo dritto sul naso,” RIDAMMI LA MIA VITA! LA ESIGO!” continuò mentre quella cercava di colpirla, ma a parte qualche graffio non riuscì a sconfiggere la belva che la stava trasformando in un ammasso di lividi. Infine una freccia dorata si conficco nel suo petto e la creatura si dissolse in sabbia, quasi sollevata che avessero presto posto fine alle sue sofferenze.

La ragazza si voltò ansimante brandendo la sua fedele arma, ma a guardarla trovò solo Jace che ghignava, Chris spaventato e Gray che si rotolava dalle risate.

Rebecca li guardò in silenzio fremente e per un attimo il tempo parve cristallizzarsi. Poi scattò.

 

 

Dieci minuti dopo Jace, Chris e Gray con in spalla Becky raggiunsero una grossa jeep nera parcheggiata in una via deserta.

“Non voglio venire.” ripeté per la trecentesima volta Becky, a braccia incrociate e scura in volto, oltre che a testa in giù.

“L’abbiamo capito da quando hai cercato di scappare dopo l’incontro con le arpie; tra l’altro: bello scatto, sei già piuttosto allenata o sbaglio?” le chiese Gray con ironia scaricandola direttamente sul sedile posteriore e legandola con la cintura di sicurezza prima che potesse fuggire di nuovo; non che ci avrebbe riprovato dato la velocità con cui l’avevano ripresa, umiliarsi una volta bastava e avanzava.

“Non potete obbligarmi.” ripeté fulminandoli e masticando insulti a mezza voce.

“Sì che possiamo!” rispose con un ghigno il biondo mentre Chris belava cercando di calmarli, dopo essersi seduto di fianco a lei mentre quello si sedeva davanti con Jace alla guida, che a quanto pare era diciottenne e quella macchina era un regalo di suo padre.

“Sei inseguita dai mostri, non puoi tornare da tua madre perché ti rispedirebbe da noi e hai solo uno zainetto…credo che ti convenga venire con noi.” Le fece notare pratico Jace, ma lei sbuffò.

“Me la caverei…me la sono sempre cavata.” mormorò guardando fuori dal finestrino mentre si allontanava dalla sua caotica città e Gray metteva una stazione radio inascoltabile, tanto che cominciò a lamentarsi e a tentare di imporsi finché non mise quella che voleva lei.

Passò il viaggio ad alternare minuti interminabili di silenzio ostile verso i suoi aguzzini a minuti ancora più lunghi (per gli altri) in cui li tempestava di domande sul campo, lamentele e battute sarcastiche; fortunatamente era talmente stanca e provata psicologicamente che dopo un’oretta si addormentò appallottolandosi contro il finestrino e Gray poté rimettere la sua amata stazione.

 

Era ormai il tramonto quando Becky si risvegliò con Gray che la scuoteva per la spalla; per un attimo si guardò intorno persa, ma subito dopo iniziarono a tornarle in mente gli avvenimenti di quel giorno e il suo sguardo smarrito lasciò lo spazio ad uno freddo e circospetto. Con un salto balzò giù dalla jeep e guardò la collina davanti a cui si erano fermati: a prima vista non aveva niente di speciale ma concentrandosi ad un certo punto lo vide…un grosso e maestoso pino, che i ragazzi gli avevano spiegato esser stato una figlia di Zeus della precedente generazione, la grande eroina Talia Grace, attorno a cui si avvolgeva in spire un grosso dragone dormiente. Il segno del confine del Campo Mezzosangue.

 Dopo aver preso un profondo respiro ed essersi sistemata la felpa in modo non si vedesse che era ancora in costume, si stampò in faccia la migliore maschera di ostentata sicurezza che aveva e si incamminò al fianco di Jace e Chris dietro Gray; più avanzava, più ammirava il campo davanti a lei e più era difficile non sgranare gli occhi e saltellare eccitata e spaventata al tempo stesso: le mostrarono l’arena, le Case e il punto di ritrovo per il banchetto, vide altri satiri, ammirò le ninfe ballare tra i boschi e le sirene salutarli dal lago. Venne presentata a Chirone, davanti al cui posteriore equino non poté non trattenere un commento scioccato, nonostante fin da subito sentisse una profonda ammirazione e rispetto per quel centauro, e al signor D che la chiamò Rachele tutto il tempo irritandola in maniera impressionante e che l’assegnò alla Casa di Ermes in attesa che fosse determinata, come già le avevano spiegato gli altri.

“La casa dei ladri…ti si addice ladruncola!” ghignò Gray mentre l’accompagnavano alla sua casa e lei lo colpì con un pugno sulla spalla, inviperita.

“Ti conviene tacere…” gli sibilò prima di accelerare per lasciarlo indietro, ma quello la raggiunse subito, salutando intanto ragazzi in armi che correvano e chiacchieravano da tutte le parti, mentre Chris sbuffava esasperato e Jace rimaneva chiuso in un silenzio che Gray non aveva problemi a identificare come preoccupato e teso.

“Non ti piace l’idea che possa essere lui tuo padre?” gli chiese cercando di sbrogliare la mente di quella ragazza, ma lei si girò a guardarlo e sorrise falsa e fredda.

“Non me ne frega di chi sia…lo voglio sapere solo per prenderlo a calci in culo.” Proferì scrocchiandosi le nocche, come pregustandosi il momento, e per un attimo intorno a lei si diffuse un’intensa aura omicida, ma Jace le mise una mano sulla testa, facendola calmare all’istante e voltare stupita.

“Devi stare attenta a come parli Becky, è pur sempre un dio e non sai perché abbia fatto quel che ha fatto.” Le disse scrutandola con gli occhi neri come la notte, ma lei distolse lo sguardo.

“Non mi interessa…” mormorò chiudendosi in se stessa.

“E poi è raro che i padri incontrino i figli, avresti poche occasioni per farlo.” Aggiunse Gray alzando le spalle e lei sbuffò frustrata.

“Non devi andare nella Casa di Apollo a fare qualcosa o a infastidire qualcun’altro?” gli chiese riprendendo a camminare al fianco di Jace, ma lui rise e la guardò curioso.

“Come sai che sono figlio d’Apollo?” le chiese divertito, prendendola al volo prima che si schiantasse a terra per essere inciampata in una maledetta radice.

“L’arco.” Rispose lei sicura scostandolo orgogliosa, “Da come lo usi devi essere per forza un figlio di Apollo, dato che Artemide non ha figli.” Spiegò scrollando le spalle.

“L’hai studiato a scuola?” le chiese Chris colpito, ma le guance di Becky si tinsero di rosso e lei si voltò dall’altra parte.

“No, mia madre mi raccontava i miti greci quando ero piccola...ho smesso di andare a scuola al primo anno di liceo.” Rispose guardando per terra e accelerando la sua andatura.

“Perché? E cosa facevi?” chiese subito Gray mentre Jace mormorava qualcosa riguardo al “riserbo” e al “tatto”, cose a lui completamente sconosciute.

“Perché non ti fai gli affari tuoi?” ribatté infatti lei piccata e i due avrebbero ingaggiato un’altra schermaglia verbale se Chris, esasperato, non fosse intervenuto per distrarli.

“La Casa di Ermes!” urlò con il dito teso a indicarla e subito lo sguardo della ragazza si catalizzò sulla sua casa temporanea e i suoi abitanti: occhi malandrini, visi dai tratti sfuggenti, mani affusolate…Becky strinse le cinghie dello zaino viola che portava in spalla e assottigliò gli occhi. Era vero che era andata a scuola al liceo solo tre mesi, ma non era difficile immaginare che l’atmosfera al campo non fosse molto diversa: sistema gerarchico in ordine d’età, popolarità e forza; la prima impressione era fondamentale e la sopravvivenza veniva prima di tutto. Doveva attuare una strategia efficace per non farsi fregare e allo stesso tempo per non farsi etichettare come bersaglio, debole o frigna e contemporaneamente non doveva scoprire le sue carte. Altrimenti era finita.

Con un respiro profondo rilassò tutti i muscoli e si stampò un sorriso gentile ma sicuro in viso e camminando salutava timidamente con la mano i ragazzi di Ermes, che contraccambiavano felini, mentre i suoi accompagnatori osservavano la metamorfosi diffidenti.

“Lui è Atlas, il capogruppo.” Presentò Jace un ragazzo alto e magro venuto loro incontro, che ricordava un’aquila, dai capelli biondo cenere, “E lei è Becky.” I due si strinsero la mano cordiali, ma Gray sorrise beffardo nel vedere il lampo di diffidenza e allo stesso tempo di divertimento negli occhi della ragazza: non sapeva cos’aveva in mente, ma di sicuro si sarebbe fatta presto rispettare…oltre che molti nemici.

 

 

Gray e Jace rividero Becky solo a cena e subito sospirarono scambiandosi un’occhiata leggermente esasperata e divertita: camminava dietro ad Atlas a passo felino, con il suo sorrisetto stampato in volto, le mani nascoste nelle grosse tasche della felpa nera da uomo che portava con i leggins dello stesso colore, la maglietta del campo che neanche si vedeva, e i ragazzi della casa intorno a lei che o la guardavano irritati o ammirati, segno che aveva già combinato qualcosa. E a vedere dal numero di quelli irritati, qualcosa di grosso.

“Ancora non mi hai ancora detto cosa stai rimuginando…” fece notare Gray a Jace mentre tenevano la ladruncola sott’occhio, ma il ragazzo sospirò scompigliandosi i capelli.

“Lo saprai presto temo.” Rispose prima di andare a sedersi al suo tavolo in solitaria, lasciando un Gray innervosito a ipotizzare sul segreto del ragazzo. Se c’era qualcosa che non sopportava erano i segreti, soprattutto se glieli tenevano i suoi amici. E la musica house, ma quello era un altro discorso.

Becky nel guardarli si diede della stupida per non aver chiesto in che casa fosse Jace, ma a giudicare dal tavolo dove sedeva da solo doveva essere per forza figlio di un dio minore raro o di uno dei Tre Pezzi Grossi…interessante, chissà quali grandi poteri aveva! Dopo cena glielo avrebbe chiesto, sempre che fosse sopravvissuta alla cena… la metà della casa di Ermes la odiava, l’altra la trovava divertente…era probabile un tiro mancino nell’immediato. E dire che si era solo difesa…O almeno così reputava rubare un pugnale, fare finta di dormire per poi balzare addosso agli incauti che cercavano di avvicinarsi ai suoi averi e minacciarli di morte e dolore …evidentemente non gli piaceva trovare qualcuno furbo quanto loro.

Non fece neanche in tempo a pensarlo che la ragazza che le camminava accanto, la prima vittima dal pessimo carattere, la spintonò e le fece lo sgambetto con il piede facendola cadere a terra, ma Becky era pronta a tutto in quel momento e atterrando sulle mani si rialzò con una capriola in avanti.

“Oh scusa Rebecca!” le disse la ragazza dai capelli corvini ostentando un sorriso falso, ma lei si limitò a rispondere con un ghigno di sfida.

“Non ti scusare, non mi hai fatto proprio niente.” Pronunciò soffermandosi sulla parola niente, per sottolineare come fosse molto più difficile metterla in difficoltà, e sistemandosi i capelli dietro un orecchio, degnandola solo di un’occhiata di sfuggita. E tutto sarebbe finito lì, con i ragazzi che andavano al tavolo a mangiare e le ragazze che borbottavano inviperite, se Becky nel voltarsi non avesse notato uno luccichio nella mano della ragazza. Sgranando gli occhi si tastò il polso e poi ringhiò verso di lei, mettendosi in posizione di guardia.

“Ridammelo!” le sibilò perdendo ogni atteggiamento di composta superiorità.

“Che cosa?” le chiese quella fingendo innocenza, mentre l’attenzione di tutto il campo, in attesa dell’arrivo di Chirone e il Signor D, si concentrava su di loro nella speranza di una bella lotta tra ragazze.

“Il bracciale!” ringhiò in risposta Becky stringendo le nocche fino a farle sbiancare.

“Ti riferisci a questo?” le chiese facendole dondolare davanti agli occhi un semplice braccialetto a catenella, in argento, con al centro un ciondolo a goccia di ossidiana, “Mi spiace, principessina, ma se non stai attenta alle tue cose non è colpa mia di certo!” le disse facendo ridacchiare alcuni compagni di casa.

“Ridammelo.” Ringhiò nuovamente Becky mentre tutta la rabbia che provava le ribolliva nelle vene.

“Vieni a prenderlo!” la sfidò l’altra prima di lanciarlo in aria per poi prenderlo al volo e metterselo nella tasca dei jeans sdruciti, e Becky le scattò contro all’istante; ma per quanto fosse abituata a cavarsela da sola e conoscesse le basi del combattimento, non aveva speranze contro una che si allenava giornalmente e in un battibaleno finì con la schiena a terra e il piede della ragazza che le premeva sulla gola.

“Tutto qui? Ti senti umiliata? Da come ti comportavi pensavo potessi fare di meglio.” La sbeffeggiò l’avversaria mentre riprendeva a farle dondolare il prezioso braccialetto davanti agli occhi pieni di rancore.

“Deve valere molto per fare quella faccia…” la schernì ghignando.

 

Lily era riuscita ad uscire di casa quel giorno, proprio per il compleanno di Becky, che non riusciva a smettere di sorridere mentre camminavano lentamente sul lungomare chiacchierando e ridendo. Avevano mangiato un gelato insieme, avevano fatto un giro allo zoo e ora stavano decidendo dove mangiare la sera…Era una giornata perfetta. E lo fu ancora di più quando passando di fianco a una bancarella sua madre si fermò a occhi sgranati.

“Quello!” le disse indicando con gli occhi che le brillavano un piccolo braccialetto con una catenella d’argento e un ciondolo in ossidiana a goccia, “È perfetto per te!” le disse orgogliosa.

“Non ce n’è bisogno…” cercò di dissuaderla Becky, sapendo che non avevano molti soldi e avrebbe comunque potuto rubarlo, ma sua madre non ne voleva sapere e finì per comprarglielo.

“È il mio regalo per te, un ricordo che ci terrà sempre insieme!” le disse sorridendo mentre glielo allacciava al polso.

“Ridammelo! È mio!” le urlò ancora divincolandosi, ma quella la ignorò.

“È argento? Dici che si spezza facilmente?” chiese invece la mora estraendo un pugnale e passandolo nel bracciale, per fare poi pressione contro la catena con la lama e osservare sadica l’espressione di terrore che per un attimo balenò sul suo viso.

“Basta Malika!” la voce di Gray che si faceva largo a spintoni tra i ragazzi curiosi che li avevano accerchiati, divisi fra tifosi di una e dell’altra ragazza, per un attimo fece sobbalzare la figlia di Ermes, che vedendo Jace seguirlo con sguardo cupo per un attimo tremò, ma poi li ignorò e la sua presa si fece più forte.

“Così impari a sfidarci!” le mormorò prima di tirare con forza, ma non fece in tempo a spezzarlo che un rombo squarciò il cielo.

Il terreno prese a tremare con forza e improvvisamente si aprirono grosse crepe intorno a loro.

“Non osare.” Sibilò Becky seria e fredda come la morte prima di afferrare la caviglia di Malika e spingerla all’indietro facendola cadere sul fondoschiena, con una forza che neanche lontanamente pensava di avere.

La ragazza la guardò a occhi sgranati, incapace di proferire parola.

“Dammelo.” Ringhiò poi alzandosi e tendendo la mano, un forza oscura che sembrava arderle nelle vene, l’oscurità bruciarle fredda negli occhi.

Contro le sue aspettative la ragazza glielo lanciò e lei poté riallacciarselo al polso con un sospiro di sollievo, mentre già tutta la ferocia andava spegnendosi in lei; fu quando, alzando gli occhi, scorse tutti guardarla scioccati che capì che qualcosa non andava e a disagio si guardò intorno, ma non riuscì a trovare nulla di strano. Dai, non potevano fare tutta quella scena per una rissa…o forse era perché aveva battuto Malika?

“Sei stata riconosciuta.” la voce di Jace, calma e per nulla stupita, ruppe il silenzio creatosi e il flusso di pensieri della ramata, “Alza gli occhi.” Le suggerì e seguendo il consiglio i suoi occhi incontrarono un grosso stemma nero che volteggiava brillante sulla sua testa.

“Benvenuta al Campo Rebecca Black, figlia di Ade.” La voce di Chirone rimbombò chiara tra i ragazzi che si inginocchiarono davanti a lei, imbarazzata e scioccata. Tutti tranne Jace, che la raggiunse a passo felpato e le pose una mano sul capo.

“Benvenuta sorellina.” Le ripeté accennando un sorriso mentre lei rimaneva a bocca aperta.

Non sarebbe stato più così facile prendere a calci suo padre.

 

 

 

 

 

 

  
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