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Autore: hurrem    21/10/2014    7 recensioni
Cosa è successo prima, durante e dopo l'arrivo di Bra? Nella mia storia ho immaginato una serie di vicende che coprono quest'arco di tempo. Da sempre accanita fan del pairing Bulma/Vegeta ho deciso di raccontare dal punto di vista di entrambi un particolare momento della loro vita che si colloca dopo la sconfitta di Majin Bu e che vede il sayan e la terrestre alle prese con dubbi, imprevisti e ricerca della felicità anche in tempo di pace. Spero vivamente di essere rimasta IC e vi prego... recensite! Il progetto è diviso in una quindicina di capitoli (non so quanto ci vorrà a inserirli tutti) ed ognuno di essi ha il titolo di una canzone che richiama la trama. Il rating è rosso ma le scene di sesso esplicito sono alquanto ridotte. Aggiornamento: ho diminuito il rating, non credo che serva il rosso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono viva. Sono tornata.

Dopo una pausa lunghissima (un anno forse?) sono di nuovo qui a tediarvi. Qualcuno non ne poteva più di aspettare questo capitolo (come darvi torto?) e sono sicura di aver perso per strada qualche appassionato lettore ma ora… a noi! Fuoco alle polveri!

Non mancano molti capitoli per arrivare alla fine di questa avventura (forse 3)! Questo capitolo è stato riscritto così tante volte che a volte temevo che avrebbe visto la luce alla fine del secolo. È ben lontano dall’essere perfetto, ma quando l’ho riletto per l’ultima volta e mi sono accorta di avere un sorriso ebete sulle labbra mi sono detta che c’eravamo, finalmente.

Spero davvero che vi piaccia. Spero che tornerete a farvi sentire e che, nonostante le mie pause si protraggano spesso per lunghi periodi, sarete ancora lì, quando scriverò la parola “FINE” in fondo a questa storia che mi ha accompagnata per così tanto tempo.

 

 

 

CAP. 12 – O CHILDREN

 

 

 

 

“Ben svegliata, mia cara.”

Suo padre. Ne è quasi sicura nonostante i postumi dell’anestesia e quella sensazione di improvvisa leggerezza fisica e mentale.

“Come sta?”, biascica ancora prima di aprire completamente gli occhi.

Il Dott. Brief gli appare in un sorriso radioso.

“Non preoccuparti, tesoro. È un bambino straordinario ed è sano come un pesce.”

Maschio. Non aveva mai avuto dubbi al riguardo.

“Voglio vederlo.”

Ha paura. Ma ha bisogno che le immagini spaventose che negli ultimi mesi hanno affollato i suoi incubi svaniscano nel nulla o, al contrario, finalmente si palesino.

È sua madre a porgerle un fagottino da cui inizialmente spuntano soltanto due minuscole mani. Bulma si rende conto di tremare vistosamente mentre si sporge per prenderlo e, nonostante l’assenza di dolore, non sa dire se la cosa sia imputabile alla paura o all’intervento appena subito.

Per un istante si domanda confusa come ha fatto il suo corpo a farlo. Non a sopravvivere; quello ha smesso di chiederselo. Come ha fatto a prendere tutto ciò che di più sbagliato c’è in lei e a restituirle quell’esserino soffice e caldo che sbatte le lunga ciglia infastidito dalla luce…

“Trunks?”, gli domanda, come se lui potesse darle davvero una conferma.

Il neonato apre le piccole dita a ventaglio, facendo smorfie graziose con le guance paffute.

È bellissimo. Quasi non riesce a credere che quello che ha tra le braccia sia davvero il figlio che ha sognato ogni notte, da pochi mesi a quella parte. A poco a poco diventa cosciente anche delle piccole cose che, prima di vederlo, sembravano avere tanta importanza: ha gli occhi chiari, una bocca carnosa e un ciuffo di capelli dello stesso colore di quelli del nonno. È un Brief in tutto e per tutto.

C’è anche qualcosa di lui, ovviamente. Ma non è così doloroso come credeva. Ogni volta che il piccolo apre gli occhi diventa impossibile non notare quanto gli assomigli il suo sguardo.

Lo contempla adorante. Non c’è niente di spaventoso in lui. Non c’è oscurità; non c’è vizio. È incorrotto. E mentre Bulma posa un bacio delicato sulla sua fronte, non ci sono più dubbi nel suo cuore palpitante: lotterà con tutta se stessa per mantenere intatto e al sicuro quel piccolo miracolo.

“Siamo tu ed io, tesoro mio. Non avere paura.”

Il piccino sbadiglia incurante del mondo circostante. Ignaro di essere il motivo per cui calde lacrime solcano il viso della donna che lo stringe al petto. Beatamente all’oscuro di cosa voglia dire essere un figlio e di cosa significhi, venire al mondo per amore…

 

 

 

 

Bulma chiuse la zip del suo trolley firmato e tirò un sospiro di sollievo. Non era proprio come se stesse partendo per le vacanze, quando dimenticarsi qualcosa equivaleva a dover rimanere senza quell’oggetto fino al rientro a casa; eppure non si era mai sentita così agitata. Era già successo un’altra volta e chiudere quella valigia aveva significato porre fine ad un periodo della sua vita ed entrare inevitabilmente in un altro, pieno di insidie, responsabilità, inattese gioie e prevedibili dolori.

Non aveva paura. Bulma Brief raramente ne aveva avuta da quando era nata e di sicuro non la avrebbe avuta ora che stava per ottenere ciò che per anni aveva desiderato ardentemente, ma ciò non bastava a non riempirle le vene di adrenalina e a rallentare i suoi battiti cardiaci. L’essere investita di una responsabilità così grande, di un onore che con il tempo aveva assunto diversi significati, non poteva che infondere in lei parte dell’incredibile natura del figlio che stava aspettando; ciononostante il suo animo fiero e orgoglioso, che gli avvenimenti degli ultimi quindici anni avevano elevato ad un livello che nessun abitante della Terra poteva vantare, restava confinato in un involucro del tutto sprovvisto della forza fisica che invece permeava ogni cellula del suo regale consorte.

Aveva pensato a quel giorno fin dall’inizio. Quando molto tempo prima il suo bene più prezioso era venuto al mondo, aveva voluto solo i suoi genitori accanto, forse per provare a se stessa che essere sola non la aveva indebolita, né lo avrebbe mai fatto. E così era stato, perché dal momento in cui Trunks aveva stretto il suo minuscolo pugno attorno al suo dito anche i suoi genitori erano sembrati superflui. Quello straordinario esserino che aveva deciso di far nascere più per orgoglio che per vero istinto materno si era trasformato in pochi istanti nella sua sola ragione di vita. Il suo errore più grande, un mucchietto di organi dagli occhi azzurri che il suo corpo aveva assemblato a tradimento, era riuscito a farla sentire completa come mai nessuno prima di allora.

Ora che invece stava per avere un bambino a lungo agognato, ci si sarebbe aspettato da lei il desiderio di condividere quella rinnovata felicità con tutti i suoi amici. Ma i suoi desideri al riguardo avevano sorpreso persino lei stessa.

Lui si era alzato presto per chiudersi nella Gravity Room. Era stato freddo e scontroso nell’ultima settimana, quasi non si erano rivolti la parola. Niente di preoccupante, comunque. A Bulma piaceva parlare, la loquacità faceva parte della sua natura ed era sempre stata una delle sue migliori armi contro Vegeta. Tuttavia non ne aveva davvero bisogno per sentirsi vicina a lui. Quindici anni ad interpretare i suoi silenzi, i suoi bisogni, le sue rabbie, i suoi momenti di depressione ed apatia, lo rendevano ormai un libro aperto ai suoi occhi.

“Non voglio nessuno in ospedale.”, aveva detto una sera a cena, facendo andare di traverso la zuppa a suo padre.

Trunks e sua madre avevano protestato, ma alla fine si erano dovuti arrendere alla sua ferrea volontà. Vegeta non aveva fatto una piega, ma lei sapeva a cosa stava pensando. Apprezzava la sua manifestazione di indipendenza e che lei non si aspettasse da lui qualcosa che era incapace di gestire. Vegeta ci sarebbe stato comunque. Ci sarebbe stato in ogni particolare di quel figlio che presto sarebbe entrato a far parte delle loro vite, in ogni smorfia, colore e caratteristica che questa volta la donna non vedeva l’ora di scoprire, al contrario di quanto era accaduto alla nascita di Trunks. Ci sarebbe stato quando avrebbero fatto ritorno alla Capsule Corporation e sì, avrebbe tenuto le distanze per qualche tempo per proteggersi, ma lei non avrebbe dubitato della sua presenza. Non lo avrebbe fatto mai più.

Bulma raccolse la valigia, chinandosi faticosamente quel tanto che bastava per afferrarla ed uscì dalla sua stanza, gettando un ultimo sguardo intorno. Quando fosse rientrata anche le cose più familiari le sarebbero sembrate molto diverse, come l’altra volta? In quel momento si sentiva tutto fuorché una debole terrestre, perciò lasciando quel biglietto sul cuscino non si era interrogata più di tanto sulle parole da scegliere per quello che avrebbe potuto anche essere l’ultimo messaggio a suo marito.

A presto.

Niente di speciale. Niente che non avrebbe potuto dire a voce passando dalla Gravity Room. E tuttavia non si era rivelato nemmeno superfluo; non tanto per quelle parole scribacchiate impulsivamente, quanto per rendere chiaro a lui e a se stessa che ormai non c’era distanza fisica e temporale che potesse realmente separarli.

 

 

 

Un orologio nella Gravity Room. Inutile. Come quasi tutte le cose che nel corso degli anni Bulma e suo padre ci avevano infilato dentro; dall’impianto stereo invisibile all’asciugacapelli nella doccia.

Cose terrestri. Cose da terrestri.

Poteva immaginarsi la fastidiosa consorte inserire quell’orpello per ricordargli quanto tempo passava chiuso nella stanza. Come se saperlo potesse farlo sentire in colpa per il tempo sottratto a lei e al ragazzo. Ragazzo che, tra parentesi, in casa passava meno tempo di lui ormai.

Donna cocciuta e molesta.

Donna che da tutta la mattina non riusciva a lasciare fuori dai suoi pensieri, nonostante la gravità elevata, nonostante il ritmo massacrante di allenamento che aveva tenuto per ore.

Il giorno era arrivato dunque. Lo sapeva da tempo, eppure non era preparato. Non era preparato al cambiamento; lui odiava i cambiamenti. Non era preparato agli imprevisti. Non era preparato nemmeno a quella frustrante sensazione di impotenza e meno che mai alla paura che qualcosa andasse storto. E l’unico modo per affrontare la cosa era ormai di ripetersi che tutto sarebbe andato bene, dato che gli allenamenti non stavano dando i frutti sperati.

Lei doveva essere già partita ormai. Le lancette dell’orologio attirarono di nuovo la sua attenzione contro la sua volontà e allora lui cominciò ad analizzare analiticamente la situazione per calmarsi. Faceva la stessa cosa quando elaborava un piano, quando si preparava ad affrontare un nemico. La sola potenza non era mai stata abbastanza per lui; l’intelligenza e l’astuzia lo avevano reso un degno erede della sua stirpe e Vegeta non aveva mai mancato di affinare questi doni, insieme alle sue tecniche di combattimento. Poter prevedere gli eventi, saper reagire tempestivamente aveva decretato la sua vittoria più di una volta. La sua mente cominciò a seguire quindi il corso degli eventi: Bulma doveva essere già uscita, tra poco avrebbe fatto il suo ingresso nella clinica in cui già Trunks era nato; due ore dopo il chirurgo avrebbe praticato un incisione appena sopra il suo pube, esattamente dove l’aveva già fatto tredici anni prima e a quel punto suo figlio sarebbe nato. Bulma sarebbe stata fuori pericolo e avrebbe avuto finalmente quel moccioso per cui si era data tanto da fare.

Era uno strano modo di partorire, quello. Tra la sua gente le donne lo facevano da sole nelle loro stanze; a volte sul campo di battaglia se quella feccia di Freezer e dei suoi sottoposti riteneva che ci fosse una missione di primaria importanza. L’unica eccezione si faceva per la nascita dei figli del Re: in quel caso la tradizione voleva che il sovrano dovesse essere presente per assicurarsi che il proprio figlio non venisse scambiato. Tuttavia era sicuro che nessuna donna sayan avesse mai avuto bisogno di assistenza. Ricordava di essersi sorpreso quando aveva visto per la prima volta la cicatrice sul ventre di Bulma, dopo il Cell Game. Ma quando lei gli aveva spiegato di cosa si trattava, si era dato dello stupido per non averci pensato. Era chiaro che un figlio ibrido con quella forza mostruosa non potesse nascere in modo naturale da un essere umano così debole.

Si impose di smettere di pensarci e decise di fare la doccia per cercare di lavare via quelle inutili preoccupazioni insieme al sudore.

Qualcuno sarebbe presto venuto a dirgli che Bulma stava bene e allora sarebbe stato libero di partire…

Un suono acuto e un’improvvisa sensazione di leggerezza gli segnalarono l’abbassamento repentino della gravità. Per un attimo ebbe la sgradevole sensazione che dalla porta stessero per sopraggiungere cattive notizie, ma la comparsa di Trunks gli fece riguadagnare compostezza.

“Ciao.”, disse il ragazzino entrando e richiudendosi la porta alle spalle.

“Scusa se ti ho interrotto.”

Vegeta distese i muscoli del collo e lanciò al figlio uno sguardo appena meno severo del solito.

“Cosa vuoi?”

Il ragazzo incrociò le braccia visibilmente contrariato e si lasciò scivolare scomposto sul pavimento lucido.

“Non mi va di aspettare qui. Perché non posso andare in clinica?”

“Perché lei ha detto di non andare.”, sentenziò il sayan.

Trunks sbuffò e cominciò a digitare frenetico sul suo smartphone; una cosa che a Vegeta faceva venire i nervi.

“Mi sono già rotto le scatole di questo moccioso…”

A Vegeta non sfuggì il tono del ragazzino, volto chiaramente a provocare in lui una qualche reazione. Dio solo sapeva quale.

“Hai piagnucolato per anni di volere un fratello, o sbaglio?”, gli disse contrariato.

“Un fratello come Gohan. Non un poppante che piangerà tutto il giorno.”, rispose il giovane senza degnarlo di uno sguardo. “E sono pronto a scommettere che è una femmina del cavolo.”, aggiunse.

A Vegeta non importava un granché che il moccioso fosse un maschio o una femmina. Avere un altro figlio lo avrebbe messo in difficoltà in ogni caso, a prescindere dal sesso. Doveva ammettere però che una parte di lui temeva di vedere entrare nella sua vita una ragazzina con un mix letale dei geni di Bulma e di quelli sayan. D’altronde le poche donne che avevano significato qualcosa nella sua vita, avevano lasciato segni indelebili su di lui. Nel bene e nel male.

A prescindere da quello che pensava lui, le parole di Trunks lo disturbavano perché l’idea che il ragazzo potesse provare sentimenti contrastanti, se non addirittura negativi, verso il fratello non l’aveva mai neanche sfiorato. In fondo non era una cosa così impossibile: Trunks aveva sempre mostrato invidia nei confronti del rapporto che univa i figli di Kakaroth, ma lui e Bulma non avevano certo testimoniato grandi esempi di amore fraterno. Tra Bulma e sua sorella non scorreva di certo buon sangue e lui aveva rapporti pressoché inesistenti con suo fratello Tarble.

“Avere una sorella non è poi così male…”

Non sapeva perché l’aveva detto. Non sapeva perché d’un tratto, nella diga che solitamente custodiva i suoi sentimenti, si fosse d’un tratto aperta una falla.

“E come fai a saperlo?”, gli chiese il figlio, alzando finalmente lo sguardo dal telefono.

“Ho avuto una sorella anche io.”

Vide Trunks sgranare gli occhi sorpreso. Eccolo lì; uno dei segreti che nemmeno Bulma era mai riuscita a carpirgli, sbandierato ai quattro venti. Uno dei ricordi che con maggior fervore cercava di seppellire nei meandri del suo passato…

“E com’era?”, chiese il ragazzo sinceramente interessato.

Vegeta sentì una fastidiosa sensazione stringergli la gola. Ma se pensava a lei soltanto, senza evocare gli effetti collaterali che riguardavano Freezer, suo padre e la rabbia che provava per non essere stato in grado di opporsi agli eventi, non era poi così brutto parlarne.

“Un po’ come te. Una gran rompiscatole.”

Trunks sorrise. Sembrava davvero rendersi conto di quanto fosse importante quello che il padre gli stava confessando.

“Era forte?”, domandò il ragazzo.

“Abbastanza.”, disse. Ma una vocina dentro di lui lo corresse subito.

Non abbastanza.

Non abbastanza da sopravvivere a Freezer, almeno. Ammesso che si fosse sporcato le mani lui stesso per ucciderla. Nessun sayan, prima di Kakaroth, era mai sopravvissuto se aveva osato opporsi alla volontà di Freezer e lei aveva commesso un crimine imperdonabile: aveva cercato di preservare l’animo del principe dall’oscuro operato del viscido tiranno sulla sua giovane mente. Strinse i pugni cercando di non pensarci. Cercando di non lasciarsi pervadere dal senso di fallimento che quel mostro instillava in lui fin dall’infanzia.

Katniss era stata l’unica persona a volergli bene prima di Bulma. L’unica a cui poteva attribuire un ricordo felice, ora che finalmente aveva riscoperto cosa fosse la felicità. Di sua madre ricordava soltanto il volto sprezzante, ogni volta che il suo sguardo altero si posava su di lui. Il disgusto con cui si riferiva a lui, chiamandolo “il figlio del Re”. Il pensare alla codardia di suo padre, invece, provocava il suo ribrezzo. Poteva senz’altro far risalire la sua lunga discesa nel baratro della perdizione, peraltro così tanto bramata da Freezer, al giorno in cui aveva scoperto che suo padre aveva chinato la testa di fronte al tiranno, permettendogli di disporre della vita dei suoi figli come meglio credeva. A patto che il piccolo principe restasse vivo…

Ma Katniss gli aveva dato qualcosa a cui (solo ora se ne rendeva conto) avrebbe potuto aggrapparsi nei momenti peggiori della sua vita. Qualcosa di più potente dell’orgoglio. Qualcosa che, nonostante gli orrori e la malvagità che gli sarebbe stata instillata, lo avrebbe mantenuto in vita. Qualcosa che sarebbe rimasta sopita dentro di lui, in attesa che una terrestre incosciente e irritante la trovasse….

A volte, perlopiù nel sonno, la vedeva nella sua piccola battle suit, pronta per partire per una nuova missione. I suoi lineamenti ormai non apparivano più nitidi come un tempo, ma ricordava bene quanto fosse rassicurante vederla tornare ogni volta vincitrice da quelle spedizioni che a lui non erano ancora concesse, con il suo sorriso scaltro sempre in bella vista. Non gli era permesso di passare del tempo con lei: ordini di Freezer. Ma ricordava che ogni volta che lei tornava su Vegeta-sei, dopo essere sgattaiolato nelle sue stanze al calar del sole, le domandava se avesse ucciso molti alieni. Lei allora si faceva seria, lo prendeva per le spalle e lo guardava dritto negli occhi…

“Ricordati che noi siamo un popolo di guerrieri, marmocchio. Non di assassini…”

Lui non capiva. Lo addestravano per uccidere, non per sconfiggere. Gli insegnavano a provare piacere nel farlo. Lo facevano con tutti.

“Freezer e i suoi non possono capire la differenza, Vegeta. Ma tu devi farlo. Devi promettermelo.”

Lui prometteva. Ma avrebbe capito solo molti anni più tardi il significato di quelle parole.

Prima di addormentarsi, una volta, le aveva chiesto perché allora uccideva tutti gli abitanti dei pianeti che visitava. Aveva forse paura di disobbedire agli ordini?

Katniss non aveva esitato nemmeno un secondo a rispondere.

“Morire non è nulla, in confronto all’essere schiavo. Faccio loro un favore.”

 “Non c’è più, vero?”

Trunks lo riportò bruscamente alla realtà.

Vegeta non rispose. Si girò verso suo figlio e lo guardò. A volte faceva ancora fatica ad accettare che ci fosse così tanto di se stesso in lui. Che uno strumento di morte come lui potesse aver dato la vita ad un essere così straordinario come quel ragazzino.

“Ascoltami bene, Trunks. Una volta mi hai promesso che ti saresti preso cura di tua madre, ricordi?”.

Trunks si alzò in piedi, vagamente allarmato. Certo che se lo ricordava, ma la sua espressione diceva chiaramente quanto avrebbe voluto evitare di parlarne.

“… Sì.”

Vegeta gli si avvicinò. Trunks arrossì appena, forse spaventato dalla possibilità che suo padre volesse abbracciarlo. A Vegeta scappò un sorriso. Era così, dunque, che le colpe dei padri ricadevano sui figli.

Gli mise una mano sulla spalla. Ormai era diventato alto, presto lo avrebbe raggiunto.

“Difenderai anche Bra, vero?”

Vegeta lo vide irrigidirsi appena. Chissà se per un istante di ribellione adolescenziale o se per la preoccupazione riguardo i motivi della sua richiesta.

“Non ci sei tu per questo?”, gli chiese il giovane titubante.

“Io non sono immortale”. Un tempo avrebbe dato chissà cosa per far sì di diventarlo. Ma ora…

Trunks gli sorrise. Aveva imparato anche lui ad usare il sarcasmo per difendersi.

“Vorrà dire che difenderò anche te, quando sarai un vecchietto...”

“È un sì?”, domandò il sayan, ignorando la provocazione.

Trunks chinò lo sguardo, tornando serio. Quando rialzò la testa c’era una fiamma di fierezza nei suoi occhi chiari.

“Te lo prometto, papà.”

 

 

 

Vasil le fece l’occhiolino da dietro la mascherina chirurgica e Bulma ricambiò con un sorriso.

Era suo amico fin dalla prima infanzia; fin dai tempi in cui gareggiavano per il titolo di studente dell’anno. Al contrario di Bulma però, Vasil non aveva mai trasgredito alle regole né aveva mai avuto il suo spirito d’avventura. Se aveva mai lasciato la Città dell’Ovest, lo aveva fatto solo per il tempo necessario a prendere parte a qualche importante intervento chirurgico che richiedesse la sua bravura.

Quando Bulma era rimasta incinta di Trunks non aveva dubitato nemmeno un secondo nel mettersi nelle sue sapienti mani. Ed anche questa volta sarebbe stato lui ad aiutarla a mettere al mondo Bra.

“Sei pronta, Brief?”, le domandò lui, infilandosi i guanti.

Non era come l’altra volta. Sapeva cosa aspettarsi al suo risveglio e non c’era traccia di paura nel suo cuore.

“Mai stata più pronta.”, rispose lei, nonostante trovasse piuttosto scomodo il lettino su cui era distesa e la cuffietta che le raccoglieva i capelli.

“Allora direi di far nascere questo bambino.”, disse lui avvicinandole la maschera dell’anestesia al viso.

“Pensa a cose belle, Brief…”

Bulma chiuse gli occhi e sorrise. Poi fu il buio…

 

 

 

Vegeta aveva appena finito di fare la doccia, quando Trunks irruppe nella Gravity Room come un uragano.

“La mamma sta bene. E … ovviamente è una femmina!”, senza più nessuna emozione, se non entusiasmo.

Stava bene. Il suo stomaco tornò a distendersi, istantaneamente. Era tutto ciò che doveva sapere.

Poi anche il resto dell’informazione acquisì un senso.

Femmina.

Aveva una figlia.

Vegeta non poté non restare sorpreso per un istante. Quella donna ci aveva preso. Non aveva fatto altro che blaterare di aspettare una femmina per tutta la gravidanza.

“Vieni a trovarle con me?”, domandò Trunks, impaziente.

Vegeta si diresse verso l’uscita superando il ragazzo.

“Vai tu. Io sto partendo.”

Quelle parole uccisero l’euforia del giovane come una doccia gelata.

“Cosa!? E dove vai!?”

Il sayan aveva previsto una reazione del genere da parte del figlio; ma non era preparato a dover dare spiegazioni riguardo a questa decisione. Dovette sforzarsi di non rispondere in modo troppo rude.

“Vado ad allenarmi. Non starò via molto, comunque.”

“Aspetta!”, lo fermò il ragazzo. “Perché vai via proprio adesso?”

Rispondere che aveva bisogno di altro tempo, che sentiva il bisogno di allontanarsi per un po’ non sarebbe stato del tutto onesto. In parte era vero, ma non era la sola ragione.

“Non t’interessa, vederla?”, gli chiese Trunks, visibilmente demoralizzato.

Non gli piaceva. Doversi giustificare. Ma non poteva permettere che suo figlio pensasse che non era cambiato per niente, da quando era diventato padre per la prima volta.

“Quando sei nato tu, non c’ero. Non sarebbe giusto.”

Trunks continuò a fissarlo in silenzio. Quasi stupito da quella osservazione. In un secondo momento, Vegeta lo vide arrossire, commosso dal significato di quelle parole.

Trunks sapeva. Ormai era grande abbastanza da intuire ciò che per anni gli era stato omesso. Il padre che conosceva era ben diverso dall’uomo che aveva abbandonato sua madre incinta, ma di lui non gli importava granché. C’era ancora qualcosa di quel passato nelle coccole che non era mai stato capace di elargirgli e nelle parole affettuose che Trunks raramente aveva sentito uscire dalla sua bocca; eppure al giovane bastava sapere che fin dai suoi primi passi, quell’uomo severo e riservato gli era sempre stato accanto, e di lui non avrebbe cambiato nulla.

“Allora a presto, papà.”, gli disse il ragazzino apprestandosi a spiccare il volo, per raggiungere la clinica e sua madre il più velocemente possibile.

“Ehi, Trunks. Vuoi venire con me?”

Non sapeva perché l’aveva detto. Non gli aveva mai permesso di accompagnarlo nelle sue peregrinazioni negli angoli più sperduti del pianeta. Forse perché ogni volta che sentiva il bisogno di allontanarsi da casa era la solitudine, quella che cercava.

Trunks si fermò a mezz’aria, incredulo.

“Sul serio?”, disse. A poco a poco lo stupore sul suo viso lasciò posto all’euforia.

Vegeta sentiva che se ne sarebbe pentito. Se non altro perché il ragazzo si sarebbe portato dietro quello stupido telefono rumoroso che ormai sembrava un’estensione naturale del suo corpo. Si sarebbe lamentato. Avrebbe piagnucolato per un letto comodo, un pasto raffinato…

Il sayan sorrise.

“Sì, sul serio.”

 

 

 

 

 

Cosa ne pensate (se ancora c’è qualcuno che segue questa storia dopo tanto tempo)?

Giustifichiamo la licenza poetica: la sorella di Vegeta, volevo introdurla da un po’, ma diciamo che questo mi è sembrato il momento migliore. Mi è sempre piaciuto pensare che il bambino-Vegeta sia nato non molto diverso da un comune bambino terrestre e che la schiavitù e la solitudine lo abbiano cambiato. Non ho mai visto i sayan come un popolo naturalmente spietato e incapace di provare sentimenti; è logico che essendo guerrieri, la violenza faccia parte della loro cultura, ma in fondo pensiamo a quello che noi stessi esseri umani abbiamo fatto nella storia al cosiddetto “diverso” che abitava il nostro stesso pianeta.

La sorella di Bulma citata nel capitolo (si chiama Tights, ovvero “calzamaglia”) invece non è una mia invenzione: esiste davvero! Se vi interessa vederla e sapere qualcosa di lei cercate “Jaco the galactic patrolman”, la recente opera di Toriyama in cui fa la sua comparsa insieme ad un’adorabile Bulma di 5 anni.

Riguardo la trama: era importante per me che Vegeta si allontanasse da casa per un po’. Ne ha bisogno. Ma spero anche che sia emerso come Bulma reagisca alla cosa in modo totalmente diverso rispetto alla nascita di Trunks. In quel caso era completamente sola. Ora sa, che per quanto Vegeta decida di andare lontano per proteggersi dalle emozioni che lo sopraffanno, vuole quel figlio e quella vita quanto lei.

Nel prossimo capitolo Vegeta incontrerà Bra, non vedo l’ora che lo leggiate! Lasciamoci quindi con uno scaramantico “a presto”.

   
 
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