Prima che vi
tuffiate nella lettura, lasciate che vi dica un paio di cose:
- Primo:
Gabrielle-Coco è una mia creatura, MA non sono io. In effetti c'è qualcosa di
me in lei, ma solo a livello di passioni ed età anagrafica. Il suo nome è un omaggio
a quella grande donna che era Mademoiselle Chanel. Studiando io da stilista ed
amandola molto, non ho potuto farne a meno!x3 Comunque trattatemela bene,
perchè tengo molto a lei.
- Secondo: I
miei Jonas non vogliono essere un ritratto fedele degli originali, per quanto
spero che ci somiglino il più possibile... Io non sono una fan *sfegatata* di
questi tre, quindi molte cose ce le aggiungerò di mio pugno, mi scusassero le
fedelissime!xP
- Terzo:
Essendo io leggermente maniacale,
nella creazione di nuovi personaggi, ho cercato un volto per la mia Coco e,
sfruttando la mia passione per la grafica, l'ho photoshoppata insieme ai Jonas.
Copiincollate nella
barra dell'indirizzo web questo link:
http://img368.imageshack.us/my.php?image=bannerjonasstoryaa1.png
Mi fa piacere sapere
che ne pensate, anche vistosi il lavoro che c'è dietro.x3
- Ultimo, ma non
meno importante: dedico la fic a Tempe
(alias Temperance_booth) perchè fondamentalmente è anche parecchio merito/colpa
sua se mi sono irrimediabilmente affezionata ai tre Jonas!<3
Ora smetto di
tediarvi, avviso solo che la fic è ancora in
corso di elaborazione, perciò gli aggiornamenti saranno potenzialmente di
attesa lunghetta!=P
PS. Il testo in
corsivo tra le parentesi graffe corrisponde ai pensieri in prima persona dei
personaggi. In blu invece, le eventuali citazioni.
- Prologo -
{ Credo che ci sia qualcosa chiuso a chiave
e che ogni verità può fare bene o fare male.
}
Sono Qui Per l'Amore - Ligabue
Coco
- Coco! S'il vous plaìt... -
Si fece
strada tra la folla di ragazzine urlanti, nel tentativo di raggiungere la
sorella che era rimasta bloccata dalla parte opposta dell'ingresso. Monique,
accasciata contro un'elegantissima parete in marmo rosa, era esausta ancor
prima che la serata cominciasse. Dondolava stancamente un braccio sopra la
testa, mentre con l'altro reggeva malamente sua figlia Luciàne. Un adorabile
angioletto biondo di quattro anni e mezzo. Gabrielle la raggiunse,
somministrando qualche spintone a destra e a manca, e prese in braccio la
nipotina.
- Continuo a
pensare che non sia stata una grande idea... - Sbuffò, osservando il teatro che
andava riempiendosi. Lo spettacolo non sarebbe iniziato prima di qualche ora
buona, eppure la marea umana continuava ad affluire senza sosta. - Questo posto
è fatto per ascoltare buona musica. La sua acustica è studiata per rieccheggiare
note importanti... non le canzoncine commerciali di tre bambocci americani
qualunque.
- Parli come
se l'Emeraude fosse tuo. - Ridacchiò
Monique di rimando. - Ma noi qui ci limitiamo a pulire e a servire cioccolatini
durante l'intervallo, ricordatelo. - Gabrielle si incupì improvvisamente e
senza dire nulla, adagiò la bimba sul pavimento, stringendole appena la manina
paffuta. Le dava fastidio che le si ricordasse la sua squallida situazione. Si
sentiva una sguattera. Costretta a lavare un pavimento per poter ascoltare
anche solo qualche brano delle Opere che tanto amava.
- Infatti.
Se fosse mio, certi abomini non verrebbero permessi. - Ringhiò, indicando un
manifesto cartonato alto una volta e mezzo lei. Quei tre avevano il potere di
mandarla in bestia anche tramite fotografia.
Beethoven,
Mozart, Chopin... Quella era vera
musica. La sola che valesse la pena di essere ascoltata, per quanto la
riguardava. Quella era emozione.
- Certo,
certo. Adesso però piantati in faccia un'espressione che sembri almeno
umanamente cordiale e vai al banco dei gadget. Io devo pensare al guardaroba, i
biglietti e il resto. Non riesco a badare a tutto, con la gente che c'è...
Sento che stasera se ne venderanno a vagonate di quegli affari. Quei ragazzi
sono un vero fenomeno generazionale... - Le spostò una ciocca di capelli scuri
dietro l'orecchio, ma lei agitò immediatamente la testa per farla tornare al
suo posto. - Ti prego, Coco. Ho già abbastanza grane, senza che ti ci metta
anche tu.
- D'accordo,
Monmon. - Sospirò, spingendo delicatamente Lulù verso la sorella, prima di
lasciarla andare. Mise su un finto sorriso che scomparve non appena ebbe
voltato le spalle a Monique.
- Eccoci
qua, coraggio. - Bisbigliò, infilandosi dentro al mini-shop con una smorfia. Poi
alzò lo sguardo e si rivolse alla prima di una lunga fila di fans assatanate
che si snodava fino in fondo alla sala. - Dimmi pure, tesoro.
{Fenomeno generazionale.}
Riflettè,
mentre incartava con aria scocciata un grosso poster autografato.
{Ma se io non sapevo nemmeno che esistessero,
questi Jonas Brothers.}
Kevin
L'auditorium
era completamente vuoto. Un silenzio del tutto innaturale serpeggiava tra gli
stessi sedili di velluto rosso che, pochi attimi prima, avevano visto almeno
diecimila persone urlare, cantare e ballare come fossero un tutt'uno, mentre
tre ragazzi si agitavano sorridendo sul palcoscenico.
Kevin Jonas
si guardò intorno con aria stranamente mesta, per uno che era appena stato
partecipe di un autentico trionfo. Fuori da lì, oltre gli ampi vetri che
illuminavano l'estremità superiore delle pareti, Parigi si preparava ad
un'altra notte, esattamente identica a tante che c'erano e ci sarebbero state.
{Come. Sempre. Tutto. Identico.}
Proprio come
per lui.
Si sedette sul
bordo del palco, abbandonandosi come la sua adorata chitarra sul pavimento,
contro l'asta del sipario. Un ciuffo ribelle gli scivolò davanti agli occhi, lo
spostò con uno sbuffo scocciato. Scocciato,
sì.
Quella
situazione lo aveva veramente scocciato. Essere sempre considerato l'ultima
ruota del carro, quello di cui si sarebbe potuto fare a meno... All'inizio
aveva pensato ad un problema di età. Troppo grande per certe cose o, per lo
meno, troppo in là dall'essere teen-ager.
Il novanta
per cento delle loro fans non superava i quindici anni.
Poi era
passato all'ipotesi di non essere abbastanza carino. E comunque non quanto Joe o Nick. Cosa di cui non avrebbe
mai potuto e tantomeno voluto fare una colpa ai suoi fratelli, però... Però.
Il fatto che
ai concerti fosse tutto un turbinare di "Ti amo Nick!" e "Joe
sei bellissimo!", che di cartelloni per lui ce ne fossero sempre
pochi, in proporzione, gli dava fastidio. Era un piccolo, sordo bruciore
all'altezza dello stomaco che, da qualche mese a quella parte, gli impediva di
sentirsi totalmente felice. Perfino dopo un successo straordinario come quello
ottenuto col pubblico europeo. Lo faceva star male tanto quanto l'idea di avere
qualcosa da nascondere alle due persone a cui più teneva in assoluto...
Dondolò
nervosamente le gambe e fece per saltare in platea, ma si bloccò quando la
porta in fondo alla sala si aprì, accompagnata dallo scatto della maniglia
antipanico.
- Guarda che
schifezza! Incivili... - Bofonchiò l'ombra che era entrata, trascinandosi dietro
un secchio e uno scopettone. Mosse qualche passo in avanti e, una volta che
ebbe raggiunto il cono di luce della prima finestra, Kevin potè constatare che
si trattava di una ragazza. Lei, chiunque fosse, non lo degnò della minima
attenzione. Portò il secchio fino alla prima fila di sedili e prese a
raccogliere le cartacce dal pavimento.
Come poteva
non averlo notato, quando lo dividevano da lei appena tre metri scarsi? Non che
la cosa lo infastidisse particolarmente, era sicuramente preferibile alla
tipica reazione isterica che avrebbe avuto qualunque altro essere di sesso
femminile di età compresa fra i dodici e i diciott'anni, vedendoselo davanti.
La osservò incuriosito ancora per qualche attimo, cercando di capire cosa
stesse borbottando, anche se l'unica cosa che riusciva a dedurne era che al
liceo avrebbe dovuto applicarsi di più, durante le lezioni di francese.
Sorrise fra
sè e sè e tentò di nuovo di alzarsi, ma nello stesso istante alla ragazza
sfuggì di mano lo scopettone. Mentre quello rotolava ticchettando sul laminato
di marmo, senza un motivo apparente, lei si voltò nella direzione opposta ed
incrociò lo sguardo spaesato di Kevin che era rimasto bloccato in un'assurda
posizione, in bilico sullo spigolo del palco.
- Cosa stai
facendo, scusa? - Domandò, senza smettere di guardarlo negli occhi. Lui, lì per
lì, riuscì unicamente a notare quanto chiara fosse la pelle di quella
stranissima ragazza. E quanto scuri fossero i suoi capelli. Soltanto dopo
qualche attimo di silenziò metabolizzò finalmente che aveva capito
perfettamente ciò che gli aveva detto... E non perchè si fosse improvvisamente
ricordato di come si parla il francese parigino.
- Sei
americana? - Le rispose, ignorando deliberatamente la sua richiesta di
chiarificazione. Lei sgranò impercettibilmente gli occhi, mentre l'ombra di un
sorriso le sfiorava le labbra.
- No. Sì.
Cioè, per metà. Mio padre lo era. E ogni tanto mi scappa di parlare... - Si
bloccò di colpo, squadrandolo con attenzione da capo a piedi. Leggermente
imbarazzato, Kevin saltò giù dal palco e riuscì finalmente a toccare terra,
assumendo una posizione più dignitosa. - Oddio.
- Oddio? -
Ripetè meccanicamente, cercando di capire qualcosa di quella conversazione
surreale.
- Tu. Tu sei
uno di quei tre... cosi. - Gli puntò
un dito contro, indietreggiando velocemente. Nel panico non si accorse del
secchio dietro di lei che, urtato malamente dal suo piede, si ribaltò,
inzuppando una buona porzione di pavimento, della pigna di cartacce che aveva
radunato ed un paio di sedili. - Oh, cavolo...! - Si chinò, rivolgendogli
seccamente le spalle e prese a trafficare per recuperare il danno fatto. Senza
chiedere nulla, Kevin si avvicinò e le diede una mano a raccogliere qualche
manciata di biglietti accartocciati e gocciolanti.
- Sei
diverso. Voglio dire, il manifesto... o forse è quell'altro che è riccio? - Gli
prese la carta dalle mani ed abbassò lo sguardo, continuando ad armeggiare e a
riflettere ad alta voce tra sè e sè. - Cioè, i capelli... ti stanno anche bene
così... oh, ma cosa diavolo sto dicendo?! - Agitò nervosamente la testa e,
quando tornò a guardarlo, lui sorrideva.
- Grazie. -
Che ragazza assurda... Ormai aveva
rinunciato definitivamente all'idea di trovare un senso a quello che si stavano
dicendo. E, assurdo per assurdo, poteva dare voce a tutto quello che gli
passava per la testa. Tra le altre cose, non aveva nemmeno nulla da perderci...
Dopo quella notte, chi l'avrebbe più incontrata? - Mi trovi carino? - Continuò, senza rifletterci
troppo.
- Non sei il
mio tipo, se è questo che vuoi sapere. - Si irrigidì lei. Lo squadrò di nuovo,
questa volta inarcando un sopracciglio con aria visibilmente scettica. -
Comunque sì, sei carino. - Concluse, sorridendogli. In effetti, quello era
oggettivamente innegabile.
Mentre lui la
osservava in silenzio, raccolse il secchio e si voltò, avviandosi verso
l'uscita della sala. Aveva bisogno di altra acqua... Arrivò fino alla porta e
ci si fermò davanti, accarezzando la maniglia con aria meditabonda. - Ah! -
Disse Gabrielle, voltando solo la testa nella sua direzione. - Quelle basette,
però, mi fanno orrore! - E uscì di scena, scrollando le spalle. Sparita così
come era apparsa, tanto incredibilmente che lui si sarebbe chiesto, per lo meno
per tutta la notte, se fosse reale o soltanto una proiezione della sua mente
bacata.
Appoggiato
ad un sedile ancora umido, Kevin si lasciò andare ad una sonora risata
liberatoria.
Nick
Nick entrò
frettolosamente nell'elegante bagno degli uomini, spargendo un mix di strani
aggeggi e blister di pastiglie mezzi vuoti sul piano di granito. Non gli
riusciva proprio di ricordarsi quale medicina dovesse prendere quella sera. Si
sfregò le tempie, cercando di fare mente locale. Niente, buio.
{Eccheppalle.}
Scelse uno
degli assurdi strumenti, lo sistemò a contatto con il polso e cominciò a
misurare. Rimase immobile per qualche minuto, osservando svogliatamente il
display luminoso e scribacchiando numeri incomprensibili su un foglietto di
carta. Glicemia, ferro, globuli bianchi... Risultato: tre pastiglie rotonde.
Una bianca, due gialle. Se le rigirò sul palmo della mano, fissandole come se
avesse potuto farle sparire con la sola imposizione dello sguardo. Per quanto
ancora avrebbe dovuto andare avanti ad imbottirsi di quella roba?
{A little bit longer... Ancora un po'. Un "ancora" che tende a perpetrarsi all'infinito.}
Per tutti
lui era quello forte. Quello che non si lasciava abbattere da niente... E in
effetti, in parte, ci si sentiva così. Quando stava sul palco insieme ai suoi
fratelli, con le urla delle fan che gli rimbombavano nelle orecchie. Quando Joe
e Kevin lo guardavano negli occhi, con quell'espressione particolare. Quella
che, in sordina, sussurrava "siamo qui, saremo sempre qui per te". Si lasciò scivolare con la schiena contro
il banco dei lavandini, fino a trovarsi seduto per terra, le pasticche sempre
strette in mano. Purtroppo era nei momenti di solitudine, negli attimi in cui
si trovava faccia a faccia con sè stesso e nessun altro, che la debolezza lo
assaliva.
In fondo,
molto in fondo, aveva una paura dannata di dover passare una vita intera a
dover dipendere da un pugno di farmaci. Lo sentiva come un peso all'altezza
della gola che gli impediva di respirare bene... Soprattutto perche non
riusciva assolutamente a trovare il coraggio di parlarne con quei due. Si portò le ginocchia al petto
e le strinse con un braccio, mentre teneva continuamente la mano destra aperta
davanti a sè.
D'improvviso
la doppia porta d'entrata sì aprì, facendo guizzare il riflesso delle luci
sulla sua superficie lucida. Qualcuno con un grosso secchio azzurro in mano
entrò nella stanza.
Ciò che più
colpì il giovane Jonas, oltre all'improbabile colore dell'oggetto, fu che chi
lo stringeva era una ragazza.
E quello non
era un bagno misto.
Come lo vide,
arrossì di botto. Ma non per il motivo che credeva lui.
- Excuse moi...! - Esclamò. Poi cominciò a
farfugliare una serie velocissima di parole in francese e Nick perse
definitivamente il filo del discorso. La fissò con aria smarrita fino a che non
ebbe finito di parlare.
- Scusa? -
Balbettò timidamente, senza preoccuparsi di essere ancora seduto per terra. -
Non... non credo di aver capito.
- Oh. -
Riprese lei, sorridendogli e cominciando magicamente a parlare nella sua
lingua. - Un altro straniero? Dev'essere serata. - Poi afferrò il secchio e lo
posizionò con cautela sotto il getto del rubinetto. - Dicevo... - Alzò il
volume della voce per coprire il rumore dell'acqua che batteva sul fondo di
plastica. - Mi serve solo un po' d'acqua e nel bagno delle signore non ce n'è
più. Dev'essersi rotta la tubatura...
Parlava
senza nemmeno guardarlo, del tutto intenta in ciò che stava facendo. Nick
cominciò a chiedersi come fosse possibile e dopo alcuni minuti di concitata
riflessione arrivò ad un'unica soluzione, che era anche la cosa più paradossale
che gli fosse venuta in mente... Possibile che non lo avesse riconosciuto? Che
magari non sapesse nemmeno chi era?!
La
misteriosa ragazza finì di riempire il suo secchio e si voltò per riportarlo a
livello pavimento. Doveva essere molto pesante, perchè, minuta com'era,
traballava al minimo movimento. Quando Nick fece per alzarsi ad aiutarla, lei
si accorse delle tre pastiglie.
- Non ti va
di prenderle, eh? - Gli domandò con fare materno, appoggiando il secchio a
terra. - Anche io, quando ero bambina, non ne avevo mai voglia. Ma mia sorella
mi ha insegnato un trucco ottimo per le medicine... Aspetta qui! - Detto
questo, mollò il suo carico ai piedi di un Nick totalmente e profondamente
basito e schizzò fuori dalla porta.
Fu di
ritorno un buon quarto d'ora dopo e trovo il giovane Jonas ancora seduto nel
suo angolo, in mesta contemplazione delle sue pillole. Gli si avvicinò e gli
piantò in mano una bottiglietta di Lait
au Chocolate.
{Latte al cioccolato?}
Si domandò
lui, osservando l'etichetta con aria dubbiosa. Una mucca pezzata gli sorrideva
dal piccolo pezzo di carta patinata.
- Con quello
vanno giù che è una meraviglia. Ed è molto meglio dell'acqua... Non te ne
accorgerai nemmeno. - Gli passò amorevolmente una mano tra i capelli e, dopo
essersi caricata del suo secchio d'acqua, barcollò di nuovo fuori dal bagno.
Nick guardò alternativamente la bottiglia e la porta ormai chiusa per un paio
di volte.
Poi stappò,
si infilò le pastiglie in bocca e prese un sorso abbondante.
Però,
riflettè leccandosi le labbra, aveva veramente un ottimo sapore.
Decine di
domande gli frullavano nella testa in quel momento: chi era quella ragazza? Da
dove veniva e perchè parlava con disinvoltura due lingue? Era forse una
visione? O era reale? L'avrebbe mai rivista?
L'unica cosa
di cui era certo era che, per quanto quel latte fosse dolce, lo zucchero, stavolta, non gli avrebbe fatto altro che bene.
Nel
frattempo, Gabrielle aveva quasi raggiunto la sala del teatro. Soffermandosi solo
per un istante davanti all'enorme cartellone che stava vicino all'ingresso di
quest'ultima, lo osservò con curiosa attenzione...
Se non era
lui, si disse incrociando l'espressione seria del Jonas più giovane, gli
somigliava comunque molto.
Joe
Si frugò
nervosamente nelle tasche, alla disperata ricerca di qualche spicciolo.
Possibile che non si trovassero mai monete quando servivano e che saltassero
fuori solo ed esclusivamente nei momenti meno indicati? Guardò anche nelle
giacche che i suoi fratelli avevano lasciato sulle sedie. Niente. Zero. E aveva
una sete dannata. Era veramente frustrante...
{Oddio, di questi tempi, qualunque cosa mi
sembra frustrante.}
Joe Jonas
scagliò un calcio risentito al tavolino che aveva di fronte, incapace di prendersela
con qualcuno che non fosse lui stesso. Non servì a fargli sbollire la rabbia,
ma, in compenso, una piccola pioggia di monetine sbucata da chissà dove si
riversò ticchettando sul pavimento. Ringraziando mentalmente chiunque le avesse
dimenticate in giro, ne raccolse un paio e si fiondò al distributore che aveva
intravisto in corridoio. Non si
preoccupò nemmeno di fermare la porta del camerino, lasciando che si
chiudesse con un sonoro schianto.
Ben altro
tipo di schianto lo stava invece
aspettando fuori da quella stessa porta. Una ragazza incredibilmente forte, per
quanto era minuta, stava prendendo a calci la macchinetta delle bibite,
inveendole contro in una lingua che sembrava francese, ma aveva un suono
stranamente sibilante.
Le si
avvicinò, con il suo solito fare da adorabile mascalzone. Era qualcosa che gli
veniva automatico, quando si trovava ad aver a che fare con le ragazze. Perfino
quando era perfettamente consapevole che, alla fine, se ne sarebbe pentito. E
poi aveva fatto esperienza con i più svariati tipi di fan, ormai.
- Excuse
moi... - Sorrise sornione. Lei non lo calcolò minimamente e continuò a colpire
il distributore. Sempre più sicuro che se ne sarebbe pentito e comunque sempre
meno deciso a lasciar perdere, Joe le posò una mano sulla spalla per attirare
la sua attenzione. La ragazza si volto finalmente nella sua direzione e lo
guardò con aria interrogativa.
Sorrise di
nuovo e cominciò a gesticolare per cercare di farle capire che ci avrebbe
pensato lui, a recuperarle i soldi. Va bene l'exploit di cominciare a parlarle
in francese, ma la sua conoscenza della lingua non andava molto oltre all'
"excuse moi".
- Oh...
Mercì. - Si illuminò lei, appena riuscì a comprendere cosa voleva dirle e si fece
da parte perchè potesse agire indisturbato. Joe picchiettò con sicurezza la
mano sopra alla fessura in cui andavano inserite le monete, poi assestò un
sonoro pugno al lato della macchina e, come per magia, i cinquanta centesimi
della ragazza scivolarono nella finestrella del resto.
- Et voilà!
- Sogghignò, raccogliendoli e porgendoglieli. Funzionava sempre.
- Très
gentil. - Era bassina, ma aveva un qualcosa di adorabile. Soprattutto quando
sorrideva... Si soffermò ad osservarla, trovandosi improvvisamente ipnotizzato
dal modo delizioso in cui arricciava il naso. Seguì i suoi movimenti mentre
rimetteva i soldi nell'apertura e riusciva finalmente a prendere la sua
bottiglietta di latte al cioccolato.
Latte al cioccolato? Ma cosa mettevano i
francesi nei distributori? Abbassò lo sguardo, ridacchiando tra sè e sè. Quando
tornò a guardarla, si trovò improvvisamente occhi negli occhi con lei.
Dall'espressione
che aveva, sembrava lo stesse scannerizzando dalla testa ai piedi. Il momento
che tanto temeva stava per arrivare...
Era
questione di secondi e l'avrebbe riconosciuto. A quel punto per lei sarebbe
stato soltanto Joe Jonas. Joe e il suo bel faccino. Come per tutte le altre.
Poco importava che fosse stato gentile con lei, o dolce nell'aiutarla.
Interruppe bruscamente il contatto visivo, sorpassandola e fingendo di
osservare il contenuto del distributore.
Lo mandava
veramente in bestia essere considerato solo per il suo aspetto fisico. E il
fatto era che il morbo si stava diffondendo a macchia d'olio: alle fan
autentiche, che amavano di lui anche l'anima, la voce, il talento, se ne
stavano aggiungendo sempre più del tipo peggiore: sciocche e superficiali...
Talmente tante e talmente "forti" che probabilmente, alla fine,
sarebbero riuscite a soffocare tutto. Compreso il suo grande amore per la
musica.
Se diventare
più famoso, comportava il doversi ridurre solo ad un "bell'involucro
vuoto", beh, non era poi così sicuro di volerlo. Guardò i soldi che aveva
in mano, cercando di capire come arrivare alla somma che gli sarebbe servita
per prendersi una lattina di coca-cola. Maledetti euro. Per quante volte Kevin
si fosse impegnato a spiegargli come funzionava il cambio, non riusciva mai a
ricordarsene.
Un tocco
leggero si insinuò nel corso dei suoi pensieri, frenandolo dolcemente. La
ragazza prese due delle monete più piccole e le inserì nella macchina.
Schiacciò uno dei tasti e gli allungò la lattina, dopo che questa fu atterrata
nell'apposito spazio con un tonfo sordo.
Era
coca-cola. La guardò, decisamente stupito... Come diavolo aveva fatto, senza
che lui dicesse niente? Per tutta risposta lei abbassò timidamente lo sguardo,
reprimendo a fatica una risata.
- Sei
americano. - Gli spiegò, cambiando improvvisamente lingua. - Cos'altro avresti
potuto volere, Joe Jonas? - Non sapeva se sentirsi più scioccato per il fatto
che parlava con la pronuncia di una madrelingua o perchè l'aveva riconosciuto
sul serio... - E poi sei carino... - Ecco. Carino... Di nuovo. Non gentile, non
simpatico, carino.
A quel punto
si era quasi convinto che lei fosse come tutte le altre.
{Che nervi.}
E invece
sbagliava, eccome se sbagliava.
- Cioè... Lo
sei stato con me. Molto, molto gentile. Mercì beaocoup. - Detto questo, si
voltò e scappò via, prima di poter vedere l'espressione di tenero stupore che
era comparsa sul volto di lui.
Alla fine
non si era pentito affatto di aver seguito il suo istinto
"canagliesco".
Com'era
possibile, pensava intanto Gabrielle, camminando verso il bagno degli uomini con
in mano la sua bottiglietta di latte, che si fosse ricordata il suo nome?
L'aveva letto si e no mezza volta su qualcuna delle stupide locandine che
tappezzavano il teatro da qualche settimana a quella parte...
Smise di
rimuginare soltanto quando arrivò davanti alla porta delle toilettes e la aprì,
incrociando lo sguardo del ragazzo che stava seduto appena dentro, sul
pavimento.