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Autore: Xandalphon    22/10/2014    3 recensioni
Seconda classificata al "Kyuubi contest - cronache della volpe a nove code", di Supersara.
Da un dolore può nascere una nuova consapevolezza, da un lutto, una nuova gioia. Questo fanno gli umani: lottare, attraverso polvere e fango, alla continua ricerca di qualcosa che dia senso alla loro vita. E per una povera contadina orfana, questo qualcosa è una volpe dalle nove code, proveniente da un passato lontano.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurama, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Himiko'
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The true tale of princess Himiko

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1)Sadness and grief

 

Himiko era una ragazzina molto curiosa. Si sa, tutti i bambini attraversano la cosiddetta fase dei 'perché?', quando desiderano conoscere il senso dietro ad ogni cosa, comprese quelle che agli adulti sembrano stupide o banali.

 

Il problema di quella piccola peste, però, era che la sua fase sembrava non accennare in alcun modo a calare di intensità. Le domande che poneva erano sempre più complesse, tanto che, ormai, la maggior parte dei saggi e degli anziani del villaggio aveva già provato almeno una volta o due a dirle: “Perché è così! Ora, non fare storie e vai ad aiutare tuo padre e tua madre nei campi!”

 

Naturalmente, per una sedicenne con una mente sempre in movimento come la sua e, per giunta, con un corpo esile, passare l'intera giornata a raccogliere riso trascinando i piedi nel fango non era la massima delle aspirazioni della vita. Ma cosa poteva aspettarsi di diverso? Suo padre faceva il contadino, così come suo nonno, il suo bisnonno, il suo trisnonno e così via, per innumerevoli generazioni prima di lei.

 

Innumerevoli generazioni prima di lei... Ecco, quella era una cosa cui pensava spesso, agli antenati. Nonostante il sacerdote del tempio Shinto in cima alla collina ci provasse in tutti i modi ad infilarglielo una volta per tutte nella testa, Himiko non si rassegnava. Non capiva perché dovesse venerarli. In fondo, cosa avevano di diverso rispetto a sua padre o sua madre?

 

La risposta più comune alla sua obiezione era che andavano venerati perché essi erano stati molto più saggi e potenti rispetto agli uomini che calcavano la terra attualmente. Secondo le leggende, possedevano strani poteri e abilità, tali da manipolare gli elementi ed evocare spiriti, demoni e animali parlanti.

 

Himiko prendeva molto sul serio quelle storie, ma, puntualmente, quando domandava delle prove a sostegno di questi miti, i saggi alzavano le spalle e scuotevano la testa, come se non capissero il senso di quella assurda richiesta.

 

A quel punto, la ragazzina si arrese: per trovare delle risposte soddisfacenti alla sua sete di sapere, avrebbe dovuto cominciare a cercarsele da sola.

 

Non c'erano molti abitanti del villaggio della sua età (un'epidemia sconosciuta si era portata via gran parte della sua generazione quando lei aveva cinque anni) e quei pochi la consideravano un po' troppo strana per i propri gusti. Per cui, in assenza di persone con cui giocare, quando era libera dal faticoso lavoro nei campi, si avventurava, da sola, tra i boschi e le colline circostanti al villaggio. A detta di tutti i compaesani erano posti pericolosi, pieni di animali feroci e banditi, pronti a tagliare gole anche per pochi soldi. Lei però non badava a questi avvertimenti e si spingeva sempre più lontano.

 

Un giorno, spingendosi sull'altro versante del monte che sovrastava, con la sua imponente figura, il villaggio, notò qualcosa di strano.

 

La vegetazione era stranamente rada e si ergevano delle grandi rocce, in ordinate file. Erano troppo squadrate e lisce per essere qualcosa di naturale.

 

Si avvicinò e vide che si trattava di lapidi, incise con strani segni. Himiko, di nascosto da suo padre, aveva imparato dal sacerdote del tempio un pochino di scrittura. Era un privilegio da gran signori, quello di apprendere i simboli per tramandare le cose, non certo roba da contadini!

 

Eppure quelli che aveva di fronte non erano i segni che il grande popolo di là dal mare occidentale utilizzava e che aveva trasmesso anche a loro, il piccolo popolo delle isole.

Sì, erano simili, ma... Le risultavano assolutamente incomprensibili.

 

L'unica cosa che le venne in mente di fare fu di memorizzarli per poi cercare di riprodurli più fedelmente possibile al vecchio sacerdote. Chissà che magari lui ne conoscesse il significato.

 

Fece per tornare sui suoi passi, visto che l'ora di cena si approssimava, ma quando, da una radura, guardò in basso, verso il villaggio, il cuore quasi le saltò fuori dal petto.

 

Fuoco e fumo invadevano le case. Gli abitanti sciamavano fuori come tante piccole formiche, ma ciò che era più pericoloso per le loro vite si trovava all'esterno delle loro dimore, non dentro. Un gruppo di predoni a cavallo era calato su di loro con torce e spade per saccheggiare e distruggere. Fu un affare di non più di mezz'ora. Quando i fuorilegge se ne furono andati, le case non erano che braci fumanti; uomini e donne nient'altro che pile di corpi senza vita.

 

Himiko rimase ad assistere da lontano, completamente pietrificata dall'orrore, incapace di muovere anche un solo muscolo. Non le sembrava vero. Nel giro di un breve istante tutto il mondo in cui aveva vissuto, più o meno tranquillamente, era definitivamente scomparso. Era completamente sola e senza una dimora a cui tornare.

 

Lacrime iniziarono lentamente a scendere dalle sue gote. Prima leggere, lente, poi sempre più copiose, mentre la piccola erompeva in singhiozzi disperati.

 

Come per far da coro al suo miserevole stato d'animo, anche il cielo iniziò il suo mesto pianto. Una massa di nuvole scure oscurò il sole e un acquazzone si riversò con tutta la sua forza.

 

La sedicenne avrebbe voluto tanto rimanere lì, immobile, a lasciarsi morire di freddo e di paura, ma l'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento sulla parte razionale e disperata del suo cervello, spingendola a trovare riparo. Tornò verso la strana necropoli che aveva scoperto prima e, per uno strano colpo di fortuna, scorse, poco lontano da questa, una piccola caverna, poco profonda, in cui giacevano abbandonate molte anfore, recanti gli stessi strani simboli che aveva potuto vedere sulle misteriose lapidi.

 

Sul momento, però, la sua usuale curiosità era completamente annichilita. Voleva solo rannicchiarsi in un angolo, dimentica del mondo che la circondava. A che cosa valeva vivere, se era solo una successione di eventi senza un significato? I suoi genitori si erano spaccati la schiena per anni, al solo scopo di avere sufficiente farinata e riso in umido per sopravvivere ad un'altra alba. E così via, per mesi e anni interi... Per poi morire come cani dinnanzi al primo bandito che decideva di passare da quelle parti. E che magari sarebbe morto in modo altrettanto miserevole il giorno dopo, ucciso da qualche altro bandito, più efferato o, magari, solo più fortunato di lui... Possibile che l'esistenza di un essere umano fosse solo questo? Ben sadici, allora, dovevano essere stati gli dei, a dar loro l'autocoscienza... Forse, se fossero rimasti privi di ragione, muniti soltanto dell'istinto come gli animali, gli umani sarebbero stati meglio: non avrebbero potuto capire quanto patetico e penoso fosse il loro stato.

 

In preda a tali cupi pensieri, complice il ritmico ticchettio della pioggia incessante, Himiko si addormentò, rannicchiata con la faccia nascosta tra le ginocchia, come per farsi piccola piccola e nascondersi al mondo.

 

Si svegliò il mattino successivo con le ossa rotte, per via della posizione scomoda in cui aveva dormito, ma anche per via degli orrendi incubi che avevano affollato la sua mente.

 

La prima cosa che la portò compiutamente alla realtà fu il sordo brontolio della sua pancia. L'ultima cosa che aveva messo in pancia era una ciotola di riso, più di ventiquattro ore prima. Era logico che fosse affamata come un lupo.

 

All'udire quel suono, emerse sul suo volto un ghigno beffardo. Ora credeva di capire un po' di più tutti gli adulti del villaggio, quando le consigliavano di smetterla di chiedersi questo o quello. Che senso potevano avere tutte le sue domande, dinnanzi alla necessità impellente di tirare avanti un giorno in più?

 

Per un attimo vagliò le ipotesi che aveva davanti. Non era un'abile cacciatrice: vivere di conigli selvatici per un tempo indefinito su quel monte le sarebbe stato impossibile. Scendere in città per diventare una ladra ed una mendicante? Problemi di coscienza a parte, la sola idea di vivere in quel modo le faceva rivoltare lo stomaco. Che si torceva ancora di più alla poco edificante prospettiva di essere 'invitata', con le buone o con le cattive, in una di quelle famigerate 'case' di cui aveva sentito parlare, in cui costringevano le giovani a giacere con grassi e laidi nobili...

 

No, non avrebbe resistito un giorno. O l'avrebbero uccisa, o si sarebbe uccisa lei stessa dalla vergogna e dal disonore.

 

Allora, cosa le restava? Scendere tra le rovine del villaggio e continuare da sola il lavoro nei campi?

 

Anche quella era una sfida palesemente fuori dalle possibilità delle sue forze, ma, al momento, le sembrò l'unica strada praticabile.

 

Prima di scendere a valle, però, come colta all'improvviso da un ultimo sprazzo di quella che già definiva 'la vecchia lei', decise di curiosare tra quelle anfore. Chissà, magari ciò che era contenuto al loro interno si era miracolosamente conservato. E, se proprio fosse stata fortunata, si sarebbe trattato di qualcosa di commestibile...

 

I suoi occhi, di quel colore azzurro cielo di cui tanto si vergognava (oltre al suo carattere, era anche per quelli che gli altri abitanti la trovavano strana. Se non, addirittura, portatrice di sfortuna), si soffermarono su un'enorme giara, di colore rossiccio, posta sul fondo della cavità. Era più corrosa, rispetto alle altre, e invece di molte scritte, recava un solo simbolo: una spirale, come di un vortice.

 

Irresistibilmente attratta, si avvicinò, cauta, a quell'oggetto. Afferrò con forza il tappo di legno con entrambe le mani e lo svitò. Ciò che ne uscì andava molto, ma molto al di là di quanto avrebbe mai potuto produrre la sua fantasia.

 

  
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