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Autore: aboggartinthewardrobe    22/10/2014    4 recensioni
« Inspiegabilmente trovi a chiederti cosa stiano facendo nel tuo Distretto in questo preciso momento. Anche se le luci colorate della Capitale rendono difficile notarlo davvero, lo scuro buio invernale è già calato da un po'. Laggiù nel 4 le barche dei pescatori saranno mucchi di puntolini disordinati sull'orizzonte. Le reti in mare, in attesa, e gli occhi ansiosi degli uomini a controllarle di tanto in tanto, nella viscerale speranza che quando verranno recuperate siano piene di pesci grossi e saporiti. »
Seconda classificata al contest "Vuoi una zolletta di zucchero? Finnick Odair's contest" indetto da ticci sul forum di EFP.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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There's a light in the bedroom
But it's dark
Scattered around on the floor
All my thoughts


This is just another night
And we've had many of them
To the morning we're cast out
But I know I'll land here again


How am I gonna get myself back home?


Quante volte puoi forzare i muscoli delle guance nella copia, convincente ma vuota, di un sorriso ammiccante?

Quante parole ammalianti possono uscirti dalle labbra, se ognuna di esse lascia dietro di sé il retrogusto stomacante della menzogna nella tua bocca?

Fino a quando riuscirai a guardare un paio di occhi dal colore innaturale, nascosti e appesantiti da montagne di trucco e idiota ignoranza, e a definirli bellissimi?

Quanti corpi freddi e tatuati dovrai vedere contorcersi intorno a te, mentre ostenti un piacere nemmeno lontanamente simile a quello reale?

Quanto tempo ancora, prima di poter tornare a casa?

Te lo chiedi, e ancora una volta non trovi risposta. L'unica certezza della tua vita ora è che devi uscire da questa doccia. Cautamente scivoli fuori e indossi l'accappatoio, iniziando ad asciugare meccanicamente con una manica i capelli gocciolanti. Il bagno è pervaso da una nebbiolina profumata di bagnoschiuma. Guardi nello specchio dinnanzi a te, e per qualche secondo studi il volto che ti restituisce lo sguardo; ti soffermi sulla sfumatura eccezionalmente verde acqua degli occhi, segui il contorno perfetto delle labbra, sfiori con un dito gli zigomi alti e scolpiti, poi affondi la mano in quei riccioli di bronzo che mezzo mondo ti invidia, e sei consapevole che odi ogni singola di queste cose. Più di quell'uomo che odora di sangue e rose appena sbocciate, più di quella società marcia e tossica, più degli Hunger Games, odi te stesso e la tua bellezza. Perché è a causa sua che ora sei aggrappato al marmo freddo di un lavandino nel candore di questo bagno, in questa casa silenziosa e vuota, a maledirti per non essere morto in quell'arena. A volte pensi che esalare i tuoi ultimi respiri rantolando nei morsi della fame, o invocando aiuto trascinato dall'impeto di una valanga, o spruzzando fiotti di sangue scuro da una gola squarciata, decisamente, e di gran lunga, sarebbe stato migliore di questo.

Distogli lo sguardo dalla tua immagine riflessa. C'è bellezza, ma appena un accenno di vita in quel viso affilato.

La camera da letto è fiocamente illuminata da un'unica lampada affusolata in un angolo. Ti dirigi a passi lenti e attutiti dalla moquette verso il tuo letto, ancora per poco, immacolato, e inizi a svestirti preparandoti per il prestigioso party a cui sei stato invitato. Il sottile accappatoio blu cade a terra con un piccolo fruscio. Afferri i pantaloni beige dalla piega perfetta adagiati sulla trapunta e li indossi con un gesto rapido, poi inizi ad abbottonare la camicia attillata, premurandoti di lasciare liberi i primi tre bottoni. Ne arrotoli le maniche e infili un gilet scuro. Lo stile semplice da piccolo borghese dei distretti incuriosisce in questo universo di piume di pavone e paillette. I mocassini ti calzano a pennello, prodotti in modello unico specificatamente per te e dono, insieme ai più torbidi dei suoi segreti, di una di quelle tante persone che hai fatto sentire amata per una notte.

Un ultimo complessivo sguardo allo specchio, e la tua mano si ritrova sulla maniglia della porta nero lucido che conduce fuori dal tuo appartamento. Abbassarla ti richiede uno sforzo via via maggiore ogni giorno che passa. Invece, la stringi e inspiri profondamente. Inspiegabilmente ti trovi a chiederti cosa stiano facendo nel tuo distretto in questo preciso momento. Anche se le luci colorate della Capitale rendono difficile notarlo davvero, lo scuro buio invernale è già calato da un po'. Laggiù nel 4 le barche dei pescatori saranno mucchi di puntolini disordinati sull'orizzonte. Le reti in mare, in attesa, e gli occhi ansiosi degli uomini a controllarle di tanto in tanto, nella viscerale speranza che quando verranno recuperate siano piene di pesci grossi e saporiti. E quando nella fredda aria del mattino dopo attraccheranno, solo una piccola parte del loro lavoro sarà esposto al grande mercato, dove le donne sfodereranno i loro migliori sorrisi per tentare di vendere quanto più possono. La maggior parte sarà stipata dritta in qualche camion decorato dallo stemma oro di Panem, e arriverà dritta sulle tavole stracolme di questa città. Forse ci sarà del pesce dal Distretto 4 alla festa a cui stai per partecipare. Al pensiero che il frutto delle fatiche della tua terra nutra gli stomaci dilatati dei capitolini, il disgusto ti assale. Avverti quella ben nota ondata densa e cupa di disperazione tentare di sommergerti e, come sempre, una sola persona può fermarla.

Cerchi di visualizzare il suo sorriso, l'esatta sfumatura di rosso dei suoi capelli, i suoi occhi grandi e buoni, e in essi ancora una volta trovi conforto. E' un proteggervi a vicenda il vostro amore. Gettando in pasto alla Capitale il tuo corpo, proteggi Annie dalla crudeltà dei mostri che si sono messi a dirigere il mondo, e Annie con le sue parole sussurrate, con le sue manine fredde che asciugano le lacrime che non riesci più a trattenere, con quell'incredibile forza che a volte emerge dalla sua debolezza, ti protegge dai mostri dentro la tua testa. Annie è come una di quelle cime che tuo padre ti insegnava ad annodare in un tempo spaventosamente lontano, quando in barca vi allontanavate verso il largo nelle acque turchesi del tuo Distretto. Lei è la corda che ti mantiene legato alla vita. E' sottile, è traballante, si tende spesso, a volte è sul punto di spezzarsi. Ma c'è sempre.

Giri finalmente quella maniglia. Tanto tempo fa, il te stesso di quattordici anni non avrebbe mai pensato che potesse esistere un campo di battaglia peggiore dell'Arena, eppure vi stai scendendo in questo momento. E' la tua guerra, e i soldati muoiono oppure tornano a casa. Sfrecciando in macchina fra quelle infinite lucciole elettriche, pensi alla sensazione della sabbia fra le dita, pensi al modo in cui le onde spumeggianti si infrangono sugli scogli, pensi a volti rassicuranti e gentili. Pensi alla tua casa, e speri soltanto di essere uno di quelli che ritornano.
 

The birds are mocking me
They call to be heard
The birds are mocking me
They curse my return


How am I gonna get myself back home?


Angolo dell'autrice
Grazie per aver letto! <3 Due parole ancora se vi sentite di perdere un altro minuto e mezzo della vostra vita che non riavrete indietro. (jk)
La storia si colloca chiaramente nel periodo prima dei 75esimi Hunger Games, quando Finnick viveva e si prostituiva per obbligo di Snow nella Capitale. Letteralmente solo un tuffo nella mente di un personaggio complesso come lui, che ha vissuto molto più degli HG, molto più della storia d'amore con Annie, molto più della guerra.
Le citazioni a inizio e fine, così come il titolo, vengono dalla canzone dei Bastille "Get Home"
Ringrazio ticci http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=177709 per aver indetto il concorso che mi ha ispirato questa storia, e ricordo a tutti che una recensione di qualsiasi tipo sarà sempre bene accetta! 
Alla prossima internet ;)


 
   
 
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