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Autore: logan_weasley    22/10/2014    1 recensioni
"La ragazza non riusciva più a capire quello che le stava succedendo intorno, aveva la vista annebbiata e sentiva solamente un dolore acuto su tutto l’addome, [...] i suoni iniziarono a farsi più confusi, sentiva la voce di suo padre, ma non riusciva a capire quello che stava dicendo, Conan continuava gridare e piangere. [...] La giovane ragazza cadde nell’oscurità più profonda e si addormentò."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Sonoko Suzuki | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sonno ed Oblio

Ran iniziò a correre a perdifiato seguendo Conan: avevano sentito un urlo agghiacciante provenire dal bagno del ristorante in cui stavano cenando, ed il bambino si era precipitato nella direzione da cui era provenuto il tremendo suono.

La serata era iniziata in modo normale e tranquillo: Kogoro era rientrato a casa presto nel pomeriggio, annunciando che sarebbero andati fuori a mangiare per cena, perché gli avevano appena dato un premio per la risoluzione di un caso abbastanza semplice, ma ben pagato. La figlia aveva proposto di provare il ristorante di cucina tradizionale che avevano aperto da poco e che si trovava proprio dietro l’angolo. Così i tre si erano diretti lì a mangiare, mai avrebbero pensato che sarebbe potuto succedere qualcosa di così terribile.

La ragazza arrivò per prima davanti alla porta del gabinetto, provò ad aprirla, ma non ci riuscì.
«È bloccata!» gridò Kogoro, dopo che, insieme ad altri clienti del ristorante, si era diretto all’entrata del bagno da cui si era sentito l’urlo di una donna. L’uomo provò a sfondarla con una spallata, ma nemmeno lui ebbe successo. Allora, senza troppi indugi, Ran tirò un calcio contro la porta riuscendo ad aprirla e si precipitò all’interno della stanza.

Il gabinetto delle signore si presentava pulito ed ordinato, cinque porte di legno scuro conducevano ad altrettanti servizi igienici e le piastrelle bianche, che coprivano sia il pavimento che le pareti erano splendenti, ma nell’angolo infondo a destra, sotto la finestra spalancata, giaceva il corpo esanime di una donna, all’incirca sulla trentina d’anni, con una folta chioma di capelli biondi, scompigliati e sporchi di sangue. Entrambe le gambe erano in una posizione strana, piegate oltre il limite consentito dalle articolazioni delle ginocchia. Sicuramente erano state spezzate dall’omicida nella speranza di rinchiudere il cadavere da qualche parte. Poco più in là si trovava la salma di un’altra donna, probabilmente doveva essere stata lei ad urlare, dopo aver sorpreso l’assassino impegnato ad occultare le spoglie mortali della sua vittima. Davanti a lei troneggiava la figura di un uomo vestito in modo elegante, alto e snello, con in mano un grosso pugnale ancora sporco del sangue della donna. L’omicida si accorse del chiasso proveniente dal ristorante, si voltò e si accorse delle presenza di Ran ed in preda al panico tentò di fuggire facendosi strada con il pugnale alzato, ma la ragazza non si scansò, anzi gli si lanciò addosso e con una forte ginocchiata mirata allo stomaco stese a terra il malvivente.

«Ran, che è successo?» chiese Kogoro Mori, entrando nel bagno del ristorante.
«Bravissima, lo hai steso! Ma immagino che tu abbia preso proprio un bello spavento» continuò il detective, andando incontro alla figlia, seguito a ruota dal piccolo Conan e da alcuni clienti che volevano controllare quello che era accaduto.
«Papà, non credo di sentirmi molto bene»
«È normale, credo sia lo spav…» ma l’uomo non riuscì a concludere la frase, perché Ran, tenendo entrambe le mani premute sulla pancia, si afflosciò sulle spalle del padre.

La ragazza non riusciva più a capire quello che le stava succedendo intorno, aveva la vista annebbiata e sentiva solamente un dolore acuto su tutto l’addome, le sue mani erano stranamente bagnate ed umide, come se fossero immerse nell’acqua calda. Improvvisamente iniziò a sentire una fastidiosa sensazione di freddo sulla schiena, e poi ebbe l’impressione che qualcuno le stesse sollevando le gambe. Poi anche i suoni iniziarono a farsi più confusi, sentiva la voce di suo padre, ma non riusciva a capire quello che stava dicendo, Conan continuava gridare e piangere. Poi la sirena di un’ambulanza, voci sconosciute, ed infine solo silenzio. Il dolore che stava provando svanì improvvisamente, insieme alle sue ultime sensazioni tattili. La giovane ragazza cadde nell’oscurità più profonda e si addormentò.
 
*

Ran aprì gli occhi, svegliata da un suono regolare che la stava infastidendo da qualche ora, ma solamente adesso era riuscita a sconfiggere il terribile sonno che l’affliggeva.  La ragazza provò ad alzarsi dal letto, ma era uno sforzo troppo grande per lei, così cercò di sollevare almeno collo, ma anche quello non le riuscì. Allora esplorò la stanza in cui si trovava solamente con lo sguardo. Con sua grande sorpresa scoprì di non trovarsi a casa sua, ma era invece in una camera che aveva tutta l’aria di essere una di quelle di una lussuosa clinica privata: delle tendine bianche coprivano una lunga finestra che si affacciava su un corridoio alla sua destra, mentre un’enorme vetrata si affacciava sulla vista cittadina di Tokyo, da lì riusciva a scorgere persino la Torre della città. Davanti a lei invece si trovavano un grosso armadio bianco ed un piccolo divano grigio, dove giacevano addormentati Conan e Sonoko, entrambi avevano il viso segnato da delle profonde occhiaie. Accanto al suo letto, sulla sinistra si trovavano Kogoro Mori, suo padre, anche lui addormentato, con la barba sfatta e delle occhiaie ancora più grandi di quelle dei due ragazzi ed Eri Kisaki, sua madre, elegante come sempre, sembrava meno stanca rispetto agli altri, ma Ran riusciva chiaramente a vedere i segni della preoccupazione sul volto della donna.

Era notte fonda, dalla grande finestra le luci della città illuminavano la sua stanza a giorno. Ma come mai si trovava in una clinica privata? Proprio non riusciva a ricordare quello che era accaduto, ed un forte mal di testa la assalì mentre cercava di ricordarsi come mai fosse stata portata in ospedale. Le uniche immagini che le tornarono alla mente furono quelle di un uomo alto ed elegante con un pugnale in mano, ma nulla di più.
La ragazza cercò di chiamare la sua migliore amica, Conan, suo padre e sua madre per chiedere a loro informazioni e per dirgli che si sentiva bene, che non aveva più bisogno di stare lì, ma non aveva voce, provò più volte, ma il risultato era sempre lo stesso. Ran fu colpita da un’improvvisa sonnolenza, probabilmente si era sforzata troppo, chiuse gli occhi e cadde nuovamente nell’oblio.
 
*

La notte seguente Ran aprì gli occhi di nuovo e trovò davanti a sé una splendida visione: Shinichi. Il ragazzo era addormentato, seduto sulla sedia che suo padre, Kogoro Mori, aveva occupato quando la ragazza si era svegliata per la prima volta dal coma. Provò a chiamarlo, ma la voce non le uscì come la sera precedente, tentò di alzarsi ma anche questa volta fallì nell’impresa. Improvvisamente delle lacrime iniziarono a sgorgare copiose dai suoi occhi, e la ragazza iniziò il suo pianto silenzioso senza riuscire a fermarsi. Era immensamente triste, perché non riusciva a capire quello che le era successo, perché era sicura di aver fatto preoccupare i suoi genitori ed i suoi amici, ma era anche felice perché finalmente, dopo tanto tempo, riusciva a rivedere il viso di Shinichi. Sembrava passato così tanto tempo da quando lo aveva incontrato a Londra.

Sonoko si svegliò. Era rimasta tutta la notte ed il giorno prima in clinica aspettando il risveglio della sua migliore amica. Da quando Ran era stata aggredita aveva passato molto tempo ad accudirla. Tutti i giorni, dopo essere rientrata a casa da scuola, andava sempre a trovarla, le leggeva gli appunti, le raccontava gli ultimi avvenimenti successi in classe, qualche pettegolezzo, le imprese più recenti di Kaito Kid ed altre piccole cose. Appena si accorse che la sua amica era sveglia anche lei si mise a piangere dalla gioia, tutte le immagini degli ultimi due mesi le passarono davanti agli occhi, si alzò dal divanetto su cui era seduta e corse ad abbracciarla.

«Oh Ran» disse commossa Sonoko, che in questo modo svegliò il ragazzo addormentato il quale si accorse subito che qualcosa era cambiato. Quella mattina aveva deciso di prendere nuovamente l’antidoto per l’aptx4869 per parlare un po’ con Ran, i medici avevano detto che sentire delle voci familiari le avrebbe fatto bene ed avrebbero potuto farla rinvenire dallo stato comatoso, per questo aveva deciso di rischiare che il suo corpo si abituasse al farmaco pur di aiutare la ragazza.

«Non ci posso credere» disse il Detective, ed anche lui si unì all’abbraccio. Ran ancora non parlava, ma aveva smesso di piangere e con la poca forza che aveva provò a ricambiare l’abbraccio dei due studenti.

Sonoko uscì dalla stanza ed andò ad avvisare le infermiere del risveglio della ragazza, che a loro volta andarono ad informare della buona notizia il medico curante.

«Ran, non puoi immaginare quanto ero preoccupato per te. Vederti in queste condizioni e non poterti aiutare in alcun modo mi ha distrutto» cominciò il liceale, mentre una fitta ai muscoli di tutto il corpo lo costrinse a trattenere un grido. L’antidoto stava finendo il suo effetto: presto sarebbe tornato ad essere Conan Edogawa.

«Ora devo scappare, ma tu ricordati di quello che ti ho detto a Londra, ricordati di aspettarmi, perché un giorno tornerò e potrò starti vicino per sempre» dopo queste parole Shinichi scoccò un bacio sulla guancia della ragazza ed uscì dalla stanza senza, voltandosi per salutare un’ultima volta la sua amica d’infanzia.

Sonoko, con ancora le lacrime agli occhi, rientrò subito dopo  che il ragazzo se ne fu andato seguita da due infermiere arrivate per fare tutti i controlli di dovere alla paziente appena rinvenuta dal coma.

«Adesso Ran, chiamerò subito tuo padre e tua madre, saranno felicissimi!» esclamò la secondogenita di casa Suzuki, mentre componeva il numero dell’ufficio di Kogoro Mori.
 
***

Erano passati nove giorni dal risveglio di Ran dal coma ed i dottori che la tenevano in cura avevano stabilito che era nelle condizioni di poter tornare a casa ed anche di frequentare la scuola. La ragazza aveva lentamente iniziato a riacquistare la forza necessaria per parlare e muoversi dopo solo un giorno dal suo risveglio, al quarto giorno era riuscita anche ad alzarsi da letto, ma sfortunatamente non era ancora in grado di camminare senza l’ausilio di un bastone o della stampelle.

«Su piccola mia…» disse Kogoro Mori, per incitare la figlia  camminare con più sicurezza.
 «Non è facile camminare con le stampelle! Non sono capace!» esclamò Ran furiosa.
«Ran, è normale che tu faccia fatica a camminare con le stampelle, sei stata a letto tanto tempo» disse Conan con un alone di tristezza nella voce.
«Sì, lo so, ma vorrei che tutto tornasse alla normalità»
«Non preoccuparti, ti ricordi cosa hanno detto i dottori?»
«Sì, che dovrò tenere le stampelle per una settimana e poi dovrei riuscire a camminare senza problemi».

Era una bella giornata di sole, ed alle due del pomeriggio la calura continuava a farsi sentire nonostante fosse già settembre inoltrato. Conan, Kogoro e Ran si trovavano nel parcheggio della clinica privata di Beika, dove Eri Kisaki li stava aspettando in macchina per riportarli a casa.
«Ciao mamma, forza parti!! Non vedo l’ora di ritornare a casa» esclamò raggiante Ran Mori.
 
*

«Sei stato uno stupido!!» sbraitò Ai Haibara.
«Hai usato tre volte, a poca distanza, l’antidoto contro l’aptx4869, ma ti ha dato di volta il cervello? Quelle pastiglie servivano per i casi di emergenza, per le situazioni disperate! Ora la prossima volta che lo dovrai prendere l’effetto durerà solo un’ora!»
«C-Calmati Ai» disse Hiroshi Agasa, cercando di calmare la bambina.
«Questa era situazione disperata, Ran era in coma e parlarle con la voce di Shinichi era l’unica cosa che potessi fare per aiutarla a svegliarsi» spiegò Conan Edogawa.
«Comunque, l’ultima volta che ho preso l’antidoto, il suo effetto è durato per dieci ore…»
«Credo che la sua durata non ti dipenda solamente dal tuo corpo ma anche in parte dalla casualità, una volta è durato solamente poche ore, mentre quando sei andato a Londra, nonostante il lungo viaggio aereo il suo effetto non voleva terminare dopo l’atterraggio…» disse la scienziata, che si era leggermente tranquillizzata rispetto a prima.
«Ammetto che non hai usato a sproposito l’antidoto, ma la prossima volta, invece di  mettere a soqquadro tutta quanta la mia camera per sottrarmi le pillole, chiedi il mio permesso! Intesi?»
«C-Certo».
 
FINE
  
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