Anime & Manga > Inazuma Eleven
Ricorda la storia  |      
Autore: _ M i r a i _    23/10/2014    2 recensioni
[Lula_mattaH is back!!][circa una MInaMana][oltre 4000 parole][AU]
[...]
"– che stai facendo? –
– sto cercando la luce giusta per il quadro – rispose senza guardarlo. Manabe appoggiò la borsa sulla prima cassettiera che vide, a destra dell’entrata.
– sei in ritardo –
– che ore sono? –
– le quattro e trentadue –
– come pretendi che due minuti possano essere definiti un ritardo?! –
– … secondo te è meglio girata verso destra o verso sinistra? –
– non cambiare discorso come se nulla fosse!! –"
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Manabe Jinichirou, Minaho Kazuto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I dipinti erano sparsi per tutto l’istituto.
Non solo la numerosa quantità di essi lasciava chiunque vi entrasse a bocca aperta, erano anche dei quadri stupendi.
Tele intrise di colori, persone, paesaggi e quant’altro decoravano tutte le stanze, aule o no, dando a tutti un meraviglioso spettacolo visivo.
L’idea era stata del preside, grande amante delle arti. Non aveva voluto sentire ragioni, quindi disse che chi voleva avrebbe potuto mettere in bella mostra un proprio quadro in qualsiasi posto desiderasse.
Nemmeno a dirlo, moltissimi studenti avevano partecipato all’idea, riempiendo la struttura di quadri fino a scoppiare. Dalle aule ai laboratori, dalla mensa alla palestra; non c’era quasi più posto per mettere i quadri degli studenti del primo anno.
Chi avrebbe mai detto che in un solo liceo ci fossero così tante persone dedite alla pittura?

Tra tutti, però, spiccava uno soltanto.
Un ragazzo del secondo anno, le cui doti artistiche erano conosciute da tutta la scuola. Un ragazzo i cui quadri superavano tutti quelli degli altri sia per bellezza che per numero. Un ragazzo conosciuto non solo per le sue creazioni, ma anche per l’intelletto e la furbizia.
Un ragazzo il cui nome era sulla bocca di tutti.

– Minaho Kazuto – lesse la targhetta Manabe, freddo, ad alta voce, sistemandosi gli occhiali sul naso e stringendo la tracolla della cartella.
Il dipinto raffigurava un cielo notturno. Non si poteva definire proprio “cielo”: era raffigurata una galassia lontana, con colori rossi e azzurri, punti bianchi e opachi. Sotto di essa vi era una collinetta con delle persone ad ammirare quello spettacolo. I colori e le forme si incastravano perfettamente, dando l’illusione che fosse stato tutto stampato da un’immagine, talmente sembrasse impossibile.
– “Ignoto”, eh?... persino io avrei potuto elaborare questo concetto – mormorò il viola storcendo il naso. “ciò non toglie che sia davvero impressionante” aggiunse mentalmente, rodendosi l’orgoglio.
– dunque… in ogni stanza della scuola c’è almeno un suo quadro. Contando tutte le aule, ufficio del preside, aula magna, palestra, mensa, aula insegnanti, biblioteca e laboratori senza considerare i corridoi…! Questo tizio in quasi due anni ha dipinto più di quarantatré tele completamente diverse ed elaborate. Mi chiedo se sia umanamente possibile… – mormorò sgranando gli occhi.
Si diresse verso il distributore di bibite, prese una lattina d’aranciata, la aprì e cominciò a sorseggiarla, immerso nei suoi pensieri.

Minaho Kazuto, secondo anno, sezione C, il primo di quella, facendo quindi concorrenza anche alle altre, compreso lui. A quanto pareva, esordiva in tutte le materie, specialmente in quelle artistiche. Era stimato e ammirato da tutti, perfino gli insegnanti rimanevano di stucco. Jinichirou strinse il metallo freddo e umido della lattina. Anche con tutte queste informazioni, però, non sapeva quale aspetto avesse. Le classi della sezione C e quelle della sezione E, appunto quella di Manabe, erano ognuna al lato opposto della scuola rispetto all’altra. Per loro era impossibile incontrarsi per i corridoi. Avrebbe potuto vederlo di sfuggita solo in sala mensa, anche se di solito il viola si portava il pranzo da casa e mangiava in classe.
“le probabilità che ho di incontrarlo casualmente sono solo del quattordici percento…” pensò tra sé e sé. Voleva assolutamente incontrarlo, confrontarsi con lui. Gli stava salendo il nervoso. Gettò la lattina vuota nel cestino; ritornò difronte al quadro, non sapendo se provare invidia, ammirazione o disprezzo. Rimase semplicemente a fissarlo, con lo stomaco che gli bruciava ogni minuto di più.

– davvero un bel dipinto, vero? – una voce lo riscosse dai suoi pensieri. Si girò alla sua destra e vide un ragazzo che, come lui, ammirava la tela. Aveva la pelle davvero pallida, occhi verde smeraldo dall’aria vispa e capelli color carota con due ciuffi all’insù, ai lati del capo. Aveva uno strano sorriso. Manabe si rigirò ancora una volta verso il dipinto.
– per quanto mi costi ammetterlo, è davvero spettacolare – rispose, certo che l’altro gli avrebbe chiesto spiegazioni.
– come mai ti costa? – ecco, lo sapeva. Prese fiato e cercò di formulare una frase decente. Assottigliò gli occhi.
– non so il vero motivo. Forse invidia, forse il fatto che sia il ragazzo più famoso della scuola e che spicchi in tutto ciò che fa. Probabilmente mi sbaglierò, ma io credo sia solo uno sbruffone che si crede chissà chi. Magari un giorno si scoprirà che i quadri non sono nemmeno suoi – disse con tono arrogante e fermo, sentendosi subito levare un peso dal petto.

– davvero la pensi così? Non pensavo fossi il tipo da sparlare così apertamente alle spalle degli altri, Manabe-kun – esclamò con un po’ di sorpresa nella voce l’altro, senza far scomparire il sorriso. Il viola era confuso.
– come sai il mio nome? –
– potrà sembrarti strano, ma so relativamente davvero molte cose di te, Manabe Jinichirou. Ti osservo da un po’, sei davvero… interessante. Inoltre, sembriamo avere più cose in comune di quanto tu possa immaginare – il ragazzo si mise la mano destra sotto il viso, reggendo il mento con l’indice e il pollice, mentre scrutava il viola.
“maniaco” fu il primo pensiero di Manabe, che si trattenne a stento dal dirlo in faccia a quel tipo strano. Chissà poi che diamine voleva.
– spiegati meglio – tagliò corto.
– beh, frequentiamo lo stesso anno, siamo i primi nella nostra sezione, entrambi molto competitivi e non siamo mai abbastanza contenti dei risultati che otteniamo – il sorriso del ragazzo si ampliò e anche le labbra dell’altro si incurvarono leggermente. Davvero perspicace. Intrigante.

– vorrà dire che saremo eterni rivali, non che la cosa mi dispiaccia. Mi fa piacere avere qualcuno del mio stesso livello con cui combattere per il primo posto. A proposito, di che sezione sei? – mentì spudoratamente, ma neanche troppo; aveva allungato la mano destra, che l’altro afferrò, stringendola.
– sono Minaho Kazuto, della sezione C. Molto piacere, Manabe-kun –.
... Eh? Impossibile. Sicuramente non era così, non poteva esserlo. Era lui che stava diventando sordo, sì, certo.
– scusa, puoi ripetere? Come ti chiami? Non mi pare di aver capito –
– mi chiamo Minaho Kazuto –
– lo stesso Minaho Kazuto che ha dipinto quel quadro e che è il primo nella sezione C in tutte le materie? Quello di cui ho parlato malissimo fino ad ora? –
– proprio lui –.
… Ok, era fottuto.

– se ti può consolare in molti la pensano come te, solo che nessuno era mai arrivato a dirmelo così schiettamente in faccia. Hai davvero un gran coraggio – continuò l’arancione senza perdere il sorriso. Manabe avrebbe voluto sprofondare sotto le piastrelle grigie del pavimento e oltre pur di togliersi da quella situazione.
– io… ti prego scusami, non sapevo- – cominciò a scusarsi, interrotto poi dalla mano di Kazuto, facente segno di fermarsi. Un luccichio negli occhi verdi.
– ci sarebbe un modo per farti perdonare, se proprio ci tieni a scusarti – disse.
– sarebbe? –
– posa per me. Per un quadro – il bagliore nei suoi occhi a Jinichirou ora sembrava una fiamma ardente, un fuoco che voleva esplodere in un incendio, sebbene non trovasse un’apparente causa per farlo. Sul viso del viola si dipinse un’espressione scocciata e confusa.
– …no – si girò e cominciò a camminare dalla parte opposta del corridoio, ma con uno scatto Kazuto gli era nuovamente davanti.
– perché no? –
– perché- spiegami perché dovrei! – ora era davvero stanco di quel tizio, sebbene fossero passati solo pochi minuti dal loro incontro. Minaho sospirò.

– uh, se proprio la metti su questo piano, ti mostrerò una valida motivazione – la mano destra si infilò nella tasca dei pantaloni, estraendo un oggetto che non si vedeva in giro da anni ormai: un piccolo registratore vocale a cassette grigio.
– immagino tu sappia cosa sia, quindi vado subito al dunque. Questo registratore mi è molto caro, era di mio padre; lo uso sempre durante le lezioni, per non perdermi nulla, sai com’è: nessuno è perfetto –
– dunque? Vuoi darmi una lezione di vita? – sbuffò seccato.
– ci stavo arrivando. Casualmente oggi non ho voluto spegnerlo, quindi ha registrato tutta la conversazione che abbiamo fatto. Sarebbe un bel guaio per te se la cassetta finisse nelle mani sbagliate, Manabe-kun –
– quali ad esempio? – stava vagamente capendo dove voleva andare a parare. Una goccia di sudore freddo gli scese dietro il collo e Minaho intensificò lo sguardo, quasi a intimidirlo.
– diciamo che la cassetta decido di portarla al preside. Lui la ascolta e si offende, dato che non solo hai parlato male di una delle opere a lui più care, ma anche di uno dei suoi alunni più brillanti. Considerando poi che anche tu sei un ragazzo dalle capacità degne di nota, la cosa lo infastidisce ancora di più. In men che non si dica la voce si sparge per la scuola, facendoti guadagnare una pessima fama sia fra gli studenti sia fra i professori. Non penso ti piacerebbe vero? – nel dire il tutto l’arancione non aveva battuto ciglio e il sorriso non era sparito, il tono invariato.
Manabe schioccò la lingua. Come poteva essere sicuro di quello che diceva quello lì? Anche se lo avesse fatto avrebbe potuto dare la cassetta comunque. Ma poi, perché farlo? Lo sguardo smeraldo dell’altro non lo convinceva affatto e il suo cervello era troppo confuso per elaborare qualsiasi cosa.

– p-perché proprio io dovrei posare per un tuo quadro? – balbettò sottopressione, non sapendo davvero cosa dire. Minaho lo squadrò da capo a piedi, poi sorrise, annuendo soddisfatto. Jinichirou era alquanto infastidito e confuso; alzò un sopracciglio.
– semplice, – rispose poi Kazuto – sei proprio il soggetto che cercavo, inoltre, hai una corporatura perfetta. Sembra che tu sia stato cucito sulla tela –.
Ma cosa stava blaterando? Cucito su una tela? Quel ragazzo diventava più strano ogni secondo che passava. Aveva l’impressione che la testa gli sarebbe scoppiata; a casa avrebbe preso subito un’aspirina. E dei calmanti. E qualsiasi altro farmaco che avrebbe potuto trovare in giro.
– ah, stavo per dimenticarmi! Immagino ti piaccia leggere, giusto? – come se non bastasse, cambiava subito discorso. Che tipo.
– beh… sì. Come hai fatto a saperlo? – rispose incerto su cosa dire.
– la tua cartella sembra pesante, visto che la tracolla è molto tirata. Oggi le classi seconde fanno solo mezza giornata, era improbabile che avessi così tanti libri. Oltretutto i libri di testo di quest’anno sono stati resi più leggeri. Scommetto che se controlliamo, avrai almeno un romanzo, che avresti voluto leggere nel tempo perso, come l’intervallo o mentre torni a casa da scuola. Sbaglio? –.
“va bene, dove sono le telecamere?” pensò, quasi ironicamente. Minaho mise le mani in tasca, tirando fuori una penna e un pezzo di carta, sul quale scrisse alcune lettere e dei numeri. Porse il foglietto a Manabe che, con mano leggermente tremante, lo afferrò, leggendo una certa strada di un certo quartiere.
– questo è il mio indirizzo. Vieni a casa mia, questo pomeriggio, verso le quattro e mezza, così posso iniziare a dipingere – disse, poi si girò, intento ad andarsene e lasciare il viola solo a sé stesso, già sul punto di contestare. Dopo qualche passo però, si fermò e si rivolse all’altro.

 
– ricordati di portare un libro. Ma non uno qualunque: uno che rileggeresti milioni e milioni di volte. Ci servirà –.
 

Finì di scrivere il risultato dell’ultima equazione, chiuse il quaderno. Allontanò la sedia dalla scrivania e si stiracchiò la schiena, allungando le braccia. Rimase per un po’ a fissare il soffitto, ripensando a cos’era accaduto la mattina.
– un ragazzo vuole che posi per un suo quadro, sebbene io lo abbia insultato davanti ai suoi occhi. Uh, che schifo di giornata – sussurrò più a sé che ad altri. Sbuffò e si alzò dalla sedia, avvicinandosi all’enorme e strapiena libreria. Fece scorrere l’indice sui titoli dei libri per un po’, fino a quando non si fermò su una scritta rossa, sopra una copertina nera. Un mezzo sorriso gli comparve, leggendo il titolo.
“Misery”, il famoso romanzo di Stephen King. Lo aveva comprato un paio di anni prima, nella libreria che stava in centro. Inizialmente lo aveva attirato il titolo; ne aveva sentito parlare in giro, ma non era sicuro di volerlo cominciare. Leggendo la trama, però, si era ricreduto, comprandolo subito. In una settimana, era già sullo scaffale.
– perché no? È davvero bello – prese un segnalibro -ne aveva davvero tanti da parte- e lo mise nella prima pagina, infilando il libro in una busta di carta blu oceano. Guardò l’orologio a parete, che segnava le quattro in punto. Avrebbe dovuto sbrigarsi: leggendo l’indirizzo, la casa di Minaho non era esattamente vicino.
Fece per aprire la porta della stanza, ma qualcosa lo fermò. Avrebbe potuto trattasi benissimo di uno scherzo, uno di quelli stupidi e infantili. Se sarebbe rimasto a casa il giorno dopo tutto si sarebbe risolto.
Stava davvero per andare a casa sua? Del ragazzo che poche ore prima aveva insultato e con cui non voleva aver nulla a che fare? Strinse i denti.
Alla fine girò la maniglia. Avrebbe solo perso tempo a calcolare le percentuali, quella volta.

 

L’abitazione Minaho era una villetta in stile occidentale a due piani, con dei rampicanti che salivano sulle pareti di mattoni rossi all’esterno, come tante in quella zona della città . Manabe ammise che era davvero graziosa e, soprattutto, normale. Suonò il campanello.
Ad aprire la porta fu una donna dai capelli arancioni; doveva avere sui trent’anni, quaranta al massimo. Appariva come una persona gentile e delicata.
– oh, tu devi essere l’amico di cui mi ha parlato Kazuto. Ha detto che saresti venuto, oggi pomeriggio. Io sono Mitsuyo, Kazuto è mio figlio – si presentò sorridendo dolcemente.
– davvero molto piacere. Io sono Manabe Jinichirou – si inchinò il viola. Cercò di non badare all’”amico” con cui lo aveva definito e accennò un sorriso cordiale. La donna fece segno di entrare e questo obbedì. Successivamente, lei prese tra le mani una borsetta azzurro cielo, appoggiata su un mobile in legno nell’ingresso.
– io ora devo andare, oggi faccio il turno serale in ufficio e devo essere lì presto. Volevo solo che lo sapessi anche tu oltre a Kazuto. Sai, sebbene non sembri, lui odia stare da solo – disse Mitsuyo, facendo sempre più scemare il dolce sorriso sul volto. Anche Manabe percepì un velo di tristezza nel tono della donna.

– probabilmente non saranno affari miei, però… perché odia stare solo? – chiese. Senza nemmeno una particolare ragione, che stupido. Vide con i suoi occhi la donna sobbalzare un poco, per poi fare un sorriso triste e nostalgico. Gli occhi persi nel vuoto. Si pentì di quella domanda.
– … mio marito è morto, circa sette anni fa. Un incidente con la macchina; stava tornando a casa da una mostra d’arte in una prefettura vicina. Io ero a lavoro, stavo ascoltando la radio locale e appena sentii dell’accaduto, il mio primo istinto fu di tornare qui. Kazuto era da solo, non avevamo paura a lasciarlo senza nessuno in casa quando non c’eravamo, sapevamo che era responsabile. – si fermò, fece una risata, che più che per sdrammatizzare le servì per riprendere fiato – Quando aprii la porta, corsi in salotto e vidi Kazuto. Era immobile sul divano, stava guardando il telegiornale della prefettura, stavano passando i nomi delle vittime dell’incidente. Ricordo che non pianse, semplicemente restò muto. Qualche tempo dopo, quando tornai da lavoro, lo trovai rannicchiato per terra, a singhiozzare. Mi abbracciò e mi disse di non lasciarlo solo, perché temeva che sarebbe successo qualcosa anche a me. Adesso, quando resta da solo in casa, penso si chiuda nello studio di suo padre fino al mio ritorno – lo sguardo della donna e quello del ragazzo erano entrambi rivolti verso il basso, una immersa nel passato, l’altro con un nodo alla gola. Quest’ultimo si decise a rompere il silenzio.

– mi scusi, non avrei dovuto farle ricordare certe cose –
– o-oh no, scusami tu! Non avrei dovuto raccontartelo… ah! Sono anche in ritardo! Ora devo scappare. Kazuto è nello studio, sali le scale ed è l’ultima porta infondo. Ciao!! – disse sovrappensiero, uscendo dalla porta di casa e chiudendosela alle spalle. Manabe per un secondo rimase immobile, come in trance, ad ammirare il legno della porta. Pensava.
Si girò verso le scale, a lato dell’ingresso, e salì al piano superiore. C’erano varie stanze, ma lui si diresse verso quella infondo, la prima che aveva visto dai gradini.
Man mano che si avvicinava, sentiva varie emozioni formarsi. Compassione, timore, dispiacere e tristezza. Forse non avrebbe mai voluto sapere il suo passato.
Quella mattina, quando lo aveva conosciuto, non avrebbe mai detto che una persona così amata da tutti avesse sofferto così tanto.

Non bussò, in qualche modo sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno. Aprì la porta lentamente, per poi spalancarla del tutto. L’arancione non si voltò verso di lui, né gli parlò, troppo intento a spostare una grande poltrona in tessuto rosso da un angolo all’altro della stanza.
– che stai facendo? –
– sto cercando la luce giusta per il quadro – rispose senza guardarlo. Manabe appoggiò la borsa sulla prima cassettiera che vide, a destra dell’entrata.
– sei in ritardo –
– che ore sono? –
– le quattro e trentadue –
– come pretendi che due minuti possano essere definiti un ritardo?! –
– … secondo te è meglio girata verso destra o verso sinistra? –
– non cambiare discorso come se nulla fosse!! – in tutta risposta, Minaho sorrise, guardando l’espressione irritata sul volto di Jinichirou.
– ah, va bene così! – mise le mani sui fianchi in una finta scocciatura, forse per alleggerire un po’ l’ambiente, finalmente voltandosi verso il viola – trova una posizione comoda per sederti, ci vorrà un po’. Prendi fuori il libro e inizia pure a leggere, io prendo la tela e tutto il resto –.
Manabe rimase per qualche secondo ad ammirare Minaho mentre, da dietro la scrivania, tirava fuori una tela quadrata, delle matite, colori a tempera e pennelli, appoggiandole man mano sul mobile. Aprì la borsa e ne tirò fuori il libro. Si sedette sulla poltrona, accavallando le gambe e appoggiando i gomiti sui braccioli. Tolse il segnalibro dalla prima pagina e iniziò a leggere.
Kazuto sistemò la tela sul treppiede, prese un piccolo tavolino, su cui appoggiò gli “strumenti da lavoro”, come amava definire gli oggetti che usava per dipingere. Piazzò un piccolo sgabello difronte alla tela, regolò l’altezza. Da un attaccapanni afferrò un grembiule che, sotto tutte quelle macchie di colore, una volta avrebbe dovuto essere bianco. Mentre finiva di allacciarselo dietro la schiena, notò che qualcosa non andava.

Si avvicinò lentamente alla poltrona su cui era seduto l’altro, inginocchiandosi per poter veder meglio. Manabe non lo notò, era già immerso nella lettura. Minaho allungò un braccio e, delicatamente, spostò un ciuffo di capelli violetti dietro l’orecchio di Manabe. Quest’ultimo sgranò gli occhi e arrossì lievemente, mentre l’arancione sorrise.
– c-cosa… perché? – esclamò totalmente imbarazzato.
– hai dei bei lineamenti, i capelli ti vanno davanti al viso e non posso vederli appieno, capisci? – si alzò e prese posto sullo sgabello, iniziando a fare qualche schizzo con la matita.
Non se l’aspettava. Non si aspettava che Minaho potesse avere un tocco così delicato e… piacevole. A scuola, quando si erano dati la stretta di mano, non se ne era minimamente accorto. Era leggero e netto allo stesso tempo, lo faceva sentire strano. Si concentrò tentando di non far affluire il sangue sulle guance, beccandosi un richiamo dall’altro perché aveva una posizione troppo “innaturale e rigida”.
Cercò di contenersi, riprendendo la lettura, anche se, per un bel lasso di tempo, non riuscì a pensare ad altro.

 

Jinichirou finì di leggere l’ultima parola scritta sull’ultima pagina del capitolo, rimase fermo. Non sapeva che fare, Minaho era già passato alle tempere da un po’, ma non sapeva a che punto fosse. Avrebbe voluto parlare, dire qualcosa, ma cosa? Se si fosse mosso in qualsiasi modo, nel peggiore dei casi, avrebbe potuto rovinare il quadro e, eventualmente, far ricominciare tutto daccapo.
Mosse di poco le labbra, cercando di fare meno movimenti possibili.
– ehi… come va? – perché questa frase gli suonava tanto una cosa di cortesia?
– mh, piuttosto bene direi. Ho finito di stendere i colori base, dopo dovrò creare le sfumature. Tu? Senti qualche parte indolenzita? Vuoi fare una pausa? –
– beh, non mi dispiacerebbe – mise il segnalibro, notando di essere già a metà dello scritto. Scrutò l’orologio da polso: erano già le sei meno dieci. Nel mentre, Minaho si tolse il grembiule, al cui si erano aggiunte altre macchie di colore.

– cavolo, quasi un’ora e mezza – si alzò dalla poltrona, barcollando per via della gamba sinistra addormentata. Appoggiò il libro sul mobile dove vi era la sua borsa.
– ehi, ti va un the freddo? Io ho una sete… – propose l’arancione. Manabe assentì e vide l’altro dirigersi verso la porta dello studio. Prima di uscire si girò.
– non azzardarti a guardare il quadro, ok? Non mi piace che qualcuno veda i miei lavori se non sono completi – detto ciò si avviò verso le scale, lasciando la porta aperta. Manabe ne approfittò per osservare meglio la stanza.
Era grande circa come la sua camera e quella dei suoi genitori messe assieme: non immensa ma nemmeno piccola. La carta da parati color crema con dettagli indaco era quasi del tutto coperta da mobili in legno o quadri. La scrivania era in un lato della stanza, quello opposto a dove c’erano la tela e la poltrona.
C’erano un sacco di foto, molte delle quali ritraenti l’uomo che avrebbe essere il padre dell’arancione. Non somigliava per nulla a Minaho, a parte per gli occhi, che apparivano indagatori anche in fotografia.
Voltò la testa verso la tela, avvicinandosi un poco lentamente. La tentazione di guardare si faceva forte, ma poi sentì i passi frettolosi di Kazuto provenire dal corridoio e lasciò perdere.

– non hai sbirciato, vero? – chiese sulla soglia, in una mano aveva due bicchieri di plastica e nell’altra una bottiglia di the appena tirata fuori dal frigo.
– no –
– bugiardo –
– stai zitto! –
Minaho sorrise, porgendo il bicchiere a Manabe – scherzavo, sapevo che non lo avresti fatto –
– ah sì? Come fai ad esserne così sicuro? – osservava la bevanda agitarsi nei bicchieri trasparenti quando l’altro la versava.
– hmm… intuito, diciamo – e si lasciò cadere sui cuscini indaco della seduta incastrata sotto la finestra, fondendosi con il muro. Fece segno a Manabe di sedersi e lui obbedì.
– ti affidi molto al tuo intuito – osservò il viola bevendo un sorso.
– sei tu che dovresti imparare ad usarlo di più – Manabe gonfiò le guance arrossendo e a Kazuto scappò una risata sincera.

– … come mai ti piace così tanto disegnare e dipingere? Voglio dire, hai davvero molte qualità – nel dirlo sentiva sempre di più il suo orgoglio sgretolarsi, frammento per frammento – quindi, perché? –
– … mio padre –.
Dopo alcuni attimi di silenzio, l’arancione sospirò, rigirandosi il bicchiere tra le mani, ormai quasi vuoto. Il sorriso triste che si era creato sul suo volto non gli apparteneva proprio.
– lui… era davvero molto bravo a dipingere. Da piccolo mi piaceva stare qui con lui, mentre dipingeva; mi definivo il suo assistente, perché gli passavo i colori, le matite e i pennelli. Un giorno mi disse: “oggi sarò io il tuo assistente, quindi inizia a dipingere!!”, e da allora non mi sono più fermato. Tutto ciò che so sulla pittura lo devo a lui – il sole stava calando e illuminava i loro visi con la sua luce rossa. Minaho si alzò e prese di nuovo posto sullo sgabello difronte alla tela. Manabe stette per qualche secondo a fissarlo, poi lo seguì, appoggiando sulla scrivania il bicchiere e tornando nella stessa posizione di poco prima, seduto sulla poltrona, con il libro in mano.
Giurò di aver intravisto un leggero luccichio sulla guancia di Kazuto, prima di sedersi, anche se non ci fece molto caso.

 

– allora? Come ti sembra? –
– … –
– non dici nulla perché sei rimasto meravigliato, vero? –
– è… sembra una fotografia – era davvero inquietante come sembrasse reale e come avesse fatto a dipingerlo in così poco tempo. Quel tizio non era normale, ma questo Jinichirou credeva di averlo già intuito. Sebbene cercasse di mantenere un’espressione composta, non riusciva a nascondere un velo di meraviglia.
– domani non abbiamo scuola, quindi farò fare la targhetta da un amico di mia madre, come sempre. Lunedì sarà già bello che in mostra da qualche parte a scuola –
– distruggerai quella cassetta, vero? – chiese in tono scocciato Manabe.
– certo, certo, non preoccuparti – ripose l’altro, facendo un gesto di non curanza con la mano, troppo impegnato a crogiolarsi nella vanità e nella soddisfazione.

Manabe prese le sue cose e i due scesero le scale, seguito dall’altro, arrivando nell’ingresso. Sistemò meglio la tracolla della borsa e controllò l’ora. Le otto e venti. E anche adesso avrebbe fatto meglio a correre.
– beh, io vado allora – fece per voltarsi ma sentì subito una stretta alla manica della felpa, tremante. Guardò Minaho: aveva gli occhi lucidi e la faccia impallidita, guardava verso il basso e si mordeva il labbro inferiore. Solo dopo sembrò accorgersi del gesto improvviso, sussultando.
– io… scusami – lentamente abbassò la mano, lasciando cadere il braccio lungo il fianco. Improvvisamente a Manabe sembrava più lontano da lui fisicamente di quando non fosse.

Un sacco di pensieri affollavano la sua mente ora. Cosa avrebbe fatto? Sarebbe esploso in un pianto isterico, quando sarebbe andato via? Si sarebbe chiuso nello studio a isolarsi dal resto del mondo? Cosa poteva farci?
Indietreggiò di un mezzo passo, facendo strisciare la scarpa sul pavimento. Strinse i pugni, non riuscendo però a girarsi.
“compassione? Che sia compassione? No, non è così. Non mi sentirei così male… Cavolo. Non me la sento proprio di andarmene ma…” pensò nervosamente. Le parole della madre gli riaffiorarono in mente.
“lui odia stare solo.”
… Ah, al diavolo.
– …senti, quando torna tua madre? –
– ah, verso le dieci e mezza –
– e come fai con la cena? –
– beh, mangerò qualcosa di surgelato, cred- – Manabe fece segno di fermarsi, mentre prendeva fuori dalla borsa il cellulare. Compose in numero di casa e aspettò. Uno, due squilli, la cornetta che si alzava. Si girò dal lato opposto a quello di Minaho, in modo che non lo sentisse bene. Dio, se si vergognava.

– sì mamma, sono io. Uh, va bene se rimango a cena da un amico? Tornerò tardi, verso le undici… – disse a voce bassa, ma non abbastanza per sfuggire all’udito sopraffino dell’altro. Cercò di asciugarsi le lacrime che sgorgavano meglio che potè, la bocca semiaperta in una specie di sorriso. Il viola chiuse la chiamata e si girò, rosso in viso.
– ascolta, per te va bene se rimango fin- – venne assalito dall’altro, non finendo la frase. Le braccia di Kazuto lo stringevano in un dolce abbraccio, caldo e delicato. Se prima era rosso, ora era qualcosa simile ad un fuoco.
– grazie – sorrise a contatto della sua maglia.
– s-sia chiaro, lo faccio solo perché mi hai fatto pena – disse sciogliendo l’abbraccio, dirigendosi verso la cucina, sbattendo contro il muro con la gamba, continuando lo stesso a camminare imprecando in silenzio.
– non avevo dubbi – sussurrò malizioso Minaho, sorridendo però sincero.

 

Si sentiva leggermente in imbarazzo a vedere una sua copia esatta appesa nel corridoio della scuola, dove tutti potevano vederlo. Sebbene fosse un ritratto molto - molto - bello, e su questo non si poteva discutere, non nascondeva la sua evidente vergogna. Chissà cosa avrebbero pensato i suoi compagni e qualsiasi altra persona nell’edificio vedendolo appeso al muro. Sarebbe stato meglio ricordarsi di non passare per quel corridoio quando ci sarebbero state le riunioni genitori-insegnanti.

– allora? Sta bene qui, vero? – Minaho sorrideva accanto a lui, arrivato chissà quando. Che strano senso di deja-vu… Manabe sospirò e rispose.
– sì. Hai buttato quella cassetta vero? –
– perché? –
– lo sai il perché!! –
– no, intendevo, perché buttare una cosa che non esiste? –.
Non… esiste…? Oddio, non poteva essere vero. Tutte le opzioni si riducevano ad una sola nella sua mente. La rabbia iniziava a salire e assieme ad essa il sangue ribolliva.
– … cosa? – lo sentì ridere e vide lo sguardo smeraldo intensificarsi.
– dovresti sempre controllare le cose prima di agire, Manabe-kun. La cassetta c’era? –.
Ok, stava di sicuro per commettere un omicidio. Ecco come si sentivano gli assassini prima di commettere il delitto. Fortunatamente oggi la sua cartella era abbastanza pesante.
– … inizia a correre… – intimò, osservando poi una scheggia arancio sparire dietro l’angolo del corridoio, ridendo di gusto.
































Angolino di quella scemotta moooolto lenta a leggere e a scrivere (?)
Fi-nal-men-te. E così anche questa bellissima MinaMana che di MinaMana non ha una fava è andata. *sospir*
Questa cosa l’avevo in mente tipo da… agosto. Avevo iniziata a scriverla, poi mi sono fermata causa la transizione da vacanze a scuola. Poi avevo scritto un altro pezzo un po’ di giorni fa e alla fine l’ho finita. Oggi l’ho corretta, siccome era in cantiere già da qualche settimana. Oltre 4.000 parole gente. Wow (?)
Ho tagliato capelli a settembre. Circa trenta centimetri ma sto bene. Sul serio (?)
Passiamo alle cose che interessano al pubblico però!!
Sono sempre io, quella povera scema che anche se aggiorna una volta al millennio non se ne va mai, come le zecche (?), Lula_mattaH!! Ho solo cambiato nickname e immagine del profilo HIBARI ANF ANF ♥.
Non so se questa fic uscirà stasera o domani ma boh, spero il più presto possibile.
Passando al lato tecnico, i miei finali sbrigativi si fanno risentire. Scusatemi.
Inoltre la cosa della madre di Minaho (che mi sono sbattuta non sapete quanto per trovare il suo nome) alla: “ci siamo appena conosciuti ma ti racconto la storia della mia vita” ma Manabe se l’è cercata, quindi…
Centinaia di errori vagheranno per questa fic ma ok.
E ora, opinioni personali!
Sinceramente, io ce lo vedo Minaho pittore. I pittori e gli artisti in generale sono un po’ strambi e poi questa è un AU. Spero tanto che Minaho non sia OOC però T^T (Manabe è il solito tsun-tsun, quindi non credo di aver commesso errori gravi con lui (?)
Io personalmente amo Minaho e Manabe, quindi volevo scrivere questa cosa, quindi (again) sarei felice se mi diceste cosa ne pensate :)
“nn xdete qst okkaxione!!1!11!!” –cit. (?)
Forse mi rivedrete presto. Ma forse no. Ho ancora un’ ideuzza sul mio headcanon ma shh, tanto non credo arriverà presto.
Avrò dimenticato un casino di cose da dire ma vabbè.
Ciaossu!! *distribuisce peluche di Reborn*
Luli
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: _ M i r a i _