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Autore: helhime    24/10/2014    5 recensioni
Una giovane donna disperata in cerca di aiuto. Un uomo segnato da un passato misterioso, a cui viene offerta un'ultima occasione di riscatto.
Quale anima trascinerà all'inferno il mastino demoniaco?
Questo racconto partecipa al contest "spiriti maligni" del gruppo facebook La crème de la crème di EFP.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   L'erba della brughiera tremava alla carezza del vento come a quella di un amante. Il suo era però un tocco brutale e possessivo.
   Esattamente come dovrebbe essere l'amore, pensò Victor, portandosi alle labbra il bicchiere – l'ennesimo di quella lunga notte.
   La barba di tre giorni, gli occhi scuri segnati dalla stanchezza e dalla sofferenza, avrebbe probabilmente dovuto andarsene a casa a riposare. Eppure qualcosa glielo impediva: una richiesta che non aveva potuto ignorare.
   Anche se non poteva fisicamente andarsene, la sua mente tuttavia continuava a tornare alla vecchia casa sulla collina, ripercorrendo a ritroso i passi che lo avevano portato fino alla locanda del paese. Molte volte era stato sul punto di rinunciare e tornare indietro. Chissà come stava Helena? Aveva mangiato abbastanza quella sera, senza di lui? Victor era sempre angosciato ogni volta che la lasciava da sola per più di poche ore. La immaginò seduta sul pavimento, la tenue luce della luna che faceva risplendere i suoi grandi occhi. Doveva tornare da lei il prima possibile.

   “Signor Price?” Chiese una voce esitante. “Victor Price?”

   Oh, questa è una sorpresa, pensò l'uomo. Forse dovrei fingere di non essere io. Forse dovrei davvero tornare a casa.
   “In persona.” Rispose invece, girandosi con deliberata lentezza verso la persona per la quale era lì quella notte – e che non era esattamente chi si aspettava di incontrare.
   La nuova arrivata era infatti una donna giovane, ma dal viso già segnato dalla sofferenza. I capelli, che un tempo erano stati probabilmente simili a onde di grano, le ricadevano ora sul viso flosci e sbiaditi come girasoli appassiti e in attesa di morire. Esattamente come chi li portava, realizzò incontrandone lo sguardo: blu come un mare in tempesta, i suoi erano gli occhi di chi attendeva la morte come una gradita visitatrice. Victor lo sapeva bene: era la stessa espressione che aveva visto riflessa nello specchio ogni mattina per molti anni, durante la lunga malattia di Helena.
   “Non siete esattamente chi mi aspettavo.” Disse senza mezzi termini.
   “Ovvero un uomo, giusto?” Replicò lei, un'ombra di sorriso che le incurvava le labbra.
   Victor sorrise a sua volta: provava un'istintiva simpatia per quella donna, motivo per cui avrebbe probabilmente dovuto dissuaderla dal proseguire col suo proposito. Eppure, ancora una volta non diede voce ai suoi pensieri, ma proseguì con gli affari come se si fosse trovato davanti un qualche vecchio cacciatore o un nobile arrogante e facoltoso – il genere di persone che di solito si rivolgevano a lui. Suo malgrado, Victor ormai era considerato uno specialista in faccende con cui la brava gente di solito evitava di avere a che fare.
   “Sulla lettera vi siete firmata soltanto con il cognome Gill e l'iniziale C.” Spiegò con calma, tirando fuori di tasca un foglio piegato con cura. “E, stando al suo contenuto, ho pensato che questa missiva provenisse dal marito della donna.”
   “Mia sorella.” La giovane non sorrideva più ora: ogni traccia di emozione le era stata letteralmente strappata dal volto da ricordi dolorosi. “E la C sta per Christina.” Aggiunse, in un sussurro timido, come se la imbarazzasse parlare di sé.
   Ancora una volta, Victor ebbe la tentazione di mandar via la giovane con una qualche scusa. Tuttavia, la verità è che non voleva porre fine al loro incontro: era così tanto tempo che non parlava con qualcuno di cui trovasse tanto istintivamente gradevole la presenza! Purtroppo Helena... Scacciò il pensiero, costringendosi a concentrarsi su Christina e la sua richiesta.
   “Dunque, Madame Gill...”
   “Miss Gill.” Lo corresse lei, ancora una volta con quel tono imbarazzato.
   “Miss Gill.” Ripeté Victor, con un sorriso, cercando di mascherare – persino a sé stesso – la soddisfazione di saperla una donna libera da legami. “Vi rendete conto di cosa ci troveremo ad affrontare? Se – e sottolineo se – ciò che dite nella vostra lettera è vero, ci aspetta un duro e ingrato compito, probabilmente non adatto a...”
   “Non preoccupatevi per me, signor Price.” Lo interruppe Christina, senza però traccia di fastidio nella voce o nei modi. “Mio marito e mio figlio sono morti in mare l'anno scorso, mentre erano a pesca: come vede, non ho nulla da perdere.”
   “Le mie condoglianze.”
   “Non voglio le sue condoglianze, signor Price. Voglio solo che salvi mia sorella Jane: è l'unica cosa che mi rimane a questo mondo.”
   Victor rimase per alcuni attimi in silenzio a osservarla: se voleva mandarla via, questa era la sua ultima possibilità. Gli erano capitati molti casi bizzarri, però il suo era speciale: una cosa che non aveva più visto da molto tempo e che sperava di non dover affrontare mai più. La giovane donna aveva già sofferto molto, ma tutta la sua sofferenza non sarebbe stata nulla in confronto all'orrore che stava per vivere.
   “Se è per il pagamento, non preoccupatevi: mio marito mi ha lasciato un bel po' di quattrini da parte. Dite la cifra, e l'avrete.” Aggiunse Christina, evidentemente interpretando il suo silenzio come desiderio di contrattare. “Mi hanno detto che siete l'unico ad aver sconfitto quella creatura: non so quanto ciò vi sia costato, ma sono disposta a darvi qualunque cosa purché lo facciate di nuovo.”
   “Molto bene, allora.” Decise Victor, scacciando i dubbi dalla sua mente. L'avrebbe aiutata, per una sorta di nostalgia se non per altro. Il dolore di lei era come un vecchio amico che andava a trovare anche lui di tanto in tanto.
   Si alzò dal tavolo di legno, finendo in un sorso il suo scotch da quattro soldi.
   “Portatemi dove lo avete visto l'ultima volta. E, mentre andiamo, vorrei sentire dalla vostra bella voce ciò che già mi avete scritto per lettera.”

   Qualunque altro uomo al suo posto avrebbe riso della storia della vedova Gill. Le persone di buon senso e istruite sapevano che apparizioni e demoni erano soltanto frutto di paure inconsce, e dichiaravano spavaldamente di non credere a simili sciocchezze: eppure Victor sapeva che, quando il buio calava sulla brughiera, persino il più razionale dei dottori iniziava a lanciare sguardi nervosi a qualunque ombra vedesse aggirarsi per quel mare desolato. 
   E il racconto di Christina riguardava proprio una di queste ombre, forse la più funesta di tutte.
   Era iniziato tutto circa un paio di settimane prima. Una sera tarda, quando la donna era uscita a prendere della legna per il fuoco dalla catasta vicino al fienile, aveva sentito il latrato di cane provenire da appena fuori il piccolo cancello di ferro battuto. Si era avvicinata, incuriosita, e aveva incontrato lo sguardo di due orribili occhi scarlatti, lucenti nelle tenebre. Un ringhio, e la creatura era scomparsa. Christina era rimasta scossa, ma avrebbe dimenticato velocemente lo strano episodio, se non fosse stato per il fatto che la sorella minore – di cui lei si occupava da quando i genitori erano morti – era caduta preda di terribili febbri nel giro di un paio di giorni. Mentre il dottore del paese e la sorella stavano notte e giorno al suo capezzale, Jane delirava, parlando di occhi rossi e di un feroce mastino. Christina allora prese a vegliare sull'uscio di casa all'imbrunire, e fece così una terribile scoperta: ogni notte il cane dagli occhi rossi usciva dalla brughiera e si appostava sotto la camera che Jane divideva con lei. Visto tutto ciò, non aveva più avuto alcun dubbio: si trattava di un black dog, venuto a portare nel regno dei morti l'amata sorellina. Ma lei non l'avrebbe permesso.
   Più ascoltava la voce decisa di Christina raccontare quell'orribile vicenda, più si sentiva attratto da lei, come una falena veniva attratta inesorabilmente da una fiamma. Era attratto dal suo dolore, quel dolore che conosceva così bene, che gli era famigliare. Quel dolore che nessun altro poteva capire.
   “Non mi credete, vero?” Chiese infine lei, interrompendo un silenzio durato alcuni minuti.
   “Al contrario.” Rispose Victor, con un sorriso amaro. “Nessuno credo possa capirvi più di me.”
   Il suo sguardo spaziò sulla distesa d'erba alta che li circondava, mentre richiamava alla mente un tempo passato, fatto di innocenza e semplici gioie. Un tempo che gli era stato strappato senza pietà.
   “Tornavo dallo studio di mio padre, quando lo vidi. Il cane infernale mi guardava beffardo, da davanti la porta di casa. Poi, il mese successivo, la mia Helena si ammalò. Eravamo sposati da poco più di un anno.” Si passò una mano sulle labbra, i ricordi che soffocavano la sua voce impedendogli di continuare. “I medici dicevano che non c'era nulla da fare. Ma io sapevo la verità. C'era qualcosa che l'avrebbe salvata.”
   Christina lo prese per mano, senza parlare. Il suo calore gli diede il coraggio di riportare alla vita quei momenti atroci.
   “Andai da ogni mago e strega di cui sentissi parlare, e a tutti posi la stessa domanda: come si uccide il black dog prima che la persona maledetta muoia? Nessuno lo sapeva. Nessuno. Ero disperato. Finché, una sera, mi persi nella brughiera: era notte e solo la luce della luna piena illuminava i miei passi. L'erba alta cantava, e una voce di donna intonava una lenta nenia di accompagnamento: seguii quel suono, come in una trance, consapevole che chiunque avessi trovato avrebbe avuto la risposta che cercavo.” Si interruppe, il suo sguardo che si perdeva nella brughiera silenziosa, esattamente come quella notte lontana. “Trovai una donna. Una donna non di questo mondo.” Mormorò, quasi a sé stesso. “Una donna che corre con le fate nei giorni in cui l'alba è una lancia di luce che trapassa madre terra. Quella donna mi disse tutto sul black dog. Sedemmo su cuscini di foglie rosse a parlare, e all'alba seppi cosa fare.”
   “E dunque avete salvato la vostra Helena?” Chiese con voce sommessa Christina, sempre stringendogli la mano nelle sue. Erano calde e confortanti.
   Per un attimo, Victor fu sul punto di attirarla a sé e portarla via da tutta quella morte. Da quel dolore. Potevano ricominciare. Aveva la sensazione che, se avesse avuto il coraggio di lasciarsi Helena alle spalle, questa volta sarebbe davvero riuscito a cambiare la sorte. Poteva riuscire dove un tempo aveva fallito. Helena. Il suo solo nome gli provocava un dolore lancinante.
   “Ecco, quella è la nostra casa.” Annunciò Christina, indicandogli un edificio semplice, circondato da grandi alberi. L'oscurità lo attanagliava come una morsa.
   Victor esitò. Poteva sentire l'odore della morte, e sapeva perfettamente cosa sarebbe successo. Dopo tanto tempo, il destino lo aveva messo davanti alla creatura da cui la sua intera carriera di cacciatore di mostri e spiriti era cominciata. Se non faceva qualcosa al più presto, il black dog quella notte avrebbe ucciso, ne era certo. Poteva evitarlo? Poteva lasciare una volta e per sempre la sua Helena?
   “Helena...” Mormorò. Una supplica e una preghiera.
   La ragazza che era con lui si voltò, un'espressione di stupore sul volto.
   E lo stupore divenne una smorfia di sofferenza.
   “Non posso.” Sussurrò Victor, in tono di scusa. “Mi dispiace, non posso lasciarmi alle spalle la mia amata Helena. Non posso.”
   Scosse la testa, facendo un passo indietro e lasciando la mano della giovane vedova. Un enorme mastino, sbucato dal nulla, aveva affondato le zanne nella sua carne, stringendole la gamba destra in una morsa terrificante. I suoi occhi rossi erano però fissi su Victor, quasi a sfidarlo.
   Christina, la dolce Christina, non urlava. Non emetteva suono. Una lacrima le rigava il viso, mentre il corpo scivolava verso terra in una silenziosa resa.
   “Tua sorella è salva.” Spiegò Victor, indietreggiando ancora. “Il black dog non era qui per annunciare la sua morte, ma la tua. Ora potrai essere con tuo marito e tuo figlio. Per sempre.”
   Avrebbe voluto baciarla, per la prima e ultima volta, ma non poteva. Doveva andare. Helena. Doveva pensare a Helena. Era troppo tardi per ricominciare una nuova vita. Troppo tardi per lui.
   Corse per la brughiera senza guardarsi indietro. Gli occhi gli bruciavano, ma ormai da lungo tempo non aveva più lacrime da versare. Non provava nemmeno più dolore. L'unica cosa che gli restava era Helena.
   Spalancò la porta di casa, smettendo di correre solo quando fu davanti alla camera da letto della sposa, chiusa da numerosi chiavistelli. Non si fermò a osservare lo stato in cui versavano le altre stanze: l'unica stanza che teneva regolarmente ordinata era quella di lei, anche se sapeva che difficilmente le sarebbe importato. Nulla sembrava importarle. L'unica cosa che voleva era la libertà, ovvero il solo suo desiderio a cui lui non avrebbe mai acconsentito.
   Quando aprì la porta, lei lo accolse con un ringhio, come al solito. La luce della luna, attraverso le grate che impedivano che fuggisse dalla finestra, illuminavano di bagliori sinistri la catena che pendeva dal suo collo.
   Victor si inginocchiò, abbracciandola. Affondò il viso nella pelliccia nera come il carbone, respirando l'odore di notte e di zolfo.
   “Mi sei mancata, Helena.” Mormorò al mastino, ignorando i suoi ringhi.
   Lui non era Helena. Tuttavia, era tutto ciò che gli rimaneva dopo la morte di lei: l'ultimo brandello della sua sposa rimasto sulla terra. Quando, quella notte di molti anni prima, era tornato con la catena magica donatagli dalla donna, Helena era appena morta, il suo volto pallido e sofferente che brillava alla luce della luna. Victor non lo aveva accettato. Non poteva farlo. Aveva incatenato il black dog al muro quella sera stessa, davanti allo sguardo fisso della sua amata. Vederlo ogni notte manteneva fresco il suo dolore – l'unico legame che rimaneva tra lui e Helena. Non gli avrebbe mai permesso di fuggire.
   Non poteva più vivere senza il mastino infernale.
   Per un solo istante si chiese come sarebbe stata la sua vita insieme a Christina. Se avesse liberato il suo black dog per impedire a quello di lei di ucciderla, sarebbero stati felici? Lo avrebbe potuto incatenare a un masso e poi buttarlo in un torrente, dimenticando per sempre tutta quella faccenda. Col tempo, avrebbe dimenticato anche Helena?
   Un gemito disperato gli sfuggì dalle labbra, mentre si rannicchiava contro lo spettro, che lo fissava con odio impotente.
   Non voleva dimenticare Helena. Quella era l'unica cosa che dava un senso alla sua vita.
   Sorridendo, immaginò la sua sposa distesa sul letto, che lo osservava con tenerezza.
   Finché avesse tenuto con sé il black dog, nella sua mente Helena non se ne sarebbe mai andata.
  
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