Un anno colmo di prompt ~ challenge
Nick:
Tecla_ /
Tecla__ su Efp
Fandom: Bleach
Mese: Maggio
Giorno: 19
Prompt: Morte
~
Germogli
e Fumo ~
La mia testa emerge dall’abisso dei miei pensieri giusto
quell’attimo che mi
basta per guardarla in faccia.
Il suo viso era l’immagine più bella che io avessi
mai scrutato.
Mi sento affogare, annegare. Navigo in una dimensione che non
è più la mia. Non
sono morto, non sto vivendo. Fluttuo in un’incessante
rimbombare di suoni,
colori, emozioni.
Emozioni. Il mio cuore scalpita per rincorrere il filo dei miei
pensieri. Mi
sento pieno. Pieno di vita, nonostante io sia ormai prossimo alla morte.
Nichilismo. È questo il mio segno distintivo. Ciò
che mi rende il Quarto
Espada.
Negazione. Il mio corpo si sgretola, a partire dalle mie luttuose
corvine ali
che scompaiono in una nuvola di fuliggine.
Disperazione. Il mio reiatsu
dovrebbe avvilire la
donna ora in piedi davanti a me. Dovrebbe soffocarla, ucciderla.
Nero… e bianco? Per un attimo la vista mi si offusca. I miei
occhi vagano nel
buio mentre cerco di scorgere la sua figura sotto questa luna
lattiginosa. Il
suo corpo è li. I vestiti che io, io le ho porto quella sera
di ciò che sembra
tantissimo tempo fa si stagliano come un’oasi bianca nel bel
mezzo del deserto
della morte.
Il mio primo istinto è quello di abbandonarmi al mio
destino, ma poi qualcosa,
nel suo sguardo, mi suggerisce che dovrei parlarle, parlarle
un’ultima volta
ancora.
Così bella. Orihime
è una principessa. La sua pelle è
tessuto, velluto. È nata, con quel nome. Quel nome che
l’ha per sempre
definita. Donna dal cuore puro. Ragazza intrepida. Donna.
La mia mano si fa strada verso di lei, e, da qualche parte dentro di
me, nutro
la speranza che lei possa afferrarla e avvicinarla al suo cuore. I miei
occhi
verdi si riflettono nei suoi grigi come il mare in tempesta. Germogli e
fumo.
I ruoli si sono invertiti: lei è il sicario, ed io la
vittima. È forse, questo,
amore?
La profondità del suo sguardo mi cattura, rapisce. Sprofondo
nell’oceano della
mia stessa, vuota vita.
Vuoto. Le immagini del mio passato sono sfuocate, indefinite. Le uniche
cose
che ricordo chiaramente sono il riflesso color aurora dei suoi capelli
e la sua
faccia impaurita quando l’ho presa con me. Quando
l’ho ingannata e manipolata,
lavando la sua mente di tutti i pensieri razionali che vi erano
all’interno.
Quanto avrei voluto che i suoi occhi scintillassero per me,
così come hanno
fatto quando ha udito la notizia di quell’umano venuto a
salvarla. In quel
momento, tutto ciò che volevo era ucciderlo. Squartarlo.
Eliminare e sopprimere
quell’idiota dai capelli arancioni insieme con
l’ultimo bagliore di speranza
che le era rimasto. L’avrei svuotata. Annichilita. E i
pensieri sarebbero
fuoriusciti dalla sua mente come il sangue dalle ferite di quella
spazzatura
che io mi sarei preoccupato di uccidere.
Solo ora mi rendo conto di tutto ciò. Solo ora capisco che
anche io, seppur da
morto, seppur da assassino, seppur da fallace anima menzognera, un
cuore l’ho
sempre avuto. Forse non è dove convenzionalmente si crede
che debba essere.
Anzi no, sicuramente. In quel luogo dove quando ero in vita si trovava
la
macchina che pompava sangue alle mie cellule, ora vi è un
enorme, vuoto, buco.
Una voragine causata dalla presa di conoscenza. Un abisso riempito
dalle sue
parole e dalla sua presenza.
Forse il mio cuore si trova proprio tra le sue mani, la sinistra che si
appoggia ora sul suo petto, e la destra che le si sovrappone come a
tenerla
ferma, a sigillarla lì dov’è, e dove
sempre sarà.
La sto spaventando? Questo pensiero mi assilla, e non appena lo domando
a lei,
il sollievo quasi mi avvolge nel sentirla negare docilmente; le sue
labbra poi
sigillate, quasi a non voler rompere la bolla di silenzio e
comprensione di cui
ci siamo avvolti.
È così bella, Orihime,
in questo momento. Le gambe
leggermente sfaldate, il piede sinistro che supera il destro come
volesse
avvicinarsi a me. Sento i guaiti di quel cane che si lamenta per il
modo in cui
ha posto fine alla mia seconda vita, ma non lo ascolto con dovuta
attenzione.
Il mio interesse in lui è ormai svanito. So già
cos’è capace di fare, so già
fino a che punto potrà arrivare.
Continuo a concentrarmi su di lei, lei che mi guarda con la stessa
espressione
che aveva quel giorno, nelle sue stanze. Quel giorno in cui
l’ho quasi derisa
per la sua fin troppo romantica visione del mondo. Ricordo che le
domandai dove
stesse, effettivamente, quel suo cuore che lei tanto acclamava e
difendeva,
quel suo amore in cui tanto sperava. L’avrei trovato, le
chiesi, se le avessi
aperto il petto? L’avrei trovato, se le avessi strappato le
ossa dal corpo?
Solo ora mi accorgo di aver passato la mia intera esistenza nel torto.
Le mie
intere convinzioni mandate all’aria nel giro di una lotta
interiore con me
stesso. Il mio cuore… il mio cuore adesso aleggia intorno a
lei. E forse, forse
il suo avrei sempre potuto vederlo, se solo avessi aperto la mia mente
prima di
doverle dire addio.
Il mio occhio non poteva scorgerlo, ma la mia anima si è ora
intrecciata ad
esso in una maniera quasi indissolubile. Ora lo vedo. Questa cosa che
sento
gravare nella mia mano, questo peso è il suo cuore.
Il mio corpo decade sempre più in fretta. La mia mano si
sbriciola nel momento
in cui lei tenta di afferrarla. Ormai sono troppo lontano. Lei
è
irraggiungibile, io sono irraggiungibile. Ma io ho lei e lei ha me.
Continuo a
guardarla. Non distolgo lo sguardo da lei nemmeno quando di me
è rimasta solo
la faccia. Voglio che il suo viso sia ben impresso nei miei ricordi per
poter
affrontare ciò che mi aspetta. Mi pare quasi di riuscire a
scorgere una lacrima
percorrerle il viso, prima che tutto diventi niente.
Il suo viso scompare, e tutto ad un tratto sono avvolto da una scura
foschia
impenetrabile. È questo che c’è oltre
la morte dell’anima? Non riesco a
spiegarmelo. Ho vissuto la mia intera esistenza brancolando nel nulla,
ed ora
che vi ci sono avvolto, mi sento quasi fuori luogo, sbagliato. La mia
testa, o
ciò che ne rimane, è estremamente pesante.
Ondeggia lentamente e mi dà le
vertigini. Come se stessi affogando, cerco la superficie in mezzo al
buio, è
ormai forte la convinzione che sia questo ciò che mi spetti:
destinato a
condurre un'infinita esistenza all'oscuro di tutto, tagliato fuori dai
miei
stessi ricordi, dai miei stessi pensieri.
Sto quasi per lasciarmi andare nella morsa della disperazione quando un
lieve
bagliore si accende. Il suo viso risplende in fondo alla mia mente,
abbagliandomi
sempre più mentre mi avvicino a lei. Le sue labbra accennano
un debole sorriso.
È qui, davanti a me, e mi tende la mano.
I miei occhi tornano a specchiarsi nei suoi e siamo di nuovo verde
all’interno
del grigio.
Morte illuminata da vita.
La mia anima è morta.
Ma noi due siamo tornati ad essere germogli e fumo.
"Possiedo
un cuore dunque invidio,
possiedo un cuore dunque divoro,
possiedo un cuore dunque depredo,
possiedo un cuore dunque sono pigro,
possiedo un cuore dunque sono superbo,
possiedo un cuore dunque mi adiro,
possiedo un cuore dunque desidero tutto di te."
"Hearts, you say? You Humans are always so
quick
to speak of such things.
As though you carry your hearts in the very palms of your hands.
But this eye of mine perceives all. There is nothing that it overlooks.
If this eye cannot see a thing, then it does not exist.
That is the assumption under which I have always fought.
What is this "heart"? If I tear open that chest of yours, will I see
it there?
If I smash open that skull of yours, will I see it there?"