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Autore: summers001    24/10/2014    6 recensioni
"Chiedo il permesso di salire a bordo!" disse Emma a testa bassa nascondendo un ghigno sotto al mantello blu, camminando sul pontile di quella nave che conosceva assai bene. Non lo sapeva che il permesso si chiedeva prima di essere lì, perché per lei era una formalità. Lei chiedeva solo per cortesia, perché poteva prendersi tutto quello che voleva e nessuno le aveva mai detto no.
"Permesso negato!" rispose cattivo il capitano, col sorriso da spaccone di uno che puntava la sua preda fresca e giovane da umiliare. Scese allora le scale abbandonando il timone. Emma vide gli stivali di pelle scura e il cappotto lungo e nero avvicinarsi e nascose ancor di più il viso, solo per un attimo ansiosa. "Chi diavolo sei tu comunque?". Killian Jones le si avvicinò ed in un gesto veloce le tolse il cappuccio, scoprendole le testa. Vide i capelli lunghi e biondi che avrebbe riconosciuto anche da lontano, anche dopo mille anni, e poi la faccia seria di lei. "Swan!" riuscì a bisbigliare sbigottito.

Princess!AU, Captain Swan, Three-Shot
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The royal court'
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A sei anni di distanza, la salute del re stava peggiorando giorno dopo giorno e così anche il suo regno, che diventava sempre più povero ed affamato.

La regina era con lui per la maggior parte della sua giornata, lo aiutava a venir fuori dal letto, a mangiare con gli altri, tollerava il suo mal umore e cercava in tutti i modi di rendere piacevole la sua giornata.
Gli obblighi reali erano ormai passati pesantemente ed ufficiosamente ad Emma e sua madre. Entrambe non vedevano l'ora di uscir fuori dalla sala del trono. La principessa sedeva a quel che era il posto di sua madre, che invece occupava il trono del re. Erano obbligate ogni giorno per due ore al giorno ad ascoltare le richieste della popolazione. Per i sudditi quel tempo addirittura poco. Molti restavano in file ordinate fuori alle porte del castello anche per più giorni di fila pur di riuscire a parlare col re e la regina, magri, sempre più magri, ormai abituati a saltare tutti i pasti della giornata. Emma invece s'agitava sulla sedia, non ascoltava, guardava fuori dalla finestra le nuvole ed il mare in lontananza.
C'era una donna davanti a lei, con suo figlio pelle ed ossa, chiedevano grano, solo grano, duecento o trecento grammi sarebbero bastati per una settimana nella sua famiglia. Ci avrebbero fatto il pane, aggiungendo molta acqua, sarebbe stato molliccio ma avrebbe visto almeno un po' di carne sulle costole dei suoi bambini.
"Santo cielo!" cominciò Emma mettendosi una mano sulla fronte ed abbassando lo sguardo infastidita, annoiata, disforica. La contadina strinse suo figlio tra le braccia ed indietreggiò impaurita. A volte il popolo mostrava ancora la paura del regno della regina cattiva.
"Emma!" la rimproverò sua madre a bassa voce.
"Non c'è niente anche qui!" rispose alla fine lei irritata, alzandosi e rivolgendosi alla donna che altro non aveva chiesto che un piccolo aiuto. Il suo cervello bolliva, non sopportava più niente di tutto quello: gli obblighi, i doveri, il castigo di una vita non libera, dover restare lì, non poter salpare. Negli ultimi anni era cambiata da un momento all'altro, indurita, incattivita.
"Emma!" insistette Biancaneve, sporgendosi dal trono in avanti verso di lei.
"Cosa?" chiese allora lei urlando . "Cosa vogliono? Che ci affamiamo noi al posto loro? Che affamiamo Neal? La nostra servitù?" disse usando quella parola che sua madre odiava tanto.
La contadina corse via dietro le due guardie che sorvegliavano l'ingresso, protetta dietro l'angolo del muro che la principessa non avrebbe mai oltrepassato.
Biancaneve era furiosa con sua figlia. Fece avvicinare una guardia e sottovoce chiese di dispensare per ogni suddito che era fuori alle porte del castello un chilo del loro grano migliore e di chiamare il guaritore e le fate per assistere suo marito. Appena si liberò cominciò a seguire sua figlia che era corsa a grandi passi su per una torre,verso nella sua stanza.
"Emma!" la chiamò sua madre "Emma!" ma lei non si fermava e correva. Biancaneve fece segno ad una guardia che stava poco davanti a lei di pararsi davanti e quella la bloccò, mentre lei s'agitò frustrata. La regina raggiunse finalmente sua figlia e la afferrò per il polso. "Il regno prenderà te d'esempio, signorina!" disse lei sgridandola.
Emma sbuffò scettica e cercò di divincolarsi per andar via, ma la presa di sua madre era forte.
"Che cosa ti è successo?" chiese Biancaneve.
"Non sono più sicura di volerlo farlo!" ammise arresa lei alla fine e s'afflosciò a terra quasi piangendo davanti ai piedi di sua madre.

 

"Io, Emma Swan, principessa della Foresta Incantata, rinuncio all'ascesa al trono che mi spetta per diritto di nascita e designo mio fratello Neal come mio diretto successore per il bene del regno e dei suoi sudditi. La principessa Em..."

Aveva il polso tremolante dalla fretta, ma mai era stata più sicura di quello che stava facendo. Intingeva la penna nel calamaio e scriveva, veloce quanto più potesse, non poteva restare lì ancora molto tempo: suo padre era sempre più malato ed era ormai da quel mattino, che sorgeva all'alba dei suoi ventisei anni, che uno stuolo di medici e fate s'era riunito al suo capezzale per aiutarlo a rilassarsi e superare il baratro tra la vita e la morte senza dolore né pentimenti.
Emma era corsa allora nella sua stanza, s'era fatta portare pergamene ed inchiostro, aveva scritto tutto di corsa per evitare ormai in prossimità della vigilia della sua incoronazione la prigionia di quella vita che la sua nascita aveva scelto per lei.
Una goccia d'inchiostro le macchiò la carta prima che potesse firmare. Alzò gli occhi alla finestra e vide il mare
"Principessa," la chiamò Graham battendo con le nocche davanti alle porte della sua stanza "il re vostro padre chiede di voi!"
"Maledizione!" mormorò tra sé e sé. Lasciò andare la penna e decise che sarebbe tornata più tardi per continuare e firmare. Ringraziò la sua guardia e volò di corsa nelle stanze reali, quelle che a breve sarebbero potute diventare le sue, pensò con una fitta di dolore e malinconia.
Il re David era nel letto coperto da lenzuola dorate ed un drappo rosso che gli copriva i piedi. "Lasciateci soli." mormorò lui con un fil di voce. Le lacrime di Emma erano ormai sull'orlo delle sue ciglia e solo quando tutti se ne furono andati concesse alla sua compostezza il lusso di poter farne cadere una sul volto, singhiozzando.
"Emma!" disse lui allungandole la mano che lei si precipitò ad afferrare.
"Padre!" sospirò lei, portandosi la sua mano sulla guancia e strofinandola tra le sue.
"Emma, sei bella come tua madre!" disse lui, cercando di allungare un dito e sfiorarle il naso come faceva sempre quando la principessa era piccola e la chiamava e lei correva dai giardini per incontrarlo, mentre un altro bambino raccoglieva i giochi che lei aveva lasciato cadere via. Ed il re padre si abbassava alla sua altezza le sfiorava il naso, lo rubava e glielo restituiva alla fine con un bacio.
Emma sorrise tra le lacrime. Ricordava benissimo quei giorni in cui della regina Biancaneve si diceva "la più bella del reame".
"Emma," la voce era sempre più un soffio e faceva male ad entrambi "devi farmi una promessa." chiese lui impotente ed inerme.
"Qualunque cosa, padre!"
Pochi minuti dopo un colpo di tosse ed uno sputo di sangue richiamarono la regina e gli assistenti al suo capezzale. La mano di Emma venne allontanata per far passare i curatori. Emma si vide allontanata da uno stuolo di persone che le impedivano di tener ferma la mano del padre tra le sue, consolarlo, accompagnarlo. Lei sapeva che lui l'avrebbe preferita a tutti gli altri. Non staccò gli occhi da lui fin quando, arrabbiata dal fondo della stanza, lo vide agitarsi un'ultima volta ed esalare l'ultimo respiro.
Un vociare frastornante e veloce cominciò nella stanza: medici, servi, reali, dame, gentiluomini, tutti bisbigliavano fra di loro e la guardavano sotto le ciglia e lei voleva solo scappare e piangere, urlare, disperarsi finché non si fosse abituata al dolore, finché il suo viso ed il suo corpo non avessero preso la forma dello strazio che la stava affliggendo.
Improvvisamente una guardia batté col bastone, grande, spesso, dorato, sulla pietra del pavimento ed annunciò. "Il re è morto!". Il rito si ripeté per ogni guardia posta nei corridoi, sulle torri, nei giardini, nel paese, come un effetto domino, inarrestabile, opprimente, una furia implacabile, un fiume senza argini, e tutto il regno seppe: il suo re era morto. Il dolore non faceva altro che aumentare ed aumentare. L'annuncio placò le voci ed Emma poté sentire solo il suono del suo respiro affannoso e disperato. Incrociò per un attimo gli occhi umidi di sua madre, che sapeva cosa sarebbe arrivato poi e si ricordò quando successe anche a lei col re suo padre.. Il secondo annuncio ebbe un effetto diverso sulla principessa.
"Lunga vita alla regina!" fu l'ultima onda di notizie.
Emma si sentì allora travolta. Se prima faceva solo male, ora uccideva, opprimeva, non lasciava respiro.
Un'ultima onda si levò ed il mondo cominciò ad inchinarsi ai suoi piedi: merletti e seta di vestiti toccarono terra, ginocchia piegate e teste chine erano tutto quello che la principessa, ormai quasi regina, riusciva a vedere.

 

 

Erano stati cuciti vestiti neri per un'intera settimana.

In precedenza la regina Biancaneve s'era rifiutata di rinunciare a suo marito ed aveva proibito che stoffa nera venisse utilizzata in tutto il reame. Dopo la morte del re, le sarte invece ebbero un gran da fare. Una mattina, dopo appena sette giorni, furono portati abiti funerei per la famiglia reale. Emma guardava il suo perplessa, appeso all'anta dell'armadio, sospirando di tanto in tanto. Ormai s'era abituata agli occhi gonfi e le lacrime sul cuscino di notte quando tornava a dormire. Di giorno non riusciva a restare nel castello: non tollerava i pianti strazianti di sua madre, che non faceva niente per soffocarli. La sua servitù aspettava ore con piatti freddi nelle mani davanti alla sua porta chiusa. Allora Emma evadeva e si nascondeva tra il popolo, vagando, percorreva i giardini ed a volte guardava il mare.
Si decise a vestirsi e scese nella grande ala del castello dove era deciso si sarebbe verificato il rito funebre. Il popolo era in raccolta nei giardini, nei fienili, nelle cucine, tra i corridoi, nelle loro case. Era stato aperto il castello a tutti coloro che avessero conosciuto il re di persona. Emma capì solo allora quanto il popolo avesse amato il suo re e si commosse. Cominciò a passeggiare nei corridoi cercando un angolo buio in cui potersi nascondere ed aspettare la grande assente, sua madre, prima che i riti cominciassero.
Qualcuno di tanto in tanto bisbigliava "La regina!" e dava gomitate al suo vicino perché si chinasse ed allora Emma vedeva altre teste, altri veli, altre parrucche.
"Mio fratello sarà re, non io!" rispondeva allora di tanto in tanto e scappava e cercava di ricordare quello che suo padre le aveva fatto promettere. Teneva i palmi premute sulle tempie ed ignorava, ci provava. Era un assedio, nel giorno più brutto, alla fine del regno.
"Stai bene, sorella?" le mani grandi e cresciute di Neal le circondarono le dita, la sua voce a metà tra quella sottile del bambino e roca dell'adolescente la richiamò al mondo fuori. Emma aprì gli occhi quasi spaventata. Il sole la colpì dritta nelle pupille ed allontanò lo sguardo infastidita. Fece sì con la testa e deglutì. Voltò il capo verso l'esterno e notò appena nuvole scure. Aguzzò la vista e delle vele nere si fecero spazio tra la nebbia opaca sul mare.
Si voltò di nuovo verso suo fratello e gli diede un bacio sulla fronte e l'abbracciò per rassicurarlo. Neal si fece abbracciare e strinse sua sorella di sua volta, chiuse gli occhi e le ciglia scure picchiettarono sul vestito nero di lei.
"Come sei diventato alto!" gli disse lei sorridendogli ed abbracciandolo di nuovo.

 

 

Il mantello le copriva il volto solo per metà. I capelli biondi erano nascosti dalle pieghe del tessuto, con una mano lo teneva fermo sugli occhi perché non la scoprisse troppo.

Emma si mischiò alla folla che abbandonava il castello quella stessa sera e si allontanò stringendo tra le mani un paio di ciondoli che aveva appesi al collo e che le avrebbero ricordato casa sua ovunque sarebbe stata, ovunque sarebbe andata. Provava paura ed uno spaventoso ed invitante senso di liberazione.
Raggiunse il molo in un batti baleno, prima che al castello potessero rendersene conto, prima che la nave lasciasse il porto. La puzza di pesce e di sale era inconfondibile. Si avviò quindi sulla passerella, salì quei primi grandini prima di raggiungere il pavimento di legno ed il parapetto giallo. Era ancora come se la ricordava, non era stata nemmeno riverniciata. A capo chino riusciva a vedere qualche stivale, piedi, gambe grassoccie ed altre muscolose che le si muovevano attorno e la circondavano.
"Chiedo il permesso di salire a bordo!" disse Emma prima che qualcun altro potesse parlare, ancora a testa bassa nascondendo un ghigno sotto al mantello blu, camminando sul pontile di quella nave che conosceva assai bene, facendosi spazio tra la gente coi semplici passi. Non sapeva che il permesso si chiedeva prima di essere lì, perché per lei era una formalità. Lei chiedeva solo per cortesia, perché poteva prendersi tutto quello che voleva e nessuno le aveva mai detto no.
"Permesso negato!" rispose cattivo il capitano, comparso dal nulla col sorriso da spaccone di uno che puntava la sua preda fresca e giovane da umiliare. Scese allora le scale abbandonando il timone. Emma vide gli stivali di pelle scura e il cappotto lungo e nero avvicinarsi e nascose ancor di più il viso, solo per un attimo ansiosa. "Chi diavolo sei tu comunque?". Killian Jones le si avvicinò ed in un gesto veloce le tolse il cappuccio, scoprendole le testa. Vide i capelli lunghi e biondi che avrebbe riconosciuto anche da lontano, anche dopo mille anni, e poi la faccia seria di lei. "Swan!" riuscì a bisbigliare sbigottito.
I suoi occhi erano azzurri e brillavano al sole come non mai. Avevano il riflesso del mare ed erano vivi come quand'era ragazzo e giocavano con le spade di legno persi in un prato verde. Era vestito di pelle nera e questo era diverso da qualsiasi cosa Emma potesse mai aspettarsi. Portava degli orecchini ed una collana appesa al petto. La sua pelle era rosea, i capelli spettinati dal vento, opachi ed increspati di salsedine. Quasi volle correre verso di lui, mossa da un vecchio spirito che credeva di aver soppresso già dagli ultimi anni della sua permanenza a palazzo. Si ricordò solo allora di suo padre, della bara di vetro che aveva visto scendere nel terreno. Il lutto si fece vivo come senso di colpa per la stupida felicità che l'aveva pervasa.
"Santi numi!" cominciò uno tra i marinai, tra i pirati. Emma allora si riscosse dai suoi pensieri e si voltò verso uno dei tanti.
"E' la regina!" seguì a ruota un altro.
"La regina? Biancaneve?"
"Non quella regina, stupido baccalà! E' la figlia, il re è morto."
"Non è la regina!" protestò lei a quella nenia che aveva imparato ormai a memoria, forse soltanto più colorita del solito.
"Mi dispiace." sussurrò sbalordito il capitano, mentre la sua voce veniva coperta dalle altre. Il suo volto era triste, empatico. Emma strinse le labbra e non era sicura di aver capito bene, ma fece segno di no con la testa, non fa niente, non preoccuparti.
"Sulla pedana!" urlò poi uno.
"Siamo al porto!" replicò un altro.
"Riscatto!" fece allora uno di quelli che l'aveva riconosciuta per primo.
Emma si guardò attorno e quasi si sentì smarrita. Gli anni di vita come principessa le avevano insegnato però a non mostrare mai le proprie emozioni, ad avere sempre quell'espressione risoluta sul viso che contraddistingueva lei e suo fratello. Si guardò attorno e sembrò sprezzante, quasi come a provare pietà di tante anime perse.
Killian invece dall'altro lato aveva riconosciuto la maschera che l'aveva allontanata da lui giorno dopo giorno. Lo aveva portato a tessersi addosso un carattere nuovo e diverso da quello che lei conosceva, con il quale replicò ai suoi occhi e tenne calmi contemporaneamente la sua ciurma di manigoldi.
"Che ci fa, allora, una principessa sulla mia nave?" cominciò col tono di voce che quei marinai chiedevano da lui. "Noi non siamo famosi per l'accoglienza ai reali, soprattutto con quelli che ci hanno cacciato via dal regno!"
Emma a quel gioco era più dura di lui e cominciò a giocare. Intanto tutto ciò che al principio li aveva separati crescendo riemerse potente. "Ti ho salvato la vita," urlò allora "se l'avesse saputo mio padre ti avrebbe fatto tagliare la testa come quella regina di cuori." Una fitta di dolore le attraversò il petto a chiedersi cosa suo padre avrebbe o non avrebbe fatto.
Killian però era cambiato. Per anni l'alto rango di lei gli aveva fatto tenere la testa bassa e la bocca cucita. Il mare, l'alcol, la sregolatezza, le compagnie, il non dover stare a nessuna regola se non alle proprie, avevano insegnato all'uomo che era diventato invece a non doversi trattenere nulla di quel che voleva. "Ah, dovrei ringraziarti?"
"Esatto!" disse lei quasi spiazzata.
"Swan, Emma," si corresse e s'avvicinò a lei. Emma quasi ne rimase intimorita ma pietrificata dalla ligia educazione. Killian le si avvicinò e le prese una ciocca di capelli spostandogliela dietro all'orecchio. La trattò come una qualunque, una tra tante, come le tante che si portava tra i corridoi del castello. "qui comando io e tu scendi da questa nave, se non vuoi soddisfare le pretese di tutta la mia ciurma!" disse malizioso, indicando gli altri che s'infogliavano.
"No." rispose semplice e risoluta.
"No?"
"Io decido cosa faccio, dove vado, come ci vado, tu ti assicuri di non metterti davanti ai piedi o vi faccio arrestare tutti." I pirati erano al cospetto della principessa, quella che detta ordini, che intima gli altri ad obbedirle, che intimorisce chi le si para davanti.
Killian rise. Aveva visto tutti quei reali da lontano, aveva studiato mosse, sguardi, parole. Ed in più sapeva riconoscere un bluff. S'era ripromesso anche che non si sarebbe fatto spaventare da nessuno di loro mai più. "E come credi di fare? Sei su una nave, piena di pirati... Che non vedono una donna da molti anni oserei dire," ripeté il concetto forse per spaventarla, spaventato anche lui dalla sua presenza "se il signor Spugna conferma!" concluse allora indicando un uomo grassoccio nascosti da tutti, che fece solo un cenno di sì col capo. Killian fece allora un segno col mento e tutti i pirati le furono attorno, accerchiandola, stringendola, costringendola.
Emma prese un respiro profondo allora e dettò. "Così stanno le cose: nessuno di voi mi torcerà un capello, tu" disse indicando Killian "ti assicurerai che chiunque lo faccia cada da quella dannatissima pedana o calcerò il tuo culo strizzato nella pelle così forte da farti vomitare."
Il capitano sorrise soddisfatto e fiero. Quella era la sua donna, quella che aveva amato fin dal principio. Capì che ogni tentativo sarebbe stato inutile, l'avrebbe lasciata fare, l'avrebbe lasciata a bordo se tanto ci teneva. Se l'era dimenticata, così forte. La rabbia che gli era nata dentro per quel ceto gli aveva fatto dimenticare ogni singolo motivo per cui s'era innamorato della sua Emma e solo allora lei cominciò a brillare di nuovo: i capelli biondi al sole, gli occhi verdi che gli ricordavano il prato dove giocavano da ragazzini.
"Dove stai andando?" disse poi risvegliandosi da quella epifania, rincorrendo lei che aveva tirato dritta di volata verso la porticina che portava sotto coperta.
"Nella mia cabina." rispose lei secca.
"Solo il capitano ha una cabina." fece lui afferrandola per il braccio. Il calore del suo braccio nudo lo fece ritrarre.
"Allora prendo la tua."
La nave salpò allora portando la principessa lontano.

 

 

La Jolly Roger attraccava spesso per fare rifornimenti. I pirati erano tanti, il cibo sempre poco, l'acqua ed il rhum ancor meno.

Emma sedeva sul parapetto della nave, ormeggiata al buio di notte e guardava i marinai andare e venire dal porto, le persone vivere, ridere, muoversi brulicanti nell'ombra: la foresta incantata sembrava viva. Agitava un piede nel vento, un po' nervosa, un po' triste. Aveva lasciato l'abito nero di pizzi e merletti in un armadio, mentre il suo nuovo abbigliamento di fortuna era dotato solo di pantaloni da uomo bianchi, probabilmente di una vecchia uniforme della marina militare e una camicia nera da pirata.
"Capitano!" un pirata chiamò di lontano, facendo cenno con la mano al suo interlocutore di avvicinarsi e stare tra loro. Killian alzò il palmo, chiedendo scusa per l'assenza programmata che avrebbe fatto. Si diresse invece da Emma che aveva seguito tutto con la coda degli occhi ed un filo dello sguardo.
"Non ti unisci alla tua ciurma?" chiese quando l'ombra di lui le coprì la luce che le veniva da dietro dalla luna.
"E tu non vuoi vedere il tuo regno?" domandò allora lui di rimando.
"Conosco già il mio regno!" rispose lei duramente. Ogni volta che parlava con lui le vecchie abitudini tornavano ed Emma ricordava solo la persona che lui era stato negli ultimi periodi, l'adulto che era diventato.
"Ne sei sicura?" la voce di lui era seria tanto quanto quella di lei. Forse vi si poteva leggere anche un filo di rabbia, simile a quello della popolana timorosa che qualche tempo prima si era recata a palazzo a chieder udienza solo per un tozzo di pane o qualche grammo di grano.
"Ma certo!" rispose lei ovvia, memore di tutti quei viaggi che aveva intrapreso, ormai quasi dieci anni prima.
Sollevò lo sguardo e per un attimo alla luce della luna l'uomo tormentato tornò ad essere con lo sguardo quel ragazzino che correva tra i prati come navigava quel pirata nel mare. Sorrise tra sé e sé ripensando a vecchie promesse, vecchi giochi. "Avevamo progettato di andarcene insieme quando eravamo bambini." considerò malinconica ad alta voce. "Sognavamo il mondo!" la voce di lei era persa tra i ricordi più passati e più recenti. Killian abbassò lo sguardo verso il mare, verso le piccole onde che si infrangevano contro la nave, e guardando nello specchio d'acqua leggeva tutte le emozioni che da Emma fluivano via con le lacrime, gli sguardi e le parole: la paura, la tristezza, l'inadeguatezza, la pressione.
"Abbiamo preso la strada lunga!" considerò allora lui, sintonizzandosi sulla scia dei suoi sentimenti. Avrebbe voluto fare di più, avrebbe voluto proteggere la sua principessa. Si ritrovava invece a non riuscire a recuperare il coraggio di poggiarle una mano sulla spalla e consolarla. Si sentiva come quel ragazzino che guardava la giovane Emma di nascosto. Ritrovarsela davanti era stato come essere catapultati in una guerra di emozioni diverse: la frustrazione, la rabbia, la malinconia, l'amore, l'affetto, la paura, il timore, la pudicizia, l'ammirazione.
"Cosa ci è successo?" chiese lei di punto in bianco.
Killian fu preso in contro piede dalla domanda. Guardò alla luna, al riflesso sui tetti delle case in lontananza. Sentì uno dei suoi marinai urlare qualcosa a qualcuno. "La vita, Swan, solo la vita." disse tristemente. "Non era destino, sua altezza!"
Un rantolo le salì dal cuore fino alla gola. "Smettila di chiamarmi così!" disse poi lei. C'erano dei tempi in cui era solo Emma e quell'appellativo le tagliava il fiato in gola, le colpiva il cervello, le faceva scendere le lacrime. Aveva rovinato tutto.
"E' quello che sei." considerò alla fine lui con una rammaricata accettazione, frutto di anni di allenamento nel palazzo reale stesso.
"E' quello che tutti vogliono costringermi ad essere." corresse veloce lei. Ed allora Killian vide qualcosa, una Emma nuova, una diversa, una che non conosceva e non accettava il ruolo che la società le aveva imposto, una che era arrabbiata tanto quanto lui verso le classi, il ceto, il sangue blu.
"Una volta ti stava bene." disse, più per confermare quello che aveva pensato. Poi se ne sentì in colpa ed aggiunse veloce ed un po' divertente "Mi avevi quasi mozzato la testa con una spada di legno!"
"Una volta pensavo di dover stare seduta su una sedia e decidere di che colore avrei voluto i fiori nel giardino del castello." rispose lei e sorrise leggermente dell'ingenuità di quella bambina e della scelta curiosa dei giochi.
"Chi li decide a proposito?" chiese lui, sorridendo al sorriso di lei.
"Mia madre." rispose guardandolo fisso negli occhi ed una luce sulle labbra.

 

 

Le avventure che stava vivendo per mare erano tra le più grandiose.

Erano stati in un regno strano, fatti di uomini grandi solo quanto un'unghia; in un altro avevano trovato case che parevano funghi e fecero attenzione a non calpestarle; in un altro posto gli uomini succhiavano il sangue da altri uomini; ancora un'altra volta gli uomini e le donne erano vestiti in modo strano e correvano e correvano in modo frenetico ovunque su carri metallici.
Una volta sola furono davvero in pericolo. Erano ai confini della foresta incantata dove s'era aperto un portale, almeno così dicevano, e ne uscivano uomini con viti e bulloni al collo di un colorito strano in scala di grigi, dicevano. S'erano recati allora per poter ammirare un'altra maraviglia e magari oltrepassare il portale. Scoprirono ben presto che gli uomini in grigio, molto forti, ma rigidi stupidi, a metà tra gli umani ed i morti, volevano solo magia e gridavano di continuo "altra magia, altra magia!". Emma dal canto suo ne aveva vista dal vivo solo dalle fate e credeva che fossero le uniche a poterla usare, come proclamava l'editto reale che suo padre e sua madre, come nuovi re e regina diversi anni prima, avevano emanato.
Quegli uomini grigi erano molto più numerosi dei pirati e li circondarono e li catturarono quella volta, sbattendoli poi in celle, stanze buie. Sebbene fossero più stupidi erano molto più numerosi e con uno sguardo s'erano accordati poi sul piano di fuga, come un'unica macchina che funziona da sola. Killian aveva fatto un segno con le dita a Spugna, che lo replicava poi agli altri. Emma non capì e cercò di allungare lo sguardo mentre veniva allontanata, prima di cadere sul pavimento di pietra, anch'esso completamente grigio.
Quando l'aveva interrogata un uomo alto, distinto, dai capelli avrebbe detto chiari ed un parlare educato e forbito, probabilmente colto, s'era fatta valere.
"E tu chi sei?" gli aveva chiesto quello
"La principessa!" aveva risposto allora lei scoprendosi il capo da quel mantello che portava sempre da quando aveva saputo che l'intero suo regno la stava cercando.
Quell'uomo scosse il capo. "Non mi suona alcun campanello!" disse rinchiudendola poi, sperando che potesse valere qualcosa però per un riscatto magico.
Emma cominciò a preparare allora da sé un piano di fuga senza aspettare gli altri pirati. Aveva deciso che si sarebbe fatta trovare poi sul pontile della Jolly Roger ad aspettarli, comportandosi come loro: ognuno si salva da solo.
Si slegò allora le mani, facendo strusciare i lacci contro il muro di pietra della sua cella. "Fin troppo facile!" sussurrò quando le corde che le circondavano i polsi cominciarono a cadere. Era stata allenata bene quando da ragazza cercava di fuggire agli impegni reali, alle guardie ed alle dame che la inseguivano ovunque, per andar poi a giocare libera nei giardini.
Le guardie che la sorvegliavano non erano molto sveglie e lei riuscì a scappare girando tra gli angoli. Le fughe da casa l'avevano allenata. Cominciò allora a correre via, si guardava indietro e negli angoli, ignorando frontalmente, cercando qualcuno che la seguisse, lasciandosi così la strada dietro libera nel caso in cui avesse dovuto cambiar direzione. Sbatté poi contro qualcosa e quasi si trovò ad urlare e cadere, ma s'irrigidì solamente ferma e strabuzzò gli occhi e Killian davanti a lei fece lo stesso.
"Mi hai spaventata a morte!" disse Emma con una mano al petto, prendendo poi anche fiato.
"Ah, io??" chiese lui con tono scettico ed ironico, guardandosi poi sia dietro che davanti per assicurarsi che la via restasse sempre libera, smettendo però di cercare: stava correndo a salvarla un secondo prima che gli facesse venire un infarto.
"Avanti, corri!" bisbigliò lei sottovoce. Lo prese per mano e cominciò a scattare tirandoselo dietro. Quando la mano di lui strinse quella di lei di sua volta si riformò una vecchia alleanza ed un senso di devozione che credevano di aver dimenticato.

 

 

Le notti passate sul pontile della nave erano sempre molto fredde. L'inverno era alle porte ed i vestiti non bastavano più a ripararsi dal vento gelido che saliva lungo le ossa.

Emma e Killian erano ormai soliti passare quelle notti a guardare le stelle. Una volta Killian si avvicinò alla sua principessa con due coperte pelose e prurigginose, gliene spiegò una e gliela poggiò sulle spalle. Si sedette poi accanto a lei in quella posizione che tenevano ormai da mesi. La tristezza ed il lutto di lei erano andati scemando col tempo, restava solo una silenziosa rabbia ed una promessa che non voleva condividere con nessuno. Parlavano come parlavano un tempo, condividevano pensieri e paure, sogni e speranze, come questi sembrassero tutti vivere contemporaneamente in quei giorni. Si raccontavano della giornata perfetta che era stata quella, della cosa che più li aveva sconvolti e divertiti dell'ultima avventura.
Quella notte il ponte della nave era completamente deserto. Un solo pirata c'era stato qualche ora prima: aveva controllato le corde e le funi, le vele, l'ancora calata al suolo, il timone come disposto dal capitano e se n'era poi andata a dormire con gli altri in stiva.
"Perché sei tornato?" chiese lei quella sera.
"Ho saputo che il re era malato." rispose lui avvolgendosi nella coperta, facendo di tutto per non guardarla negli occhi in quel momento, non ancora pronto a confessarle tutto ed ancora vergognandosi per quello che le aveva fatto anni prima, di cui non s'era mai potuto perdonare.
"E allora?" insistette lei, che invece pretendeva spiegazioni famelica. Aveva bisogno di sapere perché era da qualche tempo che provava una strana sensazione quando gli stava accanto, ma non l'avrebbe mai detto da sola. Ancora non sapeva definirla. Non sapeva in più cosa lui in quel momento provasse per lei, se era per lui solo una noia, una donna come un'altra a cui badare. Allora cercava di creare situazioni in cui lui avrebbe potuto confessarsi e s'era data da fare per non essere tra i piedi di nessuno intanto, per essere vista come uno di loro, dei pirati.
"Ero preoccupato per te." rispose lui dolce, sicuro in quel momento come non mai che non l'aveva mai dimenticata, che l'avrebe protetta anche da lontano, che avrebbe cancellato il dolore dal suo mondo anche se lei l'avesse mandato alla forca. Si strinsero le mani allora, un gesto che ormai facevano spesso. Emma poggiò il capo sulla spalla di lui e Killian sobbalzò prima per un attimo e quasi si ritrasse col respiro sospeso, ma poi la guardò e fu come l'ossigeno. Le poggiò coraggioso una mano sul fianco, adagiando poi una guancia sui capelli di lei, sentendola finalmente calda respirare piano.
Killian guardò verso il cielo e cominciò a pensare. Col tempo aveva capito che la Emma arrabbiata non era la vera Emma, era solo un'altra che aveva conosciuto, destinata a morire. La vera Emma era quella principessa entusiasta di girare il mondo, entusiasta delle avventure. La vedeva ogni volta quando la nave faceva porto e lei guardava con occhi estasiati la nuova terra. La vera Emma guardava anche il popolo povero quando credeva che nessuno la osservasse, aiutava le persone che incontrava, tendeva loro la mano per aiutarli a rialzarsi. La vera Emma era la sua principessa, la futura regina. Si ritrovò più volte a pensare quand'era solo di notte e si trovava ad un bivio: agire da egoista e tenersela con sé o aiutarla a ritrovare sé stessa e probabilmente perderla per sempre. Amava da morire il riflesso della luna su quella sua pelle chiara.
"Quella è la stella del nord," cominciò ad indicarle facendo uscir fuori un dito dal fagotto di coperte che s'era creato "punta verso il castello!" disse ricordando quando da ragazzo in tutte quelle notti lontano da lei guardava quella stella e si addormentava verso quella direzione.
Emma alzò gli occhi e guardò dritto anche lei e sorrise. Killian allora capì.

 

 

Killian seppe riconoscere fin da subito quello che sarebbe stato l'ultimo viaggio per loro.

Tornarono nelle remote terre della foresta incantata, dove una volta si diceva si tenesse un mercato dell'oro, liquidi ambrati venissero offerti ad ogni straniero o cittadino, che le fattorie brulicavano di contadini: un posto perfetto per un pirata.
"Che diavolo ci andiamo a fare di nuovo?" borbottava qualcuno facendo avanti e dietro sul ponte principale per arrivare ad afferrare le funi. In effetti tutti i pirati c'erano ormai già stati. Sia il capitano che i suoi sapevano cosa ci avrebbero trovato.
Emma conosceva quel posto. L'aveva visitato anni prima, una delle prime tappe da adolescente che girava il mondo, ma non l'aveva mai visto dagli occhi di un pirata. Quando attraccarono al porto Emma scese di corsa, tenendosi stretto il suo mantello sui capelli legati, sperando di poter evitar di attirare meglio l'attenzione. Quello che si trovò davanti non era il luogo che ricordava: c'era fango e ghiaia ovunque, le strade erano desolate, non si udiva un suono da quello che una volta era un gran villaggio festoso. In lontananza si vedeva qualche piccola casetta distrutta, i tetti ristrutturati con la paglia, probabilmente l'unica cosa che avevano a disposizione. Emma si guardò attorno come persa. Cominciò a camminare sul terreno completamente spaesata. Quando aveva visto quel posto per la prima volta, ricordava di aver bevuto birra, liquori, aver assaggiato i loro prodotti della terra migliori, aver conosciuto molti giovani della sua età. Killian la guardò dalla nave di lontano.
"Signora," chiamò Emma frettolosa di capire, verso una che passava abbracciata ad una larga vasca tonda arronzata con assi di legno "signora!"
Quella si girò quasi stupita che ci fosse qualcuno oltre lei per le strade, chiedendosi chi mai potesse essere nel villaggio a chiamarla ancora. Vide allora una foresteriera dagli stivali lucidi, qua e là chiazzati di fango ancora fresco.
"Cos'è successo qui?" chiese allora Emma, facendo attenzione che il mantello le rimanesse ben fermo sulla testa.
La contadina si risistemò l'affare nelle braccia e prese un respiro chiedendosi da dove poter cominciare. "Tempi bui, mia signora!" partì a spiegare "La famiglia reale non si occupa più del suo popolo da anni!"
"Ma no, non è vero!" pensò la principessa, ma non rispose. La ringraziò invece e la lasciò. La sentì borbottare qualche imprecazione di lontano. Emma si incamminò allora per le strade. Killian la seguì a qualche passo di distanza con sguardo triste in attesa che lei capisse.
Nel villaggio trovarono volantini di propaganda inchiodati agli alberi ed alle assi di legno tarlate delle case. Invitavano il popolo a riunirsi in un esercito, a scacciare gli orchi. Altri più arrabbiati proponevano di marciare sul castello reale, alcuni di trasferircisi dentro.
"Perché mi hai portato qui?" chiese lei infuriata, arricciando quel pezzo di carta nelle mani, strappandolo dal chiodo di ferro, che lasciò una lunga scia arrugginita lungo lo strappo che Emma vi aveva procurato. Si voltò, alzò gli occhi e si avvicinò. Gli afferrò il bavero e da così vicino Killian poté vedere le lacrime che le scendevano dagli occhi. "Perché?" ribadì lei.
Sentirono poi un pianto venire da dietro l'angolo di una casina, stipata lontano da tutte, alla fine della via. Emma la percorse tutta, presa dal panico per la sofferenza del suo popolo. Vide un bambino vestito a mala pena di stracci marroncini, i pantaloni ormai troppo corti per la sua età, le scarpe larghe, la maglia rattoppata ed un mantellino che gli copriva la testa e le spalle appena.
Emma si abbassò davanti a lui e l'aiutò a rialzarsi dal fango. Lo prese per le braccia e lo sollevò lei stessa. Quando lo toccò sentì quant'erano sottili le sue braccia, ebbe quasi paura di ripoggiarlo a terra e spezzarlo, così magro e smunto. Guardò oltre il cappuccio e notò la massa di capelli neri spettinati che copriva le guance vuote.
"Come ti chiami?" chiese lei in tono dolce, asciugandosi prima però le lacrime dal viso.
"Bealfire." rispose lui e la sua vocina piccola piccola le ricordò quella di suo fratello Neal.
"Ecco, Bealfire," fece lei e s'abbassò il cappuccio scoprendo il viso ed i capelli. Si sganciò una collanina argentata col suo cigno inciso sul pendente e la fece penzolare davanti al viso del bambino. Gli aprì le dita e gliela mise in mano. "prendila tu." Suggerì lei e gli sorrise. "Vendila se non ti piace."
La madre lo stava guardando tutto il tempo e solo allora lo chiamò dalla finestra, una donna dai lunghissimi capelli neri che facevano contrasto coi suoi. La donna la guardò male ed incitò il figlio a rientrare. Questo obbedì e lasciò andare Emma senza dire una parola e fuggendo dentro. Killian notò la scena, nascosto ed appostato in un angolo, incrociò gli occhi della donna che inspirò forte e chiuse poi subito le imposte.
Emma si rialzò.
"Non può venderla." le disse Killian allora, a voce bassa, spiegandole la mala reazione.
"Perché no?" chiese lei sospettando che il gesto sarebbe suonato forse come un torto ai danni della famiglia reale.
"Chi la comprerebbe?" rispose lui interrogativo.
Emma prese un respiro profondo e si guardò intorno, si girò sperando che il venticello che stava soffiando le avrebbe asciugato le lacrime. Si schiacciò il palmo della mano sulle labbra incapace .
Nel tardo pomeriggio, quando il sole arancione entrava dalle finestrelle delle camere del comandante della Jolly Roger, Killian entrò, dopo tanto tempo anche. Riprovò una sensazione di familiarità e contemporaneamente di stranezza per la presenza di lei e di paura vedendola agghindata di nuovo nel suo abito lungo nero, con la gonna che le copriva le caviglie e le scarpe, i capelli pettinati che le cadevano sulle spalle e le scoprivano il viso e gli zigomi, mentre i pantaloni e la sua camicia erano poggiati sul letto già piegati.
Prese un respiro profondo.
Emma era seduta sulla sponda del suo letto, le gambe incrociate, lo sguardo rivolto verso l'alto a guardare il cielo ed i gabbiani per quel poco di squarcio di cielo che riusciva a vedere.
"Nessuna donna mi ha mai abbandonato." cominciò lui sperando di rompere il ghiaccio "Non spontaneamente." disse e si sedette accanto a lei, abbastanza distante da darle spazio, non avendo ancora il coraggio di avvicinarsi e prenderle la mano come in quelle numerose notti sotto le stelle.
"Killian." cominciò lei chiamandolo con tono spento o probabilmente di chi intende scusarsi.
"Almeno posso dire di essere stato una bella avventura!" scherzò lui ed incrociò le mani dietro alla testa, spingendosi all'indietro.
"Killian..." lo sguardo di lei era sempre serio e richiedeva attenzioni ed era forse in difficoltà nello spiegarsi. Aveva gli occhi rossi di pianto, ma le sue mani si muovevano con la decisione di chi sapeva cosa doveva fare.
"Lo so." rispose lui, interrompendola.
"Se potessi scegliere,... " cominciò lei cercando parole per consolarlo e consolarsi anche da sola.
"Sceglieresti ancora casa tua." continuò lui per lei. Le coprì le mani con le sue per trasmetterle calore. Lei le raggiunse prima ancora che quelle di lui potessero avvicinarsi e intrecciò le dita stringendole.
"Stavo per dire che avrei scelto te." disse lei sorridendo tra le lacrime.
Killian sciolse quel piccolo abbraccio di dita e le portò la mano sulla guancia accarezzandola. Emma l'afferrò subito, la tenne stretta e chiuse gli occhi.
"Ti amo da sempre." le sussurrò lui. Emma non volle ancora sollevare le palpebre. Sentì un altro fiotto di lacrime sgorgarle sotto le ciglia.
"Posso aiutarti a restare lì," suggerì frettolosa di poter risolvere la situazione "far decadere tutte le accuse a tuo..."
Killian le fece no con la testa ed Emma capì. Lei si avvicinò allora e chiuse gli occhi, sopprimendo ancora lacrime che fremevano per scendere sulle guance. Poggiò la sua fronte a quella di lui, che si avvicinò e la incontrò a metà strada. Non volle chiudere gli occhi, al contrario di lei, e guardarla ancora coi capelli ordinati ed intrecciati, le guance rosse, le labbra socchiuse: la sua principessa. Le prese il viso tra le mani e le posò un tenero bacio sulle labbra a cui lei rispose, sapendo che era il primo ma anche l'ultimo.
Qualcuno bussò alla porta di legno.
"Mastro Spugna!" chiamò il capitano, sapendo chi si nascondeva dietro il sottile muro.
"Sì, Capitano!" fece lui sull'attenti, senza però girare la maniglia per il timore di finire sulla passerella.
"Rotta per la Foresta Incantata."
"Subito Capitano!"
Le ultime ore insieme furono poi coperte dalle grida di pirati indaffarati dal ponte, che gestivano la nave e riportavano la principessa a casa. Emma e Killian rimasero abbracciati stesi sul letto, sperando che il sole potesse ritardare nel mattino seguente.



 




Angolo dell'autrice:
Vi annuncio che manca solo l'epigolo, yeeeh!
Scusate ovviamente ancora per il ritardo!!
Recensioni? Vi è piaciuta? ;D

Grazie a tutti quelli che hanno seguito fin ora!! ;*
  
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