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Autore: Evanescente84    24/10/2014    0 recensioni
Credeva di essere felice..infondo aveva tutti gli ingredienti no? Era ricco, famoso, giovane e non aveva nessuno a cui badare. Era libero. Era uno che vinceva: per forza doveva essere felice.
E poi era arrivata lei. Gli aveva insegnato che tutto quello in cui credeva...era sbagliato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La guardava mentre trotterellava allegra avanti a lui, con quello zaino sulle spalle, a momenti piú grande di lei, che le danzava sulla schiena. Era felice perchè aveva preso un bel voto e lui, come premio, le aveva comprato un bel gelato, di quelli grandi mezza faccia. Di quelli che ci si sporca tutti e poi si scoppia a ridere come dei matti fino alle lacrime. «papà, papà» disse quello scricciolo, che doveva avere sì e no sette anni, avvicinandosi. prese con una manina la mano del padre. «papà, perché stai piangendo?» Aveva due occhi giganti e limpidi che sembravano specchi, con la faccina, all'improvviso preoccupata, tutta sporca di gelato. «sei triste papà?» Lui la guardò con gli occhi piú dolci del mondo e si asciugó le lacrime di tenerezza che si erano impossessate dei suoi occhi. «no tesoro. Piango perchè sono felice e perchè tu sei felice... » disse "e illumini tutto con il tuo sorriso, i tuoi occhi e la tua risata. E mi chiedo come abbia mai fatto io a meritarmi una meraviglia come te" aggiunse mentalmente. « papà, io non voglio che piangi, se ti farà stare meglio io smetteró di essere felice» « ma no sciocchina» disse arruffandole i capelli, un'ondata di tenerezza gli investì il cuore. « io piangevo di felicità, sai, quando uno ha qualcosa di tanto ma tanto bello dentro il cuore esce sotto forma di lacrime» « anche qualcosa di brutto esce sotto forma di lacrime...» commentó la bambina. « sì ma le lacrime di felicità sono leggere e guariscono. Ricordati questo mia piccola saggia: quando vedi una persona piangere, abbracciala.» Lei non se lo fece ripetere due volte e gli saltó al collo. «ti voglio bene papà» Lui le accarezzò dolcemente i capelli, come se stesse tenendo una bambolina di porcellana tra le mani. Fragile e bellissima. « sì, però adesso mi stai sporcando tutta la camicia di cioccolato...» «oh, no! Scusa scusa scusa» la bambina si fece piccola piccola « sei arrabbiato con me?» «no!» rise piegandosi verso di lei e pulendogli la faccia con il fazzoletto «guardati! Sei tutta sporca! Sembra che ti sia lavata la faccia col cioccolato!» Lei scoppiò a ridere, di quella risata che solo i bambini sanno fare, morbida, delicata, dolce e armoniosa che faceva alzare gli occhi al cielo per ringraziarlo di un suono tanto meraviglioso.

Ora quella risata gli suonava nella testa ogni volta che non aveva piú niente a cui aggrapparsi... Ora che quella bmbina era cresciuta e l'aveva lasciato lì. Solo, in preda alla solitudine e ai ricordi che gli stringevano il cuore. Quanto si era divertito quel giorno d'estate con il suo angelo, quella bambina così fragile ma così potente da avergli sconvolto la vita... E avergliela rigirata dalla parte migliore riempiendola di quella magia a cui solo i bambini riescono a credere e che le persone adulte e vaccinate hanno paura perfino di pronunciare... Forse non tutte, ma lui sí, lui aveva paura. Soprattutto ora che si trovava seduto su quella vecchia poltrona che l'aveva spiato nei momenti peggiori e migliori. Nonostante il riscaldamento lui sentiva freddo. Freddo dentro. Un freddo spaventoso. Perchè solo un abbraccio lo poteva riscaldare, solo il suo abbraccio. E lui era solo. Come all'inizio di tutto. Come prima che iniziasse la sua vita, quando aveva una casa enorme, troppo per lui, in cui viveva da solo. A volte chiamava qualche "massaggiatrice" che poi peró se ne andava lasciandolo indifferente. Ricordava quei giorni quasi come fossero stati la vita di un altro. Un uomo solo che pensava che il fine ultimo della vita fosse la felicità, il successo e i soldi. Era convintissimo di essere felice. Infondo non aveva alternative, no? Se raggiungi i tuoi obbiettivi e aspiri alla felicità devi per forza arrivare a quest'ultima. Perchè tu sei uno che vince. Tu sei libero di fare quello che vuoi. Falso. Lui non era libero, non era felice e non sapeva neanche se fosse vivo, o per lo meno se volesse esserlo. Bastava un niente e giù a bere litri di superalcolici finchè non si addormentava. Andava alle feste sì, si divertiva sì, aveva i soldi... poi? Poi punto. Non c'era nient'altro. Ma quella era la formula più diretta per la felicità. La formula piú facile. Infondo aveva tutto il mondo in mano... E poi... Poi era arrivata lei. Una bambinetta con degli occhi grandi, limpidi e profondi come il mare, e una vocina angelica. Capelli color biondo cenere, pallida come un lenzuolo e magra come un fuscello, tanto che temevi che un soffio di vento potesse spezzarla... Lei, cosí fragile, cosí piccola. L'aveva trovata un giorno di vento che prometteva temporale. Non se lo sarebbe mai piú scordato. Il giorno in cui aveva iniziato a vivere. A vivere sul serio.

Era buio e tirava un vento fastidiosissimo che raschiava la pelle e le ossa e faceva volare vestiti e camicie appese alle bancarelle... L'ora se la ricordava benissimo: le otto, ora di cena. Era tutto deserto, negozi chiusi, come se il mondo si fosse fermato per pausa cena, per poi ripartire come al solito. Beh, in realtà non è vero che non ci fosse proprio nessuno nessuno, solo che non c'era quella vita che comincia più tardi. Guardava il cielo violetto che stava lottando con il blu della notte invano perché sapeva che avrebbe perso...e intanto lassù troneggiava un cielo viola blu indefinito. Così preso dal guardare il cielo non si accorse che stava andando in una direzione mai presa, e in pochi attimi realizzó di essersi perso. Poteva benissimo tirare fuori l'iphone e vedere dove andare ma qualcosa lo bloccó. Non seppe mai cosa, perché, o come ma le sue gambe lo portarono in un vicolo, lì dove ci sono i bidoni dell'immondizia. E poi la vide. La persona che gli avrebbe cambiato la vita... Stava rannicchiata tra un bidone e l'altro e si abbracciava le gambe schelettriche disperatamente, forse per sentirsi piú al sicuro... Doveva avere sì e no quattro anni, piccola piccola. Ma, a differenza dei suoi coetanei, che strillano come se avessero un fischietto in gola, lei se ne stava lì, sola, e piangeva, in silenzio. Forse aveva paura di essere sentita. Forse il primo impulso della persona che credeva di essere che osservasse quella scena sarebbe stato indifferenza o schifo, giramento di tacchi e tanti saluti. Ma non lo fece. Qualcosa lo tirava. Ormai aveva visto. Non poteva stare fermo. Si avvicinó alla bambina, si accovacció per vederla meglio. Lei si tenne ancor piú strette le gambe al petto come scudo e cercó di rannicchiarsi nel muro, girando la faccia. Lui si ritrasse, ma guardandola quell'esserino sembrava davvero ridotto male, tremante per il freddo, chissá da quanto non mangiava... All'improvviso gli balenó in mente che lui aveva mezza merendina in tasca. Le porse quel cibo, non come si dà ad un barbone o ad un cane, ma come a un figlio o a un malato... Le si illuminarono gli occhi di una luce che aveva poco di umano perchè stravolta dalla fame. Con le poche forze che aveva si avvicinò e prese quel cibo. Era una merendina mezza mangiata ma lei la guardava come fosse un tesoro inestimabile o l'acqua nel deserto. Con quella luce in due occhi stanchi che gridava vita. Finito di mangiare avidamente la bambina si addormentó, cosí, come fanno alcuni bambini, di punto in bianco. Lui la guardó per un attimo e poi, senza pensarci, la prese e la salvó.

O piuttosto fu lei a salvare lui. Col tempo, vari investigatori e la polizia si scoprì che quella bambina era un'orfana, in quel quartiere era pieno di drogati, ninfomani e insomma tutta gente poco di buono... Fatto sta che alla fine quella bambina aveva bisogno di qualcuno. La portarono in una casa famiglia, ma lei non ci voleva stare, lei voleva stare con il suo primo salvatore. E così, da un giorno all'altro lui si ritrovó ad essere chiamato papà. Era una sensazione strana e bellissima. Gli avevano detto tantissime cose belle: sei un uomo di successo, sei un vincitore, bravo.... Ma tutte queste cose erano niente, erano false di fronte a quella parola così potente, tenera, così vera e stravolgente. Nessuno aveva mai avuto bisogno di lui, infondo era solo il vincitore. Il vincitore vince da solo... Ma ora, ora si rendeva conto che non era così. Ora che quella bambina aveva un cosí disperato bisogno di lui, ora non poteva più vivere per il successo o così, perchè tanto lo fanno tutti. Ora aveva una ragione, una ragione vera, per vivere. Lei.

All'inizio non ci aveva pensato, non voleva fare della carità per far vedere a tutti quanto era bravo... No, era una cosa diversa, strana, che neanche lui riusciva a spiegare. Aveva visto quella bambina, cosí fragile e indifesa, e aveva voluto proteggiela, e lei aveva scelto lui come suo protettore.

Presto la bambina riacquistó colorito e un po' di vigore. Già dal primo giorno lei aveva iniziato a chiamarlo "papà", come se fosse scontato, il suo vero nome. Ed ecco che lui la mandata a scuola, le preparava la merenda, la veniva a prendere. Si era reso conto che amare sì è faticoso e anche doloroso. Perchè stava male ogni volta che vedeva la sua bambina soffrire e non poteva fare niente... Ma ne valeva la pena. Vivere per vederla sorrdere... Il suo lavoro di padre gli piaceva, era molto meglio di guadagnare pezzi di carta e contarli. Ora si sentiva pieno, ogni volta che andava a prendere la sua bambina (che era rimasta la sua bambina e lo sarebbe sempre stata), ogni volta che la consolava, che andavano al cinema...tutte cose normalissime... Sembrava non dovessero finire mai quella magia senza tempo, quei giorni pieni. Quella felicità, quella risata contagiosa e melodica...

Invece era finito... E rimaneva solo il ricordo. L'ultima cosa che rimane alla fine e non si sa se sia un bene o un male. Adesso era di nuovo solo, ma non come prima. Adesso gli mancava. Gli mancava quel pezzo di cuore che aveva trovato per strada, coperto di stracci e che era cresciuto con lui e poi se ne era andata... Erano passati vent'anni ormai, la sua piccola saggia era una donna, forte e bella, che gli aveva insegnato a vivere. E a cui lui, stupendosi di sè stesso, era riuscito a insegnare qualcosa. Adesso però doveva lasciarla andare. E non era pronto, ma doveva lo stesso. Aveva sempre pensato di esserle indispensabile, perchè lei era indispensabile a lui. Ma non era cosí. Adesso c'era un altro nella sua vita. Lui era fuori... Passato. Sì, certo si sentivano, anche da città diverse, ma non erano più inseparabili. L'amore li aveva separati. È strano pensare a quanto una cosa sembri stabile, sembri che debba durare per sempre e poi di punto in bianco...pluff. Sparito. Sorrise ripensando per l'ennesima volta alla sua bambina... Ormai quei tempi non c'erano piú, lei si era dimenticata di lui . "basta." si disse "dov'é finita tutta la tua forza?" se l'era portata via lei si rispondeva. "Dipendere così tanto da qualcuno, è qualcosa di terrificante, di struggente, di terribile, ma infondo è così no? Vivere..." faceva troppa paura. Nel bel mezzo delle sue riflessioni tutto divenne buio.

Un beeb di sottofondo risuonava ritmico. Nel suo campo visivo apparve un cielo verde acqua pallido. Poi lei. Stava piangendo. "perchè piangi piccola mia?" voleva chiedergli con tutto il cuore, ma le parole non uscivano. Non riusciva a parlare, non riusciva a farla smettere di piangere. Le accarezzó le mani e le guancie rendendosi conto che muovere ogni arto gli costava una fatica immensa. Ma doveva accarezzarla, sapeva che quando una persona piange bisogna abbracciarla, lui non ci riusciva per quanto ci provasse. Le asciugò una lacrima con un gesto che gli procurò una fitta di dolore. La guardò negli occhi e capì tutto. Lui stava morendo. Il suo primo pensiero fu per lei. Chi l'avrebbe protetta? Chi l'avrebbe abbracciata, consolata...chi l' avrebbe sorretta mentre cadeva...chi? Voleva piangere, abbracciarla, dirle di essere forte, per lui, ma non riusciva a parlare...e si limitó a guardarla negli occhi, un dialogo in silenzio in cui si dissero piú parole che parlando. I suoi occhi erano sempre grandi e luminosi, ricoperti di una coltre di lacrime. Sembrava volesse dire: eccomi, sono qui, sono tornata. Per te, non ti lasceró mai piú. Non andartene.... "Non me ne andrò." Diceva il suo ultimo sguardo colmo non piú di disperazione ma di luce, una luce inspiegabile,nuova "io resterò sempre con te, sono sempre con te. Saró la tua forza quando conoscerai il dolore. ogni volta che piangerai, ogni volta che qualcosa ti farà soffrire ricordati di me. Ricordati che sei unica, che sei forte e fragile, ricordati di seguire il tuo cuore, qualsiasi cosa accada, e non credere a quello che ti dicono su come dovrebbe essere la felicità. Ricordati che ti voglio bene, e ho paura, perchè mi chiedo come faró ora a vivere senza quella risata, senza i tuoi occhi limpidi, senza i tuoi capricci da bambina, senza sentirti. Senza sapere nulla... Mi chiedo come abbia mai fatto io a meritarmi una gioia tanto grande come te... Non piangere, piccola mia. Angelo mio, che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più. Mi hai insegnato a sognare, ad amare e a vivere. Mi hai insegnato che non finirò mai d'imparare e mi hai salvato. Figlia mia non piangere. Ricordati sempre di me, non mi dimenticare, e vienimi a trovare a volte. Un'ultima cosa bambina mia. Non avere paura di amare, non avere paura della paura. O meglio quando hai paura ricordati che lei non ha potere su di te, e che tu sei libera. Che io credo in te qui e per sempre, se esiste un per sempre. Mi ricordo ancora quando ridevi felice con la faccia piena di gelato e mi abbracciavi perchè mi avevi visto piangere. Ora io vedo piangere te e non posso abbracciarti. Ma tu devi essere forte, salva il mondo con la tua allegria, con il tuo amore e il tuo sorriso. Sii forte, come lo sei sempre stata, per me. Non pensavo che amare fosse così doloroso...ma ti assicuro che ne vale la pena."

Grazie di avermi insegnato a vivere, piccola mia.

   
 
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