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Autore: Hugin BenMar    24/10/2014    4 recensioni
Il Dybbuk è uno spirito di uomo morto di morte violenta che possiede e porta alla pazzia le proprie vittime.
Scappi ma non urli, perché non urli?
Mi piacerebbe tanto sentirti gridare.
Ti seguo e rido con quella mia risata calda che amavi da morire, ti ricorro e ti prendo la mano. Mi sfuggi via senza gridare neanche una volta.
Sei cattivo.
Mi fa rabbia che non giochi con me.
Genere: Dark, Horror, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' strana la voglia che ho.
Vorrei davvero tornare a casa mia ma non posso aprire la porta e passare dalle finestre, non so perché, ma non riesco a farlo.
E' strana la voglia che ho.
Vorrei abbracciare i miei fratelli e le mie sorelle ma loro mi ignorano.
E' davvero strana la voglia che ho.
Vorrei sentirli gridare.
Sento come se non potessi parlare, quasi che la lingua si incollasse sul palato ogni volta che provo e non mi lasciasse dire neanche un articolo.
Alle volte non riesco neanche a pensare le parole.
Sto fermo fuori da casa e guardo la porta di legno scuro, su di essa c'è una targa: recita il nome della mia famiglia.
Ma è casa mia e allora perché non mi lasciano entrare?
La porta si apre, dopo che mi sono lamentato per ore, dopo che è scesa la notte, fa freddo ad Oslo di notte e non mi piace che mi ignorino. Io non ho fatto niente.
Io ero solo malato.
Il più piccolo dei miei fratelli apre la porta, finalmente.
Lui è sempre stato sensibile, è sempre stato quello che mi ha amato più di tutti.
Mi vedi almeno tu? I tuoi occhi si fanno cupi mentre ti guardi intorno. Guardami. Avanti guardami, almeno tu!
Voglio che mi guardi.
Ti giri finalmente, e mi vedi!
Perché hai quegli occhi così spaventati? Sono solo tuo fratello.
Tuo fratello morto.
Scappi ma non urli, perché non urli?
Mi piacerebbe tanto sentirti gridare.
Ti seguo e rido con quella mia risata calda che amavi da morire, ti ricorro e ti prendo la mano. Mi sfuggi via senza gridare neanche una volta.

Sei cattivo.

Mi fa rabbia che non giochi con me.
Così ti seguo, mi nascondo quando cerchi di guardarmi e poi torno a seguirti per i corridoi di casa. Ti giri spesso, mi cerchi, torni indietro con il fiato sospeso, poi, non trovandomi, ricominci a camminare verso dove vuoi andare.
Sei andato in bagno e ti ho seguito anche lì, hai guardato nello specchio e, nel buio, mi hai visto.
Sono magro, forse scheletrico; il viso è così scarno che quasi ha solo la forma del teschio, quella specie di pera rovesciata; i miei occhi sono due palle bianche incavate da cui mi guardo. Da cui ti guardo.
Sono lo specchio della tubercolosi.
Sono semplicemente bellissimo.
Tu mi guardi e piangi.
Ti do un bacio sulla guancia e tu, finalmente, gridi.
Mi nutro delle tue grida come fossero pane, come fossero amore. Mi lecco le dita e me le mordo con forza facendo stillare da esse piccole, rosse, gocce di sangue amaro e ferroso. Cadono a terra e sporcano il pavimento.
Tu gridi di nuovo e il tuo urlo lo accompagno io portandomi le mani sanguinanti alle guance e spalancando la bocca da dove vorrei nascesse suono.
Fingo la tua voce sia la mia perché io ormai non la ho più.
Fingo che tu sia me.
Mi avvicino e ti abbraccio forte, chiudo le due palle bianche senza iride o pupilla che sono i miei occhi e ti bacio sulla guancia di nuovo.
Tu ancora gridi e io vorrei potermi mangiare la tua voce.
Nostro padre arriva, vuole vedere cosa sta succedendo e io mi nascondo. Entro nella tua bocca, mio del piccolo Edvard, e decido di vivere lì.
Per sempre.

•••

Sono anni che vivo dentro di te, anni che mi nutro della tua mente e della tua anima.
Sto caldo vicino a te e mi piace guardare attraverso i tuoi occhi o sentire la tua voce modificarsi all'interno del cranio, diventare più profonda di quanto in realtà non sia, forse persino più bella. Mi piace anche sentire i tuoi insani pensieri di morte e vita che si mescolano a formare qualcosa che alla fine, ammettiamolo, sono solo io.
Ti tieni la testa tra le mani tanto spesso e premi forte sulle ossa del tuo cranio per cacciare le mie parole senza senso, i miei sorrisi senza denti e i miei sguardi senza occhi. Alle volte ti schiacci la testa così forte che temo tu possa romperla.
Alle volte ti guardo da fuori, mi fermo e ti contemplo.
Mio fratello è diventato grande.
E' diventato forte.
I tuoi occhi sono senza alcuna luce, guardano il vuoto come se ad ogni passo ti aspettassi di vedere soltanto la nerissima morte. La morte che va a braccetto con me.
Il tuo viso è stanco, i tuoi passi incerti, ti muovi come si muovono i pazzi.
Vai in giro a dire alle persone che ci sono i fantasmi e che questi ti inseguono, che ci sono i morti che tornano in vita solo per tormentarti.
Ma che sciocchezze, piccolo mio.

Ci sono solo io.

Hai imparato anche a dipingere e sei davvero molto bravo, le tue mani si muovono con estrema maestria con i pennelli... e la tua arte! Non ne ho mai vista di così bella.
Sento i tuoi pensieri mentre dipingi e questi fanno sì che io ti voglia ancora più bene.
In tutti questi anni hai dipinto solo me:

Mi segue.

Pensi piano mentre tiri l'ennesima pennellata sulla tela.

So che c'è, che mi guarda. E' un mostro orribile senza un volto e sa solo gridare con una voce spaventosamente silenziosa. Grida quando è buio, quando nessuno parla, quando io dormo e quando sono sveglio.
Grida quando le persone sono tante e quando tutti ridono. Ovunque vedo gli occhi di un uomo morto e ovunque un viso scavato. Mi circonda e nel mio mondo ormai esiste solo lui.
E sempre più spesso ho paura di diventargli simile, sempre più spesso vedo nello specchio la sua immagine al posto della mia e mi tocco il viso.
E tocco il suo.
Tocco i suoi occhi, gli ficco le dita in quelle palle bianche che rientrano gelatinose, le mie mani sono bagnate e sporche di sangue, ma quando le guardo sopra non c'è niente.
E' uno spirito che mi ha preso il corpo e l'anima, è uno spirito che da me vuole qualcosa ma io non so che cosa sia e non so fare niente per appagarlo e cacciarlo.
Così lo dipingo.
In ogni quadro io, Edvard Munch, dipingo quel viso di morto e quegli occhi di angoscia. Ci vedo la perdita dell'onestà e dipingo una puttana con l'ombra di lui che le incombe dietro, ci vedo la malinconia e dipingo una bimba davanti al letto del genitore malato, ci vedo l'ansia e dipingo uomini e donne con le sue fattezze che camminano in uno sfondo senza senso, come senza senso è la mia vita da quando lui mi ha seguito.
E per ultimo, ora, dipingo lui in tutto il suo macabro splendore.
Lo dipingo come si è presentato a me la prima volta.

E questo quadro
così storto e curvo
questo uomo senza viso
questo mostro che non è alto
che mio fratello
lo chiamerò

URLO


 

   
 
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