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Autore: Luxie_Lisbon    25/10/2014    2 recensioni
Nella nostra coppia funzionava tutto perché doveva funzionare esattamente come l’avevi deciso tu.
Questo si, questo no.
Non mi sono mai opposto, mi fidavo di te. Mi fidavo di te anche quando mi hai detto prima di morire, che mi amavi.
Io ti odio per avermi lasciato qui. Odio anche me stesso perché la tua partenza è stata causata dal un mio madornale errore, ma quando me ne resi conto era già troppo tardi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao a tutti **
Durante la stesura de L’Incanto di un sogno di ceramica ho pensato ad Aoi e Uruha e al fatto che come coppia mi piace davvero tanto, e che era arrivato il momento di prendermi alcune ore per creare qualcosa di bello fra loro.
Posto questo piccola One Shot Aoiha che ho scritto in questi giorni, una OS nata dal nulla in un momento in cui la mia mente era rilassata e senza pensieri. È nata per puro caso, non ci ho pensato su troppo, mi sono seduta alla scrivania e l’ho buttata giù di getto. Alla fine della stesura mi sono sentita bene, è una storia triste ma dolce, non eccessivamente drammatica secondo me, anche se ci sono alcuni aspetti molto tristi :,) Devo ringraziare mio fratello e la sua ragazza :D Lei adora gli Evanescence ed un giorno in cui è venuta a trovarlo ha inserito Fallen nel suo stereo e ha fatto partire My Immortal. Proprio quella canzone, ascolta per puro caso mi ha ispirato per questa storia, perché nell’ascoltarla ho immaginato Aoi e Uruha e non potevo lasciar perdere 
Basta, queste note iniziali sono noiose, vi lascio alla storia :D
Ho dovuto dividerla in due parti altrimenti diventava troppo lunga ;(
Ditemi quello che ne pensate ** Metto sempre le canzoni ad inizio di ogni parte **
Buona lettura
 

Lui vorrebbe che tu fossi felice

http://www.youtube.com/watch?v=5anLPw0Efmo

Quando la tua vita viene sconvolta da una disgrazia, tutto quello che vorresti fare è fermare il tempo, tornare indietro ed impedire che avvenga. Vorresti essere in grado di cancellare quei momenti dalla tua mente e riuscire a ricordarli senza provare dolore. Un dolore che ti lacera, ti divora, un dolore che scalpita, desideroso di essere sentito.
Quel tipo di dolore che da mesi mi impedisce di pensare a qualsiasi cosa di diverso, anche a me stesso. Forse, in fondo, va bene così, me lo merito, tutto quello che sto passando in questo momento è dovuto. Il dolore deve rimanere, è giusto così, non è corretto nei suoi confronti.
Devo continuare a resistere, a soffrire, a lottare contro di lui. Un po’ mi spaventa il pensiero di andare avanti senza. Provo un recondito senso di terrore e oppressione al pensiero di lasciarlo andare, se lo facessi tutto quello che ho creduto sino ad ora svanirebbe.
Con il dolore se ne andrebbero i ricordi, senza dolore non resterebbe altro che il vuoto.
Lui non vorrebbe che io pensassi tutto questo, lui vorrebbe io che fossi felice, ma il problema con questo stato d’animo, l’essere felice, è sorto da tempo. Ho dimenticato da tempo cosa si prova ad essere felici.
Mi lascio cadere difronte alla sua lapide sorridendo lievemente e stringendo con rabbia la sciarpa che porto al collo. Mi sembra quasi di vederlo accanto a me, in piedi, mi guarda in silenzio con quel sorriso a labbra chiuse che soltanto lui è in grado di esternare.
Quasi tutti quelli che lo conoscevano dicevano che il suo sorriso era troppo enigmatico, nascondeva troppe cose, non si riusciva mai a capire quello che pensava, quello che gli passava per la testa. Soltanto a me quel suo sorriso enigmatico piaceva da impazzire.
Era il suo, soltanto il suo, nessuno sorride come sorrideva lui.
È un sorriso che ancora adesso anima i miei sogni, alcune volte mi sveglio in lacrime cercando di mantenere vivo nella mente quel ricordo, e non c’è cosa peggiore nel rendersi conto del fatto che si è trattato soltanto di un sogno, di un’immagine evanescente che al risveglio svanisce.
Suo padre gli ha strappato via quel sorriso dal volto dandogli uno schiaffo vero e proprio oltre a quello emotivo. Un duro colpo, un po’ come quello prodotto dalla porta sbattuta con forza contro di lui, lasciando al di fuori la sua anima.
Lui non vorrebbe che io ricordassi tutto ciò, ma…è colpa mia.

“Ciao” sussurro stringendo di nuovo la sciarpa.

“Vorrei che tu fossi qui” aggiungo poi abbassando lo sguardo.
Io sono qui.
Sembra dirmi esattamente questo, sembra essere accanto a me, sono in grado di disegnare ad occhi chiusi il suo volto, il suo corpo. Ma non è vero, lui non è davvero qui, io non posso vederlo.
Vorrei essere in grado di farlo davvero, vorrei riuscire a rivedere il suo volto ancora una volta, a sentire la sua voce, i ricordi non mi bastano più, quei ricordi che stanno svanendo un po’ alla volta.
Tutto questo è strano.
Perché fatico a rimembrare le cose belle riportando alla luce soltanto quelle brutte?
Nella mia mente sorgono soltanto immagini frastagliate catturate da episodi tristi, quelli dei momenti più felici non credo di essere in grado di ritrovarli.
Fa troppo male.
Ancora una volta, lui non vorrebbe questo. Ma è tutto più forte di me.
“Mi manchi da morire” dico ad occhi chiusi senza versare una singola lacrima. A lui un po’ piaceva guardarmi piangere, subito dopo mi stringeva forte a se e tutto passava. I suoi abbracci erano delicati e forti allo stesso tempo, adagiava con delicatezza la mia fronte sul suo petto, riuscivo a tornare a respirare in modo regolare respirando con lui. Il suo petto si alzava e si abbassava, la mia testa seguiva i suoi movimenti, e lentamente tornavo a vivere. Lui mi trasmetteva pace, amore, gioia, speranza.
È tutta colpa mia.

“Scusa” dico con voce ferma tornando a guardare la lapide e per la prima volta da quando tutto è cominciato ho paura, paura di covare un sentimento che mai avrei creduto di provare pensando a lui.
Quel sentimento è l’odio, un odio recondito che intacca le pareti del mio essere.
È colpa mia perché io non sono stato abbastanza forte, lui aveva deciso già tutto senza nemmeno consultarmi o chiedermi un aiuto. Era tipico del suo essere.
Difronte alle difficoltà si chiudeva in se stesso, desideroso di trovare in solitudine una soluzione. Tentai più volte di aiutarlo ma lui mi cacciò ogni maledetta volta, dicendo che io avevo già i miei problemi e che non potevo prendermi la responsabilità di occuparmi anche dei suoi.
Non era vero.
Io adoravo prendermi cura di lui, ma negli ultimi mesi ha scelto di chiudermi fuori da ogni cosa, per impedirmi di soffrire.
È colpa mia.

“Ti amo” sussurro tornando a chiudere gli occhi, lontano dal molto esterno, rinchiuso in una bolla di puro male. Sto così bene nel mi universo composto unicamente di dolore, di gelo, di panico. In questo mondo parallelo posso fare quello che voglio, non ci sono regole, nessuno mi giudica, posso scegliere se continuare a soffrire, se porre un freno, se cercare di rimediare.
Scelto di continuare a soffrire.
Perché il benessere mi spaventa, non so nemmeno che cosa sia, di cosa è composto.
Lanciai un ultimo sofferto sguardo alla lapide, per poi alzarmi e coprirmi il volto con la sciarpa nera, una delle sue.
Sentendomi un verme non guardai più quella lapide, dandogli le spalle e andando contro tutto quello in cui credo. Ma ormai non mi resta più niente, non mi importa più niente di me stesso, né di vivere, né di respirare e tantomeno di credere.
Di credere nella rinascita.
Le fenici sono animali che risorgono dalle loro ceneri. Io mi servo delle mie ceneri per seppellire il mio dannato corpo.
Alzo il bavero della giacca e avvolgo ancora di più la sciarpa attorno al collo.
Fa molto freddo a Tokyo in questo periodo, devo coprirmi bene.
 
***
“Ciao Kou” mi saluta Shin alzando gli occhi dal bicchiere che sta pulendo da almeno un’ora. So quello che sta cercando di fare.
Quando vuole far credere ai clienti di avere tanto lavoro si fa trovare impegnato a pulire almeno venti volte gli stessi bicchieri. In realtà in quel locale non ci viene più nessuno da una delle mie ultime scenate ad un cliente, avvenuta almeno sette o otto mesi fa.
È successo tutto per puro caso, un suo compagno di università mi ha provocato, urlandomi contro che era tutta colpa mia. È la verità, so che la causa di tutto è mia, ma soltanto io posso pensarlo, non voglio che nessuno me lo faccia notare.
“Ciao” lo saluto alzando la mano e sparendo dentro al magazzino, sfilandomi la sciarpa, il capotto e indossando il grembiule.
Quando torno al bancone, Shin mi sorride, indicando con l’indice uno dei tavoli in fondo al locale. Entrando non mi ero accorto del fatto che un tavolo fosse occupato da due ragazze. Annuisco prendendo il blocchetto per appunti e dirigendomi al tavolo. È proprio allora che le riconosco.
Interrompo il mio cammino per riflettere sul fatto che una delle due era una sua compagna di classe. Non so se anche lui mi abbia riconosciuto ma evito di pensarci troppo. Mi fermo davanti al tavolo stringendo con forza il blocchetto.

“Che cosa vi porto?” chiedo alle due. Quando la ragazza che ho riconosciuto alza lo sguardo nella mia direzione la vedo impallidire. A giudicare dal suo sguardo preoccupato e carico d’odio deduco che anche lei mi abbia riconosciuto.

“Due birre grazie” dice l’amica sorridendo, non accorgendosi dello sguardo omicida dell’altra. Annuisco segnando a penna l’ordinazione e quando faccio per tornare al bancone la ragazza dice “Tu sei Kouyou?”
Senza voltarmi dico di si, un si quasi inudibile e gelido.

“Ma certo” dice lei “allora non sono uscita di senno, mi sembrava di conoscerti”

“Ne sei sicura?” dico, non riferendomi di certo al fatto dell’avermi riconosciuto, poi sposto in modo impercettibile il volto alla mia destra. Lei riesce soltanto a vedere i miei occhi e mi conosco abbastanza bene da sapere che le conviene.

“Come scusa?” chiede lei, offesa.

“Sei proprio sicura di non essere pazza?” dico con un sorriso ironico facendola infuriare ancora di più, poi dice “tu sei quel pezzo di merda per cui Yuu ha mandato tutto a puttane. Dovresti provare vergogna, non continuare a lavorare qui come se nulla fosse. Mi fai schifo”.
Sono le urla dell’amica a far accorrere Shin verso di me. Il mio capo con un gesto secco libera il collo della ragazza dalla presa delle mie mani.
Mi sono scagliato contro di lei, che sarà mai.

“Sei impazzito per caso?” grida Shin bloccando le mie braccia con le sue, stringendo il mio corpo contro la sua schiena. Digrigno i denti furioso, imprecando e pronunciando una seria di offese pesanti contro la ragazza, la quale si alza dalla sedia stringendo la mano dell’amica e allontanandosi dal tavolo. Io e Shin osserviamo la loro dipartita, lui imprecando sottovoce, io in assoluto silenzio.

“Molto bene, vedo che non sei cambiato affatto. Hai fatto scappare ancora due clienti” mi grida il ragazzo in preda all’ira, lasciandomi andare soltanto per portare una mano ai capelli già arruffati. Non pronuncio nemmeno una sillaba limitandomi a scotere la testa e allontanandomi da lui. Sotto il suo sguardo furioso mi lascio cadere su una delle sedie di plastica. Intreccio le dita delle mani, e trascorro l’ultima ora di lavoro che mi resta fissandole, completamente immobile, mentre quello stupido muscolo cardiaco posto nel mio petto implode.
 
***
http://www.youtube.com/watch?v=SjkJ6GZh-pY
Fu sua sorella maggiore a dichiarare aperta la caccia al colpevole il giorno in cui tutto si spense, compreso il nostro amore. Mi sbagliavo a considerare eterno quello che c’era fra noi, non riuscivo a vedere le cose da un altro punto di vista.
Il punto di vista della morte.
Nella mia innocenza credevo che tutto sarebbe durato per sempre, invero era un’illusione. Chiudevo gli occhi davanti alla realtà perché con lui stavo bene, eravamo nel nostro piccolo mondo, quel mondo dove niente e nessuno poteva contaminarci, insieme, soltanto io e lui andava tutto bene.
Lasciai il locale con passo malfermo, Shin mi ha sgridato un’altra volta, non ricordo nemmeno a quanto siamo, ho perso il conto. Ha minacciato ancora una volta di licenziarmi.
Che lo faccia pure, non mi importa più di niente ormai, non ora che l’idea di andarmene mi sfiora la mente da giorni.
Mi dirigo alla stazione del treno a testa bassa, portando poi gli auricolari alle orecchie. Premo play sull’iPod, riproduzione causale e la canzone che ho ascoltato per puro caso la prima volta che ci siamo conosciuti mi esplode nel petto, togliendomi il fiato. Quel giorno ho acceso la radio in camera mia, le emozioni e le immagini ancora impigliate nelle ciglia e la canzone che ho udito sedendomi alla scrivania mi ha fatto quasi piangere.
Era perfetta.
Non me la sono sentita di cancellarla, ed ora devo fare i conti con i fantasmi del mio passato. Oggi purtroppo sono costretto a rivivere emozioni e sentimenti del tempo che credevo di aver rimosso. In realtà sono sempre lì, nel mio petto, non vogliono uscire, non potranno farlo finché non darò loro il permesso.
Ricordo come se fosse ieri la prima volta che lo vidi. Accadde tanto tempo fa, non ho mai dimenticato il suo volto, i ricordi sono così vividi in me da far sembrare la sua apparizione recente.
Avevo 16 anni, lui 18. Yuu era al suo ultimo anno di scuola, presto o tardi avrebbe intrapreso l’Università, questo me lo confidò dopo un paio di mesi.
Quella mattina mi rifugiai in cortile dopo aver litigato con mia sorella maggiore a causa di uno stupido e futile motivo, quello per mia fortuna è stato cancellato dalla mia mente, anche se la sua presenza fu nettamente fondamentale. Grazie a quello stupido e futile motivo conobbi Yuu.
Yuu uscì con passo deciso dalla scuola, una sigaretta tra le labbra carnose. Quando mi vide seduto su una delle sedie di plastica in fondo al cortile venne verso di me. Evidentemente notò la mia inquietudine perché mi porse una delle sue sigarette riposte in un pacchetto verde. Una sigaretta che presi senza neppure ringraziarlo, compreso il suo accendino nero. Yuu mi lesse nel pensiero, comprese che c’era qualcosa che non andava.
All’epoca ero troppo emotivo, molto più di adesso, e bastava una semplice parola, una frase per farmi uscire di senno.

“Tutto bene?” chiese facendo scattare l’accendino e portando la fiamma alla fine della sigaretta. La brace si illuminò poi Yuu aspirò, gettando fuori il fumo. Sorrisi, triste.

“Ho litigato con mia sorella” ammisi. Non conoscevo quel ragazzo, ma il suo sguardo sincero e puro mi convinse del fatto che potevo tranquillamente raccontargli tutto quello che mi passava per la testa, lui mi avrebbe ascoltato sempre, indipendentemente da tutto.

“Capisco” disse lui soltanto, e mi fu chiaro fin da subito che diceva il vero. Lui comprendeva.
Parlammo per tutti i 15 minuti restanti di ricreazione, a dire il vero fui soltanto io a farlo, Yuu mi ascoltò in silenzio, aspirando il fumo dalla sigaretta e gettandolo fuori poco dopo. Mi sorrise per tutto il tempo, mandandomi in iperventilazione, e per la prima volta in vita mia sentii che potevo aprire il mio cuore ad uno sconosciuto senza provare vergogna.
A sentirlo può apparire come qualcosa di folle, non conoscevo niente di lui, neppure il nome, ma a noi non serviva, non serviva nulla, soltanto la presenza dell’altro. Eravamo destinati, e nonostante io non abbia mai creduto a quelle cose, al destino, seppi con precisione che lui era nato, stava vivendo la sua vita ed era arrivato al momento in cui l’unica persona che poteva leggergli e catturargli il cuore gli era apparsa davanti. Lo so perché per me fu lo stesso, immediatamente.
Quando suonò la campanella lui si alzò ringraziandomi e accarezzandomi i capelli con un gesto talmente privo di senso, forse per lui, ma carico di significato per me. Non so perché lo fece, ma se non l’avesse fatto io non mi sarei mai innamorato di lui.
Restai immobile per tutto il tempo, anche quando lui se ne fu andato, ascoltando il suono del mio cuore, cercando di far rivivere quel gesto nella mia mente all’infinito.
I giorni passarono e trascorremmo quasi tutte le ricreazioni in compagnia. Scoprii tante cose di lui, sulla sua famiglia, i suoi hobby, le sue passioni, i suoi sogni, ma anche le sue insicurezze e timori. Gli raccontai a mia volta tutto quello che mi passò per la testa senza tralasciare nulla. Yuu ascoltò, non smise un momento di sorridermi. Guardarlo provocava in me delle emozioni che nessuno era in grado di comprendere, emozioni che mi scaldavano il cuore, e ricordai di aver desiderato con tutto me stesso di avvertire la presenza delle sue labbra sulle mie.
Il mio desiderio venne esaudito.
Yuu mi baciò sotto casa sua, al ritorno da scuola, un mese preciso dal nostro incontro. Spalancai gli occhi colto di sorpresa, poi mi lasciai andare rispondendo al bacio e portando le dita tra i suoi capelli corvini. Erano così morbidi, tremai quando scostò il volto per riprendere fiato, tornare a baciarmi e lasciar scivolare una ciocca di capelli sul mio polso. All’epoca portava i capelli lunghi, sorridi mordendomi il labbro nel pensare che assomigliava da morire a Takumi di Nana. Quando glielo dissi lui rise, dandomi un colpetto sul naso, dicendomi che io era la sua Hachi.
Quello fu il mio primo bacio, non avevo alcuna esperienza con quelle cose, non credevo possibile che qualcuno potesse provare interesse per me. Ero un ragazzo come tutti, amante del calcio e della musica jrock, non avevo nulla di speciale.
Yuu non la pensò così.

“Stai bene?” mi chiese carezzandomi i capelli. Annuii senza fiato e lui sorrise felice, tornando a baciarmi. Lo amavo, lui aveva preso possesso del mio cuore.
Quando lui era accanto a me, quando lui mi guardava in quel modo mi sentivo diverso, più reale, autentico, più altruista, onesto, riuscivo ad esternare il meglio di me.
Avevo timore di quello che sarebbe successo ai miei genitori una volta essere venuti a conoscenza del fatto che provavo dei sentimenti d’amore per un ragazzo.
Yuu mi promise che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi, ed io feci lo stesso con lui.
Quando ricordai il giorno in cui lui mi confidò del desiderio del padre, quel desiderio, il mio cuore prese a martellarmi nel petto, in modo doloroso. Commisi uno sbaglio, ancora una volta, uno sbaglio che provocò la morte di tutto quello in cui ho sempre creduto, la morte di quel sentimento che c’era fra noi, di tutto quello che avevamo costruito.
Mi morsi il labbro, scuotendo la testa, la vista annebbiata a causa del marasma di ricordi sfocati che mi scorrevano davanti agli occhi, poi mi tolsi le cuffie dalle orecchie, interrompendo quel flusso di parole e musica che da mesi mi recava soltanto un profondo disagio e fastidio.
Tutte le cose belle non avevano alcun senso per me, non ero degno di viverle.
Sistemai la sciarpa, poi spensi l’ipod e lo rimisi nella tasca dei pantaloni. Non avevo più il cellulare con me, pochi giorni dopo l’avevo lasciato sulla strada davanti a casa mia, immettendomi subito dopo nella corsia con l’auto e facendo retromarcia. Schiacciai quell’aggeggio con la ruota, distruggendo il suo interno e anche tutte le foto di noi due che conteneva. Raccolsi la sim e la gettai nella pattumiera, una delle tante pattumiere poste accanto alla scuola. Mi servii di quella posta perfettamente difronte al cortile, precisamente alla sedia di plastica dove mi ero seduto anni fa.
Un fischio mi fa alzare gli occhi dalla strada.
Il mio treno è arrivato, devo sbrigarmi, non posso concedermi il lusso di perderlo.  
***
http://www.youtube.com/watch?v=CkZ0mOq4p_g

Adagiai sul pavimento il mio corpo, prima le gambe e poi la schiena, le palpebre abbassate, a nascondere quello che non volevo vedere.
Il nulla.
Portai una mano al volto, facendo aderire il palmo alla fronte.
Sono uno sciocco.
Come ho potuto sperare di non provare più quei sentimenti dopo la visita al cimiero dell’altro giorno. Non ho mai chiesto niente a me stesso, ho sempre cercato di volermi bene in ogni caso. Ma mentirei a me stesso se dicessi che non sto soffrendo o che sto cercando di non farlo.
La verità è che il dolore è l’unica cosa che mi ricorda che lui c’era davvero.
Me ne disteso sul pavimento di quella che avrebbe dovuto essere casa nostra, ma ora è soltanto un guscio vuoto, vuoto e senz’anima.
Dopo aver lasciato la stazione sono corso qui, senza pensarci troppo a dire il vero, desiderando di porre fine a quel flusso di ricordi, cercando di aggrapparmi a qualcosa di più recente, soccombere e poi ripartire con la mia dannata routine. Perché in momenti come questi ho soltanto bisogno di questo. Dopo, forse, fa meno male.
Quella casa e tutto quello che racchiudeva, il suo presente, non si trasformò mai in un futuro. Fui in grado di ottenerla dal vecchio proprietario dopo mesi e mesi di ricerche, ma al momento della consegna delle chiavi lui non respirava già più.
Non fui in grado di mandare tutto a rotoli, non dopo tutto quello che avevo trascorso per averla, mi limitai a prendere le chiavi dalle mani del vecchio proprietario e farle scivolare sul fondo di un cassetto, una volta a casa.
Solo.
Uso quelle chiavi quando scelgo di punirmi, quando ho bisogno di lui nonostante la sua assenza.
Resto immobile su quel pavimento immaginando la vita che avremmo dovuto vivere, tremando al contatto con quelle speranze che ho perso per sempre. Lui non avrebbe voluto che mi lasciassi andare in questo modo, ma è tutto più forte di me.
Con la sua morte si è spento qualcosa anche in me, non soltanto la mia voglia di vivere ma anche la speranza ed il mio desiderio di felicità.
Lui vorrebbe che io fossi felice.
Si sbaglia.
Io non posso essere felice senza di lui, non posso essere felice sapendo che la sua morte è stata provocata da un mio errore.
Iniziai a piangere in modo convulsivo, non riuscii a farne a meno e mi odiai profondamente per questo. Non dovrei piangere, non me lo merito.
Senza essere in grado di impedirlo sbatto con forza la testa sul pavimento sino a perdere quasi i sensi. Non resta più nulla in grado di tenermi ancorato alla vita, forse potrei raggiungerlo.
Mi sembra quasi di vederlo, qui, accanto a me, mi ammonisce con cattiveria dicendo che sono pazzo, che devo continuare a lottare.
Yuu, amore, con la tua morte ha portato via ogni cosa.
Il mio sorriso, la mia voglia di rinascere, le mie speranze. Non te ne faccio una colpa, tu fra i due sei sempre stato il più forte, sono io quello che ha sempre fatto affidamento sulla tua forza, credendoti invincibile quando in realtà eri il più debole tra i due.
Tu mi hai sempre detto che ti saresti preso cura di me, che avresti pensato a tutto tu, senza darmi modo di ribattere o aggiungere qualcosa, mi andava bene così. Era più semplice amarti, a te piaceva ricevere la mia gratitudine.
Con un bacio, una carezza, un accostare il mio petto al tuo. Il profumo delle tue lenzuola mi inebriava, le tue dita sul mio corpo, i tuoi denti che mordevano il mio collo. Ero felice, tu eri felice, non c’era nulla che ci disturbava.
Nella nostra coppia funzionava tutto perché doveva funzionare esattamente come l’avevi deciso tu.
Questo si, questo no.
Non mi sono mai opposto, mi fidavo di te. Mi fidavo di te anche quando mi hai detto prima di morire, che mi amavi.
Io ti odio per avermi lasciato qui. Odio anche me stesso perché la tua partenza è stata causata dal un mio madornale errore, ma quando me ne resi conto era già troppo tardi.
Mi alzai da terra sistemandomi i capelli, il cappotto e così la sciarpa.
Dovevo tornare a casa, mia nonna ha bisogno di me.
***

***note***
Che ne pensate? **
Per le canzoni… Lullaby dei Nickelback è dedicata ad Uruha perché proprio lui ha consigliato l’ascolto dell’ultimo cd del gruppo in una vecchia intervista. Cercavo qualcosa di adatto per lui e ripensando a quello che aveva detto sono andata a ricercare il disco e ho ascoltato Lullaby per tutto il tempo **
La cover di Adam è stupenda, adoro quel ragazzo ** Vi piace?
Ok :D Posterò la seconda parte a breve, è pronta ** devo soltanto correggerla ;)
Alla prossima **
Luxie 
  
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