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Autore: _juliet    25/10/2014    4 recensioni
Trovò i cadaveri in un corridoio, illuminati dalla luce innaturale della televisione. Erano morti lì, in un luogo di passaggio. I loro volti bianchi erano sfigurati dalle pallottole, le membra spezzate avevano assunto pose grottesche sul parquet imbimbito di sangue.
{prequel di Paid in Full}
Prima classificata al contest "Peppa in reverse", indetto da Giuns/Chara sul forum di EFP.
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prima classificata al contest “Peppa in reverse”, indetto da Giuns sul forum di EFP.

 

Prime volte



La prima volta che intuì di essere egoista, aveva appena chiesto e ottenuto di far licenziare senza preavviso una cameriera solo perché le aveva versato il caffé nel latte invece di fare il contrario. Persino ai suoi occhi di bambina era evidente la futilità della pretesa, ma questo non l'aveva fermata.
Più avanti negli anni, riflettendo sui suoi comportamenti, May si disse che cercava di ottenere quello che voleva ad ogni costo perché non poteva avere ciò che realmente desiderava: un padre.
Il signor Hamilton era un noto imprenditore e la maggior parte del suo tempo veniva dedicata al lavoro e alla sua famiglia legittima. La madre di May era l'amante la cui esistenza minacciava di distruggere quella famiglia e un impero finanziaro costruito una generazione dopo l'altra.
Progressivamente, l'uomo si allontanò da loro e, infine, scelse di abbandonare la figlia illegittima, inviando in sua vece generose somme di denaro perché potesse ottenere tutto quello che desiderava – qualunque cosa fosse. E May, complice una madre disperata che era tornata alla sua vecchia occupazione di escort, prese tutto.
Ebbe tutti i giocattoli e i vestiti che si potessero immaginare, domestici pronti a esaudire ogni sua richiesta e una casa di tre piani a sua disposizione. Frequentò le migliori scuole insieme ai rampolli delle famiglie più in vista della città – a parte gli Hamilton, ovviamente. Se non altro, il padre ebbe il tatto di fare in modo che non incontrasse mai i suoi fratellastri.

 

***


Alle superiori May conobbe Sebastian, che le regalò due prime volte: per lei fu il primo uomo e il primo spacciatore. Ricordava le sue mani bianche, diafane, mentre le lunghe dita scheletriche le slacciavano i bottoni della camicia.
Perse la verginità nel bagno della scuola, in piedi, piangendo per il dolore. Lui sudava terribilmente e le sussurava all'orecchio parole disgustose – e quando venne, piagnucolò in modo imbarazzante –, ma non le importava, perché voleva provare a prendere una pasticca e quello era il modo per ottenerla.
Seb aveva due anni più di lei e la introdusse nel suo giro di disperati che avevano tutto e che si compravano le dosi con i soldi del papà. May fu contenta di essere, finalmente, parte di un gruppo e si dedicò con passione ed impegno all'emulazione dei loro comportamenti.
Su consiglio dei suoi nuovi amici, smise di studiare e adottò un atteggiamento strafottente nei confronti degli insegnanti, perché suo padre versava generose donazioni alla scuola e il direttore non avrebbe mai osato privarsene. Iniziò a non rientrare per la notte, perché sua madre comunque non sarebbe stata in casa e sicuramente non avrebbe dato peso a ciò che le dicevano i domestici.
La sua unica occupazione diventò partecipare alle feste alcoliche organizzate nelle ville fuori città o nelle suite di lussuosi alberghi, durante le quali la sua compagnia si abbandonava agli eccessi.
Uno dei loro giochi preferiti era farsi per poi sfidarsi a Obbligo o Verità. Si finiva quasi sempre a fare sesso in pubblico, ma tutti lo trovavano divertente e May non aveva di meglio da fare, quindi non si opponeva.
Durante una di queste serate, iniziò a bucarsi per noia, dicendosi che poteva smettere in ogni momento; ma già dopo la prima siringa si chiese perché mai bisognasse smettere, dopo tutto.
Presto la sua vita si trasformò in una vertigine caratterizzata dal desiderio incontrollabile e costante di ottenere una nuova dose, per poter raggiungere quella bolla di calma e sicurezza che le permetteva di dimenticarsi chi era. La droga diventò il suo modo di essere, il suo strumento per stare in compagnia, il suo modo per non pensare.

 

***


May non ricordava esattamente quando avesse conosciuto Tobias perché, fin dall'inizio, le era sembrato di conoscerlo da sempre.
Anche lui le regalò una prima volta: May sapeva di poterlo definire il suo primo amore.
L'avvicinò a scuola con una scusa cretina e riuscì a vincere la sua ritrosia, invitandola a prendere un caffè. Dopo essere usciti dal bar, trascorsero ore a camminare per le strade della città, parlando di tutto quello che passava loro per la testa.
Tobias ascoltava senza interromperla e sembrava capirla davvero. La accompagnò a casa e rimase quando lo invitò ad entrare, e salì in camera sua e non fece una piega quando lei prese la siringa ed il laccio emostatico. Dopo, quando lei pianse, la abbracciò.
Sebastian le chiedeva cosa ci trovasse in quel secchione, e lei non riusciva a rispondere; pensava che non bisognasse parlare ad alta voce delle cose belle, perché altrimenti si rovinavano. Rideva e si limitava a dire che stare con lui le dava molto.
Anche lei gli diede qualcosa: la siringa che conteneva la sua prima dose di eroina, l'unica della sua vita. Bastò quella a mandarlo in overdose e ad ucciderlo.
May aveva suggerito che provasse a farsi, perché era una delle poche cose di lei che non avrebbe potuto capire senza sperimentarlo in prima persona. Desiderava che anche lui conoscesse la calma irreale e il piacere incondizionato. Desiderava che lui la capisse.
Quando il respiro di Tobias si fermò, erano tutti strafatti; non erano in grado di rendersi conto della gravità della situazione. Anche chiamare l'ambulanza fu difficile, perché le mani sembravano incapaci di obbedire ai comandi della mente annebbiata.
Alla fine May riuscì a digitare il numero di tre cifre sul suo cellulare, ma quando i soccorsi arrivarono Tobias era livido e il suo cuore non batteva più.
I paramedici chiusero con un gesto esperto il sacco nero che, per loro, conteneva il cadavere di un drogato qualunque, e guardarono quegli spettri seduti sul pavimento che puzzava di piscio e di vomito. May non avrebbe mai dimenticato quello sguardo colmo di repulsione e di pena.

 

***


L'accusa di morte in conseguenza di altro delitto le venne notificata pochi giorni dopo. Gli amici, pur avendo dichiarato di non ricordare nulla di quella sera, erano stati unanimi nell'affermare che la siringa che aveva ucciso Tobias gli era stata passata da May.
Lei non replicò, perché era la verità, e si rinchiuse in casa, in attesa del giudizio. Sapeva che gli avvocati di suo padre le avrebbero facilmente evitato la prigione, ma non avrebbero mai potuto aiutarla a sfuggire dal senso di colpa che la divorava. La sua soluzione per far fronte al dolore e al disgusto, ancora una volta, fu lei: l'eroina.
Qualche giorno dopo, il signor Hamilton si presentò alla loro porta inveendo contro l'ex amante, chiedendole se fosse a conoscenza di quanto stava accadendo a sua figlia, se le importasse di lei, se sapesse delle feste, della droga e della morte di un ragazzo.
May li ascoltò gridarsi contro mentre accendeva la fiamma sotto il cucchiaio e preparava la siringa, poi affondò l'ago nel braccio e li chiuse fuori.
Si risvegliò con la bocca impastata, piegata in due dalla nausea. Un forte ronzio la assordava, ma la casa sembrava silenziosa e, sicuramente, era troppo buia perché fosse giorno.
May non aveva alcun appetito, ma sperava che ingollare un po' di cibo avrebbe lenito l'acidità che le martoriava lo stomaco. Dopo qualche tentativo poco convinto, rinunciò ad infilarsi un anellino d'argento all'orecchio e lo strinse fra le dita. Con passo strascicato, scese i tre piani di scale che la separavano dalla cucina.
Trovò i cadaveri in un corridoio, illuminati dalla luce innaturale della televisione. Erano morti lì, in un luogo di passaggio. I loro volti bianchi erano sfigurati dalle pallottole, le membra spezzate avevano assunto pose grottesche sul parquet imbimbito di sangue. Un terzo corpo era visibile poco più avanti: una delle domestiche, concluse May, con una lucidità che la sorprese.
Non aveva la possibilità di avvicinarsi per verificare chi fosse, perché lui era ancora lì.
Un uomo vestito di nero, con una pistola in mano, le dava le spalle e osservava i frutti del massacro che aveva compiuto.
«Li hai uccisi» disse May, indecisa se stupirsi di più per aver udito il suono della propria voce o per aver deciso di parlare.
Lui si voltò, senza dire nulla. Sembrava giovane, ma il suo viso era scavato da occhiaie profonde e le sue spalle erano curve. I capelli nerissimi ricadevano scompostamente sul suo volto. Indossava un completo che lo fasciava come una seconda pelle e, per un momento, May si ritrovò a pensare che, in un'altra vita, la ragazzina che non era più avrebbe potuto trovarlo attraente.
«Li hai uccisi» ripeté, mentre le sue ginocchia cedevano e un conato acido risaliva la sua gola. Vomitò bile e grumi di cibo, il corpo scosso da colpi di tosse violenti che le tolsero il fiato, trasformandosi presto in gorgoglii e singhiozzi.
Quando il primo paramedico la raggiunse, May non seppe dire per quanto tempo era rimasta rannicchiata sul pavimento, dopo che lui se n'era andato.

 

***


May uscì dalla clinica riabilitativa a diciott'anni. Aveva impiegato quattro mesi per disintossicarsi e aveva trascorso i successivi quattordici impegnandosi in volontariato e lavori socialmente utili, come stabilito dal tribunale che l'aveva giudicata.
Non volle saperne di tornare nella casa che era stata testimone della pochezza dei suoi comportamenti e dell'assassinio dei suoi genitori. Seb andò a prenderla e la portò in periferia, dove era semplice trovare appartamenti accettabili a poco prezzo e dove difficilmente il passato l'avrebbe importunata.
Quando fu il momento di separarsi, May fu stupita di scoprire che lui aveva gli occhi lucidi. «Ora cosa farai?» le chiese. «Ricomincerai da zero?»
Per molto tempo, la sua segreta intenzione era stata quella di porre fine alla sua vita. Non aveva più nulla per cui valesse la pena vivere: i suoi genitori erano morti, la famiglia Hamilton non avrebbe più sganciato neanche un soldo e trovare lavoro, con i suoi trascorsi, sarebbe stato impossibile. Ammazzarsi sembrava un'alternativa molto più semplice.
Dopo tutto, dicevano che il suicidio fosse un atto di egoismo. Esisteva forse un modo migliore per terminare la sua esistenza?
Ma un giorno, uscita dalla clinica per prestare assistenza in una casa di riposo in periferia, aveva scoperto che esisteva ancora qualcosa a cui potesse aggrapparsi.
Lui camminava per strada, senza fretta, nella luce del giorno che moriva. Era vestito di nero, i capelli erano spettinati, le occhiaie profonde.
Lui aveva ucciso intenzionalmente ed era libero di sedersi in un bar per sorseggiare una birra, mentre lei doveva rientrare prima delle sei, perché a quell'ora scattava il coprifuoco. Lui era un assassino e non sentiva il bisogno di abbassare lo sguardo quando incrociava altre persone, mentre lei si vergognava visceralmente di ciò che era e di ciò che aveva fatto.
Quel giorno, May si rese conto che c'era qualcosa che desiderava. Ma, questa volta, non avrebbe preteso che qualcuno lo facesse al posto suo. Voleva la testa di quell'uomo e se la sarebbe presa da sola.
Lei non rispose. Gli chiese di non dire a nessuno dove fosse e di non cercarla più.

 

***


Aveva deciso di appostarsi in quel bar e aveva scoperto che lui lo frequentava regolarmente. Sedeva sempre al bancone e parlava con il gestore, un uomo dai capelli color viola acceso.
Pedinarlo era stato più semplice di quanto si fosse aspettata: lui non si guardava mai alle spalle, probabilmente perché pensava di non avere nulla da temere.
Quando lui aprì la porta del suo appartamento e se la ritrovò davanti, armata di una grossa scheggia di vetro, il suo viso non rivelò alcuna emozione.
«Ti ucciderò» lo informò May. «Perché tu hai ucciso i miei genitori.»
Lui non rispose e si limitò a guardarla. Sembrava... in attesa.
La ragazza non capiva. Non avrebbe tentato di difendersi? L'avrebbe lasciata fare? Era forse pentito per quello che aveva fatto? Oppure si trattava di un gesto di scherno, perché credeva che lei non ne avesse il fegato?
May strinse la scheggia fra le mani, ripetendosi che ora l'avrebbe fatto, solo un secondo per calibrare il colpo e l'avrebbe trafitto, lui sarebbe morto e lei si sarebbe purificata nel suo sangue.
L'assassino sorrise. «Tu non puoi uccidermi» disse, prima di chiuderle la porta in faccia.
La ragazza rimase immobile, incapace di riscuotersi da quanto era accaduto; era stata così vicina a compiere la sua vendetta ma, all'ultimo momento, non ci era riuscita. Perché?
No, non importa, si disse. Avrebbe avuto un'altra occasione per ucciderlo. L'avrebbe fatto presto. Il giorno dopo, sicuramente, l'avrebbe fatto.

 

***


Il rituale si protrasse per tre settimane. Ogni volta che lui rientrava, lei si presentava alla sua porta ed emetteva la sentenza di morte. Ogni volta, lui aspettava in silenzio una pugnalata che non arrivava mai.
Un giorno, lui parlò per primo. «Perché non entri?»
May non riuscì a nascondere il suo orrore.
Lui scrollò le spalle. «Vieni qui quasi ogni giorno. Potresti anche entrare.»
May non credeva alle sue orecchie.
«Hai l'aspetto e l'odore di una barbona» continuò lui. «Vedila in questo modo: potrai uccidermi nel sonno» il sorriso che le rivolse si spense prima di arrivare ai suoi occhi. «Così sarà più facile per te.»

 

***


Ren uccideva su commissione. Fu lui a dirglielo, dopo averla informata che stava andando al lavoro. Spiegò che i clienti lo contattavano tramite una casella di posta anonima, inviandogli foto e informazioni, e lui si impegnava a togliere di mezzo gli ostacoli. Veniva pagato in contanti e viveva di questo.
«Che valore ha la vita di un uomo?» gli chiese May.
«Ti stupiresti di quanto è insignificante» rispose lui, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

***


La prima volta che la prese, May scalciò e spinse e graffiò, ma non servì a nulla perché lui era più forte ed era arrabbiato. Alla fine, esausta, si arrese. Gli permise di sfogare la sua frustrazione perché lui la nutriva e le dava un posto dove stare, e lei non aveva altro da offrirgli in cambio. Dopo tutto, aveva venduto il suo corpo per molto meno.
Dopo, Ren si addormentò e lei pianse, perché anche lui aveva osato farle provare qualcosa per la prima volta: il primo orgasmo, avuto con l'assassino dei suoi genitori.

 

***


Anche in quel momento Ren stava dormendo. Si era buttato sul letto ancora vestito ed era crollato.
Quando era tornato era esausto e sporco di sangue. May aveva intuito che il lavoro non doveva essere andato liscio com'era stato preventivato.
La sua presenza, come sempre, sembrava non preoccuparlo affatto. Le aveva persino dato libero accesso alle sue pistole.
May osservò il petto di Ren alzarsi e abbassarsi al ritmo regolare del suo respiro e pianse perché i polmoni di Tobias non si sarebbero gonfiati mai più. Singhiozzando, si alzò e raggiunse l'armadio che conteneva le armi che aveva il permesso di usare.
Si posizionò all'altro capo della stanza rispetto al letto e puntò la pistola contro di lui, tenendo entrambe le braccia ben tese. Strinse il calcio fra le mani, ripetendosi che ora l'avrebbe fatto, solo un secondo per calibrare il colpo e avrebbe sparato, lui sarebbe morto e lei si sarebbe purificata nel suo sangue.
Tu non puoi uccidermi.
Certo che poteva: nessuno in quella stanza era in grado di impedirglielo.
Vedila in questo modo: potrai uccidermi nel sonno, così sarà più facile per te.
Il silenzio era tanto completo che il respiro regolare di Ren sembrava rimbombare nella camera. Stava dormendo su un fianco, le gambe rannicchiate contro il corpo e una mano sotto il cuscino. Era tanto indifeso da farla sentire impotente.
May imprecò e abbassò le braccia di scatto. In silenzio, tornò all'armadio e ripose la pistola dove l'aveva trovata. Si sedette sul letto e osservò il viso di Ren, notando che non sembrava disteso neanche nel sonno, ed ebbe perlomeno quella soddisfazione.
Non oggi.
Avrebbe avuto un'altra occasione per ucciderlo. L'avrebbe fatto presto. Il giorno dopo, sicuramente, l'avrebbe fatto.


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NdA:
Non sono molto soddisfatta di questo scritto: è la prima volta che mi cimento nel descrivere queste tematiche e penso che si veda =_=
Questa storia è un prequel alla mia long “Paid in Full”. Avevo voglia di approfondire un po' alcuni personaggi e non escludo di approfondirne altri.


 

  
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