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Autore: Hermione Weasley    25/10/2014    4 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
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“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 10 -

 

 

L'olezzo di piscio e vomito aleggiava nella cella in cui li avevano rinchiusi mentre i poliziotti facevano i dovuti accertamenti, ai quali – Clint ne era più che sicuro – non sarebbe seguito proprio niente di buono. Aveva pensato che niente di peggio avrebbe potuto seguire l'attacco degli scagnozzi di Elizaveta Drakov, ma più passava il tempo e più si vedeva costretto a scendere a patti col fatto che si sbagliava.

Appoggiato col braccio sano alle sbarre, seguiva distrattamente l'andirivieni delle guardie su e giù per lo stretto corridoio pitturato di un azzurrino improponibile. Alle sue spalle Fat Pat (o almeno così dicevano i suoi tatuaggi) russava sonoramente e un spilungone alto e calvo si era appropriato della tazza del cesso per rimettervi il contenuto del proprio stomaco... ripetutamente.

Thor aveva preso posto sull'altra panca libera, i gomiti piantati sulle ginocchia e un'espressione stanca fissa in un punto qualunque del pavimento lercio. Bruce, invece, misurava nervosamente i pochi metri quadri che costituivano la cella, togliendosi, pulendosi e rinfilandosi gli occhiali a più riprese.

“Questa proprio non ci voleva,” lo sentì borbottare.

Per la prima volta da che l'aveva conosciuto, Clint si ritrovò a sperare che perdesse la testa: la totale uscita di senno di un detenuto era un valido motivo per liberarli, giusto? Magari bastava farlo incazzare ancora un po' perché il suo inconscio sguinzagliasse finalmente il mostro, garantendo loro una via di fuga. Oppure sarebbero morti prima che il poliziotto più vicino riuscisse a trovare la chiave giusta.

Non gli sembrava comunque un'idea totalmente pessima. Se la fame e la sete erano ancora delle priorità (al commissariato si erano limitati ad offrir loro un bicchiere d'acqua ciascuno), tutta la sua attenzione era stata catalizzata dalla consapevolezza che quei dannati farabutti era in possesso, non solo dei documenti che attestavano la sua identità, ma anche del suo prezioso arco. I lavori che aveva portato a termine erano sempre stati puliti, precisi: salvo un paio di volte in cui non aveva potuto proprio fare altrimenti, si era sempre ben guardato dal lasciare tracce che potessero ricondurre a lui. Se nel sistema c'erano informazioni su un qualche caso irrisolto che menzionava l'uso di un determinato tipo di frecce, allora era fottuto. La sua tranquilla esistenza sarebbe andata completamente a puttane e, per quanto sapesse che la vita che conduceva non era esattamente un granché, non era del tutto pronto a lasciarla andare. Non per passare il resto dei suoi giorni in gattabuia, comunque.

“Stai calmo, doc. Adesso verranno a tirarci fuori.”

Lo scenario in cui Banner impazziva proprio mentre li portavano via, lo soddisfaceva un po' di più. Sarebbe stato il diversivo perfetto per attirare altrove l'attenzione dei poliziotti e approfittare del putiferio per filarsela dall'ingresso principale. Certo, il dottore ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze, e il pensiero di doverlo sacrificare non faceva che stuzzicare il suo senso di colpa, ma meglio uno che tutti e quattro, no?

Il conteggio dei membri del gruppo fece sì che il pensiero di Natasha tornasse a tormentarlo: in quanto unica presenza femminile dello sbandato quartetto che erano, era stata portata in un'ala diversa del commissariato, dove si stava sicuramente godendo la compagnia di qualche prostituta fermata durante la notte e di un paio di ubriache ancora impegnate a smaltire la sbornia della serata appena conclusa. Clint riusciva a figurarsi la scena con straordinaria vividezza (l'idea che fosse sola, poi, lo irritava più di tutto il resto).

“Sono calmo,” assicurò Bruce, più per convincere se stesso che lui. “Era da troppo che non mi capitava.”

“Sei già stato al fresco?” Gli domandò, sperando che un po' di conversazione lo distraesse dal preoccupante fulcro di quell'intera questione. Clint dubitava che qualcuno sarebbe arrivato a liberarli e tantomeno a far loro sconti per... uno qualsiasi dei crimini che avevano commesso nelle ultime ventiquattro ore.

“Più di una volta,” ammise. “L'Altro non risponde granché bene alle autorità.”

Clint sbuffò una risata, portandosi distrattamente una mano al braccio fasciato di fresco (l'infermiere del commissariato era stato molto meno delicato di Natasha).

“L'Altro ed io potremmo essere grandi amici.”

“Quando non è impegnato a prenderti a pugni,” concesse il dottore.

“Tutti i miei amici mi hanno preso a pugni almeno una volta,” prima di andarsene più o meno a fanculo, aggiunse a suo esclusivo beneficio.

“E tu, Thor?” Bruce si era rivolto al gigante biondo che solo in quell'istante aveva rialzato lo sguardo dal pavimento.

“Come?” Non sembrava aver seguito la conversazione.

“Sei mai stato al fresco?”

Clint lo vide annuire appena, prima di abbozzare un sorriso affatto convincente. “Per circa un anno.”

“Cazzo.”

“Wow.”

“Ho quasi ammazzato un avversario... sul ring,” mormorò, offrendo una delucidazione che nessuno dei due aveva incoraggiato. Ricordò il breve scambio al pub di Puente Antiguo con Brandy, la cameriera, il modo in cui aveva intuito che dopo aver assistito al crollo della sua nascente carriera, doveva anche aver passato dei guai con la legge; guai che l'avevano spinto a seguire la moglie in quel cesso di cittadina incastrata nel deserto.

“Abbiamo fatto tutti cose di cui non siamo fieri,” convenne Bruce, lanciandogli un'occhiata comprensiva che Thor non mancò di registrare con un impercettibile cenno del capo. Forse un ringraziamento.

“Probabilmente ne dovremo fare altre,” aggiunse Clint. Comunque fossero andate le cose, era più che determinato ad uscire di lì ad ogni costo. Potevano accusarli di furto, guida pericolosa, uso improprio di armi da fuoco non registrate e... probabilmente un centinaio di altri reati minori a cui non riusciva neanche a pensare. Magari ci sarebbe stata un'udienza, forse anche un processo. In ogni caso, era sicuro che – prima o poi – sarebbe arrivata l'occasione giusta per darsela a gambe.

Il respiro raschiante di Fat Pat si era intensificato di colpo, sovrastando ogni altro rumore, incluso quello dei conati di vomito dello spilungone ancora accasciato nell'angolo del cesso.

Decisamente, avevano visto giorni migliori.

Clint scosse il capo, spettinandosi i capelli con una mano proprio mentre dei movimenti oltre le sbarre attirarono la sua attenzione: alcuni agenti si stavano muovendo nella loro direzione, chiavi alla mano.

“Banner, Blake e Barton. Mani,” ordinò uno, battendo il manganello sulle sbarre in uno sgradevole invito.

Thor si alzò dalla sua postazione sulla panca e Bruce fu costretto ad interrompere il suo ansiolitico viavai: tutti e tre offrirono i polsi all'agente, che provvide ad ammanettarli in rapida sequenza.

“Indietro,” un altro intimò, aspettando che si fossero allontanati dalla porta prima di farne scattare la serratura.

“Forza,” l'agente che completava il trio, “tempo di rispondere ad un po' di domande.”

Mentre li portavano via, il cielo solo sapeva dove, Clint socchiuse gli occhi, pregando con tutto se stesso che l'Altro si decidesse a degnarli della sua presenza.

 

*

 

Natasha fece scorrere lo sguardo sulle pareti ingiallite della stanza in cui l'avevano appena rinchiusa. C'era solo un tavolo ad occuparla e un paio di sedie metalliche. Un neon traballante diffondeva la sua luce intermittente tutt'intorno, riflettendosi sul finto specchio che – probabilmente – si affacciava su un corridoio o un ambiente adiacente di altro tipo.

L'agente che si era occupata di lei – una ciarliera Karen Higgs – le aveva assicurato che non avrebbe dovuto aspettare a lungo prima che qualcuno arrivasse ad interrogarla. La consapevolezza di essere stata catturata e ancora di più l'allontanamento dal resto del gruppo, l'aveva fatta sentire, per la prima vera volta dagli eventi di San Paolo, sola e spaesata. Sembrava che il sogno allucinato di quegli ultimi giorni fosse destinato a concludersi così, in una stazione di polizia di Birmingham, in Alabama, ad un passo dalla conclusione della bizzarra caccia al tesoro che aveva tanto insistito per intraprendere.

Adesso, più che in qualsiasi altro momento, sentiva il bisogno di qualcuno che le desse delle direttive, che le tenesse la mano e le dicesse di non preoccuparsi, qualcuno che avesse tutte le risposte, lasciandole l'ingrato compito di eseguire meccanicamente gli ordini. Tutto il resto sarebbe andato a posto. Clint aveva ragione: l'unico motivo per cui si era ostinata ad andare avanti, era che non aveva nient'altro. Nessun altro. Scampata alla prospettiva di venir giustiziata dall'arciere, le sue opzioni si erano ridotte ad una sola: andarsene in giro nella speranza di trovare qualcuno che l'assoldasse per permetterle di guadagnarsi da vivere nell'unico modo in cui era capace. Rubando, estorcendo, uccidendo, risolvendo problemi di vario genere.

Ricominciare da capo una vita normale, sotto falsa identità, mischiarsi alla gente comune, cercarsi un lavoro ordinario, le sembrava un scenario assolutamente improbabile. Smettere di fare quello che Ivan l'aveva addestrata a fare, sarebbe stato come disimparare a respirare o camminare. Innaturale ed inutile.

L'arresto, però, apriva una nuova strada: poteva sempre confessare tutti i suoi crimini e garantirsi un posto in carcere da lì alla fine dei suoi anni. Chiunque sarebbe stato felice d'averla e, soprattutto, di poter sbandierare al mondo intero di aver catturato una pericolosa criminale internazionale. Forse l'avrebbero estradata in Brasile affinché potesserlo punirla come meritava per l'incendio dell'ospedale. O magari gli uomini della Drakov sarebbero tornati all'attacco, piantandole una pallottola tra gli occhi prima che potesse anche solo accennare ad uscire dal paese.

Si stava chiedendo se avrebbe mai rivisto i suoi compagni di viaggio, sforzandosi di metabolizzare la sensazione affatto familiare che si ostinava a crescerle in petto, quando la porta della stanza si riaprì, lasciando entrare l'ennesimo agente. Portava con sé due sedie, uguali a quelle su cui Karen l'aveva stucchevolmente invitata a sedersi, che sistemò alla sua destra. Natasha lo vide sparire e ricomparire con un'altra che dispose, stavolta, alla sua sinsitra.

“Che sta succedendo?” L'uomo non le rispose, limitandosi ad uscire per poi richiudersi la porta alle spalle.

Da quando in qua gli interrogatori venivano condotti con tutti i sospettati insieme? Ivan le aveva insegnato tutte le tecniche del perfetto inquisitore e nessuna di quelle prevedeva la presenza di così tante persone. Forse speravano che finissero per tradirsi o vendersi l'un l'altro?

Non ebbe il tempo di formulare la benché minima ipotesi che la porta si riaprì per permettere a Bruce, Clint e Thor di entrare, quest'ultimo costretto ad abbassare il capo per non battere una testata contro lo stipite più alto.

Presero tutti frettolosamente posto accanto a lei. Il dottore, evidentemente in difficoltà, si limitò a tenere lo sguardo basso, concentrandosi su quelli che Natasha riconobbe come i suoi esercizi di respirazione. Thor le scoccò una rapida occhiata, quasi non avesse mai nutrito alcun dubbio riguardo la possibilità di rivederla a breve.

“Stai bene?” Clint fu l'unico ad interpellarla, mentre occupava la sedia libera alla sua sinistra.

“Bene,” confermò, “tu?”

“Sono stato peggio.”

“Il braccio?”

“A posto,” la rassicurò con una leggera scrollata di spalle.

Natasha fece per aggiungere qualcos'altro, magari mettere insieme un qualche piano di fuga, lì su due piedi, ma l'arrivo di un uomo in giacca e cravatta la distolse dal suo proposito.

Era alto e ben piazzato, spalle larghe, capelli biondicci tagliati corti e le guance sbarbate di fresco. Portava con sé un fascicolo e una busta di carta bianca che Natasha non riconobbe. Le apparve, da subito, fin troppo giovane per ricoprire un grado tanto alto nella gerarchia delle forze dell'ordine: a giudicare dall'abbigliamento doveva essere un tenente o un capitano.

“Quindi,” fu lo sconosciuto a prendere la parola, occupando l'unica sedia sull'altro lato del tavolo, “Donald Blake, Bruce Banner, Clint Barton e... Natalie Rushman.”

Dovevano aver rovistato tra i loro effetti personali finché non avevano trovato i loro documenti falsi, rivisti o autentici che fossero. In quel momento era più preoccupata per le armi di Clint, la Glock che gli aveva requisito e la borsa piena di medicinali più o meno legali di Bruce.

Le sembrò, tra l'altro, che l'uomo fosse particolarmente interessato al dottore, dettaglio che la sorprese: avrebbe giurato che il più in vista tra i quattro fosse Thor (sempre che la cameriera di Puente Antiguo non avesse esagerato quando ne aveva decantato i trascorsi sportivi).

“Avete fatto un sacco di strada dall'Arizona,” constatò lo sconosciuto, “su un furgone rubato per di più.”

Possibile che il motivo dell'arresto fosse il furto e non la sparatoria con gli uomini dell'ex-cliente di Clint? Possibile che fossero scampati alle loro grinfie solo per finire in una nauseabonda cella dell'Alabama?

“Qualcuno mi vuole spiegare perché?” Lo sguardo dell'uomo li passò in rassegna uno ad uno, finché l'arciere non si decise a prendere la parola.

“Per come la vedo io, gli abbiamo fatto un favore.”

“Al signor,” controllò il fascicolo finché non ebbe trovato l'informazione che cercava, “al signor Guthrie.”

“Esattamente. E anche a lei, in un certo senso. Non so se l'avete guardato per bene, ma ha l'aria di essere il furgone di uno che fomenta la prostituzione o, peggio, rapisce bambini adescandoli con palloncini colorati.”

Natasha fece fatica a mantenere un'espressione neutrale, mentre Thor neanche si sforzò di farlo; Bruce era ancora chinato in avanti, le dita contratte le une sulle altre.

“Suppongo sia un modo di vederla, signor Barton,” convenne il poliziotto, “ma rimane comunque furto.”

“Furto a fin di bene.”

“Dipende dai punti di vista.”

“Scelga lei a quale preferisce dar credito, agente.”

“Sono solito dar credito solo alla verità,” decretò con fermezza, quasi volesse rimproverarlo delle sue malefatte per impartirgli una qualche lezione di vita, piuttosto che minacciarlo con un'imminente punizione. “Capitano, comunque.”

“Non si scomodi, mi può chiamare Clint.”

Lo sconosciuto accennò un sorriso sinceramente divertito, scuotendo leggermente il capo. Thor e Bruce erano impietriti sul posto, mentre Natasha si limitava a godersi lo spettacolo: se dovevano affondare tanto valeva farlo con stile.

“Capitano Steve Rogers,” puntualizzò, “è il mio nome, non il suo.”

Sentì il calore defluirle improvvisamente dal viso mentre registrava e metabolizzava le parole dell'uomo. Sbatté le palpebre e inspirò a fondo, sedendosi un po' più compostamente mentre tentava di assicurarsi di aver capito bene.

“Steve Rogers,” ripeté, ricevendo un cenno d'assenso da parte del diretto interessato.

Persino Bruce sembrava essersi preso una pausa dalla sua crisi di nervi, mentre Clint e Thor si erano zittiti, lasciandole tacitamente il campo libero per tentare l'approccio che le sembrava più adatto, così come aveva fatto con ciascuno di loro.

Il capitano ricambiò il suo sguardo inquisitore, sostenendolo placidamente, quasi si fosse aspettato quel brusco ribaltamento d'atmosfera. Il silenzio rimase pressoché totale finché Rogers non si decise ad alzarsi per premere un interruttore sulla parete retrostante; dopodiché, riguadagnò il suo posto.

“Nessuno ci sentirà,” disse a mezza voce, congiungendo le mani sul fascicolo aperto.

“Lei non lavora per questa divisione, giusto?”

“No, ha ragione.” L'uomo scosse il capo dopo averla scrutata a lungo.

“Qualcuno, però, l'ha informata del nostro arrivo,” obiettò.

“Non proprio,” concesse. “Mi trovavo qui per un'altra questione... sono incappato nel deposito prove proprio mentre stavano registrando i vostri effetti personali.”

Clint si irrigidì al suo fianco, probabilmente tormentato dal pensiero del suo prezioso arco archiviato in un anonimo scatolone.

“Suppongo che anche lei abbia ricevuto quel pacco,” alluse, scegliendo attentamente le parole.

Il capitano Rogers annuì, lasciando che il silenzio tornasse a serpeggiare nella stanza per qualche secondo.

“Siete venuti fin qui per cercarmi.” Un'affermazione più che una domanda.

“Cos'ha intenzione di fare?” Tagliò corto Clint, intromettendosi nella conversazione.

“Aiutarvi ad arrivare fino in fondo,” rispose l'altro, insospettendola immediatamente.

“Sarebbe disposto a compromettere la sua brillante carriera per imbarcarsi in una caccia al tesoro senza capo né coda?” Le parole le uscirono più fredde del previsto: di certo il capitano non si aspettava davvero che avrebbero creduto ciecamente al suo clamoroso voltafaccia!

“Perché non lascia che sia io ad occuparmi della mia carriera, signorina Rushman?”

“Nessuno ci assicura che possiamo fidarci di lei.”

“Non mi sembra che siate nella posizione più adatta per permettervi il lusso di non farlo.”

“Ha ragione,” fu costretto a riconoscere Thor.

Natasha non disse niente per qualche istante, sentendosi addosso lo sguardo discreto di Clint.

“La domanda resta: che ha intenzione di fare?”

“Tirarvi fuori di qui.”

“A che prezzo?” Indagò l'arciere.

“Preferisce essere trasferito nel carcere più vicino, signor Barton?”

“Secondo lei?”

Il capitano Rogers sospirò appena, intrecciando le braccia al petto e appoggiandosi allo schienale della sedia su cui era seduto.

“Ho solo una possibilità di farvi uscire di qui e sfumerà a breve,” riprese. “Ho bisogno di sapere se siete con me o se preferite aspettare la prossima occasione... sempre che se ne presenti un'altra.”

Se le avessero rivelato che di lì a poco si sarebbe trovata nella condizione di dover essere persuasa a continuare quel viaggio per cui aveva tanto, strenuamente combattuto, Natasha si sarebbe messa a ridere di gusto. Eppure era proprio quello che stava succedendo: il capitano Rogers sembrava fin troppo consapevole delle circostanze e, anzi, pareva più motivato di tutti loro messi insieme. Possibile che fosse già in contatto col nome che aveva ricevuto insieme alla cartina e alla chiave? Altrimenti come poteva sapere di cosa si trattasse? Era davvero tanto perspicace da essere in grado di intuire quel complesso e bislacco piano basandosi solamente su quei tre oggetti misteriosamente recapitatigli nella cassetta della posta?

“Quattro minuti,” sottolineò il capitano, mascherando non troppo abilmente il nervosismo che Natasha riuscì a leggergli negli occhi.

“Va bene,” fu lei la prima ad acconsentire.

“Ci sto,” si aggiunse Thor.

“Anch'io.” La voce del dottor Banner si era affievolita, ma pareva aver riguadagnato almeno un po' di calma.

Si voltarono tutti e quattro verso Clint, il quale si limitò a rivolgerle una breve occhiata: sapevano entrambi che non avevano altra scelta e che tentare la fuga, quali che fossero le intenzioni del capitano Rogers, era sempre meglio che restare bloccati nella fetida cella di un commissariato di polizia. Senza contare che, se anche l'uomo avesse avuto in serbo per loro una qualche brutta sorpresa, restavano in un non irrilevante vantaggio numerico: quattro contro uno.

“E sia,” l'assenso di Clint arrivò un attimo dopo, “ma voglio indietro il mio arco o non se ne fa di niente.”

“L-La mia borsa, a-anche,” borbottò Bruce. “Se non l-le dispiace,” puntualizzò per giusta misura, asciugandosi con la manica della camicia il velo di sudore che gli aveva ricoperto la fronte, decisamente più per l'ansia che per il caldo.

Il capitano Rogers annuì rimettendosi finalmente in piedi. Estrasse discretamente una chiave dalla tasca della giacca, nascondendola sotto la busta di carta che non aveva ancora aperto. Si riprese il fascicolo, lanciando un'occhiata esplicita a ciascuno di loro.

“Li distraggo per darvi il tempo di liberarvi,” li avvertì. “Non più di un minuto. Dopodiché arrivate fino in fondo al corridoio e seguite le istruzioni per il parcheggio sul retro. Non mettetevi a correre e cercate di non dare nell'occhio.”

“Conosciamo i trucchi del mestiere,” Natasha ci tenne a precisare: non aveva di certo bisogno che un dannato piedipiatti le insegnasse come fare la spia.

“Non bene come credete, evidentemente,” fu la pronta, secca risposta del capitano.

 

*

 

Aspettò che la serratura fosse scattata con un sonoro clic prima di sfilarsi le manette e massaggiarsi i polsi. Si avviò verso la porta che Rogers aveva lasciato socchiusa, sbirciando nel corridoio per controllare la situazione mentre Natasha provvedeva a liberare anche Thor e Bruce e ad impossessarsi della busta che il capitano si era curato di lasciare sul tavolo.

“Come andiamo, doc?” Lo apostrofò, improvvisamente preoccupato dall'aria malaticcia del dottore.

“Sto bene,” assicurò l'altro, sbuffando le parole con una certa difficoltà.

Ovviamente la loro buona stella rischiava di farlo uscire di testa proprio quando la situazione sembrava aver preso la piega giusta... o quantomeno una meno sbagliata.

Clint scambiò una breve occhiata con Natasha, comprendendo che i suoi timori erano condivisi.

“Resisti, doc. Fra poco ti tiriamo fuori di qui,” provò a rassicurarlo, prima di rivolgersi agli altri. “Siete pronti?”

Non appena ebbe ricevuto un cenno d'assenso da ciascuno dei presenti, uscì dalla stanza interrogatori e, assumendo l'andatura più tranquilla di cui fu capace, imboccò il corridoio, seguendo le frettolose indicazioni che il capitano aveva loro impartito.

Gli parve di scorgere uno stralcio dell'uomo impegnato in un'allegra conversazione con dei colleghi davanti alla macchinetta del caffè sistemata in uno dei corridoi laterali: in effetti, la stanza su cui si affacciava il finto specchio era deserta.

Natasha l'affiancò prendendolo sottobraccio.

“Che fai?” Non riuscì a nascondere la sorpresa nella propria voce.

“Se procediamo in fila indiana qualcuno se ne renderà conto.”

“E' illegale, procedere in fila indiana?”

Svoltarono sulla sinistra, seguendo la freccia che prometteva di condurli al parcheggio sul retro.

“Hai mai visto un gruppo di persone, per la strada, camminare in fila indiana?”

“Non-”

“Non è il momento,” lo zittì prontamente, rivolgendo un sorriso stucchevole ad un agente basso e tarchiato che accennò un saluto dopo averle – Clint e il resto dell'universo dovevano essersene accorti – spudoratamente guardato le tette. Se una parte di lui avrebbe voluto inspiegabilmente prenderlo a pugni, l'altra si beava delle mille e più qualità della carrozzeria di Natasha.

Mentre giravano sulla destra e poi sulla sinistra, decise di tenersi occupato voltandosi verso Bruce per controllare che fosse ancora tutto a posto: la corsa verso il parcheggio non sembrava aver fatto granché per migliorare il suo stato d'animo.

“Bruce è troppo nervoso,” commentò a mezza voce, rivolto alla donna che ancora procedeva al suo fianco.

“Lo so. Ho paura abbia oltrepassato il punto di non ritorno già da un pezzo,” convenne lei. Il che significava che solamente una sana, obbligata dormita, avrebbe potuto evitare la non richiesta comparsa di quello che il dottore chiamava l'Altro.

Thor, d'altro canto, pareva perfettamente a suo agio: a Clint arrivavano i saluti goliardici che rivolgeva più o meno a chiunque incrociasse. Per quanto assurda fosse quella particolare tecnica, nessuno si soffermò a chiedergli chi diavolo fosse, lasciandosi piuttosto trasportare dall'inspiegabile entusiasmo di quell'uomo grande e grosso. Clint aveva imparato (a sue spese) che i vincenti avevano un ascendente non irrilevante sulla maggior parte della gente: per quanti problemi Thor avesse avuto dall'epoca dei suoi successi sportivi, era altrettanto convinto che sapesse come invocare alla perfezione un atteggiamento che, in passato, doveva essergli sicuramente appartenuto.

“Ci siamo,” decretò Natasha a voce abbastanza alta per farsi sentire da Banner, come nel tentativo di confortarlo con la promessa della liberazione imminente.

L'uscita che conduceva al parcheggio si stagliò in fondo all'ultimo, stretto corridoio, illuminato da una luce giallognola che conferiva incarnati da malato a tutti e quattro. Il maniglione antipanico era proprio laggiù, a un paio di miseri metri di distanza...

“Ehi, voi!” Una voce sconosciuta li raggiunse alle spalle: un agente, mano alla pistola ancora nella fondina, si stagliava nel punto esatto da cui erano appena venuti.

Ebbero tutti e quattro la medesima idea: scattarono in una folle corsa per macinare quei pochi metri che li separavano dal parcheggio. Natasha gli lasciò andare il braccio, spingendosi per prima contro la porta, spalancandola per permettere a tutti e tre di uscire.

“Tasha?!” Le chiese con urgenza, vedendola restare immobile con la maniglia esterna ancora in pugno, i passi del poliziotto in corsa verso di loro sempre più vicini, la voce alzata in cerca di soccorsi, via via più insistente e impossibile da ignorare.

“Aspetta solo un...,” con un contraccolpo violento, Natasha schiantò la porta in faccia all'agente che stava giusto per uscire nel parcheggio, rispendendolo a terra con un setto nasale deviato e – Clint suppose – un imminente mal di testa, “... attimo.”

“Bel colpo!” Non riuscì a trattenersi dal dire, mentre si ricongiungevano a Bruce e Thor, nascosti dietro l'unico furgone presente nel parcheggio insieme a svariate auto d'ordinanza. “Adesso che cazzo facciamo?”

“Rubiamo una macchina,” decise Natasha, sporgendosi oltre l'estremità posteriore del veicolo per controllare che il poliziotto che li aveva inseguiti non fosse riuscito ad attirare l'attenzione di qualche collega.

“E poi?” Intervenne Bruce.

“E poi ci penseremo.” La donna aveva ragione, la priorità era andarsene... se non fosse stato per un piccolo particolare totalmente non insignificante.

“Dove cazzo è Big Jim?” Clint stava cominciando a perdere le staffe. “Non me ne vado senza il mio arco.”

Lo sportello del furgone dietro cui si erano appostati, si era appena aperto: la figura del capitano incombeva su di loro, proiettando la sua gigantesca ombra sull'asfalto.

“E allora datevi una mossa,” decretò, come a rispondere alla condizione imposta da Clint. “Salite sul retro.”

“Fuggiamo su un mezzo della polizia?” Thor non era convinto.

“E' f-follia,” biascicò il dottor Banner.

“E' geniale!”

“E' geniale!” Lo corresse Clint, senza rendersi conto di aver parlato all'unisono con Natasha.

Il capitano Rogers aspettò che fossero saliti tutti a bordo, a sedere sulle strette panchine infisse su ciascun lato dell'abitacolo, prima di chiudere il portellone e risalire al posto di guida.

“Allacciatevi le cinture,” ordinò mentre il motore prendeva improvvisamente vita.

“Ci stanno seguendo?” Domandò Thor, greve e allarmato insieme, l'incubo dell'ennesimo inseguimento automobilistico ad oscurargli il volto.

“No... regole della strada.”

Se il suo arco, appoggiato trasversalmente su uno scatolone abbandonato in un angolo, non fosse prontamente arrivato a distrarlo dall'uscita infelice, Clint l'avrebbe volentieri mandato a fanculo.

 

__________________________________________

Note:
Con la comparsa di Steve, arriviamo al giro di boa della storia! Altri dieci capitoli alla fine :)
Come qualcuno di voi aveva intuito, l'incontro-scontro con la polizia non ha portato (fortunatamente) soltanto guai ai nostri Vendicatori sbandati :P o così sembrerebbe...
Qualche dettaglio in più sulla storia del Capitano verrà rivelato nel prossimo capitolo... e intanto ci avviciniamo anche all'incontro con l'illustre assente della squadra.
Chiacchere a parte, ringrazio tuuuuutti coloro che hanno letto/commentato la storia, ché mi fa sempre piacere, e come di consueto alla sclero-socia che mi sostiene anche nei momenti più bui (tipo... ora ù_ù).
Buon weekend a tutti e al prossimo capitolo! :3
S.
  
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