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Autore: Julia of Elaja    26/10/2014    4 recensioni
OS partecipante al contest "Spiriti Maligni" indetto dal gruppo FB "La crème della crème di EFP".
Creatura soprannaturale scelta: Dybukk.
Uno spin-off del secondo capitolo de "Le avventure dei quattro re", dall'impronta più sovrannaturale/horror/dark.
Date pure un'occhiata! ;) Si accettano pareri, consigli e bandierine di tutti i colori!
Buona lettura!
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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La minaccia del demone

 

 

 

 

Elaja.

Terra dai colori sgargianti, dall'oro dei campi di grano al blu dei suoi mari e dei suoi laghi.
Il rosso e il giallo dei fiori nei prati verdi rigogliosi, la neve candida sulle cime dei monti più alti, nuvole gonfie in un cielo del color Non ti scordar di me.
Su Elaja finalmente il sole era tornato a splendere; l'isola viveva ora nel silenzio della pace, quella tanto sperata che dopo secoli era tornata sull'isola.

Ad un anno dalla sconfitta del maligno Abu, i quattro nuovi regnanti di Elaja, Julia, Bowlish, Nix e Maryanne avevano preso possesso del castello un tempo abitato dal re Jorlax; dopo la grande battaglia, i quattro cugini vi si erano insediati, e avevano iniziato il loro mandato di regnanti dell'isola assieme ai loro coniugi, governando con giustizia e lealtà su Elaja intera.

Proprio come la profezia della ninfa Dedale aveva previsto secoli addietro, i quattro giovani d'altro mondo avevano preso in mano il comando del regno e lo avevano riportato in poco tempo all'antico splendore.

La loro alleanza con i regni vicini era ben assicurata, grazie anche ai due matrimoni di Bowlish e Maryanne con due dei regnanti di Narnia, terra non molto distante dalla loro; Susan e Edmund Pevensie erano infatti divenuti re di Narnia e di Elaja e tra i due regni, da sempre amici, vigeva adesso uno stato di fratellanza stretta.
Ma non solo gente di corte aveva potuto sposare i nuovi regnanti di Elaja; Nix aveva scelto come sua sposa l'unica donna che davvero l'avesse conquistato per la sua astuzia, intelligenza e il suo spirito forte e combattiero: Hermione Granger, che da semplice cittadina d'altro mondo era divenuta regina di Elaja.

Invece Julia, la regina suprema, ancora combatteva aspramente per poter avere con sé l'unico uomo che amava; Eragon, infatti, che altrettanto l'amava e contraccambiava, aveva subito umiliazioni e discriminazioni d'ogni tipo da parte del popolo, poiché aveva collaborato con il nemico Abu, servendolo fedelmente. Ad aggravare tutto ciò vi era il fatto che aveva cercato in tutti i modi, riuscendoci anche, di assolvere al compito che l'imperatore gli aveva affidato; uccidere Julia.
L'unione di Julia con Eragon non era dunque affatto benvista dal popolo, che amava e onorava la sua regina e non poteva permettere che colui che fino a poco tempo prima l'aveva cercata con il solo scopo di ucciderla potesse anche solo sfiorare ora il suo viso e poterla avere in sposa.

Purtroppo la gente, ignorante e con molta poca conoscenza in materia di stregoneria, nulla sapeva del fatto che all'epoca in cui Eragon era cacciatore di Julia, era stato in realtà posseduto da Abu; la sua coscienza e il suo pensiero razionale erano stati messi a tacere, sotto ordine del tiranno, ed erano tornati a farsi strada in lui solo alla fine della grande battaglia, dopo un doloroso e alienante processo di esorcizzazione.
Così il giovane Cavaliere dei Draghi era stato isolato da molti; non da tutti, poiché pochi fidati sapevano la verità e gli erano comunque rimasti vicini.
La stessa Julia sapeva e non aveva smesso un solo istante di ripetergli che lo amava sempre e comunque;

 

"Quando vorrai, io sarò qui ad aspettarti.

Chiedimi di divenire tua moglie, e io sarò tua".

 

Queste erano state le ultime parole che lei gli aveva pronunciato nel loro ultimo incontro, due giorni addietro, nel bosco Heraigo.
Avevano fatto l'amore per ore, rischiando addirittura di farsi cogliere in flagrante dal sole che all'alba sorgeva per illuminare ogni cosa; con un bacio l'aveva salutata, pensando già a quando l'avrebbe rivista di nuovo.
Finalmente era arrivato quel momento; Eragon sorrise fissando il cielo sereno, mentre il sole cominciava a tramontare e i suoi pensieri correvano veloce pensando a Julia tra le sue braccia, al chiarore della luna.
Quella notte l'avrebbe rivista; al solo pensiero sentiva muoversi dentro di sé qualcosa di indescrivibile, come se un sopito mostro che abitava i suoi visceri si fosse risvegliato all'improvviso.

Steso nell'erba sotto un albero di faggio, ripensò agli occhi di lei, al suo sorriso, alle sue mani delicate che gli carezzavano il volto.
Pensò alla sua voce e ai suoi sospiri quando stavano ore abbracciati a fissare le stelle, di notte; ma, come un pensiero fisso, gli tornò in mente anche il dolore che di certo doveva averle procurato quando era stato posseduto, a quando appena tornato in sé aveva visto il suo volto pieno di graffi sanguinolenti, la maggior parte causati da lui...
Ma, soprattutto, con un brivido gli tornarono in mente le parole di Brom, suo padre, quando gli aveva chiesto se davvero lui, Eragon, il Cavaliere dei Draghi, avesse ucciso la regina Julia prima della Grande Battaglia.


"Davvero? L'avevo uccisa? Senza pietà alcuna?"

 

"Un colpo secco al centro del petto. Lei è caduta a terra, morta. Tu volevi dilaniarla con la tua spada, ma Vegeta l'ha portata via in volo appena in tempo.
Era morta, Eragon. E per mano tua."

 

Represse le lacrime che impetuose chiedevano di uscire dai suoi occhi; ma come era stata possibile una cosa del genere?
Lui amava Julia, l'amava davvero, se ne era innamorato sin da subito... ma dopo quel che era accaduto in battaglia, se davvero fossero riusciti ad unirsi in matrimonio di certo l'ira del popolo si sarebbe scagliata su di lui e sulla Regina Suprema.
Ma Eragon non voleva esserle di peso; non voleva assolutamente crearle problemi durante la sua giurisdizione. Era disposto a rinunciare ad amarla per sempre e soffrire in silenzio, piuttosto che vedere il popolo di Elaja ribellarsi alla sua nuova regina e alle sue decisioni.

Con un sonoro sbuffo, si mise a sedere poggiandosi al tronco del faggio; il colore aranciato del sole che tramontava continuava a illuminare appieno il paesaggio attorno a lui; le bionde colline con campi di grano senza fine, alberi e prati non molto distanti, stormi di uccelli che volavano nel cielo...

Uccelli alquanto strani, ebbe giusto il tempo di notare.
Osservandoli più attentamente, si rese conto del loro colore insolito.

Erano rossi.
Rosso sangue.
Con il cuore a mille per la paura, balzò in piedi e aguzzò la vista; ma quelli erano ormai troppo lontani perché lui potesse studiarli ancora.

Non se ne vedevano da tempo ormai; la visione dei Knalit era generalmente un brutto segno premonitore. Secondo alcuni, vederli volare in stormo con il cielo sereno stava a significare che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di grave.

Dunque, se quel che dicevano era la realtà... cosa avrebbero dovuto aspettarsi, adesso, gli abitanti di Elaja?

Eragon si voltò, sospirando, e tornò a guardare verso il sole.

Ma una grande nuvola che fino a poco prima non era nel cielo adesso lo aveva coperto.

Qualcosa stava succedendo; e di lì a poco, probabilmente, gravi catastrofi si sarebbero abbattute sull'isola di Elaja.
Nuovamente.



 

 

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Non molto distante dalle assolate colline di Elaja, più a nord, verso il Freddo Mare stava una valle immersa nella più totale oscurità.
La chiamavano "La Terra del Nulla"; un'oscura landa disabitata, ai confini settentrionali estremi dell'isola di Elaja, attorniata da cime montuose che vi si affacciavano a strapiombo.
I pochi che vi si erano avventurati per scoprirne i segreti, non avevano mai fatto ritorno alle loro case; la gente narrava di un mostro all'ingresso della valle che mangiava uomini, donne, bambini e chiunque altro si avvicinasse troppo alla landa.
Gli Knalit volavano dovunque nel cielo tempestoso lì sopra, mentre le saette si rincorrevano da una nuvola all'altra; un mastodontico castello in pietra grigia si ergeva al centro della vallata, con alte torri minacciose e un enorme portone alla base, in legno scuro.
Su tutta la sua superficie si stagliavano enormi finestre con cupe vetrate rosso rubino che costellavano il castello per tutto il suo perimetro; la pietra granitica di cui era costruito era ormai erosa dal tempo e dalle intemperie, in alcuni angoli addirittura mancava.

Ma nonostante dall'aspetto esteriore si sarebbe di certo evinto che la reggia era in stato di abbandono da molto tempo, dall'interno provenivano comunque dei rumori: latrati infernali, rassomiglianti a quelli di un animale inferocito, accompagnati da urla, risate, schiamazzi e... voci.

Nella sala centrale si ergeva un imponente trono realizzato interamente in lucida Onice Nera, sul quale stava un uomo.
Seduto impettito, con le braccia posate in grembo e lo sguardo fisso davanti a lui, semrava aver la pelle di un insolito colorito cadaverico; di primo acchitto chiunque avrebbe giurato che fosse traslucida, tanto che si intravedevano vene, arterie e capillari al di sotto.
Aveva gli occhi del color del fuoco e lunghi capelli neri gli scendevano sino all'ombelico, perfettamente lisci; sul suo volto nemmeno un singolo pelo guastava la perfezione della candida pelle.
Vestiva con ricchi abiti neri e rossastre gemme preziose gli ricoprivano il capo, perfettamente incastrate in una corona dai colori scuri.
Le sue labbra erano tese in un ghigno sgradevole e inquietante e i suoi occhi continuavano a rimanere fissi sul punto di loro interesse, a centro stanza, senza neanche riposarsi un istante sotto le palpebre. Nel silenzio di quella sala, l'uomo riccamente vestito sembrava forse essere divertito, o forse molto contrariato.
Si grattò il mento con fare annoiato, poi fece un gran sospiro: "Sarà come dico io. Quel che Rifor aveva proposto pare un'idea allettante. Così sia, dunque".

In risposta, una figura femminile si fece avanti; aveva lunghi capelli rossi che le scendevano crespi sino alla vita, occhi di fuoco come l'uomo sul trono e un colorito forse un po' più roseo rispetto a chi le sedeva di fronte; indossava un'armatura finemente lavorata con il bronzo e a distinguerla vi erano due vene che le scendevano sulla tempia sinistra, una più evidente dell'altra, sino alla base del collo.
Pareva essere molto contrariata e, avvicinandosi di qualche centimetro al trono, pur tenendosene sempre abbastanza lontana, con aria forse un po' troppo spavalda urlò "Padre, non vorrete davvero far intervenire quella bestiaccia?"

Una risata sommessa attirò l'attenzione dei due interlocutori; un'ombra nera fluttuava lì a mezz'aria, forse composta di fumo o chissà cos'altro, con due striscie rossastre in alto a voler imitare degli occhi; "Le mie idee sono sempre di suo gradimento. Chissà perché eh, Murxa?"
"FINISCILA!" la donna si scagliò contro l'ombra, cozzandogli contro come se quella fosse stata corporea; rovinarono a terra, l'uno sull'altra, urlando come due ossessi.
L'uomo sul trono emise un cupo suono rantolante; immediatamente i due litiganti smisero di azzuffarsi e, guardandosi in cagnesco, si rimisero in piedi, la donna cercando di rassettare la sua folta chioma che le dava l'aspetto di chi avesse appena finito di combattere una tempesta di vento.
Sbuffando, Murxa si fece ancora più avanti; "Allora, quando dovremmo muoverci?"

"Stanotte" sibilò l'uomo dai lunghi capelli neri "E farete come ha detto Rifor. Anche Ainran sarà con voi"

L'ombra nera esalò un sospiro insoddisfatto: "Lui non è come noi! Non è capace di controllare Atarox!"

"Allora sarete tu e Murxa a controllarlo" fece con tono minaccioso l'uomo, stringendo appena i pugni, segno di irritazione "Così ho deciso, Rifor, e così andranno le cose!" urlò allora con voce tonante l'uomo "Adesso andate! Agirete alla prima ora della notte."

Dopo essersi rivolti vicendevolmente un'occhiata quasi disgustata, Murxa e Rifor uscirono dalla grande sala, lasciando da solo l'uomo sul trono.
Quando la porta fu chiusa, questi si mise in piedi e iniziò a camminare con aria pensierosa per la stanza, gustando il rumore assordante dei suoi passi che rimbombavano nel silenzio assoluto della sala. che lo attorniava; sfuggì un sorriso al pensiero di quel che sarebbe accaduto quella notte.

Era così fiero della sua bestia infernale, Atarox; ovunque andasse mieteva vittime, come era giusto che fosse vista la sua natura.
Ma per quella notte Atarox non avrebbe dovuto uccidere.

Sarebbe stato foriero di un preavviso, assieme a Murxa, Rifor e Ainran.
I quattro re si sarebbero ben presto piegati al suo potere, volenti o nolenti.
Di certo, di lì a poche ore tutti e quattro avrebbero già ceduto, consegnando il trono di Elaja nelle sue mani.
D'altronde, nessuno sano di mente avrebbe mai potuto opporre resistenza a tre demoni e un Dybukk; tuttavia...

I suoi pensieri tornarono a quando, pochi mesi prima, aveva avvertito un'enorme aura scacciare uno spirito maligno dal corpo di un giovane uomo. Era Julia, colei che ora si pregiava del titolo di Regina Suprema. Quella ragazza rappresentava un serio pericolo, qualora avesse deciso di opporsi... ma, d'altronde, sarebbe stata mai capace di sopraffarlo?
Assolutamente no.
Eppure una potenza del genere gli sarebbe di certo tornata utile come alleata... perché non convincerla allora, docilmente, ad unirsi al suo potere?
Forse quella notte non ci sarebbe stato bisogno di allertare solo lei; no.

Anche qualcun altro avrebbe dovuto allarmarla.
 

"MURXA!"

 

La voce possente dell'uomo raggiunse le orecchie della giovane donna, che era già tre stanze lontana da lui, ma nonostante questo fu davanti ai suoi occhi in quello stesso istante.

"Comanda"

"Mostratevi anche al giovane Cavaliere. E poi portate Atarox da lei."

Murxa inclinò il capo, assumendo un'espressione scettica; "Le cose non stavano così, prima. Come mai hai deciso di cambiarle?"

L'uomo rise, malvagio; "Ho i miei buoni motivi. Bisogna seminare il terrore nei loro cuori. Solo così in futuro si piegheranno tutti al mio volere, come già era in precedenza ed è sempre stato."

"Questa volta niente Abu, immagino?" ridacchiò Murxa.

L'uomo strabuzzò gli occhi, fissandola furioso: "NON NOMINARE QUELL'INETTO ESSERE CHE HA OSATO PRENDERE I MIEI POTERI!"
La donna gli rivolse un sorriso amaro "Vedo che continua a non essere di tuo gradimento."
"Dovrebbe?" chiese sarcasticamente quello; fece un gran sospiro, poi con tono più calmo si rivolse nuovamente alla ragazza; "Ora va' Murxa. Portate a termine il vostro dovere. Ma non lasciate che Atarox sazi la sua sete di sangue"

"Ossequi, padre." salutò la giovane donna, rivolgendogli un frettoloso inchino e uscendo dalla stanza a passo spedito.

L'uomo, nuovamente rimasto solo, fece un gran respiro e sfoggiò il sorriso più soddisfatto che mai avesse esibito sino ad allora: di lì a poco, finalmente, tutto sarebbe tornato come ai Tempi Neri.



 

Nell'oscurità della notte, una figura si muoveva furtiva uscendo dalla città di Elaja, diretta verso il Castello; la chioma bionda del giovane uomo rifulgeva sotto la luce della luna, che di tanto in tanto veniva oscurata da una nuvola di passaggio.
Si era alzato il vento, fresco e piacevole, a scompigliargli i capelli; al fianco portava una spada, la sua, e camminava con lo sguardo attento e l'aria tesa.
Sembrava impaurito, o forse era semplicemente all'erta; Eragon aveva un terribile presentimento per quella notte e voleva assolutamente evitare che Julia uscisse dal castello.
Non quella notte.
Non a quell'ora così tarda.

Sarebbe stato meglio incontrarla un altro giorno; era questo che stava andando a dirle.
Temeva davvero che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di tragico, e i suoi sospetti erano stati confermati dal fatto che nuvole nere fossero tornate ad oscurare il cielo, ad Elaja, dopo che per tanto tempo non si erano più viste.

Accelerò il passo e cominciò a correre quando fu davvero vicino al Castello; erano solo le dieci e la maggior parte delle finestre erano ancora illuminate. Dall'interno provenivano musiche, risate e voci.
Ma lui non poteva entrare lì dentro: così si fermò appena dietro agli alberi del bosco Heraigo, che iniziava proprio lì al limitare del castello; poi chiuse gli occhi e indirizzò i suoi pensieri a lei.
Julia.

Percepì immediatamente la sua potente aura, carica di vita e potenza; le si avvicinò con cautela e rispetto e lei gli rispose poco dopo.

"Eragon" la voce di lei risuonò nella testa del ragazzo "Come mai mi stai contattando telepaticamente?"

"Sarà meglio non vederci questa notte, mia amata. Strani presagi volano in cielo."
Avvertì la paura di lei come un'ondata: "Cosa stai dicendo?"

"Temo che stanotte possa accadervi qualcosa. Ho visto volare stormi di Knalit a pomeriggio, e ora il cielo è coperto da nuvole nere. Sapete cosa vuol dire questo, vero?"

L'aura della giovane donna sembrò farsi ancora più forte per qualche istante; era forse ancor più spaventata? O arrabbiata?
"Non mi importa. Io voglio incontrarti. Devo! Ne va della mia serenità, Eragon"

"Julia, siate ragionevole" la rimproverò lui.

Ma non fece in tempo a continuare a parlarle che lei gli schermò la mente; e, riaperti gli occhi, la ritrovò davanti a sé.

"Julia!" sussultò lui "Siete uscita dal..."

"Si può sapere che hai?" la ragazza indossava un voluminoso abito rosa che piegò da un lato per potersi sedere a terra affianco a lui.
"Non dovevate uscire dal palazzo!" Eragon serrò la mascella; il fatto che lei non fosse più al sicuro di quelle mura lo aveva allarmato parecchio.

"Lo vuoi capire che non rinuncerei a vederti per nulla al mondo?" sussurrò lei con fare quasi implorante, facendoglisi più vicina e posando il capo sul suo petto.

"Dovete tornare dentro." continuò lui, con tono duro "Per favore, Julia, fatelo per me".

Ma la ragazza fece orecchie da mercante; ridacchiando, lo guardò divertita: "Quando la finirai di usare la persona plurale con me? Dammi del tu, ti scongiuro".

Sospirando esasperato, Eragon si sforzò di sorriderle appena: quanto la amava... non poteva resistere oltre a quegli occhi così dolci...

"D'accordo, sia come vuoi tu" le sussurrò carezzandole il volto "Ma ora devi tornare dentro. Ti prego, Julia. Fallo per me, se vuoi che io stia tranquillo."

La ragazza si mise a sedere sulle cosce, spostando il lungo strascico del vestito dietro di sé: "Ti prego, prima che io torni lì dentro... baciami, Eragon!"; posandogli le mani sulle sue ampie spalle, la giovane donna gli sorrise dolcemente.

"Julia, se ti baciassi rimarremmo qui per molto tempo ancora... e io non voglio, non posso saperti qui fuori mentre qualcosa di terribile si muove nell'oscurità!" Eragon scosse il capo con forza, cercando di non cedere alla tentazione di stringere la sua amata tra le braccia e baciarla con ardore.

"Cosa temi stia accadendo?" Julia sembrò farsi scura in volta "Avverti qualche presenza?"

Lui sospirò sommessamente: "Un vago senso di angoscia che da questo pomeriggio si è accresciuto in me. E poi quegli Knalit... non sono affatto di buon auspicio."

"Non possiamo affidarci ai voli degli uccelli per decretare quel che sta accadendo attorno a noi, Eragon!" sbottò lei "Né ci si può chiudere in casa perché in cielo ci sono nuvole nere! Non capisco perché tu sia così ostinato..."

Il ragazzo la studiò: esibiva un'espressione frustata, quasi scocciata. Non aveva mai visto Julia così irragionevole!

"A volte sembri davvero una piccola bambina viziata" sorrise lui, carezzandole una guancia "Ti prego, torna dentro mia amata."

La giovane donna sbuffò sonoramente e per qualche istante rimase con le braccia incrociate sul petto; poi, con estrema riluttanza, si rimise in piedi, l'espressione delusa e imbronciata.

"E sia. Torno dentro, allora. Buonanotte, mio amato."

Era arrabbiata, Eragon lo sapeva bene; lo si evinceva dalla camminata veloce e le braccia conserte, oltre che dallo scuotere contrariato della testa.
Si rimise in piedi anche lui, dopo aver visto Julia varcare una porticina di ingresso al Castello; sospirando, si incamminò verso Elaja, il passo più lento e la mente più tranquilla, sapendo Julia al sicuro nel palazzo.

Alzò gli occhi e fissò il cielo: le nuvole si erano fatte più grandi e numerose, e ora la luna era completamente oscurata. Cosa stava accadendo, ad Elaja?

Ripensò ai tempi di Abu, a quei giorni in cui il cielo era sempre nero di notte, neanche una stella a illuminarla.

Eragon era certo che, nuovamente, qualcosa di terribile sarebbe capitato di lì a poco.
Ma cosa?

E, soprattutto, quando?

 

"ERAGON!"

 

Un urlo disperato lo fece sobbalzare; sguainò la spada, rivolto verso il buio della notte.

Ma non c'era nessuno.

Eppure, quella voce che aveva chiamato il suo nome...

Un altro urlo, questa volta quasi soffocato; dall'interno del bosco Heraigo.

Sembrava davvero la voce di...

"Julia!"

Aveva urlato con tutto il fiato possibile; rimase nel silenzio più totale ma non ricevette risposta alcuna.

"Julia!" chiamò ancora; eppure nulla, nemmeno un rumore in risposta...

Tranne un latrato.

C'era un cane, dunque, lì vicino; Eragon si guardò attorno, aguzzando la vista; possibile che avesse solo immaginato quelle urla di donna? Forse erano stati semplicemente dei latrati di quel cane, che lui aveva scambiato per la voce della sua amata che urlava...

"AIUTO!"

Questa volta però ne fu certo; oltre all'abbaiare del cane, una voce femminile si era levata a chiedere soccorso.

E ne era certo: quella era la voce di Julia.

Corse veloce verso il bosco Heraigo, da cui provenivano i cupi latrati e altre urla; "Arrivo, Julia!" urlò nella notte, a perdifiato, con la spada sguainata e il cuore a mille.

Come poteva essere possibile che quella voce fosse la sua? Era appena rientrata nel castello, davanti ai suoi occhi...

"Forse era tornata indietro; per te".

Una voce insidiosa si fece avanti nella sua mente: "D'altronde, è sua abitudine fare sempre così quando si arrabbia. Pochi istanti dopo torna sempre indietro ad abbracciarti."

Quella consapevolezza terribile gli diede ulteriore forza per correre ancora più velocemente; certo, Julia doveva essere tornata indietro per raggiungerlo, ma quell'animale che ora ululava nella notte doveva averla aggredita.
Arrivato nel bosco, seguì quindi i guaiti della bestia; sentiva un singhiozzare convulso di donna oltre che rumore di foglie secche calpestate e un inquietante odore di sangue.
Si voltò, per guardar meglio dietro un albero; nel bosco non c'era minima luce ed era davvero difficile riuscire a capire se ci fosse qualcuno lì affianco.

Eppure Eragon notò un bagliore non molto distante; petto in fuori, spada stretta in pugno, fece un respiro profondo e si diresse lì, con il cuore a mille per il terrore di trovare Julia nei guai o, peggio ancora, in fin di vita.

Allora quei presentimenti, quei segnali oscuri... erano stati davvero di preavviso!
Ma cosa, o chi, aveva aggredito la sua amata?
Non fece in tempo a posare lo sguardo sulla fonte di quel bagliore che immediatamente realizzò tutto.

Davanti ai suoi occhi, c'era la scena più terrificante che mai avesse potuto immaginare.

 

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Julia era proprio lì, davanti a lui; in piedi, gli dava le spalle, e aveva vistosi tagli sanguinolenti su braccia e schiena, tanto da avere il suo splendido abito rosa completamente macchiato.

"Julia" mormorò, precipitandosi da lei; cosa le era mai accaduto?

"Mio amato".

Eragon però si bloccò di colpo, a quella vista: Julia si era voltata a guardarlo, ma non era assolutamente in sé.
I suoi occhi che lui tanto amava erano spettrali, dai bagliori rossastri e dorati.
Era uno sguardo cattivo, che mai le aveva visto.
Macchie di sangue sul volto e un colorito cadaverico contribuivano a rendere la sua visione ancora più spaventosa.

Ma la cosa che più inquietò il giovane Cavaliere dei Draghi fu l'espressione della sua bella;

cattiva.

E rideva, una risata cattiva, malvagia, che mai le aveva udito.

Sembrava davvero essere fuori di sé; lo osservò divertita per qualche istante, senza mai cambiare espressione del volto.
"Cosa ti è accaduto?" sussurrò lui, facendo un passo indietro; c'era davvero qualcosa che non andava, in lei.

La ragazza inclinò il capo da un lato, l'espressione folle sul viso: "Nulla, mio amato" rispose, scandendo ogni singola parola, quasi come se lo stesse schernendo.

Dietro di lei l'abbagliante luce bianca continuava a illuminare tutto lì intorno; strani fuochi fatui danzavano nell'aria, vicino alle chiome degli alberi e si avvertiva un silenzio innaturale, interrotto soltanto dalla risatina sommessa di Julia e da cupi rantolii poco distanti.

"C'è un cane, qui vicino?" chiese Eragon "Quella bestia ti ha aggredita? E ti ha ridotta così?"

Ma la ragazza scosse il capo: "Nessuno mi ha aggredita. E qui non c'è nessun cane."

Eppure Eragon lo vide; proprio in corrispondenza di quella abbagliante luce, una figura canina si fece avanti, fonte essa stessa di quel bagliore.
E per la seconda volta in pochi istanti, Eragon fu invaso dal terrore.

Era un cane grosso, bianco, che rantolava minaccioso nel buio, fissandolo malignamente.

Quel che davvero inquietava più di tutto era il capo, completamente rovesciato su sé stesso.
Boccheggiando, Eragon sentì venir meno tutte le sue forze in un solo istante; il suo braccio non riuscì più a reggere il peso della spada, che cadde a terra, tra il fogliame.

Julia riprese a ridere, più forte di prima, e il cane abbaiò, correndo verso di lui.
Eragon chiuse gli occhi, pronto a sentire i denti affilati della bestia conficcarsi nella sua carne; ma, quel che avvertì, fu solo un forte colpo sulla testa.

Poi il silenzio.

E cadde a terra come addormentato.









 

Julia fissava con sguardo vacuo e perso il buio del cielo notturno; nemmeno una stella si scorgeva in cielo, né la luna riusciva più a far capolino tra le tante nubi scure che ormai avevano completamente oscurato la notte.
Qualcosa dentro di lei le diceva che Eragon, forse, aveva ragione: perché era dal tramonto che, come era successo anche a lui, aveva avvertito un insolito senso di angoscia attanagliarle l'anima e il cuore. I suoi pensieri erano divenuti una spirale torbida di preoccupazione; qualcuno, dunque, aveva cattive intenzioni, lì fuori?
Ma chi?

Abu, forse? Impossibile, era morto. Mai e poi mai Ade gli avrebbe permesso di ritornare in vita, visto quel che era accaduto nel passato. Era stato egli stesso, il Dio degli Inferi, schiavo di quel tiranno; ma Abu era ora confinato nelle viscere infernali della terra per l'eternità, come giusta vendetta della schiavitù subita dal Dio in quei secoli.

E se non Abu... chi, dunque, si muoveva ora nelle tenebre, tramando contro di loro?
Certo, qualcosa di strano c'era nell'aria; il volo degli Knalit che Eragon aveva raccontato, le nubi nere... forse sì, il suo amato Cavaliere aveva ragione nel dire che un evento terribile si stava preparando in quel momento.
"Ancora in piedi?"

Julia si voltò: sua cugina Maryanne faceva capolino dalle colonne di marmo di un corridoio che fiancheggiava la sala dove si trovava.

"Non mi do pace. C'è qualcosa che non va."

"L'inquietudine di cui mi parlavi a pomeriggio? Ancora?"

Julia annuì, mordendosi un labbro.

Maryanne le si avvicinò, il passo leggero e i capelli scompigliati, indice del fatto che, probabilmente, aveva appena finito di far l'amore con suo marito; la ragazza scosse il capo con fare esasperato mentre si avvicinava a Julia, poi sbuffò, posando la mano sul fianco: "Devi finirla con queste paturnie mentali! Non c'è niente che non va!"

Ma Julia sgranò gli occhi: "Tu sai bene che quando ho un presentimento, in genere, quel che penso accade. E sento che a breve una disgrazia si abbatterà su di noi!"

Maryanne sospirò teatralmente; "Ma finiscila! Sei sempre così melodrammatica. Penso sia normale che tu abbia queste strane sensazioni addosso, voglio dire... sei impegnata tutto il giorno a organizzare gli affari di Stato, come tutti noi, poi c'è la situazione in sospeso con Eragon che non ti dà pace... credo sia più che lecito che la tua mente, sovraccarica, si faccia sentire così. Ecco perché hai questi "attacchi di angoscia": sei semplicemente sotto stress."

Ma la cugina sembrava non volerle dare ascolto; fissandola con insistenza, scosse il capo: "Ti dico che davvero ho un bruttissimo presentimento. Aggravato dal fatto che ce l'abbia anche Eragon."

La notizia sembrò incuriosire Maryanne: "Anche lui avverte qualcosa di... oscuro?"

"Sì. E questa cosa mi inquieta ancor di più."

Maryanne si allontanò, tornando verso le colonne di pietra con le braccia alzate al cielo: "Voi due siete una coppia di pazzi" dichiarò con tono solenne "Dice bene il detto: Dio li fa e poi li accoppia!"

Julia rise appena alla battuta della cugina; scosse il capo divertita mentre quella si voltava nuovamente per parlarle ancora:

"Basta con questa negatività. Davvero! Insomma, guardati! In questo momento tu non hai nie...".

Si interruppe; il suo sguardo si spostò oltre la spalla di Julia e il volto le si fece pallido di colpo.

"Maryanne" sussurrò Julia, incerta "Cosa hai?"

Ma la cugina sembrava essersi pietrificata; tremando da capo a piedi, indicò qualcosa, emettendo intanto suoni soffocati dalla gola, come se volesse urlare ma non riuscisse.

Con estrema riluttanza, il cuore in gola, Julia si voltò lentamente per fronteggiare quel che Maryanne le stava indicando.

E lo vide.

Un cane di mole enorme, bianco, con zanne acuminate, rifulgeva lì davanti ai suoi occhi, sospeso in aria a pochi centimetri dal suo volto. A separarli c'era solo il vetro di quella piccola finestra. La bestia ringhiava e ululava, fissandola con malignità; aveva il capo rovesciato, l'aria malvagia, inquietante.
Gli occhi di un colore etereo, quasi giallastro.

"Il Dybukk" mormorò allora Julia, la voce tremante ridotta quasi a un rantolo. Cercò di alzarsi per scappar via, ma le gambe non rispondevano più ai suoi comandi.

La sua stessa mente si rifiutava in quel momento di lavorare: voleva solo urlare, ma neanche la gola compiva più il suo dovere. Le corde vocali le si erano bloccate e riusciva appena a respirare a fatica, fissando quell'essere maligno che le galleggiava davanti agli occhi, appena fuori dalla finestra.

La bocca le si fece asciutta: le mani e le gambe, seppur fosse seduta, cedettero e quasì scivolò dalla poltrona su cui si trovava.
Maryanne, lo sguardo sempre fisso sul mostro, si afflosciò mantenendosi a malapena ad un pilastro; piangeva in silenzio, terrorizzata e incredula di quel che stava accadendo.
E poi, così come era arrivato, con un battito di palpebre l'essere sparì.

Fu solo allora che Julia riuscì a urlare, con tutto il fiato che aveva in corpo: gridando, sentì le lacrime scenderle sulle guance mentre il suo corpo veniva scosso dai brividi.

Era scivolata dalla poltrona e aveva adesso una gamba a terra, immobile, e una sul cuscino di velluto che fino a poco prima aveva tenuto in grembo; sua cugina era invece riuscita a strisciare verso di lei, singhiozzando rumorosamente.

Si guardarono disperate.

"Co-co-cosa era?" chiese quella.

Ma Julia non rispose; le sue labbra si rifiutarono di pronunciare di nuovo quella maledetta parola.







 

"Perché lo hai fatto?!"

Poco distante dal castello, un'adirata voce femminile si era levata nel silenzio della notte, dal bosco Heraigo.

Lì dove giaceva il corpo di Eragon, steso a terra nel fogliame, l'inquietante cane bianco si aggirava ringhiando sommessamente, lo sguardo spettrale fisso sul ragazzo privo di sensi.

Poco distanti, tre figure stavano animatamente discutendo tra loro; una giovane donna gesticolava forsennatamente rivolta a uno dei due uomini in sua compagnia.

"Non è stato previsto che Atarox uccida, stanotte" stava ribattendo quello; di corporatura robusta, il giovane dai capelli lunghi alle spalle e biondi aveva le braccia incrociate sul petto e la mascella serrata, gli occhi del color del grano ridotti quasi a due fessure.

Alla sua destra un giovane ragazzo dai capelli neri e crespi, il colorito cadaverico e gli occhi color rubino lo guardava in cagnesco; schioccava la lingua come se fosse spazientito o, meglio ancora, irritato.

"Proprio sul più bello! Proprio ora che mi stavo divertendo!" sbottò infatti, dopo pochi istanti, rivolgendosi all'altro uomo.
La ragazza, intanto, si era avvicinata al cane bianco; "Ha fame" disse, indicandolo "Vuole il suo sangue. Vuole il suo corpo!".

Il più giovane dei tre, quello dai capelli scuri, si gettò a terra e tastò sgarbatamente il corpo di Eragon; "Dannazione, è ancora vivo. Speravo che il tuo colpo lo avesse annientato, Ainran!" urlò isterico, mentre il cane affianco a lui aveva ripreso a ringhiare più forte di prima

"Io non ho colpito per uccidere, ma solo per stordire!" l'uomo dai capelli biondi si fece loro vicino; il Dybukk ringhiò ancor di più, fissandolo maligno.

"Io lo sapevo che ci avrebbe guastato le feste." sospirò Murxa esasperata "E ora Atarox non potrà avere la sua dose di sangue. Che, tra parentesi, pretendo anche io, dato che..."

"Calma, sorella" Rifor le bloccò il braccio destro in una morsa "Anche io ho fame di sangue e anime. Non solo tu e Atarox. Quindi noi ora..."

"Basta!"

I due fratelli si girarono a fronteggiare il più grande: Ainran sembrava fuori di sé e li guardava con fare minaccioso.

"Voi non toccherete quel ragazzo" disse, scandendo ogni singola parola "E la bestiaccia infernale ora tornerà a palazzo con noi. Nostro padre ha dato ordini ben precisi di non uccidere nessuno. Dobbiamo solo spaventarli. E ci siamo riusciti egregiamente."

"Atarox però dovrà tornare" ribadì la ragazza, scuotendo il capo e assumendo un'espressione ironica e imbronciata al tempo stesso "Come pensi sarà possibile questa cosa? La prossima volta potrebbe benissimo attaccare. Sai bene che brama un corpo da abitare."

Nel mentre, il Dybukk aveva iniziato ad annusare il corpo di Eragon, soffermandosi particolarmente sulla sua gola: i suoi occhi spettrali si spostavano dai tre fratelli al ragazzo, senza tregua.
"Sta' fermo" ordinò Ainar, fissandolo intensamente; ma Atarox sembrò ignorarlo completamente quando si voltò al giovane uomo.

"Andiamo, adesso" Murxa interruppe il silenzio "Voglio fare visita alla regina."

Rifor cominciò a ridere istericamente, guardando come estasiato la sorella mentre si torceva le mani; "Verrò anche io con te!" esclamò saltellando, quasi fosse un bambino.

"No, Rifor" intervenne Ainran prendendolo per la collottola "Tu tornerai con me a casa."

In tutta riposta, il fratello assunse un'aria imbronciata e cupa: "Giuro che un giorno me la pagherai. Dico davvero."

"Ma, fino a quel giorno, farai quello che ti dico." ribadì l'altro: intanto Murxa si era voltata per fare un cenno con il capo ai due fratelli.

"Porterò Atarox con me." sogghignò, richiamando a sé il Dybukk; controvoglia, quello si allontanò dal corpo di Eragon per raggiungere la donna.
"Ricorda Murxa: spaventare, non attaccare." Ainran puntò un dito contro di lei, che gli rispose con una risatina ambigua, mentre si chinava a guardare negli occhi la bestia. Poi, in un istante di tempo, scomparve nel nulla assieme al Dybukk.

"Sarà meglio andare via anche per noi, prima che il Cavaliere si risvegli." fece Ainran rivolto a suo fratello, che gli rispose con un grugnito basso.
E in un attimo, si dissolsero nel nulla.

Rimase solo il silenzio della notte, il buio, e il corpo di Eragon steso a terra, con una copiosa e sanguinolenta ferita sulla testa.

 


 

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"Come va, adesso?"

Stesa nel suo letto, Julia sorrise debolmente a suo fratello, che le teneva la mano, osservandola preoccupato mentre beveva un'enorme tazza di infuso.

"Meglio" boccheggiò lei, dopo aver bevuto un lungo sorso bollente, che le arse la bocca: le serviva, quel calore. Dopo quella orribile visione un gelo innaturale si era impossessato di lei, e ora le penetrava nelle ossa, nella testa... ovunque.

E non c'era coperta alcuna o tisana che riuscisse davvero a riscaldarla.

"Eppure non mi torna affatto, questa storia" commentò Bowlish, fissando la finestra per l'ennesima volta, da quando era entrato nella stanza della sorella; "Continuo a non capire: sia tu che Maryanne lo avete visto?"

Julia annuì, bevendo ancora un altro sorso di infuso.

"Ma che razza di bestia è? Io non l'ho mai vista né sentita nominare in vita mia!" sbottò il ragazzo, alzandosi di colpo e avvicinandosi alla vetrata della camera, che si affacciava sul giardino interno del palazzo.

"Forse" mormorò Julia "Io e Maryanne eravamo solo molto stanche, e quindi ci siamo suggestionate a vicenda"; sembrava essere più rivolta a se stessa che a suo fratello, quasi volesse convincersi di aver immaginato tutto.

Bowlish sospirò, voltandosi nuovamente verso la sorella: "Può darsi. In compenso, non ti lasceremo sola nemmeno un istante. E lo stesso vale per Maryanne! Fin quando non avremo la conferma che questo... Dybukk, come lo chiami tu, esista davvero o no" Julia represse un brivido "Allora sarete sempre in compagnia mia, o di Nix, o di qualunque altra persona che possa intervenire."

"Ma che senso avrebbe, intervenire?" sospirò Julia, posando la tazza ormai vuota in grembo "Quello è uno spirito! Uno spirito maligno! E vuole solo un corpo da abitare! Probabilmente avrà puntato il mio, o quello di Maryanne, e io non ho la minima idea di come si possa combatterlo! Ma di certo, la tua fida spada non affonderà in uno spirito incorporeo."

Il ragazzo sbuffò, visibilmente preoccupato: "Potremmo chiedere a Brom se ne sa qualcosa" propose, passandosi una mano nei capelli "O forse... il vecchio saggio potrebbe saperne ancor di più!"

Julia inclinò il capo leggermente: "Dici che lui saprebbe dirci come scacciare quello spirito?"

Bowlish fece spallucce: "Probabile. Domattina andrò da lui, in città, e gli parlerò."

"Forse sarebbe anche meglio convocarlo qui a palazzo" propose Julia.

"E sia. Domattina verrà qui a palazzo, così gli chiederemo spiegazioni a proposito."

La ragazza annuì, rasserenata da quell'idea: guardò con un certo timore il cielo scuro fuori dalla finestra, temendo di rivederci il maledetto essere demoniaco. Ma, con suo grande sollievo, vide solo i bagliori delle luci della camera nel riflesso del vetro e il buio totale della notte là fuori.

Qualcuno bussò alla porta; quando si voltò, Julia riconobbe immediatamente suo cugino Nix, che accompagnava una shockata Maryanne sotto braccio.

"Ha detto che vuole stare in compagnia di tutti noi" spiegò il ragazzo, mentre lei si gettava sull'enorme letto di Julia, lo sguardo abbacinato e l'aria cupa.

"Dov'è Edmund?" le chiese Bowlish, con tono quasi accondiscendente.

"Sta arrivando" sospirò lei, stropicciandosi gli occhi con fare stanco e stravolto "Stava finendo di parlare con Hermione e Susan dell'accaduto."

"Bau."

Nel silenzio carico di preoccupazione, una voce delicata si era levata ad attirare l'attenzione di tutti.

Sulla soglia della porta, una bambina dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi osservava i quattro cugini con sguardo vacuo, terrorizzato.

Le mani giunte come in preghiera, una veste lunga turchese che la copriva fino ai paffuti piedini, le braccia piene di graffi sanguinolenti così come il volto.

Aveva il labbro spaccato.

La piccola, che non poteva certo avere più di due anni, fissò uno ad uno i presenti, le labbra schiuse e un'espressione di terrore e sorpresa sul volto.

"Chi è?" sussurrò Bowlish, avvicinandosi alla piccola "Chi è questa bambina?"

Nix scosse la testa; Julia e Maryanne, ancora sotto shock per l'accaduto di poco prima, rimasero nel silenzio più totale, fissando alienate la graziosa e paffuta bimba, ferma sullo stipite della porta.

"Bau" ripeté quella; gli occhi si ridussero a due fessure e iniziò a piangere disperata; le sue urla erano tali da riverberare in tutta la stanza, dalle mura di pietra, e in poco tempo attirò lì sul posto due guardie della ronda notturna.

"Fermi!" ordinò loro Nix, vedendole arrivare "É solo una bambina!"

"Che succede qui?!"

Con l'affanno e il volto rosso per la corsa, la regina Susan raggiunse anche lei la porta assieme a suo fratello Edmund; dietro di loro, Hermione Granger ansimava con il fiatone, affaticata.

"Bau!" urlò ancora la bambina; "Bau" e indicò la finestra della camera.

Come fossero degli automi, tutti i presenti si voltarono a guardare la direzione indicata dalla bambina: "Io non vedo niente!" sbottò Nix, ma Julia capì.

"Non di nuovo" pensò "Ti prego."

Eppure era così; il Dybukk era ora dentro alla sua camera, proprio sotto alla finestra, e la fissava maligno, ringhiandole contro.

Maryanne guardò la cugina: "Julia, qualcosa non va?".

"Lui è qui, guarda!" sussurrò lei, indicandole l'enorme bestia, lì sotto alla finestra; Maryanne guardò la direzione indicatale, poi fissò la cugina, terrorizzata, mormorandole in risposta: "Io non vedo niente. Non c'è nulla."
A quel punto Julia non riuscì a far nulla, se non riuscire a malapena a respirare affannosamente, tirandosi le coperte fin sul capo e tremando tutta.

"Ma che le prende?" urlò qualcuno; pochi istanti dopo, Hermione iniziò a urlare qualcosa; gemiti, grida e frasi indefinite seguirono, poi si udì il pianto fragoroso della bambina, ma Julia continuò a tenere gli occhi chiusi e la coperta sul volto.

Aveva paura.

Lei, la Regina Suprema, per la prima volta in vita sua aveva paura di qualcosa di sovrannaturale.

E non sapeva come combattere questo suo terrore.

"AIUTO" urlò, o forse immaginò solo di gridare in quel delirio di voci, grida, pianti e latrati bestiali...

Poi il silenzio più totale la investì.

Ma non riuscì a riaprire gli occhi.




 

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Quando il mattino dopo si risvegliò, la prima cosa che Eragon avvertì fu il profumo del bosco che gli invase le narici; stava forse avendo delle allucinazioni?

Eppure no; aprendo gli occhi si ritrovò prono a terra, il viso immerso nel fogliame e la luce che illuminava gli alberi tutt'attorno a lui.

Poco distante udiva il cinguettio di alcuni uccelli; respirò profondamente, cercando di non agitarsi troppo: come mai si trovava nella foresta?
E, soprattutto, perché aveva un dolore lancinante dietro alla nuca?

Con la mano, premette leggermente lì dove provava più dolore, alla base del collo: avvertì qualcosa di duro e gonfio sotto il suo tocco, oltre che dolore acuto.

Doveva essere caduto e aver sbattutto da qualche parte, forse.

"No" si disse "Qualcos altro."

Ma cosa?
Si guardò attorno, mentre lentamente si rimetteva a sedere: cercò di ricollegare gli eventi delle ore precedenti; cosa era accaduto di tanto strano, la sera prima?

Scosse il capo quando un brivido lo passò da parte a parte; aveva freddo. D'altronde, era appena l'alba.

Fissò le foglie tutt'attorno a lui; tracce di sangue si stendevano copiose, miste a quella che sembrava bava di qualche animale.

"Una bestia" ricordò improvvisamente "C'era una bestia, qui, ieri!"

Eppure non riusciva a rimembrare l'aspetto del suo aggressore; un animale dal pelo bianco, quello lo ricordava molto chiaramente... una luce tutt'attorno a lui e...

Julia.

D'improvviso la sua mente tornò al raziocinio; Julia era stata lì con lui, la notte precedente, e ricordava benissimo che aveva un aspetto terrificante.

Julia non era in sé.

E quella bestia l'aveva aggredita, così come poi aveva fatto con lui; si mise in piedi e si guardò attorno, quasi sperando o forse temendo di trovare il corpo della sua amata steso a terra a pochi metri da lui, probabilmente esanime o comunque in fin di vita.

Ma non vide nulla; cercò disperatamente nella radura, mormorò il suo nome per poi urlarlo forsennatamente, ma di lei non c'era alcuna traccia.

Andò avanti così per un'ora; sessanta minuti di delirio, con il dolore dietro alla nuca sempre più intenso e le lacrime a bruciargli il volto.

Si stese a terra, la mente confusa e il cuore che ad ogni battito faceva sempre più male; Julia doveva essere lì, da qualche parte. O forse l'avevano trovata e portata a palazzo?

E se invece la belva l'avesse mangiata viva?

Un fruscio indistinto alle sue spalle attirò la sua attenzione; si asciugò le lacrime e si voltò, pronto a fronteggiare qualsiasi pericolo, il cuore in fiamme.

Una bambina dai lunghi capelli neri, con la frangia quasi a coprirle gli occhi, lo guardava incuriosita; accarezzava un cane bianco alla sua sinistra, che guaiva dolcemente ad ogni tocco della piccola mano innocente.
"Perché piangi?" chiese la bambina, sgranando gli occhi verdi.

Eragon sospirò e le sorrise: "Perché non trovo più il mio grande amore."

"Oh."

Si guardarono per qualche istante; la piccola sembrava essersi rattristita parecchio dopo la risposta di Eragon e aveva smesso di accarezzare il suo cane, stringendo le mani a pugno, le braccia lungo i fianchi.

"Se vuoi" ricominciò a parlare, guardando Eragon con insistenza "Potrei aiutarti a cercarla. Come si chiama?"

"Julia, è il suo nome" sospirò il ragazzo, avvicinandosi alla bimba "Ma non preoccuparti, continuerò a cercarla da solo."

La piccola fece spallucce: "Come vuoi."

"Qual è il tuo nome?"

La bambina improvvisamente cambiò espressione; sfoggiando un ghigno malevolo che quasi spaventò Eragon, abbassò il tono di voce e iniziò a ridacchiare sommessamente, la mano sinistra di nuovo a carezzare il capo del suo cane, che ora aveva iniziato a ringhiare nervosamente.

"Il mio nome è Murxa" rispose dunque, con tono inquietante "E ti giuro che non dimenticherai mai più questo nome, mio bel Cavaliere dei Draghi."

Fu come un assurdo sogno, troppo vero per poter non essere confuso con la realtà: la testa del cane bianco ruotò verso l'alto su se stessa, rovesciandosi completamente, e gli occhi dell'animale divennero iridescenti, giallastri.

Nonostante il sole illuminasse ogni cosa, il cane cominciò ad abbagliare Eragon con una luce tutta sua, più splendente di quella del giorno; e la bambina rideva, scuotendo il capo con fare divertito, gli occhi verdi che emanavano sinistri bagliori...

Fu un istante; "Brisingr" urlò Eragon, e il familiare fuoco blu spuntò dal palmo della sua mano destra per centrare in pieno l'animale infernale.

In meno di un secondo la sua mente era tornata lucida come al solito: era quella la bestia! Era quel cane che la scorsa notte lo aveva aggredito!

Corse via, veloce, diretto fuori dalla foresta: "Saphira!" chiamò, con la sua mente, cercando di localizzare il suo drago.

"Eragon" rispose lei al richiamo "Cosa succede?"

"Sono in pericolo. Vieni sul bosco Heraigo."

Dietro di lui avvertiva i passi veloci dell'immenso cane bianco che ululava e ringhiava minaccioso; quell'essere doveva di certo essere qualcosa di demoniaco, perché non poteva esistere una bestia del genere in natura.

E quella bambina...

Chi era davvero?

Continuando a correre a perdifiato, si rese conto di essere vicino alla fine del bosco quando vide un'enorme macchia blu stagliarsi nel cielo, poco distante da lì: era Saphira.

"Sono qui" la voce della dragonessa riverberò nella testa di Eragon; "Arrivo" rispose lui "Preparati ad affrontare un demone."
Avvertì immediatamente l'ondata di preoccupazione e il panico della sua fidata amica; ma non c'era tempo di spiegare, dovevano solo agire.

Uscì dal bosco pochi istanti dopo, mentre Saphira finalmente si posava sull'immenso prato lì davanti; quando fu vicino a lei, Eragon montò su e si guardò indietro.

Non c'era assolutamente nessuno a rincorrerlo.

"Eragon" cominciò la dragonessa; ma lui la zittì immediatamente.

Sbigottito, fissò il bosco che ora si stagliava silenzioso e pacifico davanti a lui: nessuna traccia della bestia infernale, né della bambina. Nulla.

Nemmeno un latrato lontano o qualche eco della risata diabolica della piccola dai capelli corvini: "Ti giuro" cominciò, rivolto al suo drago "Ti giuro che c'era un'enorme bestia che mi stava per aggredire. Credimi, Saphira."

"Io non vedo nessuno. E non avverto la presenza di nessuno, in quel bosco. Siamo solo noi, Eragon!"

Il ragazzo respirò profondamente, prima di collassare di nuovo: non riusciva a capacitarsi di quel che stava accadendo.

Chiuse gli occhi, si concentrò sul suo respiro e cercò di focalizzare l'attenzione sulla presenza di esseri lì vicino; nel buio della sua mente, riuscì a captare la presenza di animali del bosco, uccelli, persone non molto distanti da lì impegnate a raccogliere il grano e...

Julia.

Riconobbe immediatamente la sua aura: allora era ancora viva!
Provò ad avvicinarsi a lei: captò qualcosa di strano attorno alla sua amata, una sorta di forza che lo repelleva, tenendolo a debita distanza da lei.

Poi, però, la voce tanto familiare della sua innamorata gli riempì la testa:

"Eragon".

"Cosa ti è accaduto?" chiese lui, immediatamente. Julia sembrava allarmata, tesa, come non mai.

"Il Dybukk" rispose quella enigmatica "Il Dybukk... e la bambina."

"La bambina?" esclamò allarmato lui "Julia, devo parlarti. Urgentemente! Mi è accaduto qualcosa di terribile! Un cane bianco..."

"Il Dybukk" lo interruppe lei, e Eragon avvertì il panico nella sua voce.

"Lasciami spiegare" continuò, ma la ragazza venne meno al contatto telepatico.

Riaprendo gli occhi, Eragon fissò il Castello, poco distante.

"Saphira" disse "Ci tocca fare una visita a palazzo."

"Non credo sia una buona idea, per te" lo rimbeccò lei "Non sei il benvenuto per molti, lì dentro."

"Non mi importa" fece lui "Portami lì da lei."

 





 

Nel castello c'era un gran fermento; servitori, consiglieri e persino i re giravano inquieti per le vaste stanze e i corridoi, chi correndo e chi camminando con passo più lento e teso, attento prima di girare ogni angolo a controllare eventuali sgradite sorprese.

Quel che era successo la scorsa notte era ormai saputo da tutti, persino nella città: qualcosa di assolutamente inquietante si stava muovendo nelle tenebre, e di lì a poco si temeva per l'incolumità della gente.

Soprattutto, per quella della regina suprema.

Julia era seduta sul suo trono, lo sguardo vacuo e l'espressione tesa; era in attesa, da ormai più di un'ora, del ritorno di suo fratello e di suo cugino, che si erano diretti nella città per poter chiamare l'Anziano Saggio.

Forse, lui sarebbe stato l'unico in grado di poter dire loro come poter combattere quel maledetto Dybukk, che perseguitava la regina.
Nessuno, all'infuori di Julia, era riuscito a vederlo nelle sue sette apparizioni notturne; ma il mistero si era infittito quando la bambina dai capelli biondi, che altresì era comparsa misteriosamente quella notte, si era dissolta nel nulla davanti ai loro occhi, con un ultimo terrificante urlo.

Julia continuava a ripensare all'accaduto: stava forse impazzendo? Come mai solo lei riusciva a vedere quell'essere infernale? Eppure, nella sua prima apparizione, anche Maryanne lo aveva notato.

Dunque perché poi aveva deciso di perseguitare solo lei?
"Vostra maestà!"

Alzò lo sguardo: davanti ai suoi occhi, al centro della sala un affannato Eckanar, suo servo fidato e araldo, le si inchinò, con tanto di fiatone.

"Dimmi."

"Eragon figlio di Brom" annunciò lui "Chiede di essere ammesso alla vostra presenza."

Eckanar sembrava molto contrariato nel dare l'annunciò: Julia sospirò appena, pensando a quanto fosse difficile combattere contro la diffidenza della gente nei confronti di Eragon.

"Che sia fatto entrare" rispose quindi, fingendo indifferenza: ma il suo cuore, in quel momento, stava battendo più forte che mai.

Complice la paura, o forse il pensiero che il suo amato avesse sfidato tutto e tutti pur di raggiungerla, il suo respiro si fece più corto e affannoso: chiuse appena gli occhi, cercando di rasserenarsi, mentre Eckanar usciva con espressione imbronciata e tesa dalla stanza.

Pochi istanti dopo, Julia riaprì gli occhi: giusto in tempo per vedere entrare Eragon, accompagnato da ben quattro guardie con tanto di spade sguainate puntate contro di lui.

"Vi ordino di mettere giù quelle armi!" urlò inviperita Julia "Adesso!"

"Vostra maestà, è per la vostra incolumità." rispose uno dei quattro guardiani.

"Non è un assassino! Dannazione, mettete giù quelle spade o mi costringerete alle maniere forti!" gridò ancor più forte la ragazza, alzandosi in piedi, le mani sui fianchi.

All'istante, le spade furono riposte a terra: i quattro, però, non si spostarono minimamente, rimanendo in gruppo attorno a Eragon, che appariva alquanto sotto pressione.

Ma quel che allarmò ancor di più Julia fu il fatto che il ragazzo recava diverse ferite sul volto e aveva un'aria molto sofferta: si avvicinò dunque a lui, facendo cenno ai quattro di scansarsi.

"Cosa ti è accaduto?" chiese quando gli fu abbastanza vicina.

Eragon sospirò appena, guardando in cagnesco i quattro soldati; "Uscite da questa stanza." ordinò allora Julia, captando immediatamente i pensieri di Eragon.

"Maestà, non possiamo farlo; è contro la nostra morale lasciarvi da sola con l'aggresso..."

"USCITE, HO DETTO!"

Julia era inviperita: certo, quei quattro pover uomini non facevano altro che il loro dovere, ma davvero non poteva sopportare di dover essere sempre separata da Eragon o, qualora lui fosse lì presente, tenuta d'occhio da almeno quattro persone, pronte a intervenire anche se i due si fossero scambiati una semplice stretta di mano.

Quando i quattro uomini furono fuori dalla Sala e la porta fu chiusa dietro di loro, non passò un attimo che Julia si gettasse tra le braccia di Eragon.

"Dimmi cosa ti è accaduto!" sussurrò, stringendo le sue braccia dietro al collo di lui.

"Sono stato aggredito" cominciò lui, stringendola forte a sé "E prima di perdere i sensi, ti ho vista lì, nella radura. Anche tu non eri ben messa. Come hai fatto a fuggire e salvarti?"

Julia si scostò appena dall'abbraccio: "Fuggire? Da dove?" chiese, interdetta "Io sono sempre stata qui nel castello!"

Eragon si morse nervosamente un labbro: ma come era possibile? Eppure era lei quella donna che aveva incontrato nel bosco, ne era assolutamente certo...

"Raccontami tutto, ti prego" sussurrò Julia.
E lui le spiegò ogni cosa; delle urla che aveva udito, di quando l'aveva trovata nel bosco coperta di ferite, sangue e tagli, dei suoi occhi spiritati e dell'aria demoniaca che aveva.
E poi il cane, quel maledetto cane bianco e il suo sguardo malefico... poi il buio, il silenzio, e il risveglio all'alba.

E di nuovo il cane; e la bambina dai capelli scuri di nome Murxa.

"Possibile che siano scomparsi nel nulla?" commentò alla fine Julia "Mi sembra davvero strano che tu non li abbia più avuti alle calcagna quando sei uscito dal bosco. Possibile che si rivelino solo lì dentro?".
Eragon scosse il capo: "Non ne ho la minima idea. Ricordo solo l'angoscia che mi attanagliava il cuore. E il pensiero che tu potessi essere morta... è stata un'agonia."

Julia sollevò lo sguardo al cielo, poi sospirò: "Anche io ho visto quel maledetto cane. Il suo nome è Dybukk, ed è un essere demoniaco molto potente e pericoloso. Ma non so altro. Queste erano solo leggende, per me."

"Lo conoscete anche nel vostro mondo?" chiese Eragon.
Lei annuì: "Sì, ma non mi sono mai davvero informata su queste cose. Non sono di mio interesse, ecco. Anzi, non lo erano."

"Ma io non capisco" il ragazzo scosse il capo "Se tu dici di essere stata qui tutta la notte, ieri sera, da quando ci siamo salutati... allora chi era quella te che ho incontrato nel bosco?"

Julia alzò le spalle con fare rassegnato: "Di certo non ero io. Ma qualcuno che si era travestito da me."
Si aprirono le porte della sala: in un istante, Bowlish fu dentro con Nix.

Dietro di loro Susan portava sotto braccio un anziano uomo che si appoggiava su un bastone, camminando claudicante verso il centro della sala.

"Spero di non aver interrotto nulla" si scusò Bowlish, fissando un po' stranito la sorella e Eragon; Julia scosse il capo e si avvicinò a lui: "Anche Eragon ha avuto uno spiacevole incontro con quella bestiaccia. E con una bambina dai lunghi capelli scuri."

"Scuri?" intervenne Nix, rivolto a Eragon "Ne sei sicuro? Non biondi?"

"Assolutamente" rispose quello "Neri come la notte. E occhi verdi. Poteva avere circa otto anni, se non di più."

Susan prese la parola: "La bambina che invece si è rivelata a noi era molto più piccola, e i suoi capelli erano chiari come il sole."
Julia sospirò: "Evidentemente, erano due persone diverse. Ma il cane... è l'elemento comune."

L'anziano uomo ancora non aveva preso parola; sembrava davvero affaticato, aveva lo sguardo spento e l'aria mogia, cupa.

"Sarà meglio che vi sediate, buon uomo" gli si rivolse Bowlish "Susan, fallo sedere dove preferisci, basta che stia comodo."

L'uomo sorrise dolcemente al ragazzo, mentre prendeva posto con estrema lentezza e fatica su un morbido divano ricoperto da drappi amaranto.

"Lui è l'anziano saggio" intervenne Nix, parlando a Julia "E ha acconsentito a venir qui per spiegarci quel che sta accadendo."

Si raccolsero tutti attorno a lui; l'uomo sorrise tristemente ad ognuno di loro, poi esordì con voce rauca: "Miei re, sono onorato di poter stare qui con voi."

"L'onore è il nostro" rispose Maryanne, attirando l'attenzione di tutti; "Sono arrivata adesso, con Edmund e Hermione" aggiunse poi, visti gli sguardi interdetti degli altri, indicando i due dietro di lei.
L'uomo si schiarì la voce, poi fece un respiro e riprese a parlare: "L'isola di Elaja è da sempre governata da un giusto equilibrio di luce e buio. Come il giorno e la notte sono tanto equilibrati da formare l'intera giornata, così qui sull'isola il bene e il male vivono in antitesi e in sinergia, così da garantire la vita."

Julia si fece poco più avanti: la voce rauca e saggia dell'anziano uomo le regalava la serenità che dalla scorsa notte aveva perduto. Si sedette a terra, portando le gambe raccolte al petto, senza mai staccare gli occhi dal saggio, che raccontava senza sosta, nonostante il flebile tono di voce e l'evidente stanchezza dei tanti anni di vita accumulati sulle spalle.

"Prima ancora che Abu fosse qui sull'isola, prima ancora che il re Jorlax regnasse su Elaja, c'erano due grandi principi pantocratori: l'uno era Glaux, ed era il bene. Glaux si manifestava come una sorgente luminosa bianca, che illuminava ogni cosa al suo passaggio.
L'altro Elder: il Male; un'enorme ombra nera che portava morte e distruzione.

Elder e Glaux erano in eterna lotta e in eterna collaborazione: eppure Elder cercava sempre di prevaricare. Nacque dunque un'aspra contesa tra i due, alla fine della quale Glaux riuscì a battere Elder e rinchiuderlo in una dimensione diversa dalla nostra, così che vi rimanesse bloccato e confinato.

Fu così che la vita su Elaja proliferò e il bene si perpetuò, di generazione in generazione.
Ma Elder era in agguato; generò un figlio, un demone, che potesse raggiungere nuovamente la nostra terra e riprendere a combattere Glaux.

E così nacque... il Demone Maggiore."

Lo sguardo serio e quasi terrorizzato, l'uomo fissò uno ad uno i presenti, soffermandosi in particolar modo su Julia.

"Il Demone Maggiore è l'entità demoniaca più potente di Elaja. Glaux riusciva comunque a controbattere i suoi attacchi, e da allora bene e male si combattono incessantemente, alternando periodi in cui Glaux risplende di più ad altri in cui il Demone riesce ad avere la meglio.

Periodi di buio e periodi di luce.

Proprio come in ogni singola giornata."

Fece di nuovo una pausa, stavolta di qualche secondo più lunga: dover parlare così a lungo lo stava evidentemente affaticando, eppure non si diede per vinto neppure per un istante e riprese a parlare nuovamente, con lena anche maggiore.

"Quando il re Jorlax salì al potere, Glaux era al culmine della sua forza; ma il Demone non poteva sopportare a lungo questo affronto. Per questo arrivò Abu. Era tutto concertato, tutto modulato e equilibrato. Bene e male, Glaux e il Demone.

"Ma non contento, egli mise al mondo tre figli: i Demoni Minori.

Ainran, il maggiore, nato da madre umana.

Infine, i gemelli, di origine demoniaca pura: Rifor e Murxa."

Eragon si inginocchiò davanti all'anziano uomo: "Murxa, dite?"

Il vecchio saggio annuì.

"Io ho incontrato lei. Ho incontrato Murxa!" urlò quasi "Cosa vuole da me?"

"Loro sono qui per preannunciare" spiegò l'anziano "Il ritorno del padre."

Maryanne e Nix si scambiarono un'occhiata preoccupata: "Il Demone Maggiore vuole di nuovo il potere?" chiese Bowlish.

L'uomo annuì con aria cupa.

"Dovrete combattere" sussurrò "Di nuovo. E questa volta sarà molto diverso dalla battaglia contro Abu."

Susan richiamò l'attenzione di suo fratello Edmund: "Come è possibile tutto ciò?" chiese, spaventata.

Ma lui non le rispose; si rivolse invece all'uomo, chiedendo con fare preoccupato: "Cosa ci sapete dire della visione di Julia? Di quel cane bianco con la testa rovesciata?"

"Il Dybukk" mormorò impaurita lei, guardando dritto negli occhi l'uomo "Cosa vuole da me? Perché ha deciso di mostrarsi solo a me e a Eragon, e a nessun altro più?"

L'uomo scosse lentamente il capo, sospirando quasi impercettibilmente: "Mia regina, è ovvio: voi siete la suprema. Se riusciranno ad avere voi, sarà fatta per loro."

"E allora io cosa c'entro?" intervenne Eragon "Perché Murxa e il Dybukk mi si sono mostrati assieme nella foresta?"

"Forse sanno del sentimento che vi lega alla regina."

I due amanti si scambiarono un'occhiata tesa: Julia si morse un labbro, temendo che forse era arrivato il momento di dire addio al suo amore condannato. Avrebbe forse dovuto rinunciare a lui, per proteggergli la vita? Non voleva, non poteva permettere che Eragon venisse nuovamente aggredito.

"Ricordate, inoltre" riprese l'uomo, il tono molto flebile ora "Che Rifor e Murxa sono dei mutaforma. Essi possono assumere qualsiasi aspetto, prediligono quello umano, anche di persone che conoscete. State bene in guardia, quindi. Escogitate degli stratagemmi per riconoscervi gli uni con gli altri. E state all'erta."

Detto questo, l'uomo chinò il capo e emise un lungo sospiro.

"Credo sia molto stanco" mormorò Bowlish "Forse sarà meglio portar..."

"Aspettate!".

Julia si era fatta più vicina all'uomo, e gli stringeva ora le mani nelle sue.

"Vi prego" implorò "Diteci come poter sconfiggere il Dybukk!"

E l'uomo, con un'ultima enigmatica parola, le sorrise appena mormorandole: "Magia."






 

Epilogo




 

Una nuova notte buia era tornata sulla capitale.

La luna non faceva capolino e le stelle erano coperte da una spessa coltre di nubi minacciose.

In una casa piccola, con appena tre persone al suo interno, un uomo stava esalando gli ultimi respiri, pronto a salutare la sua vita dopo una lunga e dolorosa malattia.

Accanto al letto sua moglie e suo figlio, l'unico che la sua amata Edrema gli avesse potuto donare.

I suoi occhi, fissi sul soffitto, pigramente si voltarono a fissare per gli ultimi istanti i due volti dell'amata e del piccolo Mirag, che solo il giorno precedente aveva compiuto il nono anno di vita.

Piangevano in silenzio, entrambi, fissando tristemente Belaron che si abbandonava alle braccia della morte; egli sorrise loro, poi chiuse gli occhi e fece un ultimo respiro, aspettando l'oblio.

E il buio lo avvolse come un'enorme abbraccio oscuro; per qualche istante Belaron avvertì un freddo innaturale raggiungere la sua mente, il suo cuore, penetrargli nelle ossa.

"Sorella morte, sono pronto per te." si disse.

"Ti aspettavo." gli rispose una voce cupa.

Belaron capì che qualcosa, o forse qualcuno, di non corporeo stava lambendo la sua anima; eppure no, non era la morte quella che lo stava raggiungendo: qualcosa di diverso, di più pericoloso cingeva ora la sua anima, congelandola. Lo capì dall'angoscia che lo invase.

Sentì la serenità della morte rifuggire lontano da lui, poi un candore abbagliante lo avvolse, avvertì una morsa gelida afferrargli le braccia e le gambe per scagliarlo giù, verso il basso, in una discesa senza fine.
Belaron urlò; una risata d'uomo lo accompagnò in quella caduta infinita.

E ancora urlò, a perdifiato, incapace di far nulla se non pensare che quel che stava accadendo non era certo la sua morte.

Qualcosa o forse qualcuno lo afferrò all'improvviso.

Poi riaprì gli occhi.

"E ora... ci sono io."
La fredda voce che gli aveva parlato riverberò ora nella sua testa.
Era gioiosa; e anche Belaron, ora gioiva.

Voltò il capo per incontrare nuovamente lo sguardo della moglie e del figlio, completamente abbacinati.

 

"Sono vivo" disse loro, ma non era più lui a comandare le sue labbra.
Qualcosa di nuovo si muoveva ora nella sua mente.

 

E, con una strana inquietudine, sorrise alla vita.





Note d'autrice:

Eccomi qui con una nuova OS scritta appositamente per il contest "Spiriti Maligni" che, essendo quasi ad Halloween, non poteva non essere più azzeccato!
Ho perso più tempo a sistemare le immagini da inserire che non per scrivere la OS! In particolare, la foto della regina Julia con tanto di macchie di sangue e sguardo assatanato è la mia, per cui se voleste prenderla o riutilizzarla siete pregati di avvisarmi ^.^
Detto questo, spero che la storia sia piaciuta! Questa OS è giusto un assaggio della prossima storia che pubblicherò qui su EFP, ovvero il secondo capitolo de "Le avventure dei quattro re" dove, come potrete ben immaginare, saranno protagonisti il Demone Maggiore con i suoi tre figli, e i nostri quattro impavidi cugini dall'altra parte.
Alla prossima allora!

Julia of Elaja

 

 

 

   
 
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