Cum patior
Quanto in profondità può spingersi la comprensione di un essere umano?
L'uomo crede di poter sopportare l'Inferno
altrui meglio
del proprio: le fiamme di carceri estranee lasciano soltanto
bruciature superficiali, nessuna cicatrice permanente. Effimera
compartecipazione.
Ma io sono qui per consumarti – divorerò ogni
lembo
della tua carne, fino a quando le nostre ceneri potranno fondersi
indistintamente.
Non
farti distrarre dal chiacchiericcio sommesso che colora le strade del
Villaggio; non è a quei passanti disattenti che volgeremo
oggi la
nostra attenzione. Trattieni il respiro – respingi
ogni profumo
– e non catturare alcun suono.
Percepisci
le mie dita sottili che si stanno stringendo alle tue? Non guardarle,
non è ancora arrivato il momento: limitati a saggiare la mia
pelle
morbida, sarà
lei a farti da guida.
Imprimi
bene in mente la delicata pressione dei polpastrelli, la superficie
levigata del palmo, conta
i centimetri che separano il pollice dall'indice.
Questa, viaggiatore, è la mano di un bambino.
#1.
Patior
La mente umana costruisce architetture
visive imperfette
e fallaci, se adesso tu immagini un bimbo paffuto dagli occhi
gentili, ad accompagnare quelle dita titubanti.
Non fidarti della tua percezione tattile e non lasciare
che questo ritratto si sedimenti – non sono io.
Le mie iridi non hanno conosciuto gentilezza, le mie
labbra non sono rosee, ma sfiorate da un prematuro peccato.
Se solo mi lasciassi guardare, allora vedresti cosa si
annida oltre palpebre che non conoscono il sonno. Ma ancora non sono
pronto per mostrarti il mio volto; sfumerebbe in crepe al contatto
con un altro essere umano.
Scivolo per le strade della città al sicuro sotto
impenetrabili brandelli di stoffa – mi rivesto di strati di
fittizie identità per rendere più difficile
l'accesso alla mia
anima nera ridotta in tasselli che non sanno ricomporsi; capisci
quanto facilmente potrei essere sconfitto?
Guarda la mia mano intrecciata alla tua.
Adesso le noti quelle gocce di sangue scarlatto?
#2.
Cum
Credevo di essere speciale, ma il sangue
che perdo ha lo
stesso sapore di quello che ho versato – mi brucia la pelle,
scavando epidermide già escoriata.
E' solo un rivolo di plasma a separare i nostri corpi,
ma una distanza ben più insormontabile divide il carnefice
dal
salvatore.
Arranca verso di me – vuole cancellare lo spazio tra noi – e predica un Amore di cui conosco una sola forma, quella più gretta e misera.
«La sofferenza di sentirsi soli è veramente insopportabile», percepisco il suono delle sua voce giungere alle mie orecchie ovattate, restie a lasciarsi coinvolgersi da qualunque rumore che non riconoscono come mio.
Si dice che ci sia
un momento, nella vita di ognuno, capace di farti riconsiderare la
tua intera esistenza; è il punto di svolta, l'istante
in cui il vecchio te stesso muta forma e abbraccia la
molteplicità
della nuance
di cui è capace un essere umano.
Il cambiamento è
impercettibile a un occhio esterno, ma è il tuo corpo
proprio a rifiutare il
mero solipsismo e ad abbracciare il Dasein
– l'essenza. Dell'altro, del mondo.
L'essenza dell'uomo
che ora mi guarda, costringendomi ad annullarmi in lui e a respirare
tra le sue parole.
La luce che filtra
tra le fronde degli alberi lo illumina – ci
illumina
– e tutto mi appare nella sua abbacinante chiarezza.
Riesci a capirlo,
viaggiatore?
Quando Naruto mi
ha sconfitto,
io ho vinto me stesso.
Lascio che il cappuccio mi scopra
– il tempo di
nascondersi dietro Shukaku è finito – ; sei pronto
a conoscere
l'identità del Virgilio che ti ha condotto tra Inferno e
Purgatorio?
Gaara è il mio nome e per me non
c'è
redenzione: potrò conoscere il Paradiso solo attraverso i
suoi occhi
e tanto mi basta.
Guarda la mia mano intrecciata alla tua.
Non vedi che un rosso più profondo ha obnubilato il
dolore?
E non vuoi capire che la tua
coscienza significa
appunto "gli altri dentro di te".
[L.
Pirandello, "Ciascuno a suo modo"]
Note Autrice:
Questa storia giaceva impolverata tra gli archivi del mio pc, forse per pigrizia, o forse semplicemente perché per me ha un peso non indifferente che solo adesso mi sono sentita di condividere con voi lettori.
E' stata scritta per partecipare al Godaime Kazekage contest, ma per problemi tecnici non ha potuto gareggiare con le altre splendide fanfiction. Ma ci tengo a ringraziare comunque supersara che mi ha permesso di entrare nella testolina del mio amato Gaara, a cui spero di aver reso giustizia.Altra personcina da ringraziare è Amens Ophelia, per avermi ispirato parte di questa breve One Shot, rinfrescandomi la bellissima citazione di Pirandello che così bene si lega al tema della mia storia.
Con questo lavoro, ho voluto sperimentare una nuova forma narrativa che mi ha stimolato ed entusiasmato e mi farebbe piacere sapere un vostro parere in merito :)
La fanart che ho posto all'inizio non mi appartiene, tutti i credits spettanto all'autrice di tale meraviglia.
La frase che ho fatto pronunciare a Naruto è stata riportata testualmente dall'episodio dello scontro tra quest'ultimo e Gaara, che ho rivisto per poter essere più fedele al momento trattato.
Giusto per chiarire il periodo in cui faccio riferimento alla Teoria della Corporeità di Maurice Merleau-Ponty, vi rimando a due brevi spiegazioni in merito qui e qui e ringrazio il mio professore di Estetica che mi ha permesso di avvicinarmi a questi concetti tremendamente affascinanti.
Ci sarebbero tante cose da dire; perché è una NaruGaa velata, perché tratta del mio personaggio preferito, perché mi rispecchia e perché mi spaventa, ma lascio a voi il compito di decretare la riuscita (o il fallimento) di questo esperimento.
Come vedete, questa storia non è veramente mia: è il semplice frutto di tante influenze diverse che operano insieme :)
Un abbraccio,
Ayumu