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Autore: mamogirl    26/10/2014    1 recensioni
Raccolta di flash e one shot a tema FrickNFrack.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Littrell, Nick Carter, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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* Fighter *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“La paura cambia il corpo come uno scultore incapace
trasforma una pietra perfetta.
Solo che la paura colpisce dall’interno
e nessuno vede quanti frammenti e strati ti toglie.
Diventi sempre più sottile e instabile fino a quando
La minima emozione ti fa crollare.
Un abbraccio, e pensi di essere a pezzi.
Perso.”

-       Una Piccola Libreria A Parigi, Nina George  -

 

 

 

 

 

 

 

 

Raggi caldi e dorati entravano dalle finestre completamente spalancate, inondando ogni camera della casa con il suo inconfondibile profumo di estate.
Era mattina, un lieve venticello si era alzato fra le fronde degli alberi e scuoteva dolcemente le loro foglie, un verde smeraldo reso ancora più narciso da quella luce che sembrava essere attratta da esso. Alcuni nuvoloni, di un pungente color grigio, osservavano la città sotto di loro. I marciapiedi erano presi d’assalto dai pedoni, gente di ogni età che camminava speditamente verso la reciproca destinazione e poco incline a fermarsi e osservare chi aveva vicino. Qua e là, in quel mare di folla, facevano capolino turisti facilmente distinguibili per le onnipresenti macchine fotografiche, i cui obiettivi erano puntati verso l’alto e verso quei grattacieli che sembravano alzarsi fino a quasi raggiungere il cielo. Chiunque poteva scomparire in quella marea variopinta, chiunque poteva nascondersi in un angolo e poi mescolarsi insieme a facce ed espressioni sconosciute, disperdendo le proprie tracce prima che qualcuno potesse scoprirlo. Quel chiunque, quel giorno, era un uomo di trentotto anni, il cui viso era conosciuto da poco più di metà della popolazione mondiale: negli ultimi vent’anni, infatti, il volto era apparso in videoclip, in poster che avevano decorato le camere di milioni di ragazzine e che ancora faceva battere i cuori di donne e fan. I capelli erano diventati più sottili e corti e, in alcuni punti, stavano già lasciando intravedere dei lembi di pelle; il volto, però, poco era cambiato con il passare degli anni: sulla pelle, agli angoli degli occhi e sulla fronte, erano apparse qualche ruga ma bastava un sorriso per farle scomparire. Gli occhi erano ciò che ancora attraevano più attenzione: quel particolare colore che, a seconda della luce, poteva sembrare il più chiaro degli azzurri o il più perlato fra i grigi e che sembrava risplendere se accompagnato da un sorriso, caldo e rassicurante, oppure diventare un’ombra scura se l’espressione si rabbuiava diventando sempre più fredda e colma di tensione e rabbia. Quel giorno gli occhi erano nascosti dietro ad un paio d’occhiali da sole, due lenti scure e nere che permettevano solamente di poter osservare ciò che lo circondava senza che gli altri, estranei e non, potessero comprendere il suo stato d’animo con un solo sguardo.
Ecco perché amava New York. Non solo per i suoi grattacieli, non solo per le luci e la frenesia e nemmeno per quel polmone verde che era Central Park. No, il motivo per cui più amava New York era la concreta possibilità di scendere per la strada e diventare una qualsiasi altra persona, scomparire in quella folla con un solo passo e sperare, forse, di non ritrovare mai più la via di ritorno. Nessuno dava importanza a chi li camminava vicino, nessuno badava se ci fosse un sorriso o una lacrima sul suo volto. E quel giorno, nascosto in una felpa più grande di lui almeno quattro taglie e il più vecchio paio di jeans che aveva ancora nell’armadio, l’uomo sapeva di assomigliare di più a uno studente universitario più che a una popstar milionaria e mondiale.
Un gruppo di ragazze lo sorpassò di lato, parlando con voci eccitate del luogo in cui la famosa band, di cui erano fan, si sarebbe trovata quel pomeriggio e di quanto, troppo tempo, avevano aspettato quel momento per incontrarli. Per un momento, l’uomo temette che potessero riconoscerlo così alzò il cappuccio della felpa, nascondendovi sotto i capelli color castano chiaro e aumentando il passo. Scorse un gruppo di turisti, non sapeva dire se fossero cinesi o giapponesi, e si mischiò insieme con loro fino a quando le risate ed esclamazione su chi fosse il più bello del gruppo divennero solo un eco portato dalla brezza.
Non sapeva quale fosse la sua meta. Non sapeva esattamente dove stesse andando o dove volesse andare. Tutto quello che sapeva e voleva era andarsene il più lontano da tutti e tutto, esaurire ogni energia camminando e camminando fino a quando la sua mente non potesse più pensare e ripensare a quella giornata.
Sarebbe mai giunta la fine di quel calvario?
Dopo due anni, ormai, sembrava che la fine di quel tunnel non arrivasse mai, lasciandolo isolato fra quelle pareti in completa oscurità. Ma non era solo quello il pensiero che lo stava spingendo oltre il baratro, non era solo l’incertezza sulla sua salute a lasciarlo con un macigno gigantesco sulle spalle. Ciò che stava facendo pericolosamente cadere l’ago di quel precario equilibrio era che stava rovinando il gruppo, anche se sapeva che ancora nessuno dei suoi compagni recriminava o protestava.
Ma fino a quando sarebbe durata la loro pazienza?
Già quelle delle fans stava drasticamente calando, almeno a giudicare dall’aumento di messaggi che ogni giorno non solo lui ma anche gli altri quattro ricevevano su Twitter. Ma che cosa avrebbe potuto dire loro? Come avrebbe potuto dir loro, e al mondo intero, che dopo due anni di visite, terapie, operazioni e diagnosi, ancora i medici brancolavano nel buio? Non poteva rassicurarle, non poteva dir loro che tutto stava andando alla perfezione e che presto la sua voce, quella voce di cui loro si erano innamorate, sarebbe presto tornata.
Nemmeno lui, ormai, credeva più a quella speranza.
Le mani erano ben chiuse nelle tasche dei jeans, lo sguardo rimaneva fisso sul marciapiede e sulla punta delle scarpe rosa mentre si lasciavano dietro centimetro dopo centimetro; la mente, però, non riusciva ad allontanarsi da quell’ufficio da cui il suo corpo, fisicamente, era uscito quasi un’ora prima. 

“Un altro?”
L’espressione del medico, seduto di fronte a lui, lasciò trapelare la stessa espressione di sincera delusione che sapeva essere presente anche sul suo di volto. “Sì.”
Non solo era deluso. Ma anche confuso. E arrabbiato. “L’operazione avrebbe dovuto risolvere tutto.” Si ritrovò a mormorare, ripetendo quella rassicurazione che gli era stata data di fronte alle sue obiezioni. Non preoccuparti, gli avevano detto con un sorriso, non preoccuparti e si sistemerà tutto.
“Era troppo piccolo per poter essere notato.”
Deglutì a fatica, sapendo che quell’ostacolo nella sua gola poco aveva a che fare con groppi o lacrime. Era qualcosa di più meschino, più viscido, assettato di quella voce che ora faticava a uscire. “Che cosa si fa?”
Un sospiro, le dita che andavano e passavano sopra la pesante cartella clinica. “La solita trafila.”
“Un’altra operazione?”
“Sai che è l’unica soluzione.”
L’unica, certo, ma anche quella che richiedeva più tempo. E lui non ne aveva. Lui non ne poteva più chiedere perché la macchina era già stata messa in moto e si erano già allontanati dalla prima e unica fermata. Non poteva obbligare tutti a fermarsi e aspettarlo. Poteva solamente saltare e sperare di non farsi troppo male nella caduta.

  

Quella scelta, forse, era da codardo. E, effettivamente, era così che si sentiva. Si sentiva un vigliacco, un soldato che abbandonava la trincea perché aveva troppo paura di che cosa lo stava aspettando. Forse era un’analogia un po’ troppo estrema ma negli ultimi mesi era così che aveva sentito il palco: una guerra. Era la sua battaglia, uno scontro fra la voglia e il desiderio di cantare ed esibirsi e, dall’altra, la paura e l’ansia che lo spingevano a nascondersi e a non salire fino a quando non fosse stato perfetto come le passate volte. Era estenuante. Era un lento logorio di nervi, non c’era mai un momento di pausa e la sua voce, ormai, era l’unico argomento di conversazione ovunque andasse. Sapeva che parte, gran parte, di esse nasceva solo dalla preoccupazione e dal desiderio di aiutarlo e cercare di farlo sentire a suo agio ma si era trasformata, ogni giorno che passava, solo una cappa sempre più pesante e opprimente.
Ecco perché voleva scomparire. Non voleva più essere il centro dell’attenzione, non voleva più spaventare e preoccupare le persone attorno a lui.
Voleva solo sparire.
Eppure, dall’altra parte, c’era qualcosa che continuava a tenerlo in quell’impasse. No, non qualcosa. Qualcuno. E quel qualcuno era il suo compagno che, pazientemente, lo aveva accompagnato a ogni visita e gli aveva stretto la mano a ogni sconfortante notizia. Era lui la ragione per cui si era rimesso in piedi dopo ogni caduta, erano state le sue parole di supporto che avevano lenito il suo animo quando si era ritrovato a malapena capace di pronunciare una frase senza quell’inconfondibile tremito. Era stato lui a tenergli compagnia nelle interminabili ore mentre aspettavano l’inizio della prima operazione ed era sempre stato lui a prendersi cura di lui una volta conclusasi questa.
E ora... ora avrebbe dovuto ricominciare tutto.
Non poteva. Non poteva infliggergli ancora quel tormento. Né a lui né, soprattutto, a suo figlio.
Ma quali altre alternative aveva?
Così camminava, sperduto in un flusso di gente cui poco importava se il mondo stesse perdendo una voce. Ed era quello ciò di cui aveva bisogno: nessuno che lo fermasse, nessuno che lo inseguisse con domande, richieste, consigli. Non voleva niente, se non scomparire e diventare invisibile.
Non era molto alto, non doveva essere un problema.
Poteva sparire, sì. E sarebbe anche stato facile. Gli altri se ne sarebbero fatta una ragione e, in linea molto pratica, sarebbe stato più semplice andare avanti senza di lui. Senza l’oggetto ormai irreparabilmente rotto. Senza quel meccanismo che non permetteva all’orologio di funzionare perfettamente.
Poteva sparire e l’avrebbe fatto. Non aveva bisogno di dettagli, d’itinerari organizzati fino all’ultima fermata e di hotel lussuosi. Gli bastava la sua macchina e il suo senso dell’orientamento. L’aveva sempre sognato, aveva sempre desiderato di saltare su un’auto e lasciarsi guidare dalla strada: viaggiare, macinare chilometri e chilometri sotto le ruote senza avere una benché minima idea di dove si trovasse e perché avesse scelto proprio quella piccola cittadina invece che un’altra.
Senza averne memoria o intenzione l’uomo si ritrovò a superare la soglia di un piccolo caffè. Esattamente come lui, quel luogo passava quasi inosservato, nascosto com’era fra due alti grattacieli che lo oscuravano dall’attenzione dei passanti. Era minuscolo, un unico salone in cui i tavolini, di un nero ormai sbiadito, erano disposti alla rinfusa; sedie ognuna differente dall’altra per stile e colore e divanetti che avevano l’aria di appartenere a decadi passate. L’aria, sebbene filtrata dall’aria condizionata, era intrisa dell’aroma di chicchi di caffè appena macinati e i dolci e biscotti che uscivano fumanti dalla cucina annessa. Era sempre immerso nell’oscurità, anche in quei giorni in cui il sole brillava come una prima stella nel cielo e ciò era a causa di quel vetro perennemente appannato dalla polvere che si era depositata negli anni e da quei bisonti di edifici che torreggiavano ai fianchi della piccola caffetteria.
L’uomo abbassò il cappuccio, lasciando liberi i capelli. Nessuno lo avrebbe riconosciuto in quel luogo, frequentato soprattutto da anziani e alcuni uomini d’affari che sceglievano quel locale per portare a termine contratti non del tutto legali. Superò i pochi tavolini occupati e si sedette nell’unico tavolo rimasto libero nell’angolo più nascosto, vicino all’uscita d’emergenza e i bagni. Una volta sistemato, prese dalla tasca della felpa il telefonino, rimanendo a fissare la foto del display. Ricordava nei più piccoli particolari il momento in cui era stata scattata, una giornata di sole esattamente come quella che New York stava vivendo: nello sfondo si poteva, infatti, intravedere un cielo completamente terso e uno squarcio di luce dorata riflettersi contro l’obiettivo. Sorrisi ed espressione di felicità erano la prima cosa che catturavano la sua attenzione, dipinti su due volti che aveva e amava ogni giorni che passavano. Due tinte di capelli quasi simili, un biondo che sembrava scendere direttamente da un raggio di sole mentre un altro più scuro e tendente al castano. Anche le iridi degli occhi erano più o meno simili, entrambe azzurre ed entrambe spendenti. Lui non c’era nella foto, seduto in un angolo a osservare la sua famiglia correre e rincorrersi per poi terminare in una matassa di braccia e gambe. E ricordava ancora come il suo cuore avesse perso un battito di fronte a quella scena, un’assenza che era stata riempita da una sensazione di caldo e di amore.
Ogni volta che si sentiva al limite, ogni volta che era sul punto di mollare, guardava quella foto e si ricordava per quale motivo stesse davvero affrontando tutto senza lamentarsi o protestare. E anche in quel momento l’immagine di fronte a lui riusciva a lenire, in parte, il senso di fallimento per quell’ennesimo nuovo intoppo. Ma non ci riusciva completamente perché, in quel momento, quella foto rappresentava solamente tutto ciò che stava per essere ancora nuovamente distrutto: equilibrio, stabilità, serenità. Tutte cose che aveva promesso non avrebbe mai fatto mancare a suo figlio.
Quante volte aveva infranto quella promessa?
Quante altre volte l’avrebbe infranta?
Le dita scivolarono sul display, sbloccandolo. Ancora più codardo, ancora più vigliacco, aprì un nuovo messaggio e incominciò a digitare una sorta di spiegazione per quella sua scomparsa. Almeno quello, almeno una scusa. Non poteva andarsene senza dirgli niente. Non poteva scomparire dalla sua vita, almeno temporaneamente, senza un perché. E, in un certo qual modo, gli stava lasciando la possibilità di convincerlo a far marcia indietro.
Solo lui ci sarebbe riuscito. E, una parte di lui, desiderava che ci riuscisse.

 

 

 


 

**********

 


 

 

Il messaggio arrivò nel bel mezzo della riunione, un noioso e più che mai futile incontro che si stava disperdendo in discussioni e situazioni che poco interessavano agli artisti. Solamente Kevin ne sembrava interessato, almeno a giudicare dai cenni che faceva con il capo a seconda se fosse d’accordo o meno con ciò che stava venendo detto.
Aveva cercato, Nick, di spostare quel meeting. Non aveva senso incontrarsi e decidere riguardo al nuovo album e al tour quando un membro del gruppo sarebbe mancato. In realtà, anche lui avrebbe voluto non partecipare, preferendo accompagnare Brian all’ennesima visita medica nell’arco, ormai, di poche settimane. Ma era stato Brian stesso a obiettare, ad assicurare che non sarebbe stato un problema se gli altri avessero deciso o programmato senza la sua presenza.
E ciò aveva messo in allarme Nick.
Non erano state solamente le parole. Non era stato solamente il curioso, e quanto mai poco credibile, fatto che visita e meeting fossero venuti a coincidere in modo così perfetto. Cose di quel genere, avvenimenti e incontri che si accavallavano uno sull’altro erano soliti capitare lui, così disorganizzato da non sapere nemmeno dove era andata a finire la sua agenda o dimenticarsi sempre di segnarli sul calendario del telefonino. In parte, non si era mai preoccupato di quel caos perché c’era sempre stato Brian a occuparsene, uno dei tanti vantaggi e privilegi che nascevano non solo da essere compagni di vita ma anche di lavoro. Era Brian, sempre e solo Brian, a organizzare con precisa maestria ogni giornata in modo che tutto s’incastrasse alla perfezione: vita domestica, vita lavorativa e vita da genitore. Nick si adeguava, Nick seguiva la corrente perché sapeva che, a parti invertite, la loro vita si sarebbe trasformata solamente in un infinito e disordinato caos.
Ecco perché quella coincidenza suonava strana.
Fin troppo strana.
Ma, almeno all’inizio, non vi aveva dato troppa attenzione. C’erano tanti altri problemi cui dar la precedenza, c’era già il preoccuparsi per lo stato di salute della compagna che si prendeva buona parte di tutta la sua attenzione e concentrazione.
In quello, almeno, Nick sentiva di esser diventato bravo. Il che, considerato di chi doveva occuparsi, sembrava quasi paragonabile all’aver scalato l’Everest e esser discesi nel più veloce tempo possibile. L’inizio era stato quasi una sorta di silenziosa e invisibile guerra: più la voce si spezzava, più erano evidenti i suoi problemi, più Brian si era chiuso in se stesso, nascosto in una sorta d’illusione dove niente stava succedendo. Nascosto da ogni domanda, nascosto da ogni espressione di preoccupazione e da ogni sguardo che gli chiedeva solamente un’apertura, uno spiraglio affinché si lasciasse aiutare. L’ultima volta che Brian aveva avuto problemi, Nick lo aveva abbandonato. Forse era anche stato meglio così, in tutti quegli anni era finalmente arrivato a raggiungere una sorta di maturità che, lui ne era sicuro, non avrebbe mai potuto apprendere se non fosse stato per tutto ciò che aveva dovuto subire e superare. Così non aveva abbassato la testa al primo rifiuto, al primo cenno di rabbia mascherata da frustrazione. Aveva spinto, non si vergognava di aver anche usato basse mani pur di arrivare al suo scopo. Ogni volta, ogni visita, ogni caduta e ogni nuova operazione, Nick era rimasto lì, a dimostrare che non era più il bambino viziato ed egocentrico che non riusciva mai a comprendere che anche gli altri, non solo lui, avevano un disperato bisogno di amore e di supporto.
E in quei mesi, in quegli anni, Nick era riuscito finalmente a scorgere e imparare quell’intricata ragnatela di emozioni, paure e ansie che si era formata dietro al sorriso del compagno. Ed era da quella consapevolezza, da quella conoscenza che solamente il tempo e l’esperienza erano riusciti a formare, che Nick ora carpiva il sentore che qualcosa non quadrava.
Non solo la coincidenza. Non solo quella rinuncia che stonava con i mesi precedenti, a quel continuo spronare il gruppo o ribattere al pessimismo controllato di Kevin ogni volta che si lamentava quanto fossero indietro con il lavoro.

“Ci manca troppo, abbiamo scritto venti canzoni e registrato nemmeno la metà.”
“Siamo a buon punto, Kevin. Abbiamo venti canzoni e ne abbiamo registrate cinque in due giorni. Direi che siamo a buon punto per aver appena incominciato.”
 

Non avrebbe mai rinunciato a quell’incontro. Il Brian che conosceva avrebbe spostato mari e monti in modo che ogni visita e incontro s’incastrassero alla perfezione in modo da essere e sembrare un eroe.
Non quella volta.
Quella volta aveva semplicemente abbassato il viso, gli aveva voltato la schiena e aveva mormorato che non poteva.

“Ho una visita. Non posso rimandarla.” Gli aveva detto, con quel filo di voce che ormai era diventato padrone indiscusso di tutta la loro vita. E che nascondeva, ora, un altro mistero, un sospetto che ormai aleggiava ma che nessuno di loro osava mai pronunciare ad alta voce.
“Okay. Chiamo Kevin e gli dico di spostare il meeting visto che non ci saremo...”
“Non c’è bisogno che tu venga. Posso andare da solo.”
 

Si era opposto, Nick. Si era opposto in ogni modo perché aveva lottato così tanto per dimostrare al maggiore che poteva appoggiarsi e prendere supporto da lui. Non aveva saltato nessuna visita, era rimasto ore in attesa durante i più lunghi esami e aveva cercato di informarsi in ogni modo pur di non trovarsi impreparato. Si era preparato a dover mordersi la lingua di fronte a un Brian frustato, un Brian arrabbiato e stanco di tutto e di tutti. Lui e la pazienza non erano mai stati grandi amici ma per Brian ci aveva provato perché era quello che era giusto fare.
Era quello che si doveva fare in una relazione seria.
Ed era stato bello, per quanto quello potesse essere un aggettivo utilizzabile in quella situazione. Era stato bello essere lui, per una volta, la roccia che stava sostenendo Brian, quando era sempre stato il contrario. Gli piaceva prendersi cura di lui, aveva sempre anelato e desiderato poter prendersi cura di qualcuno senza mai doversi aspettare qualcosa in cambio o pretendere un altro favore.
Anche se era stato stancante. A volte avrebbe voluto urlare, a volte avrebbe voluto spegnere qualsiasi discorso perché era sempre su quello che andavano a parlare: appuntamenti, medicine, effetti collaterali. A volte avrebbe voluto arrabbiarsi con Brian per avere portato quell’ennesimo dramma nella sua vita, in un periodo in cui era finalmente riuscito a buttarsi tutto alle spalle e ricominciare dall’inizio. A volte, invece, avrebbe voluto prendere Brian per le spalle e scrollarlo fino a quando non fosse riuscito a far crollare ogni difesa rimasta, quelle mura che ancora gli impedivano di lasciarsi andare e ammettere l’ingiustizia di ciò che gli stava capitando. Ammettere, soprattutto, che nessuno avrebbe avuto da ridire se, per una volta, Brian avesse lasciato le redini del controllo agli altri e pensasse solamente a rimettersi in piedi.
A volte, come in quel momento, avrebbe voluto poter avere una bacchetta magica e cancellare tutto, togliere quei problemi con una formula pronunciata a sottovoce e rivedere il sorriso ritornare a brillare e far brillare il volto del compagno.
Senza nemmeno pronunciare una scusa o una giustificazione, Nick si alzò nel bel mezzo della riunione e uscì velocemente dalla stanza. Non appena la porta si chiuse dietro le sue spalle, Nick recuperò il telefonino e si ritrovò di fronte al più lungo messaggio che Brian gli avesse mai mandato. Con il cuore in gola e l’ansia che si stringeva sempre di più attorno allo stomaco, Nick aprì la busta lampeggiante, sperando con tutto se stesso che non fosse ciò che aveva temuto.

C’era una ragione per cui non ti ho voluto oggi con me.
Vorrei dirti che è andato tutto bene. Vorrei dirti che ci siamo preoccupati per niente, che ci siamo torturati per giorni per qualcosa che era solamente un fantasma delle settimane, dei mesi e degli anni che abbiamo trascorso schiavi di questa situazione.
Se te lo dicessi, se ti mentissi così spudoratamente, soffriresti di meno?
Me lo sono chiesto, sai. Mi sono chiesto quanto tutta questa situazione debba pesarti, quanto meriteresti di poter finalmente assaporare la vita ora che hai risolto i tuoi problemi. E invece ti devi preoccupare, invece trascorri ore a cercare qualcosa che possa aiutarmi o tutte quelle volte che mi rivalgo delle mie frustrazioni su di te.
Ho cercato di non esserti un peso. Ho cercato di non dipendere da te, dal nostro amore, prima di rovinarlo definitivamente. Mentirei se non dicessi che sei stato tu e Baylee le uniche persone che sono riuscite a tenermi a galla in questa tempesta.
Ma sono stanco.
Non voglio più combattere contro i mulini a vento.
Non voglio più essere sconfitto, abbattuto nello spirito e in quell’incrollabile fede che ora sembra solo un miraggio.
Voglio solo andarmene.
E’ da codardi. E’ da vigliacchi.
Ma a che serve tutto questo?
Sto rovinando tutto. Sto rovinando ogni piano e, per quanto cantare e salire su un palco sia ancora l’unico appiglio a quel poco che è rimasto di me stesso, non posso più continuare.
Non so nemmeno se lo voglio.
Tu meriti di meglio.
Baylee merita di meglio.
Il gruppo...
Forse anch’io. Forse merito di lasciare il palco silenziosamente, lasciare che le luci si spengano mentre l’attenzione è rivolta verso chi può davvero brillare di luce propria.
Non so dove andare. Non so nemmeno se questa è la decisione migliore o se è solamente frutto dell’ennesima prova da affrontare. Non ho energie, non ho forze mentali per rimettere in piedi ancora piani e progetti in modo che nessuno soffra da questo ennesimo intoppo.
Voglio scomparire.
Come questa voce.
Voglio andarmene, magari sperando che nella mia assenza qualcosa si risolva da solo. Voglio andarmene da tutto, non voglio più essere il veleno e il seme che sta distruggendo tutto ciò di buono che avevamo creato.
Ha senso?
Non so se ha senso. Non so nemmeno se io stesso ho più un senso senza la voce. Forse è per questo che me ne voglio andare, allontanarmi da tutti per capire chi e che cosa posso essere se... non riesco nemmeno a scrivertelo.
Nick...

 

Il messaggio, la serie di messaggi, terminava così all’improvviso. Nick riusciva a immaginare perfettamente Brian mentre lo aveva composto, le dita che tremavano per lo sforzo di tenere a bada quel turbinio di emozioni che si stava tempestando all’interno della sua anima. Lo immaginava mentre prendeva pausa, socchiudeva gli occhi alla ricerca di un filo logico in quell’ammasso di parole e di confessioni. Lo immaginava mentre cercava il modo per dirgli addio senza riuscirci perché l’implicito di quella confessione era un grido d’aiuto. Non era una lettera, un messaggio, d’addio. Forse all’apparenza, forse come prima intenzione. Ma sotto quelle frasi c’era solamente un grido che veniva ripetuto fino a rendere la voce un rauco sussurro, una richiesta di essere finalmente quel punto fermo in una vita che si stava sbriciolando sotto le sue stessa dita.
Quante volte Nick aveva fatto lo stesso?
Quante telefonate ubriache aveva fatto all’indirizzo di Brian?
Quante volte aveva urlato, sbraitato e odiato perché non sapeva in che modo poteva rialzarsi?
Troppe. Tante. Fin troppe. E ora Brian stava facendo lo stesso, in quel modo così pieno di quell’orgoglio che non sarebbe deceduto nemmeno sotto i più potenti e letali dei colpi. Quel Nick finale era un’implicita richiesta. Era un invito a non lasciargli commettere quell’atto dettato dalla stanchezza, era l’ordine perentorio di combattere per lui invece che arrabbiarsi perché ormai sul ciglio di essere abbandonato senza nemmeno una giusta motivazione.
E si definiva codardo. Nonostante tutto, ancora Brian temeva di esser visto debole e fragile com’era sempre stato etichettato per buona parte della sua vita. Si definiva vigliacco per essere un combattente ormai esausto, anche se ancora rimaneva in piedi appoggiandosi a tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
E toccava a lui, toccava a Nick rassicurarlo. Toccava a Nick fargli capire che non sarebbe esploso il mondo se Brian avesse ammesso di non essere nel pieno delle sue forze per quest’altro, ennesimo, ostacolo da superare.
Prima di perdere il proprio coraggio, prima che quella finestra di possibilità si chiudesse per sempre, Nick digitò velocemente il numero del compagno mentre incominciava a uscire da quell’edificio. Gradino dopo gradino, squillo dopo squillo fino a quando Brian rispose. Non disse nulla, aprì semplicemente la conversazione lasciando ancora la palla fra le mani di Nick.
Si dovette fermare, Nick.
Si fermò e appoggiò la mano contro la parete, socchiudendo gli occhi per qualche secondo. Non poteva sbagliare, non poteva permettersi nessun errore. Brian si trovava sul ciglio di un precipizio e sarebbe bastato poco per farlo cadere nell’abisso o se, allungando una mano, si sarebbe potuto salvare.
“Bri... – Mormorò, fermandosi quasi immediatamente. Appoggiò la schiena contro il muro, rischiando quasi di tirare una testata con la nuca. – Hai tutti i diritti di questo mondo ad essere stanco. Hai tutti i diritti dell’intero universo ad alzare le braccia e mandare tutto a quel paese. Nessuno vuole dirti che cosa devi fare, nessuno vuole costringerti a fare cose che non ti senti. Se ti hanno detto quello che sospettavamo... non ti dirò che puoi farcela. Non ti dirò che, anche questa volta, sopporterai tutto con la pazienza da santo che hai avuto con la passata operazione. Se non te la senti, va bene. Non c’è nessun problema. Se vuoi prenderti una pausa, va bene. Troveremo qualcosa ma...”
Era egoista, Nick lo sapeva. Quello che stava per dire suonava e appariva la frase più egoista di quel mondo ma non poteva, Nick, immaginarsi cantare sul palco senza Brian al suo fianco. Le loro canzoni, tutto il loro repertorio, non avrebbero avuto senso senza quelle note che solamente lui poteva tirare fuori.
“... sei il nostro centro, Brian. So che per tanto tempo ti sei sentito un estraneo, so che hai sempre spinto più di quanto dovevi solo per dimostrare che avevi diritto a quel posto. Ma eri più di quello, eri e sei il nostro punto focale, la persona che ha sempre portato un’aria ottimista quando le cose non andavano bene. Ora sei tu ad avere bisogno di ottimismo e non ti abbandoneremo.
Non ti abbandonerò.
Pensi davvero di potertene andare e non portarmi dietro con te? O Baylee? Non sarà così facile, amico mio. Ormai sei legato a infiniti lacci con noi.
Hai ragione.
Non merito tutto questo nuovo dramma. E sono frustato. Sono arrabbiato. Più di tutto, mi sento inutile perché non c’è niente che possa realmente fare per aiutarti.
Ma è la vita.
Ricordi?
Me lo avevi detto proprio tu. A volte la vita è ingiusta, a volte la vita ti riduce a pezzi solamente perché vuole metterti alla prova. O forse perché, semplicemente, è stronza e bastarda. Non lo merito, tu dici. Ma nemmeno tu lo meriti, per quanto so che tu abbia già trovato mille ragioni per cui doveva capitare proprio a te.
Vuoi andartene?
Vuoi mollare tutto perché non ne hai più la forza?
Va bene. Ne hai tutti i diritti. Ma ci porti con te.
Un’avventura.
Sai da quanto tempo desidero fare una cosa del genere? Se mi lasci anche solo mezz’ora, ti preparo un perfetto itinerario e ci dileguiamo da tutti e da tutto.”
Un respiro, veloce e saturo di lacrime, fu l’unica risposta che arrivò dall’altra parte del telefono. Durante quella conversazione, seppur sembrava più una confessione, Nick si era ritrovato ormai seduto per terra, il braccio libero appoggiato sulle ginocchia.
“Pensavi che ti avrei convinto a ritornare a combattere? Pensavi che ti avrei detto quanto non potevi arrenderti proprio ora e che tutto il mondo è sulle tue spalle? Vorrei. Vorrei dirti di non arrenderti, vorrei dirti che sentire la tua voce è l’unica cosa che vorrei ma... sono stato con te ogni giorno. Ti ho visto sopportare e sopportare senza mai lamentarti e so, so, quanto possa essere stancante continuare a portare sul viso la maschera di ottimismo quando hai smesso di credere. Manda tutto a quel paese. Urla, arrabbiati e lasciati cadere finalmente per terra. Non sei solo. Io e Baylee saremo sempre lì pronti ad aiutarti. Non a rimetterti in piedi, non potremo mai essere così forti in qualcosa che solamente tu puoi e sei in grado di fare. E lo farai. Ma hai bisogno di una pausa. E non ti farò mai una colpa per questo.”
Non sapeva più che cosa dire, Nick. Non aveva più parole da cui attingere, lui che non era mai stato bravo a fare discorsi incoraggianti o prediche. Aveva paura di ripetersi, aveva paura di pronunciare le stesse parole fino a quando Brian le avesse comprese o, molto più probabilmente, urlato fino a quando lui non sarebbe stato finalmente zitto.
Ma ora era Brian a restare in silenzio.
Non era un perfetto silenzio perché il suo respiro affannato era una pausa fra quell’assenza di conversazione. Così Nick cercò di affilare l’udito, in modo da carpire qualsiasi indizio su dove Brian si trovasse: sembrava un luogo pubblico, probabilmente un bar considerato che qualcuno aveva appena urlato qualcosa riguardo a un ordine per un caffè.
Un bar. A New York. Era come sperare di trovare un ago in un pagliaio.
Poi un sussulto.
“Central Park. – Pronunciò una voce così flebile che Nick quasi fece fatica a ricondurla a quella di Brian. – Ti aspetto lì.”
Nick annuì prima di ricordarsi che Brian non poteva vederlo.
“Va bene.”
Aspettò il clic che annunciava che la conversazione era stata chiusa ma questo non arrivò. Ci fu ancora un attimo di silenzio, il brusio della gente che andava e veniva e il chiacchiericcio misto ai clacson e ai rumori delle macchine.
“Ti amo.”
Non fece aspettare nemmeno il battito di un cuore, Nick.
“Ti amo.”
Non appena la conversazione venne chiusa, Nick si alzò e ricominciò a scendere le scale. Con passo più leggero e veloce, senza nemmeno badare a qualcuno che ora lo stava richiamando e la cui voce assomigliava quasi paurosamente a quella di Kevin. Non gli importava perché l’appuntamento appena ricevuto era nettamente più importante.
Era fondamentale tanto quanto scoprire se avesse potuto continuare a respirare o meno.

 

 

 

*********

 

 

 

Lo stava aspettando.
All’interno di Central Park, affollato come solo poteva essere quel luogo quando il cielo era di un scintillante e quasi accecante azzurro chiaro. Ci si addentrava, si seguivano i turisti e i newyorkesi che usavano la loro pausa pranzo per riprendere aria e sole; si camminava sui sentieri che serpeggiavano attorno ai laghi, che di artificiale avevano solamente la loro nascita, fino a giungere su uno dei ponti che permettevano di attraversare da sponda a sponda. Quello era un po’ diventato il loro angolo, un piccolo posticino dove potersi mescolare a così tanta gente comune da passare quasi inosservati, sconosciuti in un mondo dove i loro visi, le loro fisionomie, erano conosciuti sin da quando erano stati ancora adolescenti.
Lo aveva aspettato senza farsi notare.
Nascosto.
Anche se, in realtà, non gli sarebbe nemmeno servito. Lui era così differente da Nick, il più delle volte riusciva a passare inosservato senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Nick era differente, Nick era il tipo di ragazzo su cui era impossibile non far cadere lo sguardo, anche quando era vestito con una semplice maglietta e un paio di jeans.
L’aveva sempre visto come un’arma a doppio taglio. Da una parte, per molti anni, Brian si era sempre sentito con i nervi sempre scoperti, all’erta per ogni segno che tutto quello si rivelasse essere un sogno troppo bello per poter esser reale. Come poteva un ragazzo come Nick voler qualcuno come lui, qualcuno con un matrimonio fallito alle spalle e un figlio a cui dedicare e combattere per avere attenzioni?
Ed era ancora così, in un certo senso. Solamente che ora doveva aggiungere un’altra ragione per cui Nick sarebbe stato più che giustificato e spinto a cercare qualcuno di migliore da avere al suo fianco.
Come poteva ancora Nick volerlo se tutto quello che facevano era discutere della sua voce e trascorrere appuntamenti e ore fra ospedali e studi medici?
Eppure, continuava a rimanere. Eppure, Nick continuava a voler combattere per stare insieme, a combattere e lottare anche quando lui, Brian, aveva perso ogni energia e forza. E, anche se ormai aveva ormai perso la speranza di uscire da quel vicolo buio in cui era incappato, ecco che Brian si ritrovava a riprendere in mano la propria fede ferita solamente per quelle parole che Nick gli aveva pronunciato. Scappare, ora, non sembrava più una decisione così immediata e vitale. O, almeno, non lo era farla da solo. Non ci sarebbe mai riuscito, dopo pochi giorni sarebbe tornato in ginocchio e distrutto dalla mancanza e dall’assenza dei due più importanti pilastri della sua vita.
Loro, Nick e Baylee, non lo avrebbero abbandonato al suo destino. Qualsiasi sarebbe stata la sua decisione, loro lo avrebbero seguito. Non lo avrebbero giudicato di fronte alle sue debolezze, non lo avrebbero considerato debole e fragile se solo avesse ammesso di non farcela più. Se solo avesse deciso di rinunciare a ogni nuova tortura, a ogni nuova visita o esame. Se solo avesse deciso di prendere l’ultimo applauso e ritirarsi lontano dai riflettori e dall’attenzione del pubblico.
Il problema era che, per la prima volta nella sua vita, Brian non sapeva quale fosse la scelta giusta. Si era sempre lasciato guidare dalla sua fede, confidando che ci fosse un piano ben preciso scritto per lui e che, se solo si fosse lasciato prendere da quel vento, ogni cosa sarebbe andata alla perfezione. Era vacillata quella fede, essa non era mai stata un qualcosa d’inscritto in una roccia perché la vita, la realtà, non ti permetteva di sederti su una panchina e solamente lasciarsi guidare dalla corrente. C’erano stati ostacoli, c’erano state turbolenze e tormente che avevano rosicchiato un po’ di quella di confidenza e sicurezza ma, in un modo o nell’altro, Brian era sempre stato riuscito a trovare la direzione e seguirla senza rimpianti o rimorsi.
Ora?
Ora era come trovarsi in mezzo ad una tempesta di neve, una fitta coltre di nebbia che impediva di poter vedere anche solo a pochi centimetri di fronte a lui e con un vento così gelido da riuscire a immobilizzarlo in quella posizione, impedendogli di anche solo fare un altro passo. Né avanti, né indietro. Non sapeva che cosa dovesse fare, non sapeva per quale motivo si era ritrovato in mezzo a quel maltempo né quale fosse la lezione che avrebbe dovuto imparare da tutto. Forse era stato troppo presuntuoso? Forse aveva dato per scontato che sarebbe stato sempre al centro di un palco, con fans deliranti che potevano odiarlo per quello che era ma che si ritrovavano senza parole nel momento in cui iniziava a cantare? Forse si era adagiato nel credere di aver finalmente trovato la felicità e la serenità? Non aveva mai preteso nient’altro di ciò che già possedeva, come poteva essere il contrario del resto? Aveva una famiglia, aveva l’amore e un figlio che adorava; un lavoro che molto spesso era più simile a una benedizione e a un sogno. Forse era quello il prezzo da pagare per avere tutto?
Scappare... scappare gli era sembrata la sua punizione. Il giusto prezzo da pagare per riprendersi la sua voce doveva essere staccarsi da quelle benedizioni che aveva dato per scontato, da quelle felicità che lo avevano maledetto.
Ma nemmeno quella sembrava essere la decisione giusta. Restare? Restare sembrava quasi anche peggio, costretto a starsene in un angolo e a sentirsi, ancora, come quando era bambino e chiunque lo trattava come se fosse sul punto di rompersi in mille pezzi se solo avesse partecipato ai giochi o alle attività con gli altri bambini. Aveva lottato così tanto per togliersi quell’etichetta dalla sua identità, aveva lottato per essere considerato come una roccia che non sarebbe mai crollata, qualcuno su cui contare in ogni momento di tempesta. E ora? Ora era come se gli anni passati non significassero più niente, ora era come se lui si fosse trasformato in una variabile difettosa, qualcuno da mettere in un angolo senza nemmeno una spiegazione.
Qual era la decisione giusta da prendere?
Continuare a rimanere lì, nascosto ad osservare il suo fidanzato aspettarlo impazientemente, o farsi avanti e lasciarsi, per una volta, prendere per mano mentre decideva? E accettare ciò. Accettare di non essere più la persona che era sempre stata, accettare che per una volta era lui ad aver bisogno di guida, conforto e infinito supporto. Accettare che anche quello era amore, forse la sua forma più pura e reale. Non solo i bei momenti, non solo quegli attimi in cui tutto sembrava colorato con le più accese e gioiose tinte. L’amore era soprattutto quello, rimanere fianco a fianco quando non si aveva più niente da dare e quando sembrava così difficile farsi amare. L’amore era la pazienza nell’aspettare, in mezzo ad un parco, con la paura di essere dimenticato e abbandonato senza nemmeno una spiegazione; l’amore era ricevere il più lungo messaggio del mondo, pieno di lagne e lamenti, e riuscire a trovare le parole giuste per fargli capire che aveva tutti i diritti di quel mondo a lamentarsi, invece di considerarsi come la persona più colpevole solamente perché non voleva accettare quella situazione.
Ma non importava se fosse fuggito o rimasto. Non importava niente se non che avrebbe sempre avuto qualcuno in cui nascondersi quando il mondo sembrava crollare attorno a lui.
E quella era la decisione più semplice, facile e istintiva da compiere.
In poco tempo, una manciata di secondi, Brian uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò verso la figura che stava con i gomiti appoggiati sulla ringhiera del ponte. Non lo aveva ancora visto, perso com’era a osservare le acque del lago rimirarsi come pavoni fra i riflessi dorati del sole. Ma, forse, percepì la sua presenza. Forse, percepì il cambio nei profumi, in quell’aggiunta di colonia fra gli odori di estate e della natura. Forse, semplicemente, erano così in sintonia l’uno con l’altro da aver quasi un sensore che annunciava loro quando l’altro era vicino.
Nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, Brian si ritrovò senza più dubbi. Esserne stato vittima era stato facile quando non aveva la presenza fisica di Nick al suo fianco, quell’amore che riusciva ad avvolgerlo nonostante ancora si trovassero a metri di distanza. Era stato facile, quella mattina, farsi prendere ostaggio dai dubbi e dalle ansie, era stato facile credere che scomparire sarebbe stata la decisione migliore per tutti.
Quanto si era sbagliato!
Scomparire non avrebbe aiutato nessuno. Scomparire avrebbe ferito suo figlio ed era già quella la cosa che si era promesso e ripromesso di non commettere mai.
Non ci fu bisogno di parole.
Non ci fu bisogno di guardarsi prima attorno per controllare se qualcuno li stesse osservando. Il mondo, attorno a loro, era letteralmente scomparso nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati, annullando qualsiasi cosa che non fosse e che non appartenesse al loro di mondo. E, in quegli occhi azzurri che lo stavano osservando così intensamente da poterne quasi sentire il loro peso, Brian trovò nient’altro che amore.
Infinito e immenso amore.
Nick poteva essere molte cose, sapeva essere egoista e il più del volte così immerso in se stesso da non rendersi nemmeno conto della vita che lo sfiorava nella sua corsa. Ma quando amava, quando amava senza limiti e senza paure, non c’era nessun ostacolo o nessun pensiero che potesse mettersi fra lui e quella persona così fortunata da ricevere le sue attenzioni.
Come in quel momento.
Per salvarlo, per gettargli un’ancora e riportarlo sulla riva, Nick aveva abbandonato tutto e tutti e sarebbe stato disposto a scappare insieme, a lasciare una scena per cui finalmente si sentiva pronto per sfondare e brillare come la sua più bella stella.
Si avvicinò. Brian annullò quegli ultimi metri, con il cuore che aumentava sempre più la velocità con cui batteva contro lo sterno, come se una forza volesse abbattere quei fragili filamenti di controllo e lasciare esplodere tutto quello che si trovava al suo interno. Tremava, per quello sforzo. Tremava, sotto la spinta di singhiozzi che stavano incominciando a mettersi in fila, scalpitanti nello scoprire di avere finalmente la possibilità e opportunità di lasciare andare la propria voce e poter assaggiare un respiro, l’unico possibile, di libertà.
In quel momento, non c’erano bisogno di parole. Non c’era bisogno di fare domande, non c’era bisogno di rassicurare e ripetere che tutto sarebbe andato per il verso giusto, soprattutto quando nessuno di loro aveva a disposizione una palla di vetro in cui poter predire il futuro. Brian non aveva bisogno di parole, non aveva bisogno di frasi o di lunghi discorsi che, in quel momento, si sarebbero persi fra le ondate di emozioni e sentimenti che si davano tormento dentro di lui.
Tutto ciò di cui aveva bisogno, Brian lo aveva già ricevuto in quella precedente telefonata.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era l’ancora che lo avrebbe tenuto in piedi mentre lasciava libere le redini di quell’angoscia che, come un cancro, aveva e stava ancora avvelenando la sua anima e la sua vita.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era appoggiare la fronte in quell’incavo fra collo e spalla, quello spazio così perfetto da sembrare quasi esser stato creato apposta affinché lui potesse nascondere il suo viso e impedire al mondo di esser testimone del suo crollo.
Le lacrime incominciarono a scivolare via, gocce d’acqua ognuna colma della stessa egual misura di frustrazione, angoscia, paura. Soprattutto quell’ultima. Nella camicia di Nick, in quel tessuto che stava diventando sempre più bagnato, Brian riversò quelle bolle di paura che lo avevano tenuto prigioniero, quel ma e quel se così troppo grandi ed enormi per poter essere buttati sotto il letto e ricoperti di polvere. Lasciò uscire ogni singhiozzo che parlava di visite e visite che ora sembravano solo un noioso tormento di frasi ripetute senza nemmeno un incipit di pietà e commiserazione; lasciò ogni insicurezza nelle mani di Nick, in quelle dita che avevano e continuavano a disegnare linee e cerchi sulla sua schiena in cerca di un conforto, offrendo una sicurezza e una rassicurazione che mormorava semplicemente “sono qui, lascia che sia io a prendermi cura di te.
E, per la prima volta da quando quell’incubo aveva bussato ed era entrato nella sua vita, Brian accettò quella proposta.

 

 

 

 

 

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“Settimana prossima? Non ci sono problemi. Grazie mille.”
Brian riappoggiò il telefonino sul comodino lì affianco, senza mai però staccare lo sguardo dalla finestra. Il tramonto stava lentamente terminando il suo spettacolo, lasciando in eredità un’aura arancione che cercava di farsi strada fra gli alti grattacieli e i grandi cartelloni pubblicitari. Uno spicchio di luna aspettava, in un angolo, il suo momento per incominciare a brillare e alcune stelle apparivano qua e là come punti luminosi, piccole guide che un tempo avevano orientato viaggiatori e che li avevano condotti sani e salvi verso la loro destinazione.
Era stupido e sciocco pensare che anche lui potesse trovare una risposta in quel cielo?
Il crollo di quella mattina era servito, lo aveva svuotato fino a quando non vi era rimasto nessuno di quegli artigli che per giorni e giorni lo avevano tenuto sotto scacco e gli avevano impedito di riflettere lucidamente sulla sua situazione. Si era lasciato trascinare dai dubbi, si era lasciato offuscare dalla paura di diventare un peso, di diventare uno svantaggio e una fragilità che aveva cercato, in tutti i modi, di allontanarsi dalle uniche persone che avrebbero, invece, potuto aiutarlo.
Era vero, era dannatamente stanco. C’erano mille ragioni per quel sentimento, c’erano mille punti che potevano essere elencati ma, tutti, potevano essere ricondotti a quello più importante: era stanco di lottare. Era quello che lo aveva tenuto prigioniero, era quel pensiero che lo aveva quasi costretto ad abbandonare tutto e scappare come il peggiore dei criminali. Anche se, in realtà, non era la lotta ciò di cui sembrava aver esaurito ogni forza e energia. Era la delusione, era il continuo superare un ostacolo per poi trovarsene un altro di fronte, ancora più alto e imponente, che aveva finito per seccare ogni sua voglia e desiderio di fronte all’ennesimo palo da distruggere.
Ma scappare non era mai stato nei suoi geni. Si impauriva, quello sì. Si illudeva e faceva finta di non avere nessun problema fino a quando rimaneva quasi impossibile non notare che qualcosa non andava né in lui né nella sua voce o corpo. Ma messo alle strette, messo di fronte alla questione e con nient’altra opzione che arrendersi, Brian si era sempre rimboccato le maniche e, buttandosi alle spalle le paure, aveva affrontato ogni battaglia con la pazienza stoica di chi ha già camminato su quelle strade.
Sapeva che era stata la sua proposta, quell’idea gettata nel nulla senza solide redini, a spaventare Nick. Per mesi, di fronte al suo compagno, Brian aveva sempre mostrato la maschera di chi non si lasciava toccare da niente: aveva stretto i denti a ogni visita, aveva lasciato le lacrime per quei momenti in cui nessuno era in casa e, alle domande colme di preoccupazione, aveva sempre offerto un sorriso. Debole, ma pur sempre un segno che andava tutto bene, almeno apparentemente. Non si era mai lamentato dei mille effetti collaterali delle medicine, innumerevoli, che era stato costretto a prendere e aveva odiato quei giorni in cui aveva dovuto dipendere da Nick per qualsiasi e più piccola esigenza.
E doverne subire una seconda...
Nick, quel giorno, lo aveva sorpreso. Aveva riassicurato e rinsaldato il suo amore verso di lui, aveva promesso e ripromesso che nessun ostacolo sarebbe stato in grado di farlo fuggire via. E quella confessione, quell’ammissione di voler e di essere in grado di prendersi cura di lui, aveva aperto qualcosa in Brian che ora era impossibile chiudere o far finta di non aver visto. Era la parte della sua anima che aveva sempre anelato e desiderato di potersi spogliare di quell’armatura e lasciare che fossero gli altri, che fosse la persona con cui aveva deciso di condividere la propria vita, a prendersi cura di lui quando le energie richiedevano di essere ricaricate. E, anche se l’aveva trovata in Nick, riuscire a lasciare libere le ali sembrava ed era sempre sembrato un passo troppo difficile e pesante da compiere.
Forse era quella una delle ragioni di tutte quelle difficoltà a cui stava venendo messo sotto esame.
Immerso nei suoi pensieri, Brian non si accorse del momento in cui la porta della camera si aprì e si richiuse, lasciando entrare la figura di Nick. Se ne accorse quando si ritrovò le braccia del ragazzo avvolte attorno alle spalle, il suo profumo che lo circondava come un’invisibile e impercettibile protezione e uno scrocchio di labbra appoggiarsi sul lato del collo. Brian socchiuse gli occhi, la mano che risalendo andò ad appoggiarsi sull’intreccio di dita poggiate sul suo petto, e per qualche secondo assaporò quel momento di dolcezza. Forse i baci e gesti d’affezione non erano davvero in grado di scacciare via il dolore, fendere i fumi di dubbi e quella sensazione di essersi lasciato andare ben oltre la deriva, ma li attutivano e li affievolivano, regalando una distrazione su cui potersi focalizzare invece che continuare a concentrarsi su ciò che stava andando sempre più male.
E Brian aveva anche pensato di potercela fare da solo. E Brian aveva anche pensato di poter resistere, lontano da quel goccio di sanità che riequilibrava tutto.
Alzò il viso, dopo qualche attimo di silenzio. Alzò il viso e appoggiò le labbra sulla linea della mascella di Nick, quasi costringendo il compagno ad abbassarsi per poter permettere alle proprie bocche di incontrarsi e salutarsi.
“C’è qualcosa di differente. – Mormorò Nick, gli occhi puntati sul volto del compagno con sguardo scrutatore. Era migliorato, era diventato più bravo a studiare quei lineamenti, quelle sfumature, e apprendere tutto ciò che Brian non lasciava mai sfuggire via dalle redini del suo impenetrabile controllo. E ora, in quel viso che ancora portava i segni delle lacrime, c’era una luce che Nick non aveva visto da molto, parecchio e fin troppo tempo. – Sembri più sereno.”
Brian fece un sospiro, strofinando la punta del naso contro quella di Nick.
“Lo sono.”
Nick si staccò, aggirando poi il divanetto per potersi sedersi accanto al compagno.
“Che cosa è cambiato? – Gli domandò. Quando lo aveva lasciato, spinto da Brian stesso a tornare all’incontro, sul suo volto c’era stata ancora quell’ombra di tormento che aveva dato inizio a tutto. – Non vedo le nostre valigie in giro, quindi deduco che la fuga sia stata bocciata...”
Brian allungò la mano, appoggiando il dorso sopra quella di Nick e lasciando che le loro dita si cercassero e trovassero in un intreccio perfetto.
“Se non ti avessi mandato quel messaggio...”
“Era più un papiro che un messaggio.” Obiettò scherzando Nick.
“... se non te lo avessi mandato, probabilmente l’avrei fatto. E avrei commesso un errore. Non solo allontanandomi da te e da Baylee come se fossi un criminale, come se vi stessi distruggendo la vita. L’errore lo avrei commesso andandomene, l’errore sarebbe stato pensare che fuggire via e rimanere da solo fosse la soluzione ad ogni mio problema. Non lo è.”
“Bri, se hai bisogno di staccare, sono io il primo a prenotare un biglietto aereo e portarti via.”
“Lo so. E non credere che ti lascerò dimenticare questa proposta.” Rispose Brian, lasciandosi sfuggire una stanca risata.
“Dimmi solo il posto.” Fu la risposta di Nick, allungandosi quel tanto che bastava per lasciare un veloce bacio sulla fronte di Brian.
“Anche se ce ne andassimo... – Brian scrollò la testa. – I miei problemi ci seguirebbero. Non è più solo un problema che danneggia la mia carriera ma anche la mia vita. Se non me ne prendo cura, se non cerco e trovo il modo per risolverlo, chi può dire quanto potrà peggiorare? Non posso permetterlo. Non posso perdere la possibilità di parlare con te o di comunicare e essere un padre con Baylee.”
“Era questa la tua paura?”
“Una delle tante. Ma mi bloccava. E quando stamattina il dottore mi ha detto che avevo bisogno di una nuova operazione, quelle sono diventate un demone troppo grande per combattere. Ho lasciato che diventasse l’unica voce che potevo ascoltare e non dava di certo utili consigli. Per tanto tempo mi sono lasciato portare alla deriva, domandandomi e torturandomi sul perché fosse davvero successo a me tutto questo. Non sapere la risposta, non riuscire a trovare un senso logico in tutto questo mi ha destabilizzato, mi ha allontanato anche dalla mia fede. Odiavo la persona che stavo diventando e quindi mi sono rinchiuso ancor più in me stesso perché non volevo che tu vedessi i miei difetti. Le mie crepe. Per te, per Baylee, dovevo continuare a essere il protettore instancabile e indistruttibile.”
“Bri, lo sarai sempre. Sei il nostro supereroe, anche se a volte necessiti e hai bisogno di riprendere fiato o forze. Noi siamo i tuoi aiutanti, lo sai?”
“Ora lo so. O, meglio, l’ho capito. Ho capito che non posso arrendermi. Non è nella mia indole, anche se a volte sembra essere una chimera troppo allettante per non esserne attratta. Se mollassi ora, che cosa insegnerei a Baylee? E forse era questo che dovevo imparare da tutta questa storia: imparare che non sempre la vita ti lascia in pace solamente perché hai già sofferto in passato; imparare che, quando trovi la giusta persona da avere al tuo fianco, va bene ammettere che sei fragile e lasciare che sia quella persona a prendersi cura di te. Non sminuisce la mia forza, non sminuisce che, finché ci sarà una possibile diagnosi e cura, continuerò a lottare perché cantare è la mia vita. Forse era anche questo che il grande capo lassù voleva che imparassi: avevo dato per scontato il cantare, forse mi ero abituato a vederlo come qualcosa di superficiale perché tanto le nostre fans avrebbero e continuerebbero ad amarci anche se non al cento per cento. Ora, ora che lo sto perdendo, mi rendo conto di quanto abbia sempre dato per scontato questo regalo. E anche se magari non potrò più tornare a essere quello di prima, chi lo sa, magari ci sarà un altro modo o un’altra via per continuare a usarlo e a ispirare le persone. Non posso arrendermi.”
Per un momento, Nick non poté far altro che rimanere a osservare il compagno con un’espressione totalmente di sorpresa e di ammirazione. Come poteva non farlo quando, per l’ennesima volta, Brian aveva tirato fuori una forza che nessuno sembrava mai eguagliare? Solo quella mattina era stato pronto a lasciare tutto e tutti, era stato capace di rinchiudersi così tanto in se stesso da credere di essere un peso per chiunque lo amasse e gli volesse bene. E ora, anche se con gli occhi gonfi e rossi dalle lacrime e la carnagione di chi sembrava avesse bisogno di rintanarsi e andare in letargo per mesi, era riuscito a trovare un modo per rischiarare quelle nuvole e riportare, da solo, il sereno nella sua vita.
In quel momento, e forse ancor di più proprio per quel motivo, Nick si ritrovò con il cuore pronto a scoppiare per l’amore che provava per quel ragazzo.
Non c’erano parole.
Come quella mattina al parco, non c’erano bisogno di parole per rimarcare ciò che i loro corpi avevano già sussurrato. E ogni parola, ogni frase, sarebbe apparsa vuota e troppo piccola e inutile per riuscire a esprimere quella luce di orgoglio per la persona per cui il suo cuore batteva.
Così Nick annullò semplicemente la distanza fra i loro due volti, la mano andò a poggiarsi sulla guancia mentre le labbra andavano a trovare le sue anime gemelle. Fu, all’inizio, un bacio semplicemente arso di dolcezza, tocchi che volevano solamente ammainarsi su quelle labbra e dichiarare quei sentimenti che erano nati dalle parole di Brian. Le labbra di Brian sapevano ancora di lacrime, un tocco salato che Nick cercò di cancellare e di asciugare perché non doveva esistere, non doveva esserci su quella bocca che aveva sempre saputo di gioia, felicità e amore. La dolcezza scivolò in una cascata che sapeva di passione, in un fiume che stava ribollendo al pensiero di ciò che Nick era stato sul punto di perdere perché aveva bisogno di Brian, aveva bisogno della sua presenza e di quel contatto di cui ormai non riusciva più a farne a meno. Aveva bisogno, Nick, che Brian avesse bisogno di lui e l’idea, paventata in quell’attimo di disperazione, di poter essere abbandonato senza un secondo pensiero lo aveva spaventato e impaurito più di quanto se ne fosse reso conto. Le mani scivolarono lungo i fianchi, aggrappandosi al materiale della maglietta come se da essa potesse dipendere la sua sanità; spinse Brian contro di lui, spinse fino a quando i due corpi furono così vicini da potersi sfiorare e toccare senza bisogno di volontà o intento. Perché essi ormai si conoscevano, essi ormai sapevano riconoscere immediatamente ciò che l’altro desiderava o stesse chiedendo. Quella mattina, era stato Brian a chiedere e ricevere conforto. Ora, era invece Nick a richiedere una rassicurazione su di loro, una rassicurazione su come non si sarebbero mai divisi nonostante i problemi o la voglia di fuggire.
Insieme.
Brian glielo aveva promesso. Nick glielo aveva promesso. Insieme, lo avevano promesso a Baylee.
“Nick... ehi... – Brian strofinò la guancia contro quella di Nick, prima di lasciare alle sue labbra il compito di continuare con le carezze. – Sono qui.”
“Lo so. – Rispose Nick. Annuì con un cenno del capo, ricambiando la carezza e strofinando la punta del naso contro quello di Brian. – Lo so. Ma per molto tempo, non lo sei stato. E non sapevo come raggiungerti.”
Brian inspirò, lasciando uscire un altro respiro ancora carico di rimasugli ed echi di lacrime. Le parole di Nick implicavano ben oltre ciò che esse semplicemente significavano: era un’accusa, una spinta a rimpiangere come Brian si era comportato, richiudendosi fino a non lasciare nemmeno il più piccolo spiraglio per poter allungare una mano e farsi aiutare. E, in quelle parole, Nick gli stava chiedendo una promessa, gli stava chiedendo di non ritornare più in quello stato e di permettergli, finalmente, di poterlo aiutare come un partner, un compagno, avrebbe dovuto fare.
“Lo so. – Rispose Brian, appoggiando la fronte contro quella di Nick. – Sai che non sono abituato a dimostrare e lasciare apparire le mie debolezze. Ho lottato così tanto per dimostrare a me stesso che potevo essere forte e normale come tutti gli altri. Ma ammettere a te che non sono al cento percento, ammettere a te che non ero più la roccia che poteva sopportare tutto. Ma tu sei l’altra metà della mia anima, se non posso aprirmi con te con chi altri potrei farlo?”
“So che in passato non sono stato la persona più affidabile...”
“Il passato non importa, Nick. Ora sei qui. E’ tutto ciò che mi serve.”
Senza aggiungere nient’altro, Brian appoggiò la testa sulla spalla di Nick mentre le braccia di quest’ultimo lo strinsero nel più forte e confortante abbraccio che fosse mai stato possibile concepire. In quell’intreccio di braccia e gambe, i due si lasciarono cadere sul divano, sdraiandosi anche se l'essere confortabili in quella posizione era l’ultimo dei loro pensieri. Rimasero abbracciati per chissà quanto tempo, consapevoli solamente del battito dei propri cuori e quel respiro che li univa in un’unica melodia.
“Settimana prossima ho un secondo consulto. – Fu Brian a interrompere il silenzio, il viso nascosto nel petto del compagno. – E se anche questo non dovrebbe andare bene, troverò un altro dottore, un altro ospedale o specialista.”
Nick appoggiò le labbra sui capelli di Brian, lasciando un bacio.
“Non importa quanto dovremo girare. Anche in capo al mondo, se servisse.”
Brian non rispose immediatamente. Cercò, invece, una posizione più comoda, per quanto possibile e si ritrovò a circondare con il braccio la vita di Nick mentre la testa si andava e cercava il punto in cui avrebbe potuto ascoltare il battito, lento e regolare, del compagno.
“Raccontami dell’incontro.” Disse solamente, chiudendo gli occhi e lasciando che la stanchezza di tutta quella giornata prendesse finalmente il sopravvento.
Nick si ritrovò a sorridere prima ancora di poter incominciare il suo racconto, riconoscendo il motivo dietro quella richiesta.
“Avresti dovuto esserci... – Incominciò a raccontare, in un sussurro forte solo per far uscire le parole comprensibili ma basso abbastanza da diventare quasi una ninna nanna. - ...c’è stato un momento in cui le sopracciglia di Kevin erano così aggrottate da sembrare le onde del mare durante una tempesta! Per non parlare del fumo che sembrava uscire dalle sue orecchie. Scommetto che, se tu ci fossi stato, non saresti riuscito a contenere la rabbia di fronte a tali stupidaggini che ci hanno proposto. Per chi ci hanno preso? Dei dilettanti, come se non avessimo quasi vent’anni di esperienza alle spalle?”
Dal ragazzo fra le sue braccia non arrivò nessuna risposta, se un borbottio sonnolento che risultò quasi del tutto incomprensibile. Nick sorrise e continuò a raccontare i dettagli di quella giornata, senza nemmeno fermarsi un secondo considerato che l’unico suo ascoltatore si era già ormai addormentato. Continuò a rimanere in quella posizione, con le gambe che si stavano addormentato in quella stana posizione e con la schiena che già reclamava un cambio con fitte acute di dolore. Ma non fece nulla, Nick. Non spostò nemmeno un muscolo, se non incominciare ad accarezzare la schiena di Brian con l’unica mano che gli era rimasta libera. E quando i dettagli dell’incontro andarono a esaurirsi, Nick incominciò a dipingere con le parole tutti i sogni che aveva e che avrebbe sempre avuto per loro due, immagini in cui la loro famiglia veleggiava con la spinta di un caldo vento verso chissà quali avventure.
“Ce la farai, Bri. – Disse Nick, sfiorando ancora una volta la fronte di Brian. – Ce la farai anche questa volta.”
  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questa storia risale a qualche anno fa, quando ancora non si sapeva bene quale fosse il problema di Brian. Settimana scorsa, ho fatto pulizia nella mia cartella delle storie, e ho trovato questa storia che aspettava solo di essere terminata. =) 

 

 

 

   
 
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