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Autore: LianaGrindcore    27/10/2014    1 recensioni
Una semplice sedicenne con problemi in famiglia e a scuola. Penserà di essere un alieno arrivato da un altro pianeta. Una voce sentirà nella sua testa: pazzia o semplice realtà?
Genere: Avventura, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Video trailer: https://www.youtube.com/watch?v=V6IibU75DaY&feature=youtu.be



Prologo

 










Essere diversi non significa esser cattivi;
essere diversi significa essere sé stessi,
essere sé stessi significa avere coraggio,
aver coraggio significa che la paura non ti fermerà.
LianaGrindcore







Mi sento perso in me stesso, c'è un Alieno in me.
Nessuno è perfetto.

Ogni persona ha un difetto che cerca di nascondere costantemente, un qualcosa che le provoca odio profondo verso sé stessa e che la fa sentire insicura. L’insicurezza di non essere abbastanza per niente e per nessuno, perché è così che le fanno sentire.
Alcune persone sono più insicure di altre perché quel difetto li fa crollare. 
Quell'insicurezza che la porta ad aver paura; paura di tutto ciò che la circonda. La paura di essere sbagliata, di esser nata in un corpo che non sente nemmeno suo. La paura di valere meno degli altri.

Insicurezze.

Alcune persone sono così insicure, nella vita di tutti i giorni che nemmeno se ne rendono contro. Questo fenomeno accade molto negli adolescenti e in un luogo ben preciso: la scuola.

La scuola può essere uno dei posti peggiori per un adolescente che pensa di non essere nessuno. 
Se hai un problema non è vero che i tuoi compagni saranno lì per te, perché appena questo problema esce fuori tu diventi diverso. Un qualcosa che loro non conosco. 
I migliori amici diventano amici, gli amici diventano nemici, i nemici diventano cattivi ed i cattivi ti tormenteranno in eterno. Tutti ti abbandoneranno per la tua “diversità”, tu non conterai più niente per loro e la tua vita sarà distrutta da questi pochi anni della tua vita. 
Può essere un piccolo problema; genitori divorziati, bambini adottati, look diverso, essere sé stessi, una tinta per capelli di un colore strano, il tuo carattere solare. Può essere qualsiasi cosa ma queste persone non ti aiuteranno mai nella vita. 
Te la renderanno più orribile di quanto già non sia.
Ed è vero che ci si dovrebbe aiutare a vicenda per sopparsare queste brutte fasi della vita, ma nessuno mai sarà lì per te, anche se tu sei stato lì per loro.
Ed ecco che la scuola diventa un tormento.

Preferisci sederti all'ultimo banco, lontano da tutti per startene lì, per i fatti tuoi, senza dar conto a nessuno perché hai paura di esser preso di mira;
Preferisci non andare all'interrogazioni o far scena muta, non perché non sei in grado di studiare ma perché hai paura di sbagliare una piccola cosa e che tutti possano ridere di te. 
Preferisci passare l’intervallo seduto in un angolo e leggere un libro perché hai paura di incontrare qualcuno che possa farti del male.
Preferisci non fare amicizia perché hai paura di essere rifiutato.
Quando suona la campanella scappi fuori per primo perché hai paura di essere picchiato.

Nessuno riesce a comprenderti, a capire il tuo atteggiamento. 
Nessuno lì pronto ad entrare nella tua testa e sentire i tuoi pensieri, preoccupazioni e dolori.
Nessuno disposto ad aiutarti.

Paure.


Ed ecco che la scuola diventa un incubo.
Quando senti la sveglia suonare non vuoi alzarti e a volte fingi anche di star male. Quella paura di metter piede in quella scuola e sentire tutti quegli sguardi su di te, sentirli parlare di te, sentirli ridere di te.

Siamo così diversi da loro.

Hai mai camminato in mezzo alla gente e capito che stavano parlando proprio di te? 

Quando torni a casa poi vuoi trovare un po di conforto, ciò che la tua famiglia non ti da. Quando cresci in una famiglia distrutta dal principio allora sei già perso quando nasci.
Bambini messi al mondo per il gusto di farlo, genitori che non sanno nemmeno cosa vuol dire esserlo. Bambini abbandonati a loro stessi che crescono soli e soli si ritroveranno sempre.

Non importa ciò che fai per essere migliore perché mai nessuno crederà che tu lo sia. Gli Altri sono sempre pronti a giudicare ogni tua azione e criticare ogni tuoi pensiero.
Non puoi fare un solo passo senza che i loro sguardi siano puntati su di te, ed appena cadrai saranno pronti a puntare il dito per incolparti di una cosa di cui nemmeno conoscevi l’esistenza.

Non sei libero di essere te stesso, perché la società vuole rovinarti. (E ricorda che la società sono le persone che ti circondano).
E non importa se tu sei davvero motivato a realizzare il tuo sogno, loro saranno sempre pronti a strapparti le ali. Perché tagliarle sarebbe troppo facile, mentre strappandole potranno vedere il sangue che accarezza delicatamente la tua schiena e vedranno il tuo viso contorto in una smorfia di dolore.

In questo mondo non c’è spazio per i sogni.
Siamo tutti programmati ad essere uguali e fare le stesse identiche cose ogni giorno. Se fai un qualcosa che loro non hanno mai fatto allora diranno che è una cosa contro-natura. 

E in questo mondo non c’è spazio per le persone come noi.

 
Adie.








 
La vita non è facile se anche i tuoi genitori vogliono strapparti le ali.
Sì, non intendo tagliarle, ma strapparle. Strapparle via senza alcun sentimento, lasciandoti una ferita che sanguina e quel sangue non smetterà mai di accarezzare la tua schiena.

Sto pensando a ciò che ho scritto ieri sul quaderno che ci ha affidato il Prof. Carullo, insegnante di italiano. Un mese fa ha distribuito dei quadernini con l’intenzione di affidarci un compito per casa, non un compito normale ma uno di quelli che dura finché il quaderno non è finito. 
Io ho iniziato a scrivere solo ieri.
Devo dire che all’inizio non ero d’accordo con questa messa in scena creata solo per rendere ridicoli gli alunni davanti a tutta la classe, ma poi ho riflettuto. Il professore ci ha chiesto di scrivere tutto ciò che sentiamo, tutto quello che ci passa per la testa tra pensieri, sentimenti e cose del genere. Io ho deciso di scrivere una specie di diario. 
Non ho mai avuto un diario in vita mia, ma arriva sempre la prima volta, no? 

Comunque i miei genitori non sono mai stati d’accordo su ciò che penso io e su ciò che voglio fare, sinceramente non mi è mai importato veramente. 
A volte penso: sarebbe davvero bello avere la loro approvazione. Cosa che purtroppo non ho mai avuto e così, col tempo, ho imparato a fregarmene. La vita è così, quando credi di non essere abbastanza forte poi ti ritrovi ancora viva, quindi guardo avanti, sorpasso i loro pensieri perché tutto ciò che voglio è avverare i sogni.
Non i loro. I miei.

Mi guardo allo specchio togliendo la sbavatura sotto l’occhio e, con la mano destra, sistemo lo zaino sulla mia spalla.
Dannato trucco, trova sempre i modi per farmi ritardare.
Mi do un’utlima occhiata allo specchio mentre chiudo la cerniera della felpa.
-Muoviti o a scuola ci vai a piedi!- esclama mia madre passandomi davanti. Prende velocemente le chiavi sul mobile e apre la porta.
Sbuffo. Buongiorno Adie.
-E non sbuffare.- continua raggiungendo la macchina.
Di prima mattina può comportarsi già come una scorbutica?- penso tra me e me mentre chiudo la porta dell’enorme villa alle spalle.

Ebbene sì.
Vivo in una villa che somiglia più ad un castello.
Non mi lamento di niente se non fosse che i miei sono straricchi ed io non posso permettermi nemmeno il pranzo a scuola. Hanno sempre pensato che dovessi cavarmela da sola, come se una ragazza di 16 anni potesse trovare facilmente un lavoro ed intanto continuare gli studi per diventare una scrittrice di fama mondiale.
Okay, non esagero con questa storia perché dubito di poter diventare una scrittrice di fama mondiale ma… sul serio? I miei hanno un patrimonio da far invidia a Barack Obama e poi mando me, la loro unica figlia, in giro come una barbona.
Come se una villa a due piani, tanti giochi da piccola, un’enorme stanza potessero bastarmi. Avrei preferito di gran lunga poter dormire con loro nel lettone quando avevo paura, essere abbracciata e consolata, ed altre cazzate simili che fa ogni famiglia normale. Io non ho mai avuto un segno d’affetto da parte loro.
Eppure una cosa adesso la chiederei: mi date i soldi per un nuovo cd? No, eh?

Scuoto la testa.
Vedo mia madre salire nella sua BMW rosso fiammante e fissarmi con uno sguardo omicida. Sorrido pensando che dopo tutto quella donna, per metà diavolo, è la mia cara mamma.
Sospiro.
Apro lo sportello, buttanto dentro lo zaino e subito dopo la raggiungo mettendomi comoda sul sedile della “vecchia macchina”. 
Sto scherzando.
Tiro fuori il mio Samsung B3310 –pagato a soli 50 euro mentre mezza popolazione gira con i nuovi I-phone. Ho già detto che i miei non mi comprano più niente, vero?- sistemo le cuffie nere nelle mie orecchie e facco partire una delle loro canzoni, una delle mie preferite, una di quelle che mi fa venire i brividi, una di quelle che non mi fanno sentir sola o strana. La canzone che ascolterei senza mai fine, Zoom into me.

Ascolto le dolci e lente note mentre sento qualcosa dentro di me muoversi.
Riescono ad entrarmi fin dentro l’anima, l’accarezzano, la fanno sentire sicura e perfetta. Sento la mia anima contorcersi a quel tocco, quasi avesse paura, quasi come volesse scappar via. Poi capisco; non è paura, è tranquillità, è voglia di vivere. La sento che si stacca dal mio corpo ed inizia a ballare lentamente, seguendo il ritmo della musica.
Chiudo gli occhi, mi perdo dentro le note ed eccola, si allontana e la sento volar via.
Lontana dal mio corpo.
C’è qualcuno lì fuori che cammina da solo? Sì, è qualcuno che vuole solamente esser salvato, qualcuno che ha bisogno d’aiuto ma non sa di chi fidarsi. C’è qualcuno che continua a correre senza una meta, qualcuno che vuole andar lontano, via da lì e da quel mondo che lo rigetta.
C’è qualcuno la fuori al freddo? Sì, sente la propria anima bruciare, anima dannata che finirà all’inferno insieme ai propri sogni. Diversità non consentita. Corpo infreddolito bisognoso d’affetto, di quel calore che non ha mai sentito e di quell’affetto che sempre sognato. Brucerà la sua anima ed il suo corpo finalmente si riscalderà e brucerà con essa. Il mio corpo?
Un battito di cuore perso nella folla e nessuno che riesca a rendersene conto.
C’è qualcuno che urla quello che nessuno può sentire? Qualcuno che spreca la sua voce per urlare dalla cima della più alta delle montagne e sentire il proprio eco tornare indietro. Sei solo, nessuno riesce a sentirti se non te stesso.
C’è qualcuno che sta urlando tirato affondo dalla paura? Ti sento, non distogliere lo sguardo.
Non farlo. Continua a guardarlo, continua a guardare la sua anima attraverso i suoi occhi castani. Guardalo. Non distogliere lo sguardo.


-Adie!-
Spalanco gli occhi e tremo appena.
-Adie, è da cinque minuti che ti chiamo, vuoi scendere da questa macchina?- chiede furiosa mia madre.
La guardo confusa, quando siamo arrivati davanti a scuola? 
Non distogliere lo sguardo.
Lo faccio, lo distolgo mentre tolgo le cuffie e recupero il mio zaino borchiato. Apro lo sportello e lo sbatto senza preoccuparti di salutare, praticamente come ogni mattina. I miei occhi si posano sull’enorme edificio che mi aspetta, come ogni santo giorno ho voglia di scappare, non voglio entrare dentro quell’inferno. 
Ho voglia di andar via.
Con una gran voglia, che ovviamente non ho, riesco a salire le scale ed entrare all’Inferno senza guardare in faccia i soci del diavolo intorno a me. Tengo la testa bassa, fissando con finto interesse le mattonelle e noto, come ormai da anni, la fantasia che hanno usato su di esse. Ormai ho imparato ogni centimetro di tutte le mattonelle che si trovano dentro scuola; la fantasia fa a dir poco schifo come esattamente ogni cosa qui dentro. Sono semplicemente delle macchie bianche e nere che si cercano, si confondono, si fondono, diventano un tutt’uno.
Concentrati su di me.
Sussulto. Alzo di scatto la testa ma nessuno è accanto a me. Eppure l’ho sentita quella voce, non era dentro la mia testa, no.
Sto per riabbassare la testa ma i miei occhi incrociano quelli di un’altra persona. No, dannazione! Quando imparerò?
-Eddina.- sorride la finta bambola, forse meglio dire finta persona perché ha tutti i propositi per essere una perfetta Barbie. 
-Barbara.- sussurro. Anche il nome le calza a pennello, lo noto per la prima volta.
-Eddina, Eddina, Eddina.- continua a chiamarmi con quell’odioso nomignolo, come una brutta cantilena che cantano i bambini mentre giocano. Eddina, lo ripete altre tre volte avvicinandosi a me.
-Cosa vuoi?- chiedo con quel coraggio che non so da dov’è uscito fuori. Oggi ci sono troppe cose che non so da dove escono, dovrei far un giro dal medico, forse.
-Perché dovrei volere qualcosa da una come te?- mi scoppia a ridere in faccia, facendo svolazzare quei suoi capelli biondi.
Potrebbe strozzarsi con quei capelli, no? Farebbe una cosa buona nella sua patetica vita.
Concentrati su di me.
Sussulto di nuovo, mi concentro su di te.
-Che hai? Paura, forse?- ridacchia vedendomi indietreggiare.
Mi concentro su di te, su di te. Su di chi? Non so chi sei, non so da dove provieni, da dove proviene questa voce. Mi chiedi di concentrarmi su di te, lo farò se mi mostrerai il tuo volto, se mi farai guardare la tua anima come tu guardi la mia. Perché la vedi, lo so che la vedi –Non ho paura di te, Barbara.- sorrido, un sorso che nessuno ha mai visto sulle mie labbra.
La vedo sussultare, oh… questa volta lo fai tu.
So che sei spaventata.
No,non lo sono, giuro. Sto sorridendo, la paura è andata via, riesci a sentirlo? Riesci a sentire la mia anima in questo momento?

"Anima.
Parte vitale e spirituale di un essere vivente, comunemente ritenuta distinta dal corpo fisico." L'avevo letto da qualche parte molto tempo fa, ma può un'anima sentirne un'altra? Sentirla dentro? 
Riesco a sentire un'altra anima che si schianta con la mia, che cerca di farmi star tranquilla. L'anima di un'altra persona. 


Dentro o fuori di me? 

Quando non riuscirai a respirare io sarò lì.
Sarai lì, qui con me. Riesco a sentirti dentro o fuori, non lo capisco. E’ un qualcosa di così strano, tu sei così strano.

Il suono della campanella mi fa tornare alla realtà.
Scuoto appena la testa come per dimenticare quello a cui stavo pensando e mi rendo subito conto che Barbara non è più di fronte a me.
Non riesco a ricordare quando è andata via e, cosa molto strana, non riesco a capire perché sia andata via senza farmi una delle sue battutine.
Scrollo le spalle.
Non c’è più nessuno nei corridoi, questo mi fa capire che sono in gran ritardo per la prima lezione.
Chissà quanto tempo sono stata sulle nuvole, dovrei darmi una regolata.
Controllo se so ancora camminare e lentamente metto un piede davanti all’altro, cavolo se faccio progressi!

Non posso continuare a perdermi nei miei pensieri.
Il mondo reale va avanti anche senza di me, al mondo non importa se io sono troppo impegnata ad immaginarmi cose o situazioni che nemmeno esistono.
Va avanti. Ed io non posso perdere il ritmo, devo stare più attenta a ciò che mi circonda e a cosa succede intorno a me, non facendo così rischio di perdermi molte cose.
Devo vivere nella realtà. 

Fisso la porta della mia classe e ovviamente non capisco come ci sono arrivata.
A cosa stavo pensando pochi secondi fa? Al fatto che dovrei vivere di più nella realtà, giusto? Bhè… forse inizierò domani.
La porta chiusa mi fa capire che il Prof. Di chimica è già in classe, come se non bastassero i guai che già ho, devo subirmi anche lui.
Magari un giorno imparerò davvero la lezione, magari.
Busso alla porta e subito dopo la apro, tanto so perfettamente che il professore non sprecherà la voce per dire il fatidico “Avanti”.
Mi guarda con il suo solito sguardo severo, diventerò paranoica con tutti questi sguardi amichevoli. Sorrido, raggiungo l’ultimo banco buttando lo zaino a terra e sprofondo sulla sedia. Sì, il professore non sprecherà la voce nemmeno per farmi la ramanzina, si sarà stancato anche lui di questa storia.
Prima o poi tutti si abituano.
Non mi sforzo nemmeno per aprire lo zaino e tirare fuori il libro. Odio la chimica, non ho mai capito niente di questa stupida materia e mai capirò. So che è una materia importante, insomma se ce la fanno studiare allora sarà importante, ma è inutile provarci perché tanto non capirò mai e di certo il caro professore non mi darà una mano.
Sono quella strana, ricordate? Aggiungete anche ‘sta paranoica.
In questi anni ho solo imparato che la chimica studia la composizione della materia e del suo comportamento in base a tale composizione.
Quello che non capisco è perché dovremmo sforzarci di capire la chimica invece di cercare di capire le persone.
Perché siamo tutti con gli occhi bendati e non vediamo ciò che succede?
Penso che se avessimo gli occhi un po più aperti potremmo far sì che non succedano tutte le cose orribili che succedono a questo mondo. Dovremmo solo imparare a guardare veramente.
Dovremmo solo dare una mano alle persone senza una casa, senza un tetto dove vivere. Basterebbe portare un po di cibo anche a loro ogni giorno ed il mondo sarebbe già un po migliore.
Dovremmo solo imparare a leggere negli occhi e non limitarci a leggere l’alfabeto su un libro. Gli occhi delle persone sono più interessanti di qualsiasi libro e, ve lo giuro, lo dice una che ama leggere libri.
Le persone potrebbero essere capite con così poco, basta guardare davvero.
Sbuffo sprofondando ancora di più sulla sedia, rischio anche di cadere a terra.
-Signorina Schism, la stiamo disturbando?- domanda con aria minacciosa il professore, quell’aria non manca mai.
Alzo la testa e noto che tutta la classe mi sta fissando, bene. –No, Prof. Mi scusi.- mormoro mettendomi composta sulla sedia.
Sento gli sguardi allontanarsi da me e qualcuno ridacchiare.
Afferro un quaderno qualsiasi da dentro lo zaino, lo apro ed inizio a scrivere. 

C'è qualcuno che ride per uccidere il dolore? 
Le persone più tristi sono quelle che ridono di più e gli si legge in faccia il dolore che provano. Perché quelle che ridono forte, quelle che hanno una risata che esce dal cuore, in realtà sono quelle persone che vorrebbero essere salvate.

Perché le persone sprecano le risate solo per prendere in giro qualcuno? Non hanno altro da fare, la loro stupida vita non vale a niente. Invidiano soltanto, ma cosa invidiano?

C'è qualcuno che grida per scacciare il silenzio? 
Le senti le urla, quelle forti. Quelle urla che spaccherebbero i vetri di un intero condominio. Quelle urla bisognose di affetto, che cercano aiuto. 
Quella ragazza che urla per qualsiasi cosa, che non ha autocontrollo. Non lo fa per cattiveria, vuole solo essere sentita ed essere ascoltata.
La senti urlare?”


Mi soffermo a fissare il quaderno.
Io le sento in continuazione le persone che urlano, che perdono la pazienza e ti urlano in faccia qualsiasi cosa. Ed io le faccio urlare, le faccio sfogare ed a volte le abbraccio. Nessuno ha mai fatto così con me.
Solo… apri i tuoi occhi esausti.
Sussulto ed alzo lo sguardo.
Ho perso il conto di quante volte ho sussultato oggi, pensare che siamo ancora alla prima ora!
Mi guardo intorno ma sembra che nessuno abbia sentito niente. L’ho risentita io, quella voce.
La conosco.
Sono sicura che la mente può fare una cosa del genere. Non ricordo come la chiamano, ma è una cosa psicologica che ti fa credere che sia vera. Quando ti auto-convinci di una cosa e il tuo cervello ti fotte.
Ricordo che una volta una ragazza credeva di essere incinta. Aveva le nausee, si sentiva gonfia e mangiava tanto, diceva di sentire le voglie. Non era incinta, il suo cervello l’aveva autoconvinta di esserlo perché pensava davvero che lo fosse.
Ed adesso il mio cervello mi sta auto-convincendo del fatto che sento le voci, grazie.


-



Non sono mai stata ad un concerto vero e proprio. 
Sono sempre stata ai concerti che organizzano dentro i locali, quelli di persone poco famose o forse per niente. Non ho mai avuto l’opportunità di provare il brivido di un vero concerto. Di passare le giornate a pochi chilometri da quel parco, di guardarlo da lontano e sognare già giorni prima. Il brivido di passare le giornate accampata con altri fan aspettando il fatidico giorno.
I miei genitori non me l’hanno mai permesso ma non importa. Quando terminerà la pausa dei Tokio Hotel sarò la prima ad andarci, con o senza il loro permesso. Non mi perderò anche questo tour, non lo farò.
Qualche settimana fa, navigando su internet, ho letto una cosa molto bella sui concerti. Credo l’abbia scritta appunto un musicista. Ed è una cosa che fa venire i brividi, anche per me che non ci sono mai stata.

Diceva:

Amo i concerti perché, qualsiasi band tu vada a vedere, trovi sempre gli stessi tipi di persone.
Ci son quelli che il mattino prima son davanti ai cancelli nei sacchi a pelo e quelli che se arrivano a concerto iniziata è già tanto.
Quelli che accompagnano l'amico e conoscono solo le canzoni più famose, quelli che son fan da poco e se lo tengono per sé perché han paura di sfigurare, quelli che con quei braci ci son cresciuti e non c'è parola che non ti sappiano cantare.
Quelli che si presentano sfoggiando le maglie della band più belle che hanno - e, credetemi, ci han messo un secolo a scegliere quella giusta!-, quelli che la sera prima si son divertiti a farsene una da soli, quelli che si presentano con t-shirt di altri gruppi e un gran sorrisone stampato in faccia, quelli che la maglia se la comprano in fila - e diciotto euro: dieci se hai capacità di persuasione! - e si cambiano pure davanti a tutti perché tanto con quella gente ci dovrai condividere anche il sudore.
Quelli che se li son già visti un milione di volte e han tanti aneddoti da rifilare, quelli che per loro è la prima volta e non vedono l'ora di poterlo raccontare.
Quelli che ormai sono esperti e si buttan nella mischia come se fosse una fottuta piscina, quelli che non hai mai visto tanta calca e si tengono a debita distanza.
Quelli che son troppo timidi e in fila non riescono a socializzare, quelli che son rompicoglioni e in coda si fan sempre riconoscere.
Quelli che si ritrovano a parlare con gente mai vista prima e si dimenticano di chiedere i nomi da cercare su facebook, quelli che chiedendoti l'amicizia dopo la prima battuta han già concluso tutto.
Quelli che si son portati persino le carte con cui giocare e quelli che in tasca c'han solo il cellulare, ma va bene comunque, che qualcosa da fare lo si trova sempre.
Quelli prudenti che si son portati ombrelli, k-way e cappelli, quelli che han madri prudenti che però non ascoltano e si ritrovano pieni zeppi di pioggia o ustionati da far schifo.
Quelli che a mezzogiorno tirano fuori i pennarelli indelebili e quelli a cui il tatuaggio in onore della band basta e avanza.
Quelli che sorridono davanti ai fotografi e quelli che si nascondono dietro una mano.
Quelli che son troppo bassi e non riescono nemmeno a fotografare la gente dietro, quelli alti due metri che sorridendo ti prendono la macchina fotografica e fanno le foto al posto tuo.
Quelli che controllano ogni tre minuti il biglietto e quelli che scrollano le spalle perché già ce l’hanno in mano.
Quelli che ti riempono di gomitate quando aprono i cancelli e quelli che si tirano indietro per non farti male.
Quelli che alla fine ti menano lo stesso, perché col cazzo che ti lascio il posto!
Quelli che il concerto se lo guardano in uno schermo e quelli che se lo godono senza macchine fotografiche ad occupare la visuale.
Quelli che si stringono contro la transenna e non la lasciano un secondo, quelli che si ritrovano in mezzo alla bolgia e s’aggrappano alla prima spalla che trovano.
Quelli che si sentono male e si allontanano un po’ dal palco, quelli che stringono i denti e resistono fino in fondo.
Quelli che chiamano il migliore amico rimasto a casa con la febbre - che poi, se fosse stato per lui, sarebbe venuto lo stesso - per fargli vivere la sua canzone preferita a distanza di mezzo stato, quelli che il migliore amico ce l’hanno vicino e tirano gomitate pure a lui, perché è giusto così.
Quelli che piangono per quasi tutto il concerto e quelli che non lasciano trasparire un’emozione, ma dentro esplodono comunque.
Quelli che urlano a squarciagola e quelli che preferiscono tacere.
Quelli che, alla fine, si mettono le mani fra i capelli e continuano a ripetere “non ci posso credere, non ci posso credere”, quelli che si abbracciano, quelli che si baciano, quelli che si sorridono.
Quelli che si parlano da una parte all’altra dello stadio e quelli che ridendo si fanno i cazzi loro.
Quelli che vanno subito a fare la scorta di bottiglie d’acqua e quelli che si fiondano senza tante cerimonie dallo store ufficiale.
Quelli che si salutano e quelli che si ritrovano.
Quelli che fotografano e quelli che guardano.
Siamo tanti e siamo diversi, ve lo concedo, ma quando il concerto finisce siam tutti uguali: siam quelli che camminano piano, l’uno accanto all’altro, con l’assurda voglia di ricominciare tutto da capo, subito.
Siam quelli che si sorridono in mezzo al casino, anche se non si conoscono, e si dicono “grazie, perché quello che ho provato stanotte lo sai solo tu”


Rileggere queste parole mi fanno venire dei brividi lungo la schiena.
La musica è essenziale per me, per molte altre persone. La musica ti fa compagnia quando sei solo, ti aiuta quando sei in difficoltà. Forse è l’unico modo per sfuggire davvero da questo mondo maledetto. 
“Dicono che la musica può alterare gli stati d’animo e parlarti.” dice Eminem in una sua canzone. Ed ha più che ragione; la musica parla ad ogni singola persona, anche se quella non se ne rende conto. E la musica può farti diventare triste o felice in un nanosecondo. 
Ma la verità è che i genitori non ti capiranno mai, perché loro non hanno passato ciò che passi tu o forse perché l’han passato ma so riusciti a superarlo. Errore. Gli adulti dimentica cosa vuol dire essere adolescenti e se crescere vuol dire questo… allora io non voglio crescere.
Sta di fatto che non ti manderanno mai ad un concerto a meno che tu non sia bravo a convincerli.
Forse loro non capiscono il bisogno interiore che hai; quel bisogno di loro, della loro musica e del loro mondo. Loro che riescono a capirti, che non ti giudicano come gli altri.
Solo loro possono capirti.
E questa lacrima che mi accarezza la guancia.

Un rumore di vetro infranto mi riporta alla realtà. 
Mi alzo velocemente dal letto. Forse è caduto qualcosa a mia madre…
-Quante volte ne dobbiamo discutere?- le urla di mia madre mi fanno bloccare all’istante.
…forse non è così. 
Sento le loro voci provenire dalla cucina. Apro appena la porta, quel poco che mi permette di uscire e sgattaiolare piano dietro la porta della cucina.
-Perché non riesci a comprendere?- questo è mio padre e, per dirla tutta, il tono della sua voce non mi rassicura.
-Cosa devo comprendere? E’ tua figlia, prenditi le tue responsabilità.”- sussulto alle parole di mia madre.
Sono sua figlia, e allora? Su questo non c’è alcun dubbio ma di quali responsabilità stanno parlando?
Sento mio padre tirare un calcio alla sedia –Non mi sembra che sia solo mia figlia, è anche tua o sbaglio?- mi sporgo un po per guardarli in faccia, vedo mio padre avvicinarsi pericolosamente a mia madre.
-E sarebbe colpa mia se è asociale?- da uno spintone a mio padre.
Asociale?
Concentrati su di me.
-Sei tu che passi la maggior parte del tempo con lei! Forse avresti dovuto insegnarle che non è un reato parlare con altri, no?-
Mia madre scoppia a ridere –Io? Non la vedi? La guardi, la vedi com’è nostra figlia? …-
Come sono?
Continuano a parlare ma il mio udito non sente nessun suono. Alzo lo sguardo e guardo la mia immagine riflessa allo specchio. 
Forse ho solo un po di trucco nero intorno agli occhi, ma sono normale. Forse mi vesto troppo strana, ma sono normale. Vero papà? Sono normale, no? Sono gli altri che non parlano con me, giuro che non sono asociale. 
Concentrati su di me. 
Non posso.
So che sei spaventata.
Sono ferita.
Il mio corpo si muove da solo, dato che io non riesco più a capire niente, la mia mano afferra la felpa sulla sedia mentre le mie gambe iniziano a correre per portarmi via da quell’inferno. Sbatto la porta.
Pensano che io sia strana. Mia madre pensa che io sia strana.
Quando non riuscirai a respirare io sarò lì.
-No!- urlo con tutta la forza che ho dentro –Non sei qui, non ci sei mai stato, mai lo sarai!- mi brucia la gola ma è la cosa meno importante adesso.
Forse hanno ragione. Sento le voci, sento la sua voce, non posso essere normale!
Concentrati su di me.
Mi concentro su di te.
E lo faccio; t’immagino qui davanti a me e mi concentro su di te. Il mio respiro è irregolare. Poggio la schiena al muretto, le lacrime iniziano a scendere senza voglia di smettere, le lascio fare. Sto fissando il vuoto difronte ma mi sto concentrando su di te.
Vieni sempre più vicino.
Ti vedo.
Concentrati su di me.
Lo sto facendo.

Quando non riuscirai a respirare io sarò lì.
Sei qui.
Quando il mondo farà la tua anima a pezzi e inizierai a sanguinare…
…quando non riuscirò a respirare tu sarai qui.
Concentrati su di me.
Mi concentro su di te.
E ad un tratto il mio respiro su spezza, il buio si impossessa di me, tutto inizia a girare velocemente, e ad un tratto tu sei accanto a me.
E ad un tratto il mondo fuori non m’interessa.
Non più.



Se fossi una persona normale sicuramente penserei ad un Angelo, forse il mio Angelo Custode. Però non sono normale quindi ti descrivo come l’Alieno che mi salva dalla realtà.
Sul serio, chi ha detto che gli Alieni sono esseri maligni che vogliono solo ucciderci?
Forse è proprio lui il pazzo, quest’uomo che non ha mai visto un Alieno in vita sua e si permette di dire certe cazzate.
Tutte cazzate.
Non hanno mai pensato che gli Alieni possono essere buoni? Forse no, ma non m’importa.
Sono qui tra le tue braccia. Tra le braccia di ques’Alieno, quest’essero così simile a me.
Siamo simili, vero?
Ti vedo sorridere e solo adesso mi accorgo che qui è tutto buio, nonostante tutto riesco a vederti perfettamente. Non riesco a capire dove ci troviamo, forse tu lo sai ma non voglio saperlo. Non te lo chiedo, non è importante in questo momento.
Questa è la realtà? No.
Siamo in un universo parallelo ed è un po come essere nei sogni lucidi; quando ti rendi conto che stai sognando e puoi fare qualsiasi cosa tu voglia. Ci vuole tecnica o fortuna per avere uno di quei sogni.
Ma questo non è nemmeno un sogno.
Come ho detto è un universo parallelo. Guardo oltre la tua schiena e noto una piccola luce bianca che cerca di combattere questa nera. 
I miei occhi sono sgranati, te ne accorgi e mi accarezzi i capelli.
Tutto questo finirà presto, non è vero? La luce vuole raggiungerci.
Mi rendo conto di essere seduta su di te, tu sei seduto a terra. Oh… stai volando? Qui è tutto così buio che non capisco la differenza tra terra e cielo.
Forse non c’è nessuna terra e nessun cielo. Forse non siamo nemmeno sulla terra.
Voglio sapere dove siamo, sono curiosa ma non te lo chiedo. Anzi, sono confusa tra il chiederlo o no. Forse è tutto più bello se non si sa, giusto?
Annuisci.
Sei dentro la mia testa, adesso l’ho capito.
E’ per questo che riesco a sentire la tua voce, tu leggi i miei pensieri e comprendi i miei stati d’animo. No, non ho il coraggio di chiederti come fai.
Infondo sai a cosa sto pensando, se non rispondi vuol dire che è megli così.
La luce bianca ci sta per raggiungere ma sembra non importarti. Non importa nemmeno a me, infondo.
Sorridi ed adesso non mi stai più abbracciando. Mi alzo ma non sento niente sotto di me, forse stiamo davvero volando.
La luce si fa più accecante, chiudo gli occhi per il fastidio e ad un tratto tutto diventa buio.
Apro gli occhi, tu non ci sei più.



Continua...


























 
 
 


 
   
 
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