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Autore: Alexiel Mihawk    27/10/2014    2 recensioni
Le è sembrato di vedere Amon ridere di lei seduto sul ramo di una delle alte mangrovie e solo il giorno prima avrebbe potuto giurare che Vatu fosse nascosto insieme ad un gruppo di spiriti tra le liane; è grata di non avere ancora visto Zaheer perché quello, no, non sa proprio se riuscirebbe a sopportarlo. [...]
«Sono il buio» iniziano quindi a dire le tre figure contemporaneamente e lei non sa chi guardare, sa solo che le loro voci rimbombano nelle sue orecchie come se stessero urlando «Vengo dal buio, vado nel buio. E tu chi sei? Chi sei, Korra?»

[SPOILER Book 4 episodio 4]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Korra
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Avatar, Korra&Amon&Vatu&Zaheer, « Chi sei? Da dove vieni? » « E dove vado non me lo chiedi? ...sono il buio, vengo dal buio, vado nel buio » (Dylan Dog, Il buio)
Parole: 1520
Warning: SPOILER Book 4, episodio 4.
Note: questa storia è stata un parto perché non ho mai scritto utilizzando Korra e avevo paura di non riuscire a gestirla, in realtà avevo più paura che Kuma Cla arrivasse puntandomi un coltello alla gola e urlando: "What did you do to my baby!?". In ogni caso alla fine l'ho scritta e ho addirittura costretto mio fratello a betarla, cosa che a casa mia significa sangue, sudore e morte, e analisi di ogni singola parola per la ricerca dell'armonia della frase. E anche perculamenti perenni. La storia è ambientata durante il quarto episodio del Book 4 e analizza momenti differenti dell'episodio come un flusso di coscienza, ma il tutto rigorosamente in terza persona. In realtà non so nemmeno da dove mi sia uscita, ma quando ho visto l'episodio e mi sono trovata davanti il prompt non ho proprio potuto fare a meno di scriverci sopra.


I'm not the Avatar I used to be
A Claudia, che oggi aveva un esame.

 
Korra guarda il suo riflesso nell’acqua salmastra della palude, sono giorni che Toph continua a ignorarla: «Dovresti imparare a rilassarti, sai?» le ha detto senza girarsi verso di lei e togliendosi del cerume dalle orecchie.
Così Korra lo ha fatto, o almeno ci ha provato, ma come si fa a rilassarsi quando intorno a te non ci sono altro che fango e terra? E nemmeno terra solida, una terra molliccia e puzzolente percorsa da rigagnoli verdi e pieni di alghe.
Inoltre la palude sta facendo strani scherzi alla sua mente: continua a farle vedere cose, cose che lei si sforza di ignorare. Le è sembrato di vedere Amon ridere di lei seduto sul ramo di una delle alte mangrovie e solo il giorno prima avrebbe potuto giurare che Vatu fosse nascosto insieme ad un gruppo di spiriti tra le liane; è grata di non avere ancora visto Zaheer perché quello, no, non sa proprio se riuscirebbe a sopportarlo. In compenso c’è lei, lei che non la lascia mai. Non lo ha detto a Toph, ma continua a vedersi, continua a vedere se stessa: la Korra che era, la Korra che vorrebbe tornare ad essere, la Korra che la terrorizza intimamente più di ogni altra cosa. Ha cercato di ignorarsi il più a lungo possibile, ha cercato di fingere di non vedere e di chiudere gli occhi, ma continua in ogni caso a sentire il suo sguardo giudicante sulla pelle.
 
«Se sei così desiderosa di fare qualcosa perché non vai a raccogliere dei funghi per la cena?» le parole di Toph la seguono come una eco dispettosa e Korra vorrebbe tanto tornare indietro e risponderle che a lei nemmeno piacciono i funghi, ma continua a camminare senza sapere bene dove stia andando – che alla fine è quello che ha continuato a fare negli ultimi sei mesi: vagare senza una meta.
Attraversa la cascata di liane e quando si trova di fronte ad Amon capisce di essere in un incubo, un terribile sogno da cui sperava di essere scappata tempo addietro, ma che continua a perseguitarla. E non può fuggire. E non può andare via, perché ovunque si giri loro sono lì. Ridono di lei. Cercano di privarla della sua identità, di toglierle la vita. E alla fine compare Zaheer.
Korra sente le gambe cederle e un nodo di ansia e terrore farsi strada dentro di lei, bloccandole il respiro; quando si rende conto che è solo una visione chiude gli occhi e con fatica torna a fingere di stare bene, di nuovo.
 
«Il problema è che quegli uomini erano completamenti privi di equilibrio e hanno trascinato i loro ideali fino all’estremo» Toph le parla, sono giorni che cerca di farle capire quale sia il punto e solo ora Korra inizia ad ascoltarla, solo adesso che è stata costretta a vedere riesce finalmente a sentire quello che davvero la donna sta tentando di comunicarle.
Perché dopotutto Amon non era in torto: il suo desiderio di uguaglianza era qualcosa per cui era disposto a morire e forse il fatto che così tanta gente si fosse dichiarata pronta a seguirlo avrebbe dovuto aprirle gli occhi, forse avrebbe dovuto accorgersi che una società in cui tutti gli uomini sono uguali non era solo il sogno utopico di un pazzo visionario; suo zio Unalaq non era stato in grado di sopprimere la brama di potere e la corruzione che agitavano il suo animo, ma le motivazioni alla base delle sue azioni si erano rivelate corrette, perché come quel giorno le aveva insegnato Raava il bene e il male sono due facce di una stessa medaglia e non possono esistere l’uno senza l’altro; poi c’era stato Zaheer. E pensare a lui ancora faceva male, male in tutto il corpo in cui Korra sentiva le particelle di veleno scorrere veloci. Ma per cosa si era battuto quell’uomo? P’Li, Ming Hua, Ghazan erano tutti morti, tutti si erano dichiarati disposti a perire per una causa che la ragazza sentiva ancora di non riuscire davvero a comprendere: la libertà che Zaheer agognava era qualcosa di troppo vicino al caos perché lei riuscisse davvero ad accettarla. Un concetto tanto scombinato e caotico non le si confaceva: lei era l’Avatar, doveva portare equilibrio. Eppure una parte di lei, la parte che l’aveva spinta a vagare per tutti quei mesi, arrivava in qualche modo a vedere una sfumatura della verità. Vedeva la libertà come un viaggio senza meta, come una vita senza responsabilità e un futuro senza costrizioni, un mondo senza limitazioni di genere e senza differenze sociali: cose che l’Avatar non poteva permettersi, lussi che forse lei si era concessa fin troppo a lungo.
 
«Il tuo problema è che ti sei allontanata per troppo tempo: allontanata  dalle persone che ti amano e allontanata da te stessa» le aveva ripetuto Toph, prima che Ikki, Meelo e Jinora arrivassero a dirle che il mondo ha bisogno di lei, che c’è ancora bisogno dell’Avatar e che ci sarà sempre bisogno dell’Avatar, ma Korra si rende conto che c’è ancora qualcosa che deve fare ora che è di nuovo intera, ora che il veleno non scorre più nel suo corpo e che ha lasciato andare la paura.
Così, mentre la dominatrice della terra prepara la cena, si allontana in silenzio, promettendo di tornare subito, di non sparire di nuovo per altri tre anni, e con passi leggeri e sguardo deciso torna alle radici dell’albero Banyangrove e si lascia cullare dall’acqua verdastra che ora non le sembra più così puzzolente.
Ogni cosa è collegata, pensa chiudendo gli occhi.
E quando li riapre loro sono di nuovo lì, Amon, Vatu e Zaheer, ma questa volta Korra non scappa, questa volta rimane a guardarli, rimane ad ascoltare ciò che la palude sta cercando di dirle.
«Chi sei?» sente Zaheer domandarle e vorrebbe rispondere col sarcasmo, come si è abituata a fare negli ultimi tempi, ma si trattiene perché dopo tutto non è rispettoso schernire uno degli spiriti più antichi del mondo, anche se ti parla utilizzando come tramite il volto di qualcuno che odi.
«Sono Korra, e tu lo sai».
Vatu ride di lei, mentre Amon si toglie la maschera e le lancia uno sguardo di scherno.
«Chi sei?» inquisisce ancora il dominatore dell’aria.
«Da dove vieni?» aggiunge quindi il capo degli equalisti.
«Sono Korra, della tribù dell’acqua» risponde nuovamente la ragazza facendosi più ardita «Chi sei tu, piuttosto? Da dove vieni? Che cosa vuoi? Cosa vuoi dirmi?»
Vatu ride di nuovo e le si avvicina, iniziando a vorticarle attorno.
«E dove vado non me lo chiedi?» domanda fermandosi a pochi centimetri dal suo viso.
«Sono il buio» iniziano quindi a dire le tre figure contemporaneamente e lei non sa chi guardare, sa solo che le loro voci rimbombano nelle sue orecchie come se stessero urlando «Vengo dal buio, vado nel buio. E tu chi sei? Chi sei, Korra?»
Per tutta risposta lei stringe i pugni e serra gli occhi, li serra così forte che inizia a vedere una serie di piccole luci colorate oltre l’oscurità e quindi capisce. Quando li riapre sono luminosi e candidi come la neve, percepisce di essersi sollevata da terra di qualche centimetro e sente, sente ogni cosa.
«Io sono Korra della tribù dell’acqua e sono l’Avatar. Sono luce, vengo dalla luce e porto la luce».
Improvvisamente le figure di fronte a lei scompaiono e lasciano posto a un’altra persona, la stessa persona che ha continuato a seguirla, sfidarla e provocarla per tre interi anni. Korra si guarda negli occhi e vede il suo riflesso, il riflesso di ciò che è stata, sorriderle e allungarle la mano e finalmente non ha paura di afferrarla, non ha paura di accettare se stessa.
Quando i suoi piedi tornano a toccare terra le acque della palude l’accolgono come una culla e per un breve istante lei riesce a vedere ogni cosa: vede Lin china sulla sua scrivania con una mano sulla fronte, vede Mako correre per la città trascinandosi dietro un ragazzino dall’aria terrorizzata, vede Asami nel suo studio, vede Tenzin al tempio dell’aria mentre stringe a sé Pema, vede suo padre e sua madre stretti in un abbraccio con il cuore pesante per la sua assenza, vede Bolin su un treno in corsa e Toph e Jinora, con Ikki e Meelo, che l’aspettano nella grotta a poche centinaia di metri da lei.
 
Così Korra torna indietro, questa volta il suo animo è un po’ più leggero e dentro di sé è consapevole che il peggio è passato, e anche se tornare a casa non sarà facile sa che può farcela, sa che deve farcela: il mondo ha bisogno di lei.
Ed è vero, Korra non è la stessa.
Non sono l’Avatar che ero prima.
È una persona nuova, una persona diversa, una persona che si era persa e che ha fatto un viaggio lungo ed estenuante per ritrovare la strada. E da viaggi come quello non si torna indietro uguali, perché il tempo ha un suo modo di cambiare le cose e di cambiare gli esseri umani: fa percepire loro cose che prima sembravano incomprensibili, li fa maturare e li spinge ad aprire gli occhi. E lei questo lo ha capito, spera solo, ora che ha ritrovato il suo centro, di riuscire a farlo capire anche al mondo.





 
   
 
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