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Autore: Colpa delle stelle    27/10/2014    4 recensioni
[Interattiva - posti al completo]
Il Signore Oscuro sta tornando. Agisce nell'ombra, si nasconde dal Mondo Magico e anche se nessuno lo vede e lui stesso non si presenta nelle sue solite vesti, la sua presenza è tangibile come una mannaia sul collo delle persone e nessuno riesce più a ignorarlo.
Quattro giovani coraggiosi si ritroveranno inevitabilmente attirati nel corso degli eventi e sarà il destino a decidere la riuscita o il fallimento della loro missione.
Ad Hogwarts, però, la vita scorre normalmente e per gli studenti che la frequentano rimane ancora la scuola di magia e stregoneria più sicura al mondo.
E voi, che ruolo avrete in questa storia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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 Ciò che il destino decide per noi è indiscutibile 

 

Il ritmo alla scuola di Hogwarts era tornato normale al secondo giorno di Novembre. Le lettere dei genitori erano arrivate a centinaia e tutte per assicurarsi che l'attacco improvviso non avesse destabilizzato gli equilibri di quella che era sempre stata la scuola di stregoneria più sicura al mondo.
Caroline si era svegliata il pomeriggio del giorno prima e le era bastato guardarsi allo specchio per sfociare in una crisi di nervi quasi incontenibile, che però non aveva turbato il padre, sopraggiunto a vegliarla. Era da lei avere quelle reazioni e non faceva differenza l'essere stata tramortita da un Sectumsempra solo qualche ora prima.
Thea invece si era svegliata solo quella mattina, per riaddormentarsi subito dopo, fortunatamente per ragioni fisiologiche. Non sarebbe potuta tornare ad Hogwarts prima di una settimana, visto che aveva bisogno di tranquillità e riposo e per quello non c'era posto migliore del San Mungo.
Gli studenti rimasti incolumi erano pochi e a decine invece giravano per i corridoi con un braccio fasciato o un cerotto sulla guancia. Zoey e Yulia non avevano osato abbandonare la sala comune dei Grifondoro, visto che le lezioni erano state annullate fino al giorno successivo. La prima aveva un libro tra le mani, ma non lo leggeva, fissando invece il vuoto davanti a sé. La seconda era sulla poltrona, con le ginocchia strette al petto e le braccia ad avvolgerle, e riviveva ogni istante da quando si era risvegliata in Infermeria.  Era stata la prima volta che aveva dormito in uno di quei letti. Il migliore aveva detto Zoey, nel tentativo di tirarle un po' su il morale. Nel lato più lontano dalla porta e sotto alla finestra più grande. A Yulia nessun letto di quell'Infermeria sembrava bello ed era stata contenta di essersene andata dopo poche ore.
Aveva rimediato una bella botta in testa e aveva i gomiti sbucciati, ma almeno quelli li nascondeva sotto le maniche della camicia. Anche se nessuno si azzardava a prenderla in giro, mai qualcuno lo avrebbe fatto dopo quella sera di Halloween, Yulia si sentiva a disagio a camminare per i corridoi in quello stato.
-Che facciamo? - sbuffò Zoey, chiudendo il libro con forza. - Continuiamo a piangerci addosso mentre gli altri se la spassano ad Hogsmeade? - Yulia le rivolse un'occhiata significativa e rimase seduta dov'era. - Ho capito – sbuffò ancora la Grifondoro, alzandosi. - Ti lascio da sola. 
Mentre usciva dalla sala comune, Zoey si volse comunque indietro, a guardare l'amica, e le sorrise, anche se Yulia non poteva vederla.

 

La pioggia cadeva a fitte gocce e non accennava a smettere. La visione del campo da Quidditch bagnato tormentava Lynne forse più di quanto faceva il dolore alla costola incrinata. Ogni volta che respirava, una fitta le smorzava il fiato, così da obbligarla ad aspirare più aria nel respiro successivo e sentire ancora più dolore, in una catena che
sembrava non avrebbe mai trovato fine.

Non sarebbe dovuta uscire, ma Althea e Dakota in quel momento erano ad Hogsmeade e non c'era nessuno che poteva farle compagnia. Era sola, sotto a quell'ombrello, e davanti non aveva che nebbia e grigio.
Non c'era davvero niente di più deprimente.

 

 

L' A-team si era riunito in camera di Angel che, da caposcuola qual'era, aveva una stanza tutta per lei, spaziosa e accogliente. Alice si era buttata sul divano, ma ad Amber ci erano voluti parecchi minuti perché si decidesse a sedersi da qualche parte. Quando Angel notò che aveva scelto il bordo del cassettone, evitò di commentare e la guardò, in apprensione.
- Perché la preside ti ha chiamato nel suo ufficio l'altro giorno? 
Dirlo o non dirlo? Era quella la domanda che aveva tormentato Amber a tutte le ore del giorno e della notte. Erano loro amiche e non dubitava affatto di loro, ma quello che le era successo era un fatto troppo personale, davvero troppo pericoloso, e la Grifondoro aveva timore quasi di dirlo ad alta voce.
- Mia madre aveva inviato una lettera quella mattina, ma io non le avevo risposto e si era preoccupata – mentì Amber, cercando di essere convincente. - Così aveva contattato la preside che ha girato il messaggio a me. 
Per fortuna della ragazza, Angel le credette senza riserve e lo stesso fece Alice. Era naturale, non si erano mai raccontate bugie in vita loro, si dicevano sempre la verità. E la prima a venire a meno a quel patto silenzioso di fedeltà, era stata Amber.
- Hugo non è ancora tornato? - domandò Angel, spostando il proprio sguardo da Amber ad Alice. 
La Corvonero scosse la testa. - Rimane con suo padre finché non si è rimesso completamente e lo stesso fa Rose. - disse, con un sospiro.
In quel momento, come succedeva sempre, sarebbe dovuta intervenire Amber con un sorriso e una battuta divertente, per riportare l'allegria nella stanza, ma quello non avvenne, perché la Grifondoro si fissava le mani. E quando abbandonò la stanza, in silenzio, l'unica a guardarla fu Alice, perché Angel non sapeva cosa avesse l'amica, ma la comprendeva lo stesso.

 

 

In seguito alla battaglia in Sala Grande, Ross era convinto di essere quello più sconvolto dall'accaduto. Era pur sempre un Grifondoro, che avrebbe dovuto dimostrarsi forte e coraggioso, ma era certo che la maggior parte dei compagni non avevano dovuto subire l'infanzia terribile che invece aveva perseguitato lui. Ross non aveva problemi ad ammettere che odiava sua madre, perché era stata lei a fargli quella cicatrice sul braccio e a trattarlo peggio di uno straccio sin da piccolo. Il ragazzo aveva salvato Amber, ma si era fatto male e quel dolore aveva riportato a galla brutti ricordi. La rabbia della madre, le sue punizioni, la fuga di Ross con lo zio e la cugina...
Con la pioggia che batteva contro i vetri e i resti dell'incantesimo che lo aveva colpito addosso, quello non era certo il momento migliore per perdersi in quel genere di passato, ma il Grifondoro non poteva farne a meno.
Non avrebbe mai dimenticato.

 

 

- C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo. -
Dakota sollevò lo sguardo su Althea e aggrottò le sopracciglia. - Io non piango mai, nemmeno quando sono da sola – affermò, riportando lo sguardo sul terreno. - Piangere mentre piove è da sfigati. 
Althea sospirò e la tirò per il braccio a sinistra, correggendo la sua camminata. - Era una citazione – spiegò, cercando di mantenere la calma.
- Mai sentita. - commentò Dakota, chiudendo la questione alla svelta.
Se si permetteva ad Althea di iniziare a parlare di citazioni strambe e di massime famose, il pomeriggio sarebbe scivolato via nella noia più totale e Dakota non poteva permetterlo. Doveva riuscire a non pensare a quella questione dell'eroina di Serpeverde. O forse era meglio se smetteva del tutto di pensare.
- È di un cantante babbano. - disse solo Althea, per poi ritornare al silenzio.
Forse era l'unica a dirlo, ma la sera di Halloween non le aveva regalato solo brutte sorprese. Aveva parlato per pochi minuti con quella Corvonero, Andromeda, e solo perché si erano urtate per caso vicino al tavolo del buffet. Nessuno se n'era accorto e la stessa Althea non si ricordava cosa avesse detto. Le classiche parole di cortesia tra due studentesse che non si conoscevano. Il problema era che solitamente Althea non era cortese con le persone che non conosceva. Non ci parlava proprio.
- Non mi hai ancora detto perché siamo venute qui, con questo tempo. 
Rabbrividì e sbuffò, quando il suo stivale finì dritto in una pozzanghera e il suo calzino si inzuppò.
- Lysander mi ha detto che Ishido sarebbe venuto ad Hogsmeade, oggi – spiegò Dakota, come se fosse ovvio. - Devo chiedergli perché l'altra sera non ha voluto ballare con me. 
Althea roteò gli occhi al cielo, ma scoppiò a ridere. - Lysander te lo ha detto spontaneamente o lo hai costretto? 
- Merito del mio fascino. - si vantò Dakota, sorridendo.
- Ce l'hai con lui ancora per l'anno scorso, vero? - domandò improvvisamente Althea, tornando seria.
- Non ce l'ho con Lysander. - affermò, anche se aveva capito che l'amica si riferiva ad Ishido e la stessa Serpeverde le fece capire che non se la sarebbe cavata così a buon mercato. - Lo sai benissimo perché. - ammise, cercando nel contempo di prendere tempo.
Non avrebbe mai ammesso ad alta voce, nemmeno ad Althea, che Ishido l'attirava. Aveva quell'aria misteriosa che l'aveva incuriosita sin da subito ed erano poche le persone che ci riuscivano con Dakota.
- Non dirmi che è perché l'anno scorso ti ha praticamente buttato giù dalle scale, vero? 
La Serpeverde si ricordava di quel giorno. I Corvonero avevano vinto la loro prima partita a Quidditch e Dakota aveva incrociato per caso l'intera squadra sulle scale. Ne era rimasta travolta, letteralmente, e se solo Ishido non l'avesse afferrata per i fianchi, rimettendola in piedi, Dakota avrebbe sicuramente rimediato una caduta coi fiocchi. Ma non era stata la sua aria misteriosa ad attirarla, proprio per niente. I fianchi erano il punto più sensibile del corpo di Dakota, le bastava anche solo che qualcuno glieli sfiorasse, per saltare in aria. E le conseguenze dipendevano dalle giornate, solitamente occhiatacce o improperi pochi carini. Con Ishido però, aveva sentito solo un piacevole calore, là dove le sue mani avevano sfiorato la pelle della ragazza, e Dakota faticava ancora a dimenticarsi di quella sensazione sconosciuta, che però l'aveva fatta sentire bene.
- Incredibile. - commentò Althea e Dakota si trovava d'accordo con lei.
Voleva fargliela pagare ad Ishido, voleva arrivare ad odiarlo con tutta se stessa. Così non avrebbe corso il rischio di innamorarsene.

 

 

La testa di Annelise sbucò oltre la porta e il suo sorriso dolce non sfuggì agli occhi di Skylight. La giovane Tassorosso si sollevò su un gomito e da oltre le tende del letto a baldacchino guardò la compagna di stanza che la chiamava con un cenno.
- Lily mi ha mandata a chiamarti – l'avvisò. - Ti vuole in Sala Grande. 
Skylight si rizzò a sedere e si infilò velocemente le scarpe, senza nemmeno allacciarsele. - È tornata? - domandò, facendo uscire la testa dallo scollo del suo maglione.
Annelise scoppiò a ridere quando la vide inciampare nel tappeto. - A quanto pare si. - annuì, porgendole l'elastico che aveva trovato sul comodino.
Skylight la ringraziò con un sorriso e anche se aveva fretta di rivedere la sua amica, si guardò comunque allo specchio mentre si raccoglieva i capelli in una coda alta. Lo faceva sempre, era diventata una sorta di abitudine da qualche anno. Era diventata sempre più attenta a come si vestiva e al suo peso, cercava in tutti i modi di evitare di farsi prendere in giro e nel frattempo dimagriva sempre di più. Non era stato di certo un bel periodo, ma ormai era passato e nonostante il Ballo di Halloween fosse sfociato in un tragedia, le conseguenze per lei non era state tutte brutte. Ma era ancora presto per parlarne con qualcuno o anche solo dirlo ad alta voce.
Annelise le fece un cenno con la mano, quando si accorse che Skylight si era incantata davanti allo specchio, e la richiamò all'ordine. - Andiamo? - domandò, battendo il piede sul pavimento.
- Andiamo. - acconsentì Skylight e la seguì fuori dalla sua stanza, anche se non le era chiaro perché Annelise volesse rivedere Lily. Non erano amiche, nemmeno conoscenti. Si erano salutate qualche volta a lezione perché erano state compagne in un progetto di Pozioni, ma da allora i saluti si erano fatti sempre più radi e in quell'anno il massimo che avevano fatto era stato sorridersi.
- Eccola là – disse Annelise, una volta davanti alla Sala Grande. Notando lo sguardo di Skylight, la tranquillizzò. - Mi ha solo chiesto di avvertirti e sto aspettando Lorcan – spiegò, con un sorriso. - Così ti ho accompagnato, ma ora scappo. 
La salutò con un altro sorriso e si dileguò dalla parte opposta del corridoio, mentre Skylight non faceva troppo caso alle sue parole e corse incontro a Lily, che era abbracciata a Thalia. Le tre si strinsero per parecchi secondi e poi si staccarono, ognuna con un sorriso sulle labbra.
- Ci sei mancata.- esclamò Thalia, mettendole una mano sopra alle spalle.
La Grifondoro poteva sembrare scontrosa, poteva anche passare la maggior parte del suo tempo con i suoi amici di casa a parlare di Quidditch e a studiare la conformazione della sua mazza da battitrice, a ideare strategie per sconfiggere i Serpeverde e anche a riempirli di insulti, ma niente poteva essere più appagante che parlare con la sua migliore amica. Le era mancata e la presenza di Skylight non la disturbava nemmeno. Che si avviassero sulla strada di una buona amicizia?
Per Skylight invece, quando Lily aveva preso la sua mano e l'aveva stretta forte, quasi sembrava inverosimile non avvertire il consueto caldo alle guance e l'imbarazzo che la colpiva quando era vicino alla giovane Potter. Non sentiva lo stomaco stretto dai sensi di colpa e non evitata nemmeno il suo sguardo. Quel giorno, gli occhi azzurri di Skylight sorridevano a quelli di Lily senza riserve e la Tassorosso era anche sicura di sapere il perché di quella svolta improvvisa.
Ma non era ancora pronta per dirlo ad alta voce.

 

 

- Ho litigato con i miei – sbuffò Damon, raddrizzandosi meglio sulla sedia e allungando le gambe davanti a sé.
Era entrato in Biblioteca insieme a Thea e a Diane quella mattina e ancora non ne era uscito, stabilendo un record che mai aveva pensato di raggiungere un giorno. Un degno Serpeverde non si faceva mai vedere in Biblioteca per più di tre minuti, era una legge fisica per non rischiare di danneggiarsi inesorabilmente la reputazione. Quelli del settimo anno, anche i compagni di stanza di Damon, erano soliti pagare qualcuno e dargli il compito di svolgere tutte le ricerche che assegnavano i professori per loro, così da non essere costretti a mettere mai piede in Biblioteca. A Damon sembrava esagerato e poi si era abituato che dove andava Thea andava anche lui, non l'avrebbero di certo fermato le malelingue dei suoi coetanei. Si conoscevano da sette anni praticamente, da quando erano stati smistati entrambi nella casa verde e argento, e quei sentimenti non si estinguevano tanto facilmente.
- Non è la prima volta. - osservò Thea, rivolgendogli un'occhiata di rimprovero.
La ragazza sapeva benissimo che l'amico era in pessimi rapporti con i genitori, convinti a renderlo Medimago contro la sua volontà, e poteva capirlo benissimo. Il padre la voleva mandare in una scuola per ragazze di alto borgo e non aveva preso particolarmente bene la notizia che la figlia fosse una strega. Se non fosse intervenuta sua madre, che per la prima volta in vita sua l'aveva appoggiata e si era resa partecipe dei suoi desideri, non si troverebbe in Biblioteca in quel momento.
- Non me ne parlare. - commentò Diane, abbassando improvvisamente lo sguardo.
Damon la osservò, sorpreso, e da come la Corvonero aveva iniziato sistematicamente a torturare la pagina del libro che aveva davanti, capì che i due Serpeverde non erano gli unici a non avere una famiglia facile.
- Non mi hanno accompagnato alla stazione perché odiano la magia – confessò Diane, in tono grave. - E di conseguenza odiano me. 
Fece spallucce e provò a sorridere, mentre Thea le metteva una mano sulla spalla e provava, come poteva, a consolarla. Damon la guardò con occhi diversi e si accorse che chi condivideva dei segreti e dei dispiaceri come loro, non poteva che diventare amico.
Fece un sorriso, più sincero e ampio del ghigno che invece lo accompagnava sempre, e sbatté una mano sul tavolo. - Questo posto diventerà il nostro posto! - esclamò, facendo voltare non poche persone.
Diane lo guardò sbalordito, incredula che avesse parlato anche a lei e non solo a Thea, come faceva sempre, e la Serpeverde scosse la testa. - Verrai in Biblioteca con noi tutti i giorni? - lo ricattò, godendosi per qualche secondo l'indecisione che gli lesse negli occhi.
Quando poi lui annuì però, capì di essere stata battuta, e accolse la sconfitta con onore, e anche con un pizzico di entusiasmo. Loro tre, soli contro il mondo. 
Sembrava un ottimo inizio.


 


Hogsmeade, Stamberga Strillante

 

L'incappucciato camminava su e giù per la stanza, sollevando polvere e ragnatele ad ogni passo. Non gli piaceva quel posto, lo trovava troppo tetro, e le storie che circolavano sul suo conto non lo aiutavano ad apprezzarlo, ma se il suo Signore voleva incontrarlo lì, di certo l'uomo non si sarebbe tirato indietro.
Quando il suo padrone si fece vivo, l'incappucciato scattò sull'attenti e si preoccupò di omaggiarlo con un profondo inchino, arrivando quasi a sfiorare con la punta del naso il pavimento lercio.
-Mio signore – sussurrò, allargando le braccia.
L'uomo gli fece un cenno con la mano e lo invitò a guardarlo negli occhi. In mano stringeva un pezzo di pergamena, strappato da un lato, e all'incappucciato quel particolare non sfuggì, anche se si premurò di non farlo notare.
- Devi tenerli d'occhio – ordinò e un lampo di rabbia gli attraversò lo sguardo. - Devi tenerli d'occhio, tutti e quattro. 
- Tutti e quattro? - domandò l'incappucciato, colto di sorpresa.
Da parecchi giorni a quella parte, il suo compito era di sorvegliare la famiglia Potter, di studiarne ogni singolo movimento, per trovare il momento più adatto ed attaccare Harry Potter. Ma il suo piano non aveva mai funzionato, non aveva tenuto fede agli ordini ricevuti, e forse avrebbe fatto meglio a non parlare, ma ormai era tardi per tornare indietro.
- Ci siamo sbagliati – disse l'uomo, stringendo i pugni. Il pezzo di carta si accartocciò, ma lui non se ne curò. - Sono quattro, non uno. - serrò la mascella e gli passò la pergamena che da tempo teneva in mano. L'incappucciato osservò a malapena il foglio e quando si accorse che erano solo quattro nomi, di ragazzi per giunta, e li riconobbe, provò a protestare, ma l'uomo non gliene diede tempo. - I tuoi principi ti obbligano a non tradire ciò in cui hai sempre creduto, ma tu dovrai farlo – gli ordinò, senza ammettere repliche. - Dobbiamo farlo, se vogliamo ucciderli.  L'incappucciato chinò la testa, affranto, mentre l'uomo si voltò e gli diede le spalle. - Fai trovare loro la profezia. 
Edgar Orvoloson era pronto a fare la sua mossa.


 


Angolo d'autrice:
Il mistero si infittisce!
Dopo due capitoli così densi di azione, ho pensato di dedicarmi a un capitolo tranquillo e far digerire quanto successo ai nostri personaggi. Ma intanto il nemico agisce nell'ombra... E vi ho dato un primo indizio! 
Sono ora aperte le scommesse sul nostro uomo cattivo: chi immaginate che sia?
E l'incapucciato? Ho dato anche qualche indizio su di lui, ma è un po' troppo presto per capirci qualcosa, lo ammetto anche io.
Ai più fortunati, una gelatina al cerume. Bisogna approfittarne!
Sperando che il capitolo sia piaciuto e i personaggi siano sempre di vostro gradimento, vi saluto!
Al prossimo capitolo,
Colpa delle stelle

   
 
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