UN PESSIMO PIANO
«Dio,
ma come fai a mangiare quelle schifezze?! Dai, assaggia un po’di yakisoba!»
Teito aprì gli occhi, incontrando
con lo sguardo il soffitto. Da quando
Mikage era morto non faceva altro che sognarlo tutte le notti. Era la prova che
continuava ad espiare la sua colpa. Chiuse gli occhi. Sospirò. Non aveva più
sonno. Con un movimento rapido dei piedi scostò le lenzuola e si alzò,
dirigendosi sul balcone. Il cielo era scuro, ma non nuvoloso. Si mise a sedere
sul parapetto, con le gambe a ciondoloni, le mani ben appoggiate sul marmo, gli
occhi diretti al cielo.
«Mikage…» sussurrò. Sentì gli
occhi pungergli. Poi si ricordò il modo in cui gli aveva sorriso prima di
scomparire.
«Già… Voleva che vivessi una vita
felice e serena. E che non mi sentissi in colpa.»
Quasi se lo immaginava che lo
rimproverava. Gli avrebbe sicuramente rinfacciato il muso lungo e gli occhi
seri e tristi. E poi gli avrebbe detto di ricordarlo nei bei momenti felici
insieme, invece di piangersi addosso come un moccioso frignone.
Gli sfuggì un ghigno. Poi sentì
un fremito d’ali, e in pochi secondi si ritrovò vicino il piccolo draghetto
rosa.
«Ehi, Mikage… Te lo ricordi il
giorno che siamo diventati amici?»
Mikage alzò i suoi occhietti sul
ragazzo, con aria interrogativa.
Teito lo guardo, sorridendo.
Certo
che quel ragazzo è parecchio strano!, pensò Teito, salendo sul letto a castello
e mettendosi sotto le coperte. Ci aveva pensato tutto il giorno. “Ha detto di
chiamarsi Mikage.” E gli aveva offerto il pranzo. E non lo aveva assolutamente
fatto sentire uno sporco sklave, bensì un normale ragazzo. I suoi pensieri
furono bruscamente interrotti da uno scossone alla struttura del letto a
castello. Teito si sporse, ritrovandosi faccia a faccia proprio con lui.
«Ehi, ciao! Ti dà fastidio se mi sistemo qui?
Il posto che avevo prima non mi piaceva per niente!»
Teito
sgranò gli occhi.
«…
Fa’ un po’ come ti pare!» E si sistemò sotto le coperte, veloce come un
fulmine.
Sentì
una lieve risatina provenire da sotto, ma cercò di ignorarla.
Dopo
alcuni minuti le luci si spensero, e dopo circa un quarto d’ora l’unico suono
udibile era quello dei respiri leggeri degli altri cadetti addormentati.
Teito
invece non riusciva a prendere sonno.
“Ha
diviso il suo pranzo con me, e non l’ho nemmeno ringraziato!”
All’improvviso
gli venne un’idea. Scostò le coperte e scese dal letto senza fare rumore.
Osservò
Mikage, che dormiva pesantemente, e si avviò verso l’uscita del dormitorio. Una
volta nel corridoio cominciò a camminare verso le cucine. Era notte, quindi non
avrebbe dovuto incontrare nessuno. Le guardie sorvegliavano soltanto l’ingresso
dell’Accademia.
Arrivò
davanti alla mensa e aprì le porte. Gli ci volle qualche secondo per capire
dov’era l’ingresso della cucina. Una volta nella stanza, si mise a cercare
finché non trovò gli avanzi. Gli sfuggì un ghigno soddisfatto. La yakisoba era
proprio di fronte a lui, in un pentolone. Afferrò il contenitore con entrambe
le mani e lo sollevò. Poi si avviò verso l’uscita della mensa. La pentola non
era tanto pensante, però intralciava un po’ i movimenti. Con un calcio aprì la
porta della mensa e uscì fuori. Due ufficiali lo aspettavano, braccia conserte.
«Bene,
cadetto. Dove pensavi di andare?»
Teito
sospirò. “Maledizione!”
La
mattina seguente, dopo le lezioni, sentì una mano sulla spalla. Era Mikage,
sorridente più del solito. Teito lo guardò, senza dire nulla.
«Sai,
corre una voce, tra gli studenti» mormorò, continuando a camminare.
Teito
lo seguiva docilmente, anche se pensava che forse non avrebbe dovuto. Mikage
continuò.
«Dicono
che qualcuno stanotte si è intrufolato in cucina e ha cercato di rubare la
yakisoba.»
«Pensa
che qualcuno è persino venuto a chiedermi se ero stato io! Come se non sapessi
che la yakisoba che fanno qua sa di niente!»
Poi
si abbassò, fino a raggiungere l’orecchio di Teito.
«Grazie,
amico, ma devi sapere che la yakisoba me la porta mia madre ogni settimana»
sussurrò, per poi staccarsi e superarlo.
Teito
arrossì, ma continuò a fissarlo, mentre si allontanava. Poi all’improvviso
Mikage si voltò.
«Beh,
non vieni? Ho chiesto a mia madre di portare un po’ di cibo anche per te! Lo sai,
no, che mangiare yakisoba fa diventare più alti?» disse, strizzando l’occhio.
Teito
sgranò gli occhi.
«E-ehi!
Potevi dirlo prima, no?! Aspettami!»
Si interruppe un momento, per poi
continuare.
«Sai, ricordo che quando finimmo
di mangiare mi dicesti “È stato un pessimo piano, Teito” sorridendo come un
cretino. Però a me non importava, Mikage, perché ti avevo visto sorridere, e
sapere che la causa di quel sorriso ero io, mi rendeva davvero felice.»
Il ragazzo accarezzò la testolina
del draghetto, che si accoccolò al suo fianco.
Altrove, la risata di un angelo
echeggiò.