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Autore: Andy Black    27/10/2014    9 recensioni
Crystal, Silver e Gold si troveranno catapultati in un avventura senza precedenti, che li costringerà a correre in aiuto della popolazione di Hoenn, sconfitta da terremoti ed altri cataclismi.
C'è lo zampino di Groudon, e di qualcun altro, che sembra attentare alla pace per l'ennesima volta.
Cercherò di portarvi nella mente dei personaggi più amati di Pokémon Adventures
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adriano, Crystal, Gold, Rocco Petri, Silver
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Nell'attesa del momento adatto ad un attacco a sorpresa la miglior difesa è la difesa



Marina e Gold misero piede sulla terra ferma. La pioggia non accennava a diminuire ma ai due interessava soltanto arrivare sulla cima del Monte Pira, dove esplosioni e grida si avvicendavano come pagine di un romanzo.
Sorpassarono un grande arco in pietra, sul quale era scolpita un frase in caratteri cubitali:

« post extremum spiritum pervenent ad coeli portas »

Gold vi si fermò davanti cercando di capire.
“È latino...” osservò lui.
“Già” annuì l’altra. “Significa letteralmente: dopo l’ultimo respiro sono giunti alle porte del cielo”.
“Sa molto di cimitero...”.
“Il Monte Pira è un cimitero, Gold, te l’ho già detto...”.
Il ragazzo la guardò. “Se la finisci di fare la vecchia bisbetica entriamo...”.
Attraversarono l’arco e pochi passi dopo entrarono nella montagna. L’intero cimitero era stato costruito in grandi gallerie all’interno della montagna stessa. Deboli luci bianche fuoriuscivano dalla roccia scavata e rimbalzavano sul pavimento di marmo, lucido e scivoloso. All’interno il silenzio era maestoso.
Il lungo corridoio terminò, immettendo in una sala: grandi lapidi murarie vedevano nomi di uomini anziani, talvolta alternati da quello di qualche giovane se non da quello di un Pokémon.
Un odore pungente riempì le loro narici.
Altre lapidi stavano ben ordinate in fila nel pavimento. E su molte di esse c’erano cadaveri che perdevano ancora sangue.
Strano, pensò Gold. I cadaveri stanno nelle tombe, non sulle tombe.
Marina rimase esterrefatta. Non era abituata a tutta quella violenza.
Corpi di anziane signore sostavano esanimi sulle tombe dei loro mariti; le foto in bianco e nero fissavano i cadaveri con una pace surreale nello sguardo.
Gold mosse passi leggeri che risuonarono cavernosi e profondi nel silenzio di quel posto; il rumore dell’acqua che avevano assorbito le scarpe si liberava in maniera fastidiosa.
“Non... non ci credo... Che diamine è successo qui?!”.
Marina aguzzò l’udito: c’era uno strano rumore e proveniva dal retro di una grande lapide in fondo alla sala. La ragazza si fece largo, cercando un posto dove poggiare i piedi senza calpestare niente che poche ore prima ancora poteva respirare.
Affondava le suole nel sangue scuro, sporco, quasi nero. Passava avanti però, diretta verso la grande lapide di tal Sir Stelios Goodwin, più imponente delle altre. La nascita dell’uomo era datata alla fine ottocento, la morte intorno ai primi vent’anni del novecento.

“Ad un uomo che ha sacrificato la propria vita per il bene altrui”
 
Questo c’era scritto, Marina non ci fece caso però.
L'unica cosa che esisteva in quel momento nella sua testa era comprendere la causa di quel rumore: quello era un respiro. Qualcuno era vivo, ma oltre la lapide c’era soltanto il muro.
Si voltò, dietro la distesa di corpi esanimi Gold analizzava la situazione in silenzio.
Tuttavia nessuno oltre loro due possedeva la facoltà di respirare. Fu quello il momento in cui a Marina venne un’illuminazione: si voltò verso la grande lapide e si mise accanto ad essa. Tra il marmo ed il muro c’era una quarantina di centimetri, in cui un ragazzino stava seduto, in silenzio, con gli occhi spalancati, i denti che battevano e le gambe trattenute a stento dalle braccia tremanti.
Aveva il volto imbrattato di sangue, che gocciolava dal mento e finiva sulla sua maglietta, un tempo bianca, ora rossa come tutto il resto.
“Hey... E tu che ci fai qui?” chiese dolcemente Marina, accovacciandosi.
“...” quello non rispondeva, stava in silenzio con gli occhi sbarrati, guardava dritto, come se la ragazza non esistesse.
“Piccolo...”. Marina si permise di allungare la mano e di girargli il volto delicatamente. Quello, dopo un’iniziale resistenza, cedette, e la guardò. Gli occhi azzurri erano pieni di lacrime; le labbra, il mento, tutto tremava per il pianto. “Io sono Marina... Come ti chiami?”.
“...Christopher...”.
“Ciao Christopher... Qui c’è un bel casino... Sai chi ha fatto tutto questo?”.
“I pirati...”.
“Pir-pirati! Gold!” urlò a bassa voce lei, come per non offendere la sacralità del posto.
“Che vuoi?!” rispose quello, nello stesso modo.
“Vieni qui!”.
Gold si avvicinò lentamente, i piedi sguazzavano nelle chiazze di sangue. Appena vide il ragazzino si spaventò. “Oddio!” urlò.
“Lui è Christopher”.
“Lui mi ha fatto morire e resuscitare, proprio adesso!”
“Ha detto che tutto questo è opera dei pirati!” sbraitò lei, per far terminare quello sproloquio.
“E scommetto che il loro Capitan Uncino è Xander... Dove sono i pirati, Christopher?”
Il ragazzino tremante si limitò ad alzare l’indice verso l’alto.
“Sono sopra” concluse Marina. Si alzò, carezzando la testa del piccolo. “Tu rimani qui. Gold, dobbiamo raggiungere la cima”.
“Non ci volevi tu per capirlo. Andiamo”.

Uscirono all’esterno dell’edificio, cominciando a salire verso l’alto: camminavano sotto la pioggia, attraversando zone in cui l’erba era parecchio alta. Le tombe erano ben disposte sul terreno, come fossero parte integrante di una scacchiera. Molte di queste erano segnate dal tempo, a malapena si riusciva a leggere il nome del defunto. Talune erano ricoperte da muschio verde e vivo, altre erano andate via via sgretolandosi, lasciando detriti e frammenti sulla lastra di copertura della bara. Vari Pokémon fluttuavano nell’aria fumosa che circolava lì attorno, la nebbia in quel punto pareva essere un effetto speciale di qualche scena horror.
Gold camminava davanti, vedeva nel grigio diffuso della foschia vari Duskull e Shuppet che si avvicinavano lentamente. La cosa non lo spaventava, sapeva che il sacchetto che teneva al petto aveva il potere di attirare gli spiriti.
Era un’occasione da sfruttare, Marina li catturò con pochi giri di Styler.
In quel momento nel buio trasparivano due figure scure, gli occhi dorati di Gold e quelli blu e rossi dei vari Pokémon e di Marina. Il Ranger seguiva Gold, il quale anticipava tutti, soldato in avanscoperta in quel luogo sconosciuto e impervio, a strapiombo sul mare. L’acqua cadeva su di loro impietosa, bagnando anche i cadaveri sporadici che di tanto in tanto si trovavano distesi sull’erba e sulle lapidi, trascinando il sangue dei loro corpi nei rivoli d’acqua che scendevano la montagna.

Altra esplosione.

I Pokémon Spettro che Marina aveva catturato con lo Styler si agitarono.
Poi delle voci soffuse.
“Sono vicini...” sussurrò Gold. Portò la mano alla sfera di Exbo e camminò lentamente avanti.
Due sagome scure si scontravano, diventavano una sola macchia nera sulla tela grigia della nebbia, si disunivano ancora.
Mano a mano che si avvicinavano sentivano le loro voci. Erano due uomini.
Urlavano, si sforzavano.
“Si stanno battendo...” disse Marina, a bassa voce. “Stiamo bassi”.
I ragazzi si abbassarono, nascondendosi dietro una lapide. L’erba alta nascondeva un Vulpix, impaurito dalla pioggia. Marina sospirò, e lo tirò a sé, aprendo la zip della giacchetta corta e facendolo entrare.
“È una femmina”.
Gold le lanciò un'occhiataccia. “Che diamine stai facendo?”.
“Sono un Ranger. Questo Vulpix è spaventato da quei due tipi e non può trovare un posto dove ripararsi dalla pioggia”.
“Stiamo per buttarci in una mischia, praticamente. Voleranno fiamme, pugni ed altro”.
“Fiamme?!”.
“A Exbo piacciono ben cotti...”.
“Non posso lasciarla qui. Va contro i miei principi... Avanti, è un cucciolo...”.
“Dannazione... Facciamo presto, effetto sorpresa”.
“Perfetto”. Marina portò le punte del pollice e dell’indice alla bocca e fischiò. “Staraptor! Scacciabruma!”
Le grida si bloccarono, le macchie nere indistinte che le producevano pure. Dall’alto apparve la sagoma di Staraptor che, dopo un forte grido, prese a sbattere le ali con veemenza, fino a scacciare la nebbia e a rivelare i due misteriosi duellanti.
Uno dei due era un pirata, sì, con bandana blu sul capo e maglia a righe. I pantaloni aderenti terminavano nei grossi stivaloni neri. Stringeva forte i pugni, dal suo naso fuoriusciva un filo di sangue.
Contro di lui però c’era un tizio che non aveva mai visto. Indossava un cappuccio in testa, bello ampio, quindi non riusciva a decifrarne i lineamenti se non per quel naso lungo e le labbra pronunciate. La felpa che indossava era nera e stretta, con una grossa M rubiconda, proprio sul petto.
“Voi del Team Idro dovete essere fermati!” urlava quello, la voce compressa per lo sforzo, mentre cercava di colpire con un potente pugno l’avversario, distratto dall’apparizione di Staraptor.
“Exbo, usa Attacco Rapido!” esclamò poi Gold, rivelandosi e puntando il dito contro il pirata.
Typhlosion uscì dalla sua sfera e rilasciò una grande fiammata, diretta proprio contro l’avversario in blu.
Quello fu distratto dal Pokémon, e fu colpito duramente al volto dall’avversario.
“Fermo, Exbo!” urlò il giovane. Vedeva sorridere l’uomo con la M rossa sulla divisa.
“Bravissimo, ragazzo. Ti ha mandato Igor?”
“Non so chi diamine sia Igor... Devo distruggere i pirati e Xander!”
“Ottima idea”.
“Andiamo insieme allora! Come ti chiami?”
“Facciamo che te lo dico dopo...” fece quello, camminando velocemente.
Gold fece rientrare Typhlosion nella sfera e prese a camminare lentamente dietro il tipo che aveva appena conosciuto. Stavano bassi, camminavano silenziosi, seguiti qualche metro dopo da Marina, che manteneva il suo Vulpix tra i seni piccoli con la mano destra.
“Stai basso...” fece lo sconosciuto con un gesto della mano.
Nascosti da alti ciuffi d’erba bagnata, i tre assistettero ad uno scontro alquanto singolare: due donne, molto belle, con le stesse divise dei due che si malmenavano prima, stavano tenendo una battaglia.
Gold spalancò gli occhi quando riconobbe Christine, l’Idrotenente che l’aveva quasi condotto alla morte. Un brivido percorse la sua schiena per l’intera lunghezza, costringendolo a chiudere gli occhi e a ricordare la brutalità di quei momenti in cui la sua anima stava combattendo per il dominio del suo corpo contro lo spirito maledetto di qualcun altro.
Sembrava essere parecchio a proprio agio sotto la pioggia battente, i capelli biondi erano bagnati come se fosse appena uscita da una piscina. Gli occhi azzurri risaltavano nel grigiore più che totale di quella giornata che definirla uggiosa era poco.
La sfera che aveva in mano era con ogni probabilità quella del Sableye che aveva davanti. Il Pokémon guardava affascinato l’avversario che aveva di fronte, un Medicham pronto ad attaccare.
La sua allenatrice aveva la stessa divisa del tizio con la M rossa.
A lei sta decisamente meglio, pensò Gold, sorridendo.
Già, perché fisicamente quella ragazza era fantastica. Gambe lunghe erano fasciate da pantaloni neri, aderenti e terminavano in un paio di stivali di pelle nera.
“Ci incontriamo di nuovo, Christine” sorrise quest’ultima. Il suo volto era tirato per lo stress ma la determinazione nei suoi occhi la teneva viva nonostante quella pioggia volesse spegnere ogni cosa. Il suo sorriso era sicuro, anche le sue labbra risaltavano rubre nel grigiore di quella giornata maledetta.
“Zoe... Finiamola di incontrarci sempre in queste situazioni spiacevoli...”.
“Già. Sotto la pioggia mi si arricciano i capelli, poi”.
“Mi sa che il problema non si porrà... Te li straccio tutti e risolviamo, che ne dici?”
“Hai già assaggiato un mio calcio dritto in faccia. Ne vuoi ancora?”
“Sableye, Sgomento!”
Il Pokémon Spettro sparì.
“Medicham, attento! Individua!”
“Ora!” esclamò Christine, quasi contemporaneamente.
Sableye apparì all’improvviso davanti al volto di Medicham che però rimase concentrato ed in totale silenzio.
“Non ha funzionato, vero? Beh, ci rifaremo, caro Sableye! Magari lanciando una bella maledizione contro l’allenatrice di quel patetico Medicham...”.
Gold spalancò gli occhi e strinse forte pugni e denti. Marina mise una mano sulla spalla del ragazzo, che si voltò e la guardò negli occhi.
Un semplice assenso, un cenno del capo, a far capire che stesse bene; tanto bastò per tranquillizzare la ragazza.
Tuttavia Gold ribolliva in un brodo di rabbia ed acqua piovana che poco aveva a che fare con i suoi sapori insiti. Poco ci mancava infatti che quello si alzasse e colpisse quella strega.
“Medicham, forza, usa Tuonopugno!”.
Il Pokémon caricò indietro il braccio, che si riempì di scintille, immerso in una luce giallastra d'energia, quindi lo scaricò dritto sul volto di Sableye, che ruzzolò parecchi metri indietro. Il suo corpo fu percorso da un brivido, quindi il Pokémon produsse un lamentio sinistro e continuato.
“È stato paralizzato!” esclamò soddisfatta il Magmatenente. “Ora terminiamolo con un attacco Tuono!” esclamò quella, puntando Christine con l'indice.
L'attacco fu bastevole per mettere fuori combattimento il malcapitato Pokémon Spettro. Christine digrignò i denti e vide Zoe, ancora con l'indice puntato verso di lei, mimare il gesto di uno sparo di pistola, abbassando il pollice.
“Fuori gioco, mia cara. Per quanto ti possa piacere l'idea di lanciarmi maledizioni o simili ti devi accontentare di questo!” esclamò la bella ragazza dai capelli scuri, sorridente, tendendo al ghigno.
“Questo è solo l'ennesimo atto della nostra tragedia. Cioè, della tua tragedia” sorrise sorniona Christine, facendo rientrare nella sfera il suo Pokémon.
Gold vide l'uomo con la M sul petto fare cenno di avanzare; i tre si alzarono, scoprendo la propria posizione.
Le due si voltarono repentine per scrutare gli avventori, tuttavia solo sul volto di Zoe comparve un po' di sollievo, misto a curiosità per via di quei due sconosciuti.
Christine invece li aveva riconosciuti, e guardava con occhi spalancati gli avventori.
“Che c'è?! Ti ricordi di me?!” urlò Gold, avvicinandosi minaccioso. La ragazza sembrava paralizzata dalla sua visione. Tutto si aspettava tranne di rivedere quel ragazzo.
“Come... come hai fatto?!”.
“Come ho fatto?!” urlò lui a due metri da lei, continuando a camminare con foga. Si avvicinava minaccioso, con furia i suoi passi atterravano nell'erba bagnata.
La bionda leccò via una goccia di pioggia dalle labbra, mentre gli enormi occhi azzurri si perdevano in quel tripudio di fiamme dorate che si avvicinava maestoso.
Gold strinse i denti, poi l'afferrò per il colletto della divisa e la tirò a sé, così vicina al suo viso che quasi poteva sentire il calore del suo alito. L'impeto e la forza del ragazzo costrinse Christine ad alzarsi sulle punte, ad avvicinare il suo corpo a quello dell'aggressore. Con una mano spinse leggermente sul petto di quello, per lasciare qualche centimetro.
“Tu! Lurida troia! Cosa mi hai fatto?!” gli urlò con fervore quello. Zoe guardò la scena stranita, sicuro che quello avrebbe malmenato la sua nemesi. Al contrario Marina sperava di non assistere ad una scena simile: un uomo che picchia una donna non ha più la facoltà di essere definito come tale.
“I-io...”
“Parla! Dannazione a te!”. Tirò con ancor più forza la ragazza verso l'alto che quasi le punte dei suoi piedi lasciarono il terreno, per poi sbatterla con rabbia lontano.
Quella atterrò sui suoi piedi per poi indietreggiare velocemente ed inciampare nell'erba bagnata.
Gold le si avvicinò ancora, stavolta rimanendo ad un metro da lei. Infilò le mani nel maglione e tirò fuori il sacchetto datogli da Ester.
“Dentro di me ho il male adesso! E questo sacchetto mi sta dando la morte!”
Christine continuava a farfugliare.
Fu solo l'ennesima esplosione che costrinse Gold e gli altri a voltarsi verso nord: la cima era a pochi metri, e tutto preannunciava che quelle esplosioni erano solo gli effetti di una sanguinosissima battaglia.

 
 

 

   
 
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