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Autore: PurpleStarDream    28/10/2014    2 recensioni
Dedicata al compleanno di Naima Dahmer.
Steve Rogers ha appena cominciato il suo internato allo Shield Asylum, quando attrae le attenzioni del più complicato e pericoloso dei suoi pazienti: Tony Stark.
Assegnato al suo caso, Steve sembra riuscire a convincere questo enigmatico supercriminale ad aprire la sua mente e il suo cuore come nessuno prima di lui era mai riuscito a fare. Il biondo inizia addirittura a convincersi che Tony, dopotutto, non sia quel pazzo criminale che tutti dipingono, non dopo tutti i momenti speciali condivisi con lui.
Ma nulla è quello che sembra, e presto le loro azioni avranno per entrambi delle conseguenze insapettate.
Parodia di un particolare episodio di Batman.
Note: AU Dystopia/ Villain Tony.
Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Super Psycho Love 

 

 

 

Dedicata a Naima Dahmer per il suo compleanno, cento di questi giorni!

 

 

 

Quando il gioco si fa strano,
gli strani diventano professionisti.

Dr. Hunter S. Thompson

 

 

Steve Rogers diede un ultimo sguardo allo specchio. Si lisciò i capelli biondi ordinatamente pettinati, catturando una fastidiosa ciocca ribelle in un ciuffo vagamente retrò che esagerava la sua aria da ragazzo perbene. Si aggiustò sul naso gli occhiali dalla montatura nera integrale. Non che ne avesse veramente bisogno, se non per distinguere meglio le lettere quando leggeva, ma trovava che gli donassero un’aria più professionale. Strinse il nodo della cravatta fino a sentirne la dolce pressione sul collo, e si lisciò il bavero del camice immacolato.

Non riusciva a credere di essere lì, nel luogo che era il sogno di qualunque psichiatra, con il suo ufficio personale e i primi veri incarichi che avrebbe seguito senza la supervisione di un professore.

Uscì dalla sala d’ingresso del personale e si diresse lungo un corridoio dalle pareti verde chiaro, profumato di antisettico, un odore pulito e igienico che gli faceva girare piacevolmente la testa. L’eco dei suoi passi risuonava contro le pareti spoglie come il battito del suo cuore eccitato, mentre lui stringeva al petto una cartellina con i dati dei suoi primi pazienti.

Alla fine del corridoio lo attendeva un altro dottore, più grande di lui, ma sempre nel fiore degli anni, con capelli biondi lunghi, raccolti in una coda di cavallo e sorridenti occhi color ghiaccio.

-Dottor Steven Rogers, se non mi sbaglio- disse l’uomo, allungando la mano.

Steve staccò un braccio dalla cartellina con fare imbarazzato, e lo tese per stringergliela.

-Dottor Odinson, giusto? Che piacere! Per favore, mi chiami pure Steve, lo fanno tutti- sorrise.

-Solo se tu mi chiami Thor. Dopotutto ormai siamo colleghi, e credo che diventeremo ottimi amici- ribatté affabilmente l’altro medico. 

Steve si illuminò in viso. A quanto pareva il suo nuovo compagno di lavoro era un tipo molto simpatico e alla mano, si sarebbe trovato bene lì.

-Se vuoi seguirmi- disse Thor, posando la mano sopra la maniglia di una porta e invitandolo a seguirlo.

Il ragazzo riusciva a stento a trattenere l’esaltazione: il suo primo vero lavoro, il sogno di tutta la sua vita, stava dietro quella porta.

Appena varcarono la soglia si trovarono in un corridoio molto più ampio, ma vagamente più tetro. Le zone più illuminate erano i lati, dove facevano bella mostra di sé due file di celle chiuse, anziché da sbarre, da spesse lastre di vetro con una serratura magnetica. Al loro interno le luci proiettavano nel corridoio ombre in perenne movimento, dando l’impressione che il pavimento fosse un’entità viva.

-Queste vengono chiamate “Gli Acquari”, immagino tu capisca perché- spiegò il dottor Odinson abbracciando l’ambiente con un gesto della mano. –I pazienti vengono fatti uscire ad orari prestabiliti e accompagnati alle sedute con i loro medici o alle aree comuni dalle guardie. Tu avrai la tua chiave magnetica per aprire le celle, anche se ti consiglio di non farlo mai da solo. Attraverso il vetro possono sentirti, ma se hai bisogno di un contatto, come dire, più ravvicinato, chiedi pure alle guardie, sono a tua disposizione.-

Attraversando il corridoio, Steve non poté resistere alla tentazione di dare una sbirciatina all’interno delle celle. Ognuna aveva una branda, un wc e un lavandino. E un occupante.

Osservò un uomo dai capelli scuri, sparsi in morbide onde disordinate, seduto sulla sua branda con le gambe strette al petto e il mento sulle ginocchia. I suoi occhi marroni avrebbero potuto essere caldi, ma li guardavano passare da dietro le lenti di un paio di vecchi occhiali con un’aria morta e vendicativa che fece correre un brivido lungo la schiena di Steve. Appena incrociò il suo sguardo azzurro, l’uomo tuffò la testa dietro le sue gambe piegate, chiudendosi come un riccio con la divisa arancione dell’ospedale penitenziario.

Prima che Steve potesse registrare la sua reazione, sentì un grosso tonfo provenire dalla cella vicina, e saltò istintivamente al centro del corridoio. Un paziente si era appena scagliato contro il vetro, facendolo vibrare. Con il cuore in gola Steve guardò quella figura scheletrica, che abbracciava la lastra come un insetto catturato a grande velocità dal parabrezza di un’auto in corsa. Era un giovane uomo dai capelli corvini, lunghi fino alle spalle, il cui colore contrastava in maniera surreale con il lividore della sua carnagione. Aveva la faccia premuta contro il vetro, contorta in un ghigno che mostrava i denti e gli occhi verdi brillanti di follia. Parlò con una voce bassa, fremente di emozioni nere che appannavano il vetro: -Odinson! Fai vedere le bestie in gabbia a questo ragazzino? Devo mettermi in posa per il nostro piccolo ospite?-

Steve fissava quegli occhi pallidi che saettavano dappertutto, come se volessero impedirgli la fuga, e fu veramente grato di avere tenuto i suoi occhiali: si sentiva più al sicuro da quello sguardo con un’ulteriore barriera a proteggerlo.

Thor assunse un’espressione seccata, e sbuffò. –Loki, questo è il dottor Rogers, e da oggi lavorerà qui. Gradirei che non cercassi di spaventarlo durante il suo primo giorno.-

Le sopracciglia del ragazzo, Loki, si sollevarono esageratamente fingendo sorpresa. –Un nuovo psichiatra?!-

Poi le sue palpebre si socchiusero seducenti, e le sue unghie ticchettarono sulla parete trasparente.

-Lo sento. Tu hai cuore, e scommetto che è delizioso.- Leccò il vetro lasciandosi dietro una scintillante scia di saliva, senza staccare gli occhi dai suoi, e Steve si sentì improvvisamente molto sporco. –Oh, dottor Rogers, dammi cinque minuti con te!-

Steve non riusciva a muoversi, così Thor lo prese per un braccio e lo trascinò via.

Quando furono abbastanza lontani ripresero la conversazione.

-Non ti preoccupare, Loki Laufeyson fa sempre così, gode nel mettere a disagio le persone. Quello che tu devi fare è ignorarlo; del resto è un mio paziente, tu ti occuperai di altri.-

Steve non era ancora riuscito a ritrovare le parole. Per la prima volta si chiese se avesse fatto bene a fare domanda per quel posto. Thor si accorse del disagio del ragazzo, e gli mise una mano sulla spalla, sorridendo.

-Sai, ti ho appena conosciuto, ma è facile inquadrarti. Mi sorprende che un tipo come te abbia deciso di fare l’internato proprio qui allo Shield, il più grande manicomio criminale dello stato. Se vuoi fare carriera scrivendo un libro su qualche paziente sono costretto a scoraggiarti: questi tipi ti mangeranno a colazione.-

Il biondino si risistemò gli occhiali in un gesto autoprotettivo, stringendosi nelle spalle.

-Beh, vedi… In verità ho scelto questo posto proprio perché presenta i casi più stimolanti che ci siano, e poi… vorrei aiutare davvero queste persone a stare meglio. Sono fermamente convinto che nessuno sia irrecuperabile, basta solo un po’ di impegno.-

Thor fece un fischio.

-Accidenti! Un giovane psichiatra in erba e con tendenze da boyscout per giunta.- Steve non si sentì offeso, il tono di Odinson era giocoso e amichevole. –Mi piace la tua buona volontà, Steve, ma questi sono psicopatici gravi, alcuni di loro si sono guadagnati il titolo di supercriminali a causa delle loro doti straordinarie e della loro altrettanto straordinaria patologia mentale. Pensa che qualcuno girava persino in maschera e costume, prima di essere catturato. Ti consiglio di non sperare troppo in un loro eventuale recupero.-

Steve citò una sua convinzione personale, tratta da uno dei suoi testi preferiti di psichiatria. –Una volta scavato in profondità e trovata la radice del problema la si può estirpare e preparare il terreno per ospitare una vita migliore.-

Thor rise di nuovo.

-Mi piaci, Steve, mi piaci davvero. Spero che ti soddisfi lavorare qui. Adesso però vieni, che ti presento il tuo primo paziente. Si tratta di un caso piuttosto difficile, e ti confesso che l’hanno assegnato a te perché sei l’ultimo arrivato, e il nostro ospite ha già esaurito le scorte di pazienza e resistenza di tutti gli altri medici.-

Mentre camminavano, il dottor Odinson continuava a spiegare.

-Stark Anthony Edward, il nome dovrebbe dirti qualcosa.-

Eccome, pensò Steve: Anthony Stark, giovane produttore di armi e ricco industriale, recentemente venuto allo scoperto come il supercriminale Iron Man e consegnato alla giustizia dopo una difficile battaglia con le forze dell’ordine. Tutti i suoi beni sono stati sequestrati e attualmente è sotto la custodia dello Shield. Non pensava che proprio quest’uomo sarebbe stato il suo primo paziente: era elettrizzato.

-Genitori deceduti,- continuò Thor, -E’ stato cresciuto da un tutore che gli ha praticamente fatto da padre, e che è stato anche la sua prima vittima. Dopodiché si è occupato di altri personaggi, tra cui gli industriali Aldrich Killian e Justin Hammer, e dello scienziato Ivan Vanko. E’ un genio dell’ingegneria meccanica, si è costruito un’armatura di metallo che lo potenzia fisicamente, e che nessuno a parte lui può usare. E’ stata sequestrata, ma gli studi per comprenderne il funzionamento sono stati inutili: nessuno riesce a capire come venga azionata. Pare che con quella abbia anche commesso una serie di omicidi all’estero, fuori dalla giurisdizione degli Stati Uniti.-

-Il suo stato mentale?- domandò Steve, facendo del suo meglio per apparire professionale.

-Tendenze narcisistiche e sociopatiche, direi con tratti borderline. Ha una necessità patologica di mantenere il controllo della situazione, o almeno convincersi di averlo. Certe volte alterna episodi psicotici a stati di assoluta depressione. L’hanno visto in molti, e non siamo ancora riusciti a fare un quadro completo, ma sembra proprio che, se nomini un disturbo della personalità, lui ce l’abbia. Ti consiglio di fare attenzione: è un abile manipolatore, estremamente intelligente. Non farlo mai avvicinare a oggetti elettronici di nessun tipo; una volta ha smontato una radio e costruito una chiave per bypassare la serratura magnetica delle celle: ha ferito gravemente una guardia, prima di essere sedato.-

Steve trattenne a stento un sospiro di sorpresa. Possibile che quell’uomo fosse davvero così disturbato come il suo collega voleva fargli intendere?

-E’ sottoposto a cura farmacologica?-

-Ti darò una lista delle sue medicine. Ma eccoci arrivati.-

Si fermarono davanti ad una delle celle, e Steve sbirciò all’interno. Sdraiato sulla branda, con le braccia dietro la testa e le gambe accavallate, nella sua uniforme arancione, stava un giovane uomo con corti capelli color caffè, disordinati in un modo che sembrava quasi studiato. Gli davano un’aria di distratta eleganza mentre guardava il soffitto e dondolava una gamba ondeggiando la testa e muovendo le labbra come se stesse canticchiando, senza che nessun suono riuscisse a venirne fuori.

-Signor Stark, ti presento il dottor Steven Rogers, il tuo nuovo medico curante- esordì Thor, senza avvertire l’uomo della loro presenza.

Lui voltò la testa, e Steve si ritrovò immerso nei più begli occhi che avesse mai visto: due cerchi d’ambra venati di pagliuzze scure e adagiati in un letto di ciglia foltissime e quasi femminee, che gli sorridevano ammiccando in modo seducente.

Stark stirò le labbra sottili in un sorriso benevolo, e fu come se i suoi occhi avessero ricevuto l’ordine di illuminarsi. Se prima con Loki Steve si era sentito violato, adesso si riscoprì a provare un insolito calore al viso.

-Piacere signor Stark. Spero di essere all’altezza del mio compito e apportarle l’aiuto che le serve- disse, ignorando la secchezza nella sua bocca e allungando d’istinto una mano prima di accorgersi che a separarli c’era un vetro, e ritirandola timidamente.

Il paziente se la prese comoda, sedendosi sulla branda come se andasse al rallentatore, con l’intento di farsi osservare.

-Tony, la prego. Non mi piacciono le formalità, e visto che tra poco diventerà la persona a cui confesserò tutti i miei più intimi segreti vorrei subito mettere in chiaro questo punto.-

A Steve non sfuggì il momento in cui, alla parola “intimi”, gli occhi di Tony si erano scuriti. Voltò per un attimo la testa per vedere se Thor lo aveva notato, ma l’altro non dava segni di avere colto messaggi subliminali, e pensò di essersi sbagliato.

-Comportati bene con lui, signor Stark. Stiamo esaurendo le nostre scorte di psichiatri con te- avvertì Thor con tono paterno. Poi prese Steve e lo condusse via. –Il tuo primo appuntamento con lui sarà subito dopo pranzo. Fidati, ti farà bene mettere qualcosa sotto i denti prima di affrontare questo paziente.-

-Grazie, ma… Non sembra davvero così pericoloso come mi hai descritto- disse Steve, considerando seriamente il caso.

Thor rafforzò la presa sul suo braccio. –Non farti ingannare da lui, Steve. Finora nessuno è riuscito a cavargli la verità sulla sua situazione. Non collabora con i medici e non vuole guarire dalla sua condizione: questi casi sono i peggiori. Mi dispiace che ti abbiano rifilato una simile grana, ma dagli amministratori dovevo aspettarmelo. Non prendertela se non risolverai niente con lui.-

 

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Dopo la pausa pranzo, Steve andò nel suo ufficio per prendere alcuni documenti e ripassare il caso di Anthony Stark. Appena aprì la porta si accorse di un vasetto di porcellana sulla sua scrivania che prima non c’era, e che di sicuro non aveva messo lui. Conteneva una piccola rosa in boccio, con un biglietto legato allo stelo. Steve lo voltò e lesse, scritto a mano con una calligrafia elegante:

 

Vieni a trovarmi qualche volta.
T.S.

 

Non riuscì a descrivere il miscuglio di sentimenti che gli si agitarono dentro come un mare in tempesta dopo aver letto quelle parole. Una parte di lui si sentì intimorita dal fatto che un noto psicopatico gli lasciasse regalini in ufficio, un’altra parte però non poté fare a meno di sentirsi vergognosamente lusingata.

Tra le due fece da paciere la professionalità. Scese subito agli acquari e si fermò davanti alla cella di Tony. Lo trovò nella stessa identica posizione in cui lo aveva lasciato prima di pranzo, come se non si fosse mai mosso. Picchiò sul vetro delicatamente, con la mano che stringeva il biglietto.

-Posso sapere come è arrivato questo nel mio ufficio?- domandò, in tono calmo.

Tony, senza guardarlo, gli rispose con un sorriso soddisfatto. –Ce l’ho messo personalmente.-

Steve si mise le mani sui fianchi.

-Sai Tony, non credo che alle guardie e ai miei colleghi farebbe piacere sapere che te ne vai in giro senza la loro supervisione.-

Tony si alzò, e camminò verso la parete di vetro con un’andatura flessuosa e sicura. Non era molto alto, ma il suo fisico appariva perfettamente proporzionato, notò Steve. Da vicino poi, il suo viso non solo lo colpiva, lo catturava.

-Oh, è talmente facile eludere la sorveglianza di gente così ottusa. E poi, tu non glielo dirai, vero?- disse in un tono tutto miele, poggiando la fronte sulla parete trasparente e specchiandosi negli occhiali di Steve.

Il biondo arrossì. –Non lasciare più cose nel mio ufficio, Tony. Io e te siamo qui per parlare della tua malattia, mi dispiacerebbe essere sollevato da questo incarico se permetto continue violazioni alle regole.-

Stark fece un sorriso da Stregatto che gli riempì tutta la faccia. –Tu sei diverso dagli altri medici, sai Steve? Posso chiamarti Steve, vero?-

Il giovane medico sorvolò sul fatto che gli aveva già dato del tu in precedenza, ed evitò di correggerlo. Si disse che forse, un rapporto meno formale avrebbe aiutato il suo paziente ad aprirsi con lui. Scosse la testa per comunicargli che non gli dispiaceva.

-Nessuno si era mai rivolto a me in modo così educato. Sembri onesto e corretto, e se ti togliessi quegli occhiali saresti anche molto più affascinante. Assomigli proprio a Capitan America, te l’ha mai detto nessuno?-

-L’eroe dei fumetti?- domandò Steve. Tony annuì.

-Mmh, mmh. Sei qui da poco, ma nei tuoi occhi si vede il temperamento dell’eroe. Vuoi essere il mio eroe, Steve? Sento che con te potrei parlare di tutto quello che mi fa stare male.-

Il suo viso aveva assunto un’espressione più seria, e Steve sentì un’ondata di trionfo scuotergli il cuore. Se avesse giocato bene le sue carte probabilmente sarebbe riuscito dove molti altri psichiatri più esperti di lui avevano fallito, e nel contempo avrebbe aiutato quel ragazzo a rifarsi una vita. Guardandolo pensò che i medici che lo avevano esaminato prima dovevano avere preso una grossa cantonata: non riusciva a credere che fosse un pazzo omicida a sangue freddo, non con quegli occhi così dolci e con quelle parole che lo cullavano come musica per le sue orecchie.

 

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-Avevo solo cinque anni quando mio padre si presentò ubriaco in camera mia per la prima volta- disse Tony, sdraiato sul lettino nell’ufficio di Steve, un’espressione di puro dolore dipinta sul viso.

-Sai, quando lui beveva diventava violento. Mamma era solita essere la sua vittima preferita quando aveva voglia di alzare le mani, in più sensi di uno; io cercavo sempre di nascondermi, negli armadi, negli sgabuzzini, in camera mia… Me ne andavo sempre, così un giorno decise di farlo anche lei.-

Steve prendeva appunti diligentemente, senza lasciarsi sfuggire una sillaba.

-Non che avesse mai preso la decisione di lasciarlo seriamente. Eravamo la famiglia più ricca e più in vista di New York, nessuno sapeva di quello che succedeva dietro le porte chiuse, potresti solo immaginare lo scandalo… E quindi mia madre, quando non ne poteva più delle botte prendeva le chiavi dell’auto e scappava di casa per un po’. Io rimanevo solo. Ero un bambino prodigio che amava costruire oggetti elettronici, era il mio unico conforto, e quello facevo quando i miei litigavano; ero sempre nascosto da qualche parte a inventare. Così quella volta, quando mia madre scappò per l’ennesima volta, mio padre venne in camera mia. Non l’avevo mai visto così stralunato, non sembrava in sé; aveva uno sguardo che mi faceva talmente paura che cercai di scappare, ma quando tentai di passargli accanto mi afferrò per un braccio e mi gettò sul letto. E poi… e poi…-

Steve aveva il cuore in gola, e stringeva spasmodicamente la penna aspettando un seguito che non arrivò mai, soffocato dai singhiozzi del suo paziente, che con le mani sul viso schiacciava le lacrime calde che gli uscivano dagli occhi.

-Scusa… Non ce la faccio a dirlo, Steve.-

Il biondo lasciò cadere il blocco e la penna, e gli prese la mano, stringendola. –Va tutto bene, Tony. Abbiamo tempo, non devi rivangare per forza questi ricordi dolorosi tutti in una volta. Prenditi tutto lo spazio che ti serve.-

-Forse è per questo che sono così promiscuo quando si tratta di sesso; se solo tu sapessi tutte le cose che ho fatto… Mi fa schifo, ma non posso farne a meno. E’ dannoso come una droga e mi fa male, ma mi permette di portare la mente altrove, come se potessi anestetizzarla con il dolore. Sono orribile, vero?-

-No, certo che no. Non è colpa tua, alcune persone semplicemente reagiscono così.-

Tony alzò una mano umida di lacrime e gli tolse gli occhiali. Steve lo lasciò fare.

-Mi piace guardare i tuoi occhi, sono così blu, così dolci… Lo sguardo di mio padre è sempre stato pieno di disapprovazione, non sai quanto mi rassicuri vedere i tuoi occhi così onesti che mi guardano. E’ meglio senza barriere tra me e loro, mi fa sentire bene.-  

Steve sorrise con calore. –Credo che oggi abbiamo fatto dei grandissimi passi avanti, ed è solo la nostra prima seduta. Vorrei tanto continuare, Tony, ma ho altri pazienti, e dovremmo vederci domani.-

Tony si asciugò gli occhi e si alzò dal lettino.

-Non vedo l’ora di parlare di nuovo con te.-

Anche Steve lo voleva, e quando vide Tony andare via prese la decisione di non indossare più gli occhiali al lavoro, se serviva a mettere più a suo agio il suo paziente.

Non si era neppure accorto che il moro, dopo averglieli sfilati, li aveva presi e portati via.

 

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-Sai, nonostante tutto non odio mio padre, anzi, gli ho sempre voluto bene. Volevo renderlo orgoglioso di me, volevo disperatamente attirare la sua attenzione sulle mie qualità, e passare del tempo insieme, come una vera famiglia- raccontò Tony, mentre Steve scriveva.

-Ma lui era sempre freddo, distante, severo… Solo una volta l’ho visto veramente felice, quando mi ha portato con sé ad un convegno scientifico, e abbiamo visto tutte le innovazioni tecnologiche presentate dagli scienziati che vi partecipavano. Oh, non ho mai visto papà così entusiasta, aveva lo sguardo di un bambino ogni volta che i suoi occhi si posavano su un’invenzione. Una volta a casa mi sono detto “Voglio rivedere quell’espressione mentre guarda me”, così ho preso il suo televisore personale, quello che teneva nello studio. L’ho smontato pezzo per pezzo e ne ho fatto un piccolo computer.-

-Tutto questo a nove anni, Tony?- domandò Steve, allegramente stupito. –E’ sorprendente!-

-Vero?- rise Tony, come se stesse ricordando una cosa molto bella. –Lo feci vedere a papà, ero così esaltato da ciò che avevo fatto che mi misi a correre per il soggiorno con la mia invenzione in mano, girando come una trottola da tutte le parti.-

Saltò in piedi e aprì le braccia per mimare un ragazzino esagitato. Steve scoppiò a ridere, come se stesse ascoltando lo scherzo di un vecchio amico.

-E lui mi ruppe il setto nasale- concluse Tony, tornando serio come se un interruttore appena premuto gli avesse spento l’allegria. Per Steve fu come ricevere una pugnalata al cuore.

-Davvero?!-

Tony scrollò le spalle. –Che ci vuoi fare, noi geni incompresi riceviamo aspre critiche, ormai non me la prendo neanche più.-

Il biondino sembrava davvero mortificato. –Tony, mi dispiace così tanto.-

-Non devi. Quello che è stato è stato, ormai. Eppure, nonostante tutto, quando i miei sono morti mi sono sentito molto triste. Non avevo nessun amico, sono stato educato a casa da un tutore privato, e anche se i miei non erano i genitori migliori del mondo…-

-Un’attenzione malata era meglio di nessuna attenzione- concluse Steve per lui.

-Esattamente. Poi dopo la loro morte sono stato cresciuto da un buon amico di mio padre, Obadiah Stane. Sembrava così gentile…-

Steve scriveva, e intanto lo guardava, sperando di non dover sentire quello che temeva.

-Non potevo immaginare che avesse anche i suoi stessi vizi.-

L’espressione del giovane medico si ruppe. Lottò contro il desiderio di mollare penna e taccuino e correre ad abbracciarlo. –Mio Dio…- 

-Oh, Steve, non le ho mai dette a nessuno queste cose- confessò Tony tra le lacrime.

-Tranquillo, Tony. Continua solo se te la senti.-

-Per anni non ho mai fatto nulla, l’ho sempre assecondato. Ma dopo che sono stato rapito in Afghanistan e sono riuscito a scappare l’ho rivisto e… Non lo so, mi è tornato tutto in testa in un colpo solo. Non volevo ucciderlo, solo… Non ci ho visto più.-

Steve scrisse. Più il suo block-notes si riempiva più lui si convinceva che Tony era semplicemente una mente troppo brillante per gli altri, un ragazzo estremamente dotato ma traviato dalla vita e da esperienze a dir poco traumatiche che avrebbero spezzato la volontà di chiunque. Non si stupiva che fosse finito lì.

Ripassò con lo sguardo le parole:

Abusi infantili

Padre alcolista

Madre assente

Violenza

Stress Post Traumatico

Certe volte i suoi vicini di cella si lamentavano che Tony gridava nel sonno. Curiosamente di questo il ragazzo non volle mai parlare, si limitava a fissare Steve con gli occhi così vuoti che il biondo aveva preso ad odiare. Nello sguardo di Tony avrebbe dovuto esserci solo vita, così smise di tirare in ballo l’argomento dei suoi terrori notturni.

In più, non lo avrebbe mai ammesso, ma gli piaceva passare del tempo con Tony, molto più che con i suoi colleghi, molto più che con gli altri pazienti. Era brillante, intelligente, arguto. I regalini lasciati nel suo ufficio non avevano fatto altro che aumentare, tutte piccole cose che potevano essere trovate qua e là nell’ospedale psichiatrico, ma a cui il biglietto scritto a mano da Tony dava un valore speciale.

Era anche l’unico paziente che non aveva cercato di aggredirlo, quando tutti gli altri, almeno una volta, ci avevano provato.

Steve era sempre più convinto che la sua situazione fosse tutta un malinteso. Non che Tony non avesse problemi mentali, ma le sue azioni erano giustificate, in fondo. Avrebbe voluto proteggerlo, essere lì per lui in ogni momento. Complice la grande intimità che sentiva di condividere con il suo paziente, si era ritrovato persino a fare certi pensieri poco casti, mentre lo vedeva intento a mostrargli la parte più intima di sé sdraiato su quel lettino.

Quando capitava, il biondo abbassava lo sguardo, sentendosi colpevole. I suoi sentimenti erano puri e sinceri, ma non sapeva se anche Tony l’avrebbe pensata allo stesso modo. Non voleva essere uno di quei medici che si approfittano dei poveri pazzi sotto la loro responsabilità.

Uno di quei pensieri l’aveva attraversato proprio adesso, facendolo arrossire e chiudere gli occhi dalla vergogna.

Li riaprì di scatto quando sentì una pressione calda su entrambe le cosce.

Tony ai era inginocchiato davanti a lui, e lo guardava dal basso tenendogli le mani sulle gambe, accarezzando la stoffa dei suoi pantaloni in lenti e pesanti cerchi, che ad ogni giro gli allargavano un po’ le gambe. Le sue pupille erano esplose affogando l’iride, e la sua lingua saettava sulle labbra inumidendole di una scintillante scia di saliva. Steve deglutì, solo per scoprire di avere in gola un nodo di cui non riusciva a liberarsi.

-Probabilmente non te ne rendi conto, Steve, ma tu sei davvero speciale. Fai così tanto per me… lasciami fare qualcosa per te.-

Le sue mani salirono lungo le cosce del biondo e arrivarono alla sua vita, sfilandogli la cintura.

-Tony… no… Non dobbiamo, non è corretto nei tuoi confronti…- balbettò Steve, non riuscendo però a muovere altro se non la bocca.

L’altro lo guardò con occhi liquidi e affamati.

-Tu mi vuoi, dottore.-

Allungò una mano per afferrargli la cravatta.

-Quando è stata l’ultima volta che hai sciolto questo nodo?- sussurrò Tony sensuale, la bocca che soffiava una calda eccitazione sulle labbra rosa di Steve. –Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa di proibito, qualcosa di folle?- Gli leccò le labbra, e Steve lo lasciò fare, sospirando con gli occhi chiusi. Tony spostò la sua lingua sulla guancia del ragazzo, arrivando a bisbigliargli all’orecchio.

-Tu non sei il perfetto soldatino dello Shield che ti sforzi tanto di essere. So che dentro di te c’è una disperata voglia di ribellione, una voglia pazza di sentirti libero da tutte queste assurde costrizioni, dalle convenzioni sociali che ti mettono questo palo nella schiena. So che vuoi sapere quanto è bello desiderare una cosa e prendersela, solo perché lo vuoi, solo perché ne hai voglia… E consumarla fino a bruciare in un piacere che ti lascia esausto e che nulla, nella regolare società dei sani, potrà darti.-

Gli leccò l’orecchio, mordicchiandone il lobo. Una delle sue mani scivolò sul cavallo dei pantaloni dell’uomo di fronte a lui, accarezzando un’eccitazione crescente e solida che si gonfiava di sangue e di pensieri lascivi, e qualcosa nel cervello di Steve fece cortocircuito. La sua mano scattò rapida e afferrò i capelli di Tony, tirandogli violentemente indietro la testa e catturando la sua bocca in un bacio affamato, tutto denti e lingua e saliva. Le labbra strusciavano le une sulle altre infiammandosi, e i denti battevano e mordevano fino a fare male, ma Steve sentiva che di quel bacio avrebbe potuto morire.

Circondò la vita di Tony con un braccio e si alzò, sollevando il suo paziente di peso e sbattendolo sul lettino su cui tante volte l’aveva ammirato.

-Sei un ragazzo davvero, davvero cattivo, Stevie- ansimò Tony, con le labbra gonfie e rosse, il viso congestionato e gli occhi ridotti a due pozze di lussuria scura. Si sfilò dalle braccia la parte superiore della sua tuta arancione, esponendo un petto abbronzato, con un’orribile cicatrice circolare proprio al centro. Steve si sentiva eccitato da ogni cosa appartenesse a lui, e quel segno sulla pelle era una lampada che attirava una falena. –Cos’è che vuoi, Steve Rogers? Avanti, prenditi quello che desideri. Voglio farti provare il piacere di sentirti un uomo veramente libero.-

Steve si levò al cravatta con uno strattone che gli fece dolere il collo, e la usò per legare i polsi di Tony alla sbarra che stava alla testa del lettino. Non fu mai così grato all’ospedale di avere fornito ai dottori delle chaise-longue.

Tony lo lasciò fare, sbuffando divertito e allargando le gambe.

-Ti amo. Oddio, ti amo!- ansimò Steve, prima di buttarcisi in mezzo.

 

 

A partire dal giorno dopo, Steve smise di portare la cravatta al collo.

 

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-Vorrei una radio- esordì Tony con tono casuale. Era da un pezzo che durante le loro sedute parlavano del più e del meno, anziché dedicarsi alla terapia. Quando poi Steve chiudeva la porta a chiave, parlare decisamente non era una priorità.

-Una radio? C’è quella della sala comune.-

Tony ammiccò. -Mi manca molto ascoltare musica in pace, da solo.-

Steve gli procurò una radio, e due giorni dopo Tony evase dall’ospedale.

Durante la sua assenza, Steve non pensò al fatto di essere stato raggirato, quanto piuttosto a come stesse male all’idea di non potere più vedere Tony tutti i giorni. Aveva cancellato appuntamenti, abbandonato le sue pratiche, e sospirando affranto si rigirava tra le mani l’ultimo fiore che Tony gli aveva regalato, una gerbera rossa ormai quasi del tutto appassita.

L’unica cosa che lo consolava era il fatto che Tony almeno fosse libero, lontano da medici idioti e compagni di prigionia pericolosi. Se la meritava la libertà, solo, avrebbe voluto essere con lui mentre la godeva…

Il terzo giorno sentì un gran baccano in uno dei corridoi. Si avviò svogliatamente per capire di cosa si trattasse e il suo cuore perse un battito, colpito da una scintilla di gioia e dolore insieme, quando vide due robuste guardie trascinare un Tony decisamente malridotto verso una delle celle.

Il suo bel viso era livido e insanguinato, perdeva sangue dal naso e aveva un labbro spaccato. Sospettava che il suo corpo non fosse messo meglio. Il dottor Odinson seguiva le guardie impartendo loro ordini, e ignorando del tutto Tony, che, con un ghigno da pazzo, mostrava denti bianchi rigati di rosso dando tutta l’impressione di avere la testa da un’altra parte.

Steve gli corse incontro e, facendo del suo meglio per evitare le guardie, lo abbracciò.

-Tony! Oh, Tony stai bene?- Poi, rivolto ai due uomini, -Che cosa gli avete fatto? Giuro che se siete stati voi a ridurlo così vi faccio licenziare, avete capito? Ve lo giuro!-

Tony sbuffò delle risate soffocate guardando il dottor Odinson diventare scarlatto mentre sollevava Steve di peso e lo allontanava da lui.

-Portatelo in isolamento!- ordinò.

Le guardie obbedirono, e lo trascinarono con forza verso la cella.

Steve cercò di divincolarsi dalla presa di Thor. Quando riuscì a liberare un braccio lo allungò verso Tony. –Aspettate, non potete farlo!-

-Steve, adesso basta!- gridò Thor, il suo volto una maschera d’ira.

Il ragazzo si mostrò oltraggiato. –Quei tizi rovineranno il mio lavoro, demoliranno tutti i progressi che ho fatto finora. Io non posso permettere che…-

Thor lo agguantò per le braccia e lo scosse con una forza di cui Steve non lo credeva capace.

-Gli hai dato tu la radio, vero? Adesso ne sono sicuro. L’ha usata per costruirsi una chiave elettronica, come l’altra volta, ed è fuggito. Fortunatamente è stato catturato prima che potesse riprendere possesso della sua armatura. Anzi, sai cosa aveva in mente di fare? Iniettarsi un programma sperimentale di potenziamento fisico di nome Extremis. L’hanno bloccato nel laboratorio della sua ex collega Maya Hansen. E tu l’hai aiutato!-

Steve era fuori di sé. –Lui non è cattivo! Non puoi sapere cosa ha passato!-

Thor soffiò dalle narici la sua esasperazione. –Ti ha manipolato, Steve, possibile che tu non lo capisca?! Dalla sua bocca escono solo menzogne, non sei il primo che si lascia gabbare. Scommetto che ti ha raccontato del suo padre alcolista, e di sua madre che fuggiva sempre… Oh, e tu sembri proprio il tipo di medico da commuoversi al sentire storie di abusi sui bambini!-

Il biondo spalancò gli occhi, sconvolto. –Come… Come lo sai?-

Thor aveva sul viso un’espressione di trionfo senza gioia.

-E’ quello che ha detto a tutti quelli che l’hanno visitato. Mai una volta che venisse fuori la verità, ha inventato talmente tante storie che neppure lui ricorda più quale sia quella vera. E’ pazzo, ed è pericoloso perché ha il quoziente intellettivo di un genio e lo usa per fare danni. Ama manipolare gli altri, e tu non fai eccezione.-

Steve si lasciò cadere contro un muro, scivolando a terra con la testa tra le mani.

-Ascolta Rogers- Era la prima volta che lo chiamava Rogers. Steve sapeva che erano in arrivo dei guai. –Vista la tua reazione posso immaginare cosa sia successo tra te e Stark, ma non voglio metterti ancora più nei guai con la commissione disciplinare. Però una sospensione non te la leva nessuno. Fai conto di avere ricevuto un avvertimento, non accadrà una seconda volta.-

Thor girò sui tacchi e fece per andarsene. –Tutto questo proprio da te… Non me lo sarei mai aspettato, Rogers.-

Al sentire quelle parole, Steve avvertì un moto di fastidio invadergli la mente.

Che diritto aveva quell’uomo di giudicarlo? D’accordo, aveva sbagliato, si era lasciato turlupinare come il novellino che era, scusa tanto se non sono perfetto come mi avevi immaginato!

Cominciò a sentire una rabbia crescente montargli dentro, condita con appena una spruzzata di tristezza.

All’improvviso si tirò in piedi, e corse verso la cella di isolamento.

-Fatemi passare, sono il suo psichiatra!- ordinò Steve alle due guardie che si apprestavano a chiudere la porta metallica della cella di isolamento, dando sfoggio di un’autorità che non aveva.  

Questi gli lasciarono aprire la porta con la sua tessera magnetica, e Steve, appena vide Tony seduto sulla branda, lo prese per il bavero e lo tirò su alla sua altezza, scuotendolo.

-Ouch! Anch’io sono contento di vederti, ma guarda che sono leggermente ferito- ridacchiò Stark.

-Mi hai mentito!- gridò Steve. –Non hai fatto altro che rifilarmi balle, dal primo momento in cui mi hai visto! Tutte quelle cose su tuo padre, e su…-

-Mio padre era una persona meravigliosa- lo interruppe Tony con calma, alzando le mani in segno di comica resa. -Così come mia madre. Ogni giorno chiedo loro scusa per tutte queste stronzate che mi invento, ma caspita, avresti dovuto vedere la tua faccia!-

Steve strinse i denti e ringhiò irritato.

-E tutti gli altri? Hai veramente ammazzato tutta quella gente perché sei stato costretto o solo per il puro piacere di farlo?-

-In mia difesa…- cominciò Tony, mostrandosi vagamente offeso. –Non mi diverte fare del male agli altri, ma quando uno se lo merita, ehi! Chi sono io per negargli la giusta punizione? Hammer e Killian erano entrambi miei rivali in affari, volevano farmi ammazzare per vecchi e stupidi rancori personali. E Vanko lavorava per uno di loro, ha contribuito a creare un’armatura simile alla mia che mi ha quasi ucciso, ma questo nessuno lo sa, perché sono stati tutti molto più prudenti di me. Io invece sono sempre stato un amante delle luci della ribalta.-

Steve ascoltava in tralice.

-E Stane? Quello che a tuo dire ti ha fatto da padre quando sono morti i tuoi?-

Tony fece una smorfia disgustata. –Ma quale padre?! Quel bastardo ha giocato con la mia fiducia spremendomi come un limone per anni, finché alla fine ha deciso che non gli servivo più. Il mio rapimento in Afghanistan? L’ha organizzato lui! Mi sono ritrovato con un grappolo di schegge di mina nel cuore e un magnete nel torace per tenerle sotto controllo. E quando sono riuscito a fuggire, Stane me l’ha strappato dal petto! Ha cercato di uccidermi di nuovo, così io ho fatto fuori lui.-

I suoi occhi si colorarono di una sfumatura pericolosa che Steve, odiava ammetterlo, trovava pericolosamente eccitante. La voce roca e bassa disse: -Nessuno… Nessuno può permettersi di fregare Tony Stark. Killian è stato l’ultimo a provarci, e adesso tutto quello che resta di lui è un mucchietto di cenere da infilare sotto il tappeto.-

Avrebbe potuto fingere di nuovo, ma il sesto senso di Steve gli diceva che quella storia era molto più impersonale e cruda per non essere vera. Al sentire quelle parole, il biondo si ammorbidì un pochino, non sapeva neanche lui perché. Si odiava per questo, ma la parte di lui più irrazionale, quella che Tony aveva risvegliato, si sentiva in dovere di giustificarlo: in fondo aveva ucciso solo gente che aveva cercato di fare del male prima a lui.

Se la rabbia si era assopita il dolore restava. Gli occhi azzurri del ragazzo si inumidirono di lacrime.

-Per te sono stato solo un altro deficiente da raggirare. Tutto quello che è successo tra noi… non era vero niente.-

Tony allungò una mano sulla guancia di Steve, il suo volto insanguinato sorrideva un sorriso sbilenco.

-Oh, dài. Non volevo farti piangere.-

-Sei un mostro…- bisbigliò Steve sconfitto.

-Solo perché decido di farmi giustizia da solo non significa necessariamente che sia cattivo. E poi con te, Steve, devo ammettere che fingere mi riusciva difficile. Te l’ho già detto: io ti vedo, vedo come sei dentro. Non sei adatto per condurre questa vita, così ordinata, così metodica… Tu sei uno che muore dalla voglia di fare follie, e non puoi dire che non ti sia piaciuto tutte le volte in cui siamo stati insieme.-

Il moro avvicinò per quanto possibile il viso a quello del giovane dottore, e quando si leccò le labbra Steve annusò l’odore del sangue che spargeva.

-L’ho notato, sai, che a volte lasciavi la porta socchiusa mentre scopavamo, come se volessi sfidare gli altri a fermarci. Tu spasimi per la vita d’azione senza regole e per il brivido del proibito, ed io ti posso dare tutto questo, anzi… Voglio condividere tutto questo con te. Perché credi che ti avrei scelto, altrimenti? Perché tu e non Odinson, o qualsiasi altro coglione che lavora qui?-

-Mi hai… scelto?- mormorò. Il moro fece un verso affermativo di gola.

-Perché tu sei speciale, sei come me. Mi hai parlato delle angherie che hai dovuto subire da ragazzino, dei tuoi superiori che ti rompono le palle perché tu concluda qualcosa con me, di tutto ciò che va storto nel mondo e che nessuno riesce a fermare. Io ho voluto te, ma se tu non desideri me ti lascerò in pace, promesso; ti darò la possibilità di scegliere: puoi lasciarti alle spalle tutto questo, Steve, devi solo dire una parola e ci trasformeremo nella coppia che scatenerà il caos in tutto questo mondo sbagliato e preordinato… Dì che vuoi stare con me. Dì che sei il mio Steve.-

Le mani di Stark erano salite ai polsi del ragazzo, massaggiandone la pelle. La presa di Steve si allentò, come se le parole di quell’uomo l’avessero sciolta. Le due parti di Steve, ormai perennemente in conflitto tra loro, lottavano furiosamente dentro di lui.

Una cosa, Steve non era riuscito a soffocare dopo aver scoperto la verità su Tony: l’amore per lui.

Quegli occhi che lo accarezzavano, quelle parole che lo adulavano e quelle mani che lo toccavano, erano quanto di più giusto esistesse a questo mondo. Pensò alla lavata di capo pazzesca che avrebbe ricevuto di lì a poco dai suoi capi, alla delusione di tutti perché non era più il bravo soldatino che loro pensavano di avere assunto, e gli risultò insopportabile.

-Davvero vuoi che sia il tuo Steve?- domandò, con una voce debole e incerta, che aveva bisogno del cemento delle parole zuccherose di Tony per stare in piedi.

L’altro sorrise un sorriso follemente sincero.

-Io e te insieme capovolgeremo il mondo.-

La porta di metallo si aprì con un clangore assordante, e una guardia fece irruzione. –Dottor Rogers, mi dispiace ma il dottor Odinson dice che lei non è autorizzato a stare qui. Devo chiederle di uscire.-

Steve seguì meccanicamente la guardia, e lasciò Tony e il suo sorriso nella cella di isolamento. Ma, invece di dirigersi verso l’ufficio del personale, dove sicuramente Thor lo aspettava con la commissione, uscì dall’ospedale e andò a casa.

 

________________________________  

 

Prese la pistola che teneva accuratamente riposta in cassaforte. Pensandoci bene trovò molto stupido avere un’arma da difesa e tenerla smontata e scarica dentro una scatola a combinazione, ma ora avrebbe risolto il problema. La montò e la riempì di proiettili. Non contava di sparare a nessuno, ma giusto in caso…

Uscì in strada e salì in sella alla sua moto, avviando il motore e dirigendosi verso l’ospedale penitenziario Shield.

A metà strada si fermò davanti a un negozio di costumi teatrali. Non seppe neppure lui perché, ma il suo piano gli sembrò molto più elettrizzante se l’avesse attuato in costume. Come diceva Tony, del resto, “Sentiti libero di fare qualche follia.”

Scese dalla moto e ruppe la vetrina con il calcio della pistola. Nessun allarme, fortunatamente; si dedicò alla ricerca di ciò di cui aveva bisogno. Si avvicinava la Festa dell’Indipendenza, e così optò per un abbigliamento patriottico. Agguantò una tuta azzurra di spandex con una stella sul petto e una fascia a strisce rosse e bianche, stivali rossi e un cappuccio che gli copriva tutta la faccia.

Si prese il suo tempo per indossarla.

 

Tony era perso nei suoi pensieri. Pensava a Steve, a quanto gli mancasse, a quanto erano stati bene insieme, e alle grandi cose che avrebbero potuto fare se fossero stati ancora insieme. Stava andando tutto così bene e quegli stupidi idioti di medici avevano osato separarli, far credere a Steve che lui fosse solo un bastardo manipolatore.

Certo, ammetteva di essere stato un po’ stronzo a prenderlo in giro, ma ammettiamolo, era stato divertente! Il ragazzo aveva bisogno che qualcuno lo iniziasse alla cattiveria del mondo, come a suo tempo aveva fatto Obadiah con lui. Forse, se il suo cuore non fosse stato masticato e risputato da quel verme e se non avesse subito le torture a cui lo avevano sottoposto e che lo facevano ancora gridare di notte, non sarebbe mai diventato un pazzo criminale. Un po’ eccentrico magari sarebbe rimasto, ma non ai livelli da decidere di uccidere un uomo come un insetto, neppure se questo minacciava la sua vita. Chissà…

Steve lo avrebbe capito, ne era sicuro.

Sentì la porta vibrare e poi aprirsi, lasciando entrare uno spicchio di luce. Sollevò la testa sorpreso.

Sulla soglia si stagliò una sagoma alta e scura. Quando Tony la mise a fuoco lasciò scivolare gli occhi su un corpo muscoloso e ben fatto, stretto in una tuta aderente azzurra con una fascia alla vita e una maschera a coprigli tutta la testa, dove la lettera A campeggiava grande e bianca. Il moro ammiccò quando vide gli occhi azzurri e le labbra rosa sorridergli sotto quel bizzarro costume.

-Bene bene…- disse Tony divertito. –Mi ricordi qualcuno che conosco e che vorrei avere al mio fianco, ma devo ammettere che tu sei molto meglio.-

Steve gli tese una mano, e l’uomo l’afferrò.

-Presto- disse il biondo, -Prima che si accorgano che ho manomesso le telecamere.-

-E’ andata persino meglio di quanto mi aspettassi- aggiunse Tony sorridente. Strinse la mano di Steve e si avviarono di corsa verso l’uscita.

Incurante del fatto di poter essere sentito, Tony scoppiò a ridere, e Steve si lasciò trascinare, correndo con lui mano nella mano e ridendo insieme come due ragazzini.

Una volta raggiunta la sua moto, Steve balzò in sella, e Tony gli si accomodò dietro abbracciandolo alla vita.

Piegandosi per lasciargli un bacio leggero sulla guancia che scatenò brividi nel corpo dell’altro, sussurrò: -Stevie, sei il migliore!-

Il rombo del motore fece del suo meglio per nascondere l’urlo delle sirene.

 

 

N.d.A.

 

E’ da una vita che non mi faccio vedere, ma una persona ha pur bisogno di riordinare le idee e far fronte a impegni più grandi di lei, e del resto ci sono tipi che ci hanno messo anni a farlo. Prossimamente conto di concludere finalmente anche le mie storie in sospeso.

Riguardo alla fic, probabilmente vi sarete accorti che ho guardato troppi programmi dedicati a Batman, o almeno lo sapranno quelli che conoscono bene le storie che ne riguardano i villains. Vi dirò che il Joker e Harley Quinn non sono proprio i miei cattivi preferiti di Batman, ma la situazione mi piaceva, poteva essere adattata. In più, dopo i primi assaggi del telefilm Gotham (che per ora non posso più vedere perché non ho la tv a pagamento) non ho fatto altro che pensare a questo universo, quindi era quasi matematico che scrivessi qualcosa del genere.

Spero di tornare a scrivere più spesso, o almeno di produrre qualcosa che mi nasce da dentro, qualcosa che posso buttare giù in una serata sotto la spinta dell’ispirazione.

Un saluto particolare a Naima, che spero abbia gradito questo regalino che ha mixato in maniera (ammettiamolo) forse un po’ kitsch, due universi di supereroi.

Alla prossima ;)

  
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