Capitolo VIII – Incontri notturni
Tra
tutte le cose che il principe le
aveva chiesto di fare, quella era senza dubbio la meno sensata.
Perché,
d’accordo, ci poteva stare che le ordinasse di riparare astronavi, costruire stanze
gravitazionali e progettare marchingegni per i suoi assurdi allenamenti; ma che
pretendesse addirittura che fosse lei a lavare i piatti e a pulire la cucina
dopo che i pochi saiyan residenti a corte avevano
cenato, be’… era davvero troppo.
Tanto
più che Giumaho, fino al giorno prima, aveva un
esercito intero di domestici che provvedeva a tenere lindo e pulito il palazzo
principesco.
Che
ne era stato di quello stuolo infinito di uomini e donne tanto prodighi?
Bulma
sbuffava, e intanto strofinava con vigore la stoviglia che le capitava in mano.
Pensandoci
bene, quel lavoro tanto insulso aveva un piccolo pregio: le concedeva un attimo
di solitudine e di silenzio.
Da
quando, infatti, Vegeta aveva deciso che lei sarebbe stata la sua scienziata personale, si era
ritrovata a contatto col principe quasi ogni minuto della sua giornata. Quel
dannato saiyan non la lasciava in pace un attimo:
pretendeva da lei l’impossibile e le stava alle calcagna come un marito geloso
della propria donna.
A
proposito di mariti, da quanto tempo Giumaho non si
faceva vedere in giro per il palazzo?
Bulma
era quasi certa che Mamanu continuasse, nonostante la
sparizione del consorte, a occuparsi delle proprie faccende e a rabbonire il
popolo di Furipan.
Doveva
ammetterlo: senza l’aiuto di quella donna, i sudditi di Chichi
avrebbero già tentato una rivolta da un pezzo. Ovviamente, ci avrebbero rimesso
la pelle.
La
scienziata non aveva ancora capito quale tipo di sentimento legasse Mamanu a Chichi; sapeva
dell’astio della ragazza nei confronti della matrigna, ma quest’ultima era
sempre stata molto brava a non svelare le proprie opinioni.
Che
le volesse bene davvero? Oppure il suo era solo un tentativo per tenersi buona
la principessina e, all’occorrenza, sottrarle poi il regno?
Per
quanto Bulma non avesse in simpatia Chichi, doveva però ammettere che difficilmente Mamanu sarebbe stata all’altezza del compito che il Supremo aveva affidato alla giovane
figlia di Giumaho. D’accordo: Mamanu
era molto più elegante ed educata di Chichi, ma molto
probabilmente non aveva la sua spiccata forza di volontà.
Il
rumore di un sasso che batteva sul vetro della finestra distrasse Bulma dai suoi pensieri e dalle poco amate stoviglie. Non
c’era alcun dubbio: qualcuno le stava chiedendo di aprire.
Da
quando viveva a stretto contatto con i malvagi
– o saiyan,
che dir si voglia – la scienziata aveva imparato a rapportarsi in maniera
diversa col rischio.
Era
vero: poteva esserci chiunque al di
là di quella finestra; ma quante possibilità c’erano che costui fosse peggiore
del principe?
La
ragazza non ci pensò su ulteriormente e andò ad aprire, trovandosi faccia a
faccia col suo fidanzato.
«Oh,
questa poi! Che c’è? Hai finito le scorte di cibo e non sai più dove andare a
cercare la pappa?»
«Ma
piantala, Bulma! Tu non perdi mai l’occasione di
parlare a vuoto.»
«Che
diavolo ci fai qui?»
«Non
vuoi sapere dove fossi finito?»
«Sinceramente
no.»
Bulma
fece per richiudere la finestra, ma l’uomo la fermò in tempo e riuscì a entrare
nella cucina.
Erano
diversi giorni, in effetti, che Yamcha non si faceva
vivo. Per quanto ne sapeva lui, potevano benissimo essere morti tutti quanti,
nel frattempo.
Trovare
Bulma sana e salva fu per lui un sollievo: se i malvagi avevano deciso di non eliminare
gli esseri umani, forse c’era la possibilità di trattare.
E
di fregarli.
Con
sorpresa, Yamcha si accorse che la sua ragazza era
intenta nelle faccende di casa.
Da
quando la conosceva, mai gli era capitato di vederla pulire anche un solo
piatto.
Come
avevano fatto quei dannati mostri a convincerla a diventare una brava
domestica?
Yamcha
scoppiò a ridere di gusto, immaginando le imprecazioni che la sua donna doveva
aver elargito mentalmente nei confronti di chi l’aveva messa a lavorare.
«Che
diavolo hai da ridere, idiota?»
«Ah,
datti una calmata! Il ruolo della donna alterata con i piatti da lavare non ti
si addice per niente.»
Bulma
afferrò il primo bicchiere che le capitò a tiro e glielo lanciò, mancando però
il bersaglio.
«Niente
da fare: sono ancora troppo agile per te. Dammi retta, metti da parte il
nervosismo e ascoltami.»
La
ragazza si tolse i guanti da cucina e si mise le mani ai fianchi, con fare
decisamente poco amichevole.
«Che
diavolo vuoi? Sei sparito per giorni e adesso vieni qui a burlarti di me? Sei un
idiota.»
«L’idiota
sei tu che non mi hai dato ascolto quando ti dicevo che quel Son Goku non mi
piaceva affatto. O dovrei chiamarlo Kakaroth?»
«E
dunque? Se sei venuto qui a farmi la paternale, puoi anche risparmiartela e
tornare da dove sei venuto.»
«Però
sul suo conto avevo ragione. Siete stati dei fottuti ingenui!»
«Forse,
ma tu che te la sei data a gambe sei stato un fottuto traditore!»
A
Yamcha non piacque affatto sentirsi apostrofare in
quel modo.
Conosceva
molto bene Bulma e sapeva che l’orgoglio era uno dei
suoi difetti peggiori: per quanto ella stessa sapesse di avere torto marcio,
mai e poi mai gli avrebbe dato la soddisfazione di riconoscerlo.
Era
fatta così, e lui da diversi anni ormai aveva perso ogni speranza di cambiarla.
Ma
quella vicenda del protettore gli
bruciava dentro come non mai.
Aveva
dimostrato a Bulma e a Crilin
di aver sempre avuto ragione e che tutti i suoi sospetti erano terribilmente
fondati.
E,
nonostante tutto, la sua donna non aveva nemmeno contemplato l’idea di chiedergli
scusa.
Addirittura,
sembrava quasi che non si fosse minimamente preoccupata per lui nel corso di
quei giorni. Possibile che non avesse mai pensato a quale fine potesse aver
fatto? Per quanto ne sapeva lei, poteva benissimo darsi che gli invasori lo avessero
fatto fuori.
La
cosa assurda e, in un certo senso, preoccupante, era che Bulma
stava bene.
A
parte la rabbia per le stoviglie da lavare, infatti, la sua donna sembrava non
avere addosso alcun segno di stanchezza, sofferenza fisica o sofferenza psicologica.
Che ne era stato, poi, dei saiyan? Da quando li aveva
visti atterrare, di loro non aveva avuto più notizie, se non le poche che era
riuscito a rubare a qualche boscaiolo che si inoltrava nella foresta di Furipan per ordine degli invasori.
E
quel poco che sapeva era che il principe
si era stabilito definitivamente a palazzo.
In
effetti, poteva anche starci.
Ma
che diavolo ci faceva, allora, Bulma lì dentro?
Solo
in quel momento si rese conto che la presenza della ragazza nel castello era
tutt’altro che normale, come tutt’altro che normale era il fatto che non
sembrasse particolarmente provata da quella strana situazione. Che il principe
l’avesse ingaggiata per lavare i piatti e poi la lasciasse tornare nella sua
camera d’albergo gli sembrava piuttosto improbabile.
Ma,
allora, perché si trovava lì? E dove erano finiti Giumaho,
Chichi e Mamanu?
In
quel momento, l’uomo ebbe un’illuminazione: il geniale, dannatissimo,
fottutissimo cervello di Bulma. Tutto iniziava ad
avere senso: il sovrano dei saiyan l’aveva tenuta con
sé a causa delle sue incredibili doti intellettive.
Con sé.
Erano
soli?
Possibile
che quel pazzoide avesse sfrattato i legittimi proprietari dell’edificio?
«Come
mai ti trovi qui, Bulma? E dove sono Giumaho e Chichi?»
«Oh,
ora vuoi riprendere il ruolo del fidanzato preoccupato? Be’, non serve. Come
vedi me la sono cavata alla grande anche senza di te. Non sprecare il fiato e
tornatene da dove sei venuto, tanto sono certa che avrei più possibilità io di
te di eliminare i saiyan.»
«Non
mi hai risposto.»
«Non
credo che ti interessi sul serio saperlo.»
«Perché
una volta tanto non metti da parte il tuo pessimo carattere e non cerchi di
collaborare? Credi forse che in questi giorni io sia stato a perdere tempo?»
«Non
mi interessa cosa accidenti hai fatto in questi ultimi giorni! A me interessa
sapere dove non sei stato: cioè, qui.
Ora torni, come se niente fosse, e mi fai pure il terzo grado. Se proprio ci
tieni a saperlo, siamo tutti sani e salvi, Giumaho è
nella sua stanza e Chichi si sta allenando con Gok… Kakaroth. Ora, te lo dico
per l’ultima volta, sparisci, o rischi di mettermi seriamente nei guai.»
La
risposta di Yamcha tardò ad arrivare.
Nella
sua testa, si era creato mille film su come sarebbero potute andare le cose, ma
di sicuro non aveva messo in conto tutto quell’astio da parte di Bulma.
Non
credeva nemmeno di trovarla tutta intera, a dirla tutta.
Eppure,
tutto gli si poteva rinfacciare, tranne che fosse lui il responsabile di quella
situazione.
Se
gli avessero dato ascolto a suo tempo, probabilmente le cose sarebbero andate
diversamente. E tra le persone che non avevano prestato attenzione ai suoi
sospetti c’era anche Bulma. Con quale coraggio si
permetteva di aggredirlo in quel modo?
Yamcha
era sempre stato invaghito di lei; forse, in alcuni momenti della sua vita,
l’aveva persino amata davvero. Ma
quella che aveva di fronte in quel momento non era certo la donna che gli aveva
fatto perdere la testa. Che ne era stato della scienziata impulsiva ma
fottutamente brillante che non sbagliava nemmeno un calcolo? Dove era andata a
finire la donna dall’intuito sopraffino in grado di smascherare ogni tresca? Bulma si era fatta raggirare da un impostore, uno che, per
giunta, mirava a impossessarsi delle sfere
del drago.
A
proposito delle sfere, cosa diavolo stava facendo Chichi?!
Aveva
capito male oppure si stava allenando con Kakaroth?
Dire
che aveva fatto male i conti era poco. Conosceva bene la principessa – o,
almeno, così credeva – e mai si sarebbe aspettato che decidesse di allenarsi con uno dei malvagi.
Per
quale motivo, poi? Che diavolo aveva in mente di fare quella ragazzina?
Yamcha
storse la bocca e digrignò i denti.
«Vorrà
dire che risolverò la questione senza il vostro aiuto. Pazienza, Bulma. Poteva essere una buona occasione per contribuire
alla salvezza del pianeta.»
L’uomo
non attese la risposta della compagna e uscì dalla finestra in pochi attimi.
Bulma,
nel frattempo, aveva perso completamente la voglia di continuare a fare le
pulizie.
«Al
diavolo Yamcha e la sua patetica vigliaccher…»
cominciò a urlare la donna; ma l’elegante figura del principe dei saiyan materializzatasi in quel momento davanti a lei la
fece desistere dal continuare.
Quel
saiyan si era sicuramente accorto della presenza di Yamcha, e per lui adesso erano guai seri.
***
Bardack
e Mamanu erano stesi l’uno al fianco dell’altra,
nudi, sul comodo letto di cui il guerriero si era appropriato da quando aveva
messo piede al castello. Il volto della donna era leggermente inclinato verso
l’incavo delle spalle dell’uomo e la loro vicinanza era tale da permettere il
mescolarsi dei loro respiri.
Nessuno
dei due stava realmente dormendo.
Riuscire
ad abbracciare il sonno dopo aver consumato la passione in quel modo non
sarebbe stato possibile per entrambi.
O,
almeno, questo era ciò che pensava Mamanu.
La
moglie di Giumaho non poteva davvero sapere cosa
passasse per la testa del saiyan con cui aveva appena
fatto l’amore. Di lui non sapeva nulla, se non che era il padre di Kakaroth e che era stato promosso a generale dal principe
in persona prima che partissero dal loro pianeta per giungere sulla Terra.
Per
conquistarla, oltretutto.
Eppure,
pareva proprio che fino a quel momento i saiyan non
avessero conquistato altro che i
cuori di tante donne terrestri. Nonostante i brividi di piacere che ancora
correvano lungo la pelle nuda, Mamanu aveva ancora una lucidità tale da poter
riflettere su ciò che stava accadendo.
Che
Chichi si fosse infatuata di Goku se ne era accorta
ancor prima che costui rivelasse la propria identità; ma, a suo avviso, tale
scioccante scoperta aveva tutt’altro che spento i sentimenti della ragazza. Chichi, volente o nolente, era per lei un libro aperto.
Sebbene tra loro il rapporto non fosse mai stato amichevole, Mamanu aveva imparato comunque a conoscerla a fondo, approfittando
dei pochi momenti di cordialità che la figlia di Giumaho
le riservava.
Pochi,
certo, ma ce n’erano stati; e per quel che la riguardava, erano più che
sufficienti per tracciare un profilo della bella principessa.
Mamanu
aveva qualche anno più di lei e uno spirito d’osservazione maggiore.
Non
poteva essersi sbagliata.
Sapeva
che Chichi era tutt’altro che insensibile al fascino
di Kakaroth.
Già,
poteva anche essere giustificata una cosa del genere.
In
fondo, lui era un magnifico ragazzo e lei un’altrettanto splendida fanciulla,
testarda, sì, ma non indifferente alle pulsioni del corpo.
Ma
lei?
Cosa
avrebbe dovuto pensare di sé stessa l’ancora bella e piacente Mamanu?
I
bollori dovuti al focoso rapporto sessuale appena consumato si stavano ormai spegnendo
e, puntuali, stavano sopraggiungendo i sensi di colpa.
Perché,
d’accordo che non era stata lei a decidere di sposarsi e di accollarsi un
impegno forse troppo grande per le sue possibilità; ma era pur vero che nessun
uomo sulla Terra l’aveva mai trattata con tanto rispetto come aveva fatto Giumaho.
Nemmeno
Bardack.
Quel
saiyan non si era lasciato andare a troppi
complimenti e a troppe smancerie.
La
voleva, e gliel’ha detto chiaro e tondo.
Che
poi lei non avesse opposto la minima resistenza era un altro conto.
Col
senno di poi, lui avrebbe potuto farle qualsiasi cosa se lei avesse rifiutato
quella sorta di avance. E,
probabilmente, nemmeno la amava.
Poteva
esserci spazio per l’amore nella cultura di un popolo dedito alla guerra e alle
conquiste? Probabilmente no. E Mamanu non era mai
stata tipa da credere alle favole.
Lasciando
sulla pelle di Bardack un ultimo respiro, la donna si
sollevò pian piano dal letto e prese a rivestirsi.
Il
saiyan la osservava senza battere ciglio.
Le
sue iniziali aspettative rispetto a quel dannato pianeta che suo figlio avrebbe
dovuto conquistare da solo si erano rivelate al quanto riduttive. Egli non
aveva messo in conto la ricchezza minerale di quel pianeta, né la varietà dei
climi, né tantomeno la presenza di creature intelligenti tanto simili ai saiyan. Di umanoidi, in giro per l’universo, ne aveva
scovati fin troppi, spesso approfittando impunemente delle donne che quegli
astri potevano offrire.
Ma,
di sicuro, mai gli era capitato di imbattersi in una popolazione che non aveva
alcuna differenza fisica con i saiyan, se non
l’assenza della coda.
Coda
che, oltretutto, erano riusciti a mascherare egregiamente a quasi tutti gli
esseri umani.
La
vera disgrazia, in tutto ciò, era l’essere incappato in Mamanu.
A
lui non importava niente di lei – o, perlomeno, questo era ciò che pretendeva
da sé stesso – ma quella donna lo aveva in qualche modo stregato. Certo, sicuramente ciò dipendeva dal fatto
che era passato molto tempo da quando si era concesso il lusso di possedere una
femmina; ma ciò non giustificava affatto il desiderio malsano che provava nei
suoi confronti.
Se
avesse continuato in quel modo, presto avrebbe finito per considerarla sua, e ciò avrebbe rischiato di
compromettere i piani di conquista del pianeta.
Perché,
d’accordo che lui era uno dei guerrieri saiyan più
potenti del pianeta Vegeta – probabilmente, il secondo dopo il principe, se suo
figlio, nel frattempo, non aveva superato il suo livello – ma questo non gli
garantiva comunque un qualche potere decisionale sugli schiavi.
Quello
ce l’aveva soltanto Vegeta e, allo stato attuale, Bardack
non aveva ancora capito cosa diavolo avesse intenzione di fare.
Se
si fosse affezionato davvero a quella
donna, avrebbe mai potuto permettere che il principe ordinasse lo sterminio di
tutta la popolazione umana e, dunque, anche la sua uccisione?
In
fondo, era vero che nel corso della sua vita si era macchiato di crimini atroci
nei confronti di creature innocenti; tuttavia, quando si era trattato di
difendere coi pugni e coi denti qualcuno a cui teneva, che fosse un suo
commilitone o la sua ex compagna, Bardack aveva
lottato.
Mamanu,
nel frattempo, aveva già lasciato la stanza, nel totale silenzio di una notte
ormai inoltrata.
Il
corridoio che l’avrebbe riportata nella stanza in cui Giumaho
stava ancora pregando le sembrava stranamente più lungo del solito.
***
«Te
l’ho già detto e te lo ripeterò all’infinito: io non stavo complottando un bel
niente contro di te!»
Bulma
aveva paura e il tono alterato della sua voce lasciava trasparire senza alcuna
mitigazione il suo stato emotivo.
Vegeta
aveva visto Yamcha con lei e li aveva sentiti parlare
ma, ritenendo Bulma più astuta di una volpe, non
credeva affatto che le parole rivolte a quel terrestre fossero sincere.
No.
Quella
dannata donna lo aveva sempre sorpreso,
da quando egli aveva messo piede nel castello di Furipan,
e di lei aveva capito ben poco, se non che ci si poteva aspettare di tutto.
Tutto.
Persino
che trattasse volutamente in malo modo uno sporco terrestre per non destare
sospetti nel principe dei saiyan.
Più
approfondiva la conoscenza della scienziata e meno riusciva a fidarsi di lei.
Troppo
intelligente e troppo astuta per essere degna della sua totale fiducia.
La
presenza di quell’uomo nella sua cucina
lo aveva mandato oltremodo su tutte le furie, in parte perché la sorveglianza
messa a guardia del castello aveva miseramente fallito, in parte perché quella
stupida donna gli aveva aperto la finestra. I suoi ordini erano sempre stati
chiari: guai a parlare con chiunque che
non vivesse stabilmente al castello!
E,
tra questi ultimi, della moglie di Giumaho nemmeno si
fidava più di tanto.
Bulma
non era una sprovveduta e sapeva perfettamente a quale reazione sarebbe andato
incontro Vegeta se l’avesse sorpresa lì. Lei, a dire il vero, aveva la
coscienza pulita, ma dimostrarlo a quel maledetto principe, ormai infuriato,
era un’impresa tutt’altro che facile.
Vegeta
era a pochi passi da lei, e lei era con le spalle al muro. Vie di fuga non ne
aveva, né avrebbe potuto costruirsene una. Gli occhi del saiyan
tralucevano rabbia e malvagità. Mai, prima di allora, aveva avuto davvero paura
del principe. In fondo, non l’aveva
trattata poi così male. Certo, l’aveva costretta a lavorare duramente e a
sottoporre Crilin a esercizi estenuanti; ma,
fondamentalmente, lei non aveva tratto altro che giovamento dalle assurde
pretese di Vegeta.
Sì,
perché alla fine era sempre riuscita a dimostrare a sé stessa e al saiyan che la sua intelligenza non aveva limiti.
Ma
avrebbe potuto il suo cervello tirarla fuori da una situazione del genere?
Vegeta
le aveva messo le mani intorno al collo, rendendo più difficoltoso il suo respiro.
Bulma
annaspava e, pur cercando di mantenere la calma, sentiva che il terrore stava
pian piano prendendo il dominio sulla sua razionalità
«Non
mi piace essere preso per i fondelli, lo sai?»
«Lo
so» sussurrò Bulma col poco fiato che riuscì a tirar
fuori «e non l’ho fatto. Te lo giur…»
Vegeta
allentò la presa e le si avvicinò ulteriormente, ridendo dei suoi goffi
tentativi di riprendere aria.
«Dei
tuoi giuramenti non me ne faccio niente. Se davvero non stavi complottando
contro di me, non devi far altro che dimostrarlo.»
Bulma
alzò lo sguardo verso il principe e cercò di ricomporsi.
Quell’uomo
aveva iniziato a farle paura davvero.
Cosa
diavolo avrebbe dovuto dimostrare lei a lui? Non gli bastava il fatto che da
una settimana eseguisse tutti i suoi ordini senza battere ciglio?
«Ho
la coscienza pulita, caro principe.
Avanti, cosa vuoi che faccia?»
Sul
volto del saiyan si delineò un ghigno perverso, un
sorriso a mezza bocca che non prometteva nulla di buono.
Bulma
ingoiò, temendo di aver azzardato troppo.
«Uccidilo.
Tanto, prima o poi, quel bastardo tornerà da te.»
***
Continuare
a rigirarsi nel letto non lo avrebbe di certo aiutato a fare meglio i conti con
sé stesso.
E
questo Kakaroth lo sapeva benissimo.
Eppure,
cercare di rilassarsi e far finta di niente era praticamente inutile.
L’aveva
baciata, accidenti a lui, e per
quanto il suo cervello gli suggerisse di credere che lo avesse fatto per
provocazione, la sua coscienza continuava a tormentarlo.
Ma
era la coscienza saiyan o quella terrestre a
impedirgli di dormire?
La
verità era che Kakaroth aveva fantasticato su Chichi fin dal primo momento in cui l’aveva vista. Non che
si fosse innamorato o smancerie simili, ma quella ragazzina dal temperamento
ballerino e dal carattere tutt’altro che principesco l’aveva incuriosito
parecchio.
C’era
poco da fare: sognare di mettere le mani addosso a una ragazza che fingeva
indifferenza nei confronti del piacere carnale e che a fatica riusciva a
nascondere il fatto di avere una cotta per lui lo elettrizzava da morire.
Eppure,
fino al giorno prima aveva resistito all’impulso di toccarla.
In
fondo, lui era consapevole del fatto che la principessina lo incuriosiva più
del dovuto. Anche se non riusciva a capire cosa fosse, c’era in lei una forza
particolare che la rendeva speciale.
Certo, a livello di forza fisica non era al suo livello e non lo sarebbe mai
stata, ma era assolutamente certo che in lei si nascondesse un potere
misterioso e aveva la sensazione di aver percepito quel qualcosa durante la
loro visita alle sfere del drago.
Sfere
che, nel frattempo, erano tornate nelle mani del legittimo proprietario.
Kakaroth
sapeva che Chichi era solo la custode di quei
preziosi oggetti – in fondo, la stessa ragazza glielo aveva ripetuto più volte
– anche se, probabilmente, ciò non le avrebbe impedito di usarli. A volte, il saiyan si chiedeva se fosse il caso di costringerla a
esaudire un suo desiderio.
Già.
Ma quale?
Prima
di allora, Kakaroth non aveva mai pensato di
avvalersi personalmente delle sfere del
drago. La sua missione non era di certo quella. Se suo padre lo aveva
spedito su quello stupido pianeta quando era ancora bambino era solo per
conquistarlo e poi consegnarlo nelle mani del Re.
Re
che nel frattempo era morto e aveva lasciato il suo vasto impero all’unico
figlio che aveva.
Kakaroth,
insomma, aveva sempre obbedito, e,
per di più, a persone che non aveva mai visto in vita sua se non dopo il loro
arrivo a Furipan. Per anni il saiyan
aveva comunicato col padre e col suo principe tramite il dispositivo monoculare
che gli avevano lasciato in dotazione. Di costoro aveva sentito soltanto la
voce e visto qualche immagine sfuocata che di tanto in tanto si formava sulla
lente del dispositivo.
Ma
niente di più.
Non
c’era quasi alcun legame con loro.
Ma
per i saiyan esisteva il concetto di legame affettivo?
Che
lui sapesse, no.
E,
tutto sommato, anche a lui, fino al giorno prima, l’idea che ci si potesse
affezionare a qualcuno faceva venire il voltastomaco.
Poi,
il suo dannatissimo cervello gli aveva suggerito di baciare Chichi.
Nemmeno
lui avrebbe saputo spiegare perché lo avesse fatto. Sapeva solo che in quel
momento sentiva il dannato bisogno di farlo.
E
gli era piaciuto.
E
se lo avessero scoperto?
Certo,
Kakaroth avrebbe sempre potuto trincerarsi dietro a
un avevo bisogno di una distrazione;
ma il modo violento in cui pulsava il suo cuore e la rabbia con sé stesso che
provava per essersi concesso quel maledetto bacio gli suggerivano che quella
era solo una scusa.
Un’inutile
e patetica menzogna.
Il
saiyan si alzò dal letto e decise di uscire dalla sua
stanza per sgranchirsi le gambe.
Non
aveva una meta precisa verso la quale dirigersi, ma restare imperterrito
sdraiato su quel materasso lo avrebbe mandato ai matti.
I
corridoi del castello gli sembravano più lunghi del solito, nonostante li
stesse percorrendo a una velocità tutt’altro che modica. La solitudine, poi, di
certo non lo aiutava a cacciare dalla mente i suoi patetici dubbi. Era
incredibile come, in pochi, stupidissimi giorni, una persona riuscisse a
mettere in discussione sé stessa a tal punto. Ed era altrettanto incredibile
che tale messa in discussione fosse
sopraggiunta col ricongiungimento di Kakaroth alla
sua famiglia di origine.
A
chi apparteneva veramente?
La
verità era che il giovane saiyan si sentiva fuori
luogo ovunque: la Terra non era la
sua patria perché lui non apparteneva a quel mondo; ma del pianeta Vegeta e dei
suoi abitanti la sua mente non conservava alcun ricordo.
Con
disappunto, il ragazzo si accorse che nel castello c’era ancora qualcuno
sveglio.
La
luce della sala da pranzo tradiva una presenza che non poteva di certo
nascondersi.
Kakaroth
si affacciò e scorse la scienziata seduta al tavolo con le mani sul volto, come
se stesse piangendo.
Non
che le importasse chissà quanto di cosa le fosse successo, ma il fatto che a
quell’ora fosse ancora sveglia e in piedi lo incuriosì oltremodo.
Vegeta
ci teneva molto a lei. Riteneva che fosse l’unico essere umano a meritare un
briciolo di rispetto viste le sue incredibili doti intellettive e, proprio per
questo, non le permetteva mai di andare a letto troppo tardi.
La
voleva al meglio delle sue capacità e
sapeva che i terrestri, per dare il massimo, dovevano anche riposare più dei saiyan.
Il
ragazzo entrò nella stanza, facendo sussultare Bulma.
«E
tu che ci fai qui?» chiese con disappunto la scienziata.
«Potrei
farti la stessa domanda.»
«Ah,
è il mio destino, insomma. Questa è la giornata degli interrogatori.»
«Come
se mi importasse davvero qualcosa. Semplicemente, mi sembrava strano che tu
fossi ancora in piedi. E con i piatti da lavare, oltretutto. Che c’è, le
pulizie ti danno noia?»
«Se
proprio ci tieni a saperlo, a darmi noia è quel pazzo furioso del tuo principe. Ma che te lo dico a fare,
tanto siete fatti della stessa pasta.»
La
ragazza si alzò di scatto e si diresse verso la porta della sala.
«Buonanotte,
Goku, o come accidenti ti chiami. È meglio che vada a dormire se non voglio
rischiare la vita domani mattina. Vegeta è già abbastanza nervoso, a quanto
pare.»
Il
ragazzo seguì con lo sguardo Bulma e rifletté sulle
sue parole.
Quella
stupida doveva aver commesso qualche sciocchezza seria se era riuscita a far
infuriare Vegeta. Non che ci volesse molto a far scaldare le corde del principe
dei saiyan, ma con Bulma,
fino a quel momento, si era sempre contenuto abbastanza.
Che
c’entrasse il tizio che lui stesso aveva sorpreso ad aggirarsi nei dintorni del
castello, quella sera? Ora che ci
pensava, lui lo conosceva.
Già,
lo aveva affrontato durante il torneo di arti marziali.
Poi
non lo aveva più visto.
Kakaroth
non si era né preoccupato, né occupato di lui. In fondo, era solo uno stupido
terrestre e, per quel che aveva visto, non era nemmeno il più potente.
«Be’,
se la vedrà Vegeta. Casomai gli dirò che non vale la pena darsi cruccio per
quella mezza cartuccia.»
Ormai
erano quasi le due di notte.
Kakaroth
sapeva che a quell’ora i terrestri solitamente dormivano.
Già
il fatto di aver trovato Bulma ancora sveglia lo aveva
in qualche modo infastidito e al contempo risollevato: quella breve
chiacchierata lo aveva distratto per un attimo dai suoi pensieri.
Per
un solo attimo, appunto.
Kakaroth
aveva da qualche minuto imboccato di nuovo le vie del corridoio e l’idea di girovagare
a vuoto lo disturbava abbastanza. Se poi a tutto ciò aggiungeva il fatto che a
farlo reagire così fosse stato un inutile bacio, la sua indignazione lo rendeva
ancora più nervoso.
Certo
era che andare a passeggio per il castello durante orari per lui insoliti gli
aveva dato la possibilità di capire meglio quali fossero le abitudini degli
inquilini della dimora.
Giumaho
stava pregando. Per sua figlia? Per il suo regno? Per la sua gente?
A
Kakaroth, tutto sommato, non importava affatto. Ciò
che lo aveva incuriosito, affacciandosi a quella porta semiaperta, era che Mamanu non fosse con lui.
Che
i due coniugi dormissero separatamente era improbabile, visto che Napa e suo padre li avevano sorpresi insieme il giorno in
cui avevano invaso il castello.
Eppure,
nonostante l’orario, della moglie dello stregone
del toro non c’era traccia in quella stanza.
Il
ragazzo se ne andò.
Era
stanco ormai, e quel continuo girovagare non aveva portato ad alcunché di
concreto.
Nel
mentre in cui riprendeva la via per tornare nella sua stanza, la vide.
Mamanu
gli era passata davanti.
Si
erano ritrovati faccia a faccia, inaspettatamente, senza che nessuno dei due
capisse, lì per lì, da dove venisse l’altro.
Lo
sguardo tra i due durò meno di un secondo.
Kakaroth
fece in tempo a scorgere sul viso di Mamanu l’onta
della vergogna.
Il
saiyan conosceva bene quel sentimento. Non lo aveva
mai provato sulla propria pelle, ma il solo fatto di aver vissuto per anni a
contatto con gli esseri umani, lo aveva istruito a sufficienza
sull’interpretazione degli sguardi altrui.
Lui
non disse niente; lasciò che la donna lo oltrepassasse e tornasse nella sua
camera.
Chissà,
magari Giumaho stava pregando che lei tornasse.
Ma
da dove?
E
perché?
La
curiosità lo avvinse e il saiyan fece qualche altro
passo.
In
fondo a quel corridoio c’erano solo due stanze: la sua e quella di Bardack.
Il
ragazzo si avvicinò a quella del genitore e, notando che era solo socchiusa, si
affacciò.
Suo
padre era sdraiato sul letto.
Dormiente
e completamente nudo.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao,
miei affezionati lettori!
Mentre
mi accingo a scrivere le note di questo capitolo, il cielo si sta annuvolando e
il vento comincia a soffiare. Che sia il preludio di un temporale?
Una
bella tempesta, comunque, sta sorprendendo i protagonisti della mia storia. Lo
so, questo capitolo probabilmente vi ha lasciato l’amaro in bocca. Insomma,
tutti i protagonisti della storia hanno iniziato ad amoreggiare (più o meno) e
Vegeta tratta Bulma in questo modo? D’altra parte, il
principe è pur sempre il principe e ho voluto che mantenesse più degli altri
una parvenza da cattivo. In realtà, ciò non significa affatto che gli altri
siano buoni, ma comunque lui deve essere
peggio.
Nei
prossimi capitoli tornerò a parlare di Chichi e Kakaroth, ovviamente – in questo ho deciso di concentrarmi
solo sul saiyan per non mettere troppa carne al fuoco
– e avremo anche modo di vedere come se la caverà Bulma.
Detto
questo, la smetto di tartassarvi con le mie logorroiche note.
Grazie
di cuore a tutti per il vostro sostegno!
9dolina0