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Autore: D per Dolcetta    28/10/2014    2 recensioni
Dalla traccia del concorso "D per Dolcetta": Che segreti nasconde il blocco da disegno di Violette? E il quaderno perennemente disperso di Lysandre? Quali mirabolanti avventure avranno vissuto Armin e la sua amatissima PSP? Scegliete un personaggio, il suo oggetto caratteristico e raccontate!
1- E lei disegnava
2- Who cares?
3- Ciò che non sono
4- ...
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lysandro, Violet
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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One-shot prima classificata nel secondo "C per Concorso" organizzato da "D per Dolcetta"





Tema:
Oggetti
Titolo: E lei disegnava
Autrice: Ariadne/ AriadnesLinon





Tutto era cominciato quando le avevano messo in mano la prima matita.

Non aveva neanche cinque anni, allora, ma il ricordo era vivo nella sua mente.

Era alla scuola materna, ed era sola. Gli altri bambini non volevano la sua compagnia: la additavano, le dicevano cose brutte, le tiravano i capelli e la prendevano in giro per il suo nome.

Quel giorno, erano stati più cattivi del solito: avevano preso un’intera ciotola di tempera viola, e gliel'avevano rovesciata in testa, ridendo.

Poi avevano cantilenato.

Lei se le ricordava bene, quelle voci; e ricordava bene se stessa lì, inerme e schiava della crudeltà ingenua che solo i bambini possono avere.

« Violet, sei contenta? Ora sei viola! »

« Violet, perché non dici niente? »

« Violet! Violet! »

« Ma secondo voi Violet ce l'ha la lingua?! »

« Secondo me no! »

« Violet, faccela vedere, facci vedere se hai la lingua! »

E i bambini le facevano la linguaccia, storcendo le bocche in smorfie cattive.

Violette sentiva un fuoco dentro, una rabbia senza fine che le premeva le tempie, le strizzava il cervello, le faceva prudere le mani... Le chiudeva la gola.

E Violette non riusciva a parlare.

Quella volta era stata la maestra a salvarla.

« Se non riesci a dirlo, disegnalo » le aveva detto porgendole la matita.

Insieme a quella matita, c'era anche un album; era grosso, voluminoso, forse un po' troppo per una bambina.

Ma Violette decise che l'avrebbe tenuto; avrebbe cominciato da lì.

Così, quando i bambini la prendevano in giro e la rabbia l'assaliva, lei prendeva l'album da disegno.

I bambini le facevano la linguaccia, i bambini ridevano.

E Violette prendeva il suo album.

E Violette disegnava, disegnava disegnava...

 

Poi era stata la volta della professoressa delle medie.

Era una donna alta, austera, dall'aspetto acido e il volto severo; guardava Violette come si guarda un insetto che fa troppo schifo anche solo per poterlo schiacciare.

Lei li sopportava, quegli sguardi, con la testa che le scoppiava e la furia che le infiammava il petto, ma ogni volta che la donna le faceva una domanda la rabbia le bloccava le labbra e non riusciva a proferire parola.

« Violet, come morì Giulio Cesare? »

Violet non rispondeva, e allora la professoressa le lanciava sguardi disgustati dall'alto della cattedra, allora proclamava con voce crudele:

« Vedete, ragazzi? Questo è un esempio da non prendere, è la peggior specie di alunno: quello muto ».

Il cuore di Violette batteva forte, le mani le dolevano, ma la donna non lo sapeva e continuava a guardarla male.

La professoressa la guardava, la professoressa rideva.

E Violette prendeva il suo album,

E Violette disegnava, disegnava disegnava...

 

Poi, era cresciuta.

Era cresciuta nel silenzio dei suoi quadri, gli unici a farle davvero compagnia; era diventata una ragazza minuta, dall'apparenza fragile, coi capelli tinti di viola perché non le tirassero più la vernice.

Aveva quasi accettato se stessa e aveva imparato a far parlare i disegni al posto suo.

C'era quasi riuscita, a smettere di sentire quella rabbia.

Allora era arrivata Ambra.

Ambra, con i suoi vestiti firmati, con la sua schiera di leccapiedi, Ambra con gli occhi di ghiaccio talmente duri che le tagliavano il respiro.

Ambra, che aveva la voce cattiva e che la sapeva usare.

Violette aveva tentato, aveva provato ad ignorarla, a far finta di non sentire, ma non c'era riuscita.

Ed erano ricominciati gli insulti, erano ricominciati gli scherzi, le bugie.

E Ambra che vedeva il suo peluche e lo diceva a tutta la scuola.

Ed erano ricominciate le tempie che pulsavano, ed era ricominciata la rabbia ed era ricominciata la follia.

Ma Ambra non lo capiva e le tirava il peluche in faccia.

Ambra tirava il suo peluche, Ambra rideva.

E Violette prendeva il suo album.

E Violette disegnava, disegnava disegnava ...

 

Per ultimo c'era stato Alexy, con la sua voce così gentile.

Era un ragazzo dolce, Alexy, era un ragazzo che ascoltava: chiacchierava tanto, ma qualche volta faceva silenzio e la incoraggiava a parlare. Con lui c'era quasi riuscita, a sentirsi normale.

Si sedevano in cortile, all'ombra della magnolia, e lui le raccontava la sua vita; le parlava di suo fratello, della sua passione per la musica, del suo prossimo vestito, e poi la guardava con quegli occhi enormi e le diceva che gli piaceva il suo nome, che assomigliava a lei.

Violette era stata felice, con lui, ci aveva quasi creduto, aveva quasi pensato di aver trovato un posto per il proprio cuore.

Si era innamorata, di quei pochi silenzi, di tutte quelle parole.

E alla fine gliel'aveva detto, con la gola libera come non era mai stata, il cuore che pompava forte, questa volta per l'emozione.

Ma lui l'aveva rifiutata.

A lui lei non piaceva, si era sentita dire, non sarebbe mai potuta piacere: lui voleva braccia forti e guance ispide, voleva qualcosa di diverso che lei non gli poteva dare.

Lei era meravigliosa, davvero, ma lui proprio non ci riusciva; l'avrebbe amata volentieri, se avesse potuto, ma non era capace, non ci riusciva e sapesse quanto questo lo faceva soffrire...

Poi aveva lasciato cadere una lacrima stanca, una sola.

Ed era stato allora, più di tutte le altre volte, che Violette aveva ricominciato a sentire la rabbia.

Ormai il cuore le bruciava, le mani sembravano in fiamme per il dolore; la testa pareva voler esplodere da un momento all'altro, e la gola era arsa, e la lingua inerme, bloccata.

Alexy avrebbe dovuto capirlo, invece l'aveva rifiutata.

Alexy la rifiutava, Alexy piangeva.

E Violette prendeva il suo album.

E Violette disegnava, disegnava disegnava...

 

*

 

Jean, Pauline, Roxanne e Philippe erano rimasti amici anche dopo aver finito il liceo; avevano deciso di trasferirsi, prendere un appartamento e andare all'università insieme.

Si conoscevano fin da bambini, andavano d'accordo e non avevano mai litigato. Vantavano un sacco di amici, erano di bell'aspetto, simpatici e non avevano mai discusso seriamente con qualcuno.

Per questo, nessuno seppe chi incolpare quando i loro corpi vennero ritrovati in fondo ad un burrone, gli occhi vitrei e gli arti scomposti e spezzati. Le bocche, spalancate, lanciavano mute grida di aiuto.

Nessuno le avrebbe mai sentite: le lingue erano state mozzate.

Accanto ai corpi, sporco di terra e sangue, un disegno; i tratti erano infantili, abbozzati. Ritraeva dei bambini.

Bambini che facevano la linguaccia, silenziosi.

E Violette strappava il suo album da disegno.

E Violette rideva, rideva rideva.

 

Aghate era una donna stanca, vecchia e sopraffatta dalla vita.

Ormai da tempo conduceva un'esistenza ritirata, dedita allo studio di nozioni antiche e dimenticate; anni prima era stata una professoressa, ma l'anzianità e la durezza del suo cuore l'avevano costretta ad allontanarsi dai posti in cui la vita era troppo forte e si faceva sentire.

Era sola, Aghate; perciò, nessuno sentì la sua mancanza, quando la trovarono morta nel suo piccolo studio.

Giaceva inerme, riversa sulla sua scrivania, coperta dal sangue secco delle ferite; sul suo corpo, ventitré pugnalate*, inferte da una mano sconosciuta.

Le orbite, spalancate, erano vuote… incapaci di lanciare ancora quegli sguardi disgustati.

Fra le sue mani, stropicciato, un disegno: una donna stava in cattedra, gesticolava.

Una donna senza occhi, silenziosa.

E Violette strappava il suo album da disegno.

E Violette rideva, rideva rideva.

 

A neanche trent'anni, Ambra aveva raggiunto l'apice della sua carriera di donna d'affari; si era fatta strada con le unghie e con i denti, letteralmente, mettendoci in mezzo anche le gambe e la taglia del reggiseno.

Era ricca, Ambra, più di quanto non fosse stata da ragazza, ed era ancora bella come prima; aveva successo, molta gente la cercava, così tanta che aveva acquistato una bellissima villa sul lago, per stare da sola con qualche amante, ogni tanto, per starsene in pace.

Perciò, erano passati ormai giorni quando la trovarono; sedeva nella veranda, assassinata.

Era in vestaglia, come se si fosse appena alzata, e aveva le mani pallide abbandonate in grembo, legate. La testa era piegata in un'angolazione strana e la pelle, tinta del gelido candore della morte, strideva con il segno rosso lasciato dai lacci sul suo corpo seminudo.

In bocca, spinto giù fino alla gola, a soffocarla fino a morire, qualcosa di bianco: l'imbottitura di un peluche, quello che giaceva sventrato ai suoi piedi.

Una busta era stata lasciata al suo fianco, una lettera da un mittente fatale. Dentro, un disegno che raffigurava una ragazza bionda col volto coperto da una pecorella rosa.

Ambra col suo peluche in faccia, silenziosa.

E Violet strappava il suo album da disegno.

E Violet rideva, rideva rideva.

 

Alexy era rimasto quello di sempre, anche quando era cresciuto.

Non portava più vestiti tanto colorati né lenti a contatto rosa a coprire il suo azzurro naturale, e i capelli erano più scuri, forse, ma aveva tenuto lo stesso sorriso e la stessa voglia di vivere che lo avevano sempre caratterizzato. Era un ragazzo allegro, felice di aver accettato se stesso e sicuro di essere amato: aveva conosciuto Gabriel in un negozio di musica, una sera che era in cerca di un regalo di Natale.

Si sarebbero sposati con Elton John a fare da sottofondo, di lì a qualche mese.

La sua, per tutti, fu la morte più dolorosa.

Fu Armin a trovarlo, di ritorno da un congresso di lavoro; era steso sul suo letto, immobile, freddo e senza più quella vita che tutti avevano tanto ammirato.

Non una traccia di sangue macchiava il suo volto; i suoi occhi erano chiusi, la sua espressione serena. Indossava un bellissimo abito elegante, nuovo di zecca, nero con tanto di giacca e cravattino; all'occhiello portava un fiore: una violetta, una sola.

Sul petto, vicino al cuore, c'era un foglio di carta ripiegato con cura. Sopra, un disegno: due ragazzi.

Lui aveva il viso allegro e bellissimo, lei i capelli viola e l'abito da sposa.

Alexy che sposava lei, felice.

E Violet bruciava il suo album da disegno.

E Violet piangeva, piangeva piangeva...







 

*ventritrè pugnalate: il modo in cui è stato ucciso Cesare; riprende la domanda che la professoressa le pone nella prima parte.




 
  
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