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Autore: D per Dolcetta    28/10/2014    3 recensioni
Dal tema proposto dal "C per Concorso": Lui ama lei, lei ama lui… E che palle! Siamo stanche delle solite storie d’amore, basta sentimentalismi, basta sospiri e baci! Vogliamo sangue, budella, grida e tanta, tanta paura. Raccontateci una storia dell’orrore, una di quelle che ti fanno venire la pelle d’oca e sbirciare nervosamente dietro le spalle. Dimostrate che al mondo non esistono solo fanwriters romantiche e che il Liceo Dolce Amoris può essere un luogo fottutamente spaventoso.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kentin
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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One-shot seconda classificata al "C per Concorso"




Tema:
Horror Sucrè
Titolo: Autocontrollo
Autrice: Krees




 

Ai tempi delle medie, quando veniva semplicemente ignorato dalla sua classe, Ken sapeva che il mondo fosse ingiusto.

Era ingiusto che fosse l'unico dei suoi coetanei a non crescere, restando uno sgorbio tutto braccia lunghe e spalle acuminate. Era ingiusto che la sua unica amica gli desse corda solo per gentilezza o per pietà, come gli era parso di scorgere più di una volta nei suoi occhi azzurro cielo.
Era ingiusto che fosse così disperato da accettare anche quell'amicizia scarna. Da arrivare addirittura a innamorarsi di qualcuno che non gli parlava mai più del necessario; purché gli parlasse.

Incontrando Ambra, Ken si era convinto che il mondo non fosse solo ingiusto ma crudele.

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Un tempo Ken contava i passi lungo il tragitto per il Dolce Amoris come un condannato a morte verso il patibolo.

Erano passati sei mesi e nove giorni da quando aveva cambiato scuola; da quando suo padre aveva deciso fosse tempo per quel perdente del suo ragazzo di diventare Uomo.
Ricordava ancora l'esatta tonalità di rosso che aveva assunto scoprendo che il suo unico figlio fosse vittima di bullismo da parte di una ragazza.

Erano passati sei mesi e dieci giorni dall'ultima volta che aveva visto Ambra. Lo scherzo con cui si era accomiatata era stato tagliargli i capelli, spiegando che li aveva tutti sugli occhi. Aveva insistito si togliesse gli occhiali così che non la intralciassero. Il vero scopo era fargli sfuggire uggiolii patetici ogni volta che lei si avvicinava con le forbici appuntite.
Alla fine gli aveva deliberatamente tagliato la cartilagine di un orecchio, come per rimediare al fatto di non avergli cavato un occhio per sbaglio.

Due giorni dopo si era trasferito al dormitorio dell'accademia militare. A confronto, gli episodi di nonnismo erano stati una barzelletta.
Si era liberato dell'inutile guscio di ragazzino nervoso, era diventato più alto, più robusto, aveva detto addio a quegli stupidi occhiali, ai biscotti, alle lacrime, e aveva imparato moltissime cose. Nonostante la rabbia che ancora provava nei suoi confronti, Kentin aveva gonfiato il petto quando aveva scorto il baluginio d'orgoglio negli occhi del padre.

Adesso Kentin contava i passi lungo il tragitto per il Dolce Amoris scosso dalla trepidazione. E nel frattempo ripassava il suo piano per quando avrebbe rivisto Ambra.

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Lo sguardo interessato di Ambra lo riempiva in ugual misura di compiacimento e disgusto. Era una stupida bulletta ma Kentin aveva sempre riconosciuto fosse una bella ragazza, di quelle che non avrebbero sprecato una sola occhiata per il vecchio Ken. Venir studiato da una tipa simile come se fosse un piatto prelibato, era indubbiamente appagante.
D'altro canto però, si trattava di Ambra.

Dopo quello sguardo fu certo che il suo piano sarebbe filato liscio.

Da come la ragazza sfoderò l'interpretazione da cerbiatta non appena lo vide avvicinarsi, non lo aveva minimamente riconosciuto. Kentin ci aveva contato.

Non si dilungò: le chiese semplicemente di seguirlo dietro alla scuola. Ambra scambiò un sorriso predatorio con le sue scagnozze, dimenticandosi di star facendo la parte della ragazza per bene. Kentin faticava a credere che qualcuno ci fosse mai cascato: la cattiveria trasudava da ogni poro ricoperto di fard, brillava negli occhi cerchiati di eyeliner, grondava da ogni parola pronunciata con le labbra pitturate di rossetto e gloss.
Più la guardava, più gli sembrava mostruosa. Una creatura dall'animo nero che tentava di travestirsi da essere umano.

Una volta dietro la scuola, aspettò un intero minuto perché il cortile si svuotasse. Avevano tutti fretta di tornare a casa e anche quelli che si domandavano chi fosse il ragazzo con Ambra, non si soffermavano a lungo.

Quando finalmente Kentin tornò rivolto verso di lei, la ragazza stava battendo un piede rialzato dai tacchi. Nemmeno provò a camuffare il tono acido. - Posso sapere perché mi hai portata qui? -
Kentin si costrinse ad attenersi al piano.
Fece un primo passo verso di lei, e al secondo gli occhi di Ambra si riaccesero. Stava immaginando scene di baci appassionati e dichiarazioni di affascinanti sconosciuti; era un libro aperto. Era così insulsa.

Kentin alzò una mano verso il suo viso, lasciandole credere ciò che voleva ancora per un attimo. Poi, all'ultimo, cambiò la rotta dalla guancia ai capelli.
Strinse il pugno e strattonò con forza, godendo di ogni singolo capello color oro che strappava.

Ambra cadde a terra solo con quello, emettendo uno strillo. La zittì dandole un calcio allo stomaco.

Si era immaginato un'infinità di volte quella smorfia di dolore e di indignata sorpresa sul volto truccato. Aveva iniziato quando era solo un ragazzetto troppo magro e aveva continuato una volta alla scuola militare, ad ogni piegamento, dopo ogni flessione, ancora e ancora e ancora, elaborando i dettagli prima di addormentarsi, in maniera maniacale.
Ora che finalmente la vedeva, incorniciata dai riccioli scombinati e sporca su un lato dalla polvere del cortile, particolari che rendevano quel momento assolutamente reale, Kentin non riusciva a contenere il sorriso.
In quel momento vide anche la paura lampeggiare negli occhi turchesi.

Aveva pensato a lungo se presentarsi come la vittima venuta a vendicarsi o se restare una figura sconosciuta e silenziosa, la rappresentazione di tutti i deboli che Ambra aveva maltrattato, umiliato, deriso, ferito.
Inutile dirlo, quel secondo ruolo gli era parso più significativo.

Kentin si stava crogiolando nel balbettio adirato e nell'ombra impaurita sul volto della ragazza quando decise che era tempo di passare oltre. Aveva un piano da seguire.
Scostò la camicia e recuperò la pistola dal retro della cintura.

Aveva sempre saputo che ignorando le proteste di sua madre, suo padre tenesse la vecchia pistola e i proiettili in un cassetto dello studio. Ken aveva pensato spesso di prenderla, nelle ore buie della notte in cui le lacrime scendevano per la rabbia e il disgusto di sé. A fermarlo era sempre stata la sensazione che una pistola, un'arma nata con l'unico scopo di ferire, fosse una bestia imprevedibile, qualcosa che era meglio lasciare dormiente.
All'accademia, Kentin aveva imparato che una pistola fosse solo un oggetto.

La puntò in mezzo agli occhi di Ambra con studiata lentezza. Gli avevano insegnato a tenere fermo il braccio appoggiandolo al sinistro ma a quella distanza neanche il vecchio Ken avrebbe sbagliato.

Per un secondo fu tentato di estrarre il cellulare con la mano libera e fare un video. Voleva ricordare per sempre gli occhi sgranati, leggermente incrociati verso l'arma, le linee tirate attorno alla bocca piegata all'ingiù, la fronte increspata. La disperazione abissale di chi sa che non c'è via di scampo.
Ancora più bello, si trattava di Ambra.

Kentin si chiese brevemente se sotto la matassa di capelli biondi la ragazza si stesse pentendo di tutte le volte che aveva torturato qualcuno o se nella sua immensa vanità, si sentisse una vittima innocente. Concluse che non aveva importanza e premette il grilletto.



Il boato del colpo non si era ancora spento che un urlo attirò la sua attenzione. Poco lontano, mal nascoste dell'edificio scolastico, c'erano Li e Charlotte.
La prima era inginocchiata sulla ghiaia, con le mani tremanti davanti alla bocca distorta dal grido. La seconda, quella che Kentin aveva sempre reputato la più intelligente del trio di arpie, stava scappando verso il cancello.

Kentin spostò il braccio senza mancare un battito. Aveva immaginato che quelle due sarebbero state nei pressi del loro leader. Durante le angherie di Ambra, lo erano sempre.

Stavolta aiutandosi con l'altro braccio per prendere la mira, sparò a Charlotte prima che potesse allontanarsi troppo. Sulla sua schiena si aprì un foro nero prima che rovinasse al suolo.
Li non si era mossa di un centimetro; il minuscolo cervello troppo affaticato dal tentativo di elaborare la situazione per permetterle di fare qualsiasi cosa. Kentin spostò la canna della pistola verso di lei e sparò.

L'adrenalina lo invase solo quando anche il corpo di Li si accasciò.
L'aveva fatto. Era tutto finito.
Non aveva mai pensato oltre quel punto ma non importava: nulla era paragonabile a ciò che sentiva in quel momento. Un'ebrezza mai provata prima, che gli faceva pulsare il sangue nelle orecchie ad un ritmo sconcertante. Un senso di completezza superiore alla prima volta in cui si era guardato allo specchio e aveva visto un uomo forte, sicuro di sé, attraente. L'onnipotenza data dal togliere la vita.

Fu forse per quello stato di eccitazione che si accorse di un altro testimone. Si voltò verso la serra e il suo sorriso esilarato incontrò enormi occhi azzurro cielo, labbra come petali di rosa, lisci capelli castani.
Se li era tagliati dall'ultima volta che l'aveva vista.
Era stato quando l'aveva salutata soffocato dai singhiozzi, ficcandole in mano un orsacchiotto che lei aveva accettato incerta, cortese. Le sue ultime parole erano state un addio dalla sintassi corretta e dalla dizione perfetta. Sempre cortese.

Aveva visto tutto, naturalmente; si capiva dalla smorfia terrorizzata.
Ma anche se non avesse visto, c'erano un ragazzo armato di pistola e tre cadaveri che ancora perdevano sangue.
Altrettanto chiaro era che non lo riconosceva.

Kentin avrebbe dovuto aspettarselo. Al contrario di Ambra, lei non gli aveva mai fatto davvero caso.
Sebbene si professasse sua amica, era sempre stata troppo distratta da ragazzi più affascinanti di lui, più alti di lui, più interessanti di lui.
Gli parlava perché era in linea con l'immagine di buona amica.
Non aveva mai provato ad andare oltre agli occhiali spessi ed ai maglioni sformati. L'aveva semplicemente catalogato come macchietta: l'amico lamentoso e imbranato.
Di sicuro nemmeno sapeva che i suoi occhi fossero verdi.

Il sorriso sparì dal volto di Kentin, sostituito dalla calma fredda di quando era arrivato ai cancelli. La sua presenza non rientrava nel piano ma si rimediava in fretta: aveva ancora proiettili.
Kentin tese il braccio davanti a sé, assaporando il potere assoluto. Da lì stava a lui e unicamente a lui decidere. Niente padri, né crudeli compagne di scuola, né insicurezze da ragazzino debole.

Il guizzo di paura primordiale attraversò anche il suo viso, ancorandole i piedi a terra. E parve farle scattare qualcosa in testa.
Dischiuse le labbra piene per dire qualcosa ma a Kentin non interessava ascoltare. In ogni caso sarebbe stata la storpiatura del suo nome. Una sillaba che aveva sempre odiato e che ormai non indicava più nulla.


-- l'Autrice Rantola --
OTTIMA idea mandare un adolescente vittima di bullismo in un'accademia militare! Imparare a maneggiare armi con scioltezza, saper combattere a mani nude e riempirsi la testa di valori MASCHI fortifica l'animo e non comporta nessunissimo rischio! Che bella idea il militare! Che bella idea l'esercito! Che bella idea, signori Genitori Modello!


Nota 1: non è detto che nelle scuole militari (francesi?) facciano usare armi da fuoco. Ho solo pensato che fosse PROPRIO UNA BELLA IDEA!

  
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