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Autore: Ausel    29/10/2014    5 recensioni
Ero l'anziano che portava la colazione alla moglie. Tutti gli chiedevano perché lo facesse, visto che ormai lei non lo riconosceva più, e l'uomo rispondeva candidamente "io mi ricordo chi è".
[Questa fanfiction si è classificata terza al contest “Keep Calm & Give Taluke A Second Chance”, indetto da Lucinda Taylor sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Talia Grace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il titolo è tratto dal XXXIV canto dell'Inferno di Dante.

 

 

 

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Luke non era mai stato un ragazzo capace di passare inosservato, forse per il suo carattere o per  l'aspetto fisico. Quella mattina aveva fatto il suo ingresso al Campo Mezzosangue scortato da Chirone e da Dioniso. Era una calda giornata d'inizio estate e il sole batteva potente sui tetti delle Case. Sembrava tutto perfettamente monotono, ma gli schiamazzi che componevano l'abituale colonna sonora si erano bruscamente spenti quando una chioma bionda aveva raggiunto la cima della collina. Gli unici suoni udibili trasudavano di dolore.

E la monotonia si era spezzata.

 

 

****

 

Ero l'anziano che portava la colazione alla moglie. Tutti gli chiedevano perché lo facesse, visto che ormai lei non lo riconosceva più, e l'uomo rispondeva candidamente "Io mi ricordo chi è". Nello stesso modo ogni pomeriggio andavo a trovare Luke che, se inizialmente si era mostrato ostile nei miei confronti, dopo un po' sembrò capire che non ero terribile come sembravo. 

A farmi male non era il silenzio che riempiva la stanza o il fatto che non mi guardasse negli occhi, ma la consapevolezza che il passato aveva lasciato spazio alla follia. Luke era folle, sì. Folle come poteva esserlo solo chi ha sofferto in modo ineffabile, folle come la solitudine l'aveva reso. Mi chiesi più volte cosa mai avesse trovato nel Labirinto, per trasformarlo nell'essere senza identità che dormiva in uno scantinato. 

Luke non parlava. Per nulla. Le urla di paura che avevano annunciato il suo arrivo non si sentivano più. Pensai che forse a urlare era la sua mente, senza far rumore. Forse gli era rimasta un po' di lucidità per cogliere gli sguardi e i bisbigli che lo avevano accolto. Perchè Luke era cambiato.

E non potevo farci nulla.

 

 

****

 

«Non è pericoloso?»

Sorrisi. «Il pericolo è altro.»

Così avevo lasciato la mia paura sul prato ed eravamo saliti sul tetto della Casa Grande. Roba per cui Dioniso ci avrebbe volentieri espulso, se non fosse stata notte inoltrata. In fondo non m'importava più di tanto, se ciò significava offrire a Luke un po' di conforto. 

Puntai l'indice destro verso il cielo e iniziai a mostrargli le poche costellazioni che conoscevo. Chissà se sarebbero interessate al Luke di prima. Sentii una morsa allo stomaco e chiusi gli occhi.

E una mano calda si posò sulla mia.


****


Un silenzio può essere diverso da un altro? Mi risposi di sì, perchè quello che ci fu la mattina in cui uscì alla luce del giorno era diverso da quello che gli era stato concesso al suo arrivo.

Luke avanzò lentamente attraverso gli altri ragazzi, li fissò uno a uno. Il viso non tradiva emozioni. 

Si fermò solamente quando arrivò davanti a Percy. O dei, pensai, adesso lo uccide. Mi aveva chiesto perché tutto gli apparisse così strano e gliel'avevo spiegato, senza tralasciare nulla. Sembrava disgustato all'idea di aver servito Crono, eppure...

«Anche i grandi sbagliano.»

E capii che il vero Luke non se n'era mai andato.



****


«Davvero soffrivi di vertigini?» Luke fece il gesto di piegarsi dalle risate e gli mollai una gomitata nel fianco, assumendo un'espressione offesa.

Settembre si stava ormai avvicinando e l'aria fresca della notte pareva riempirmi i polmoni fino all'orlo, mi sentii libera come non ero da tempo.

Presi la sua mano.

E quindi uscimmo a riveder le stelle. 

 

 

 


   
 
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