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Autore: metaldolphin    30/10/2014    3 recensioni
Noi autori sappiamo essere davvero crudeli con i personaggi che trattiamo... ennesima storia della sottoscritta con Zoro e Nami che scoprono un sentimento nuovo nelle difficoltà. Nulla di nuovo, nulla di particolarmente originale, solo il racconto di quello che può emergere quando si crede che tutto è perduto, immagini che il loro creatore ci nega nella storia originale.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vi trascinate a fatica nell’intricato groviglio del sottobosco. Lui è pesante sulla tua spalla, anche se si sforza di non gravarti addosso, perché sa che sei tanto più minuta, ma non ci riesce per molto.

Fatica anche a respirare: dove il proiettile gli ha forato il polmone, sembra quasi di sentire un sibilo sinistro, quasi uno sfiato, e speri che sia soltanto una tua suggestione.
Sanguina ancora, anche se il flusso è diminuito, ma il sottile rivolo che va a morire nell’haramaki lo fa diventare sempre più scuro e umido e la paura ti assale.

Ma non potete fermarvi.
Sei sicura che, mentre fuggite, stanno radunando i rinforzi dal quartier generale e presto vi saranno alle costole, così devi trovare dove nascondervi.
Cominci ad ansimare anche tu, anche se non sei ferita, perché la stanchezza e la consapevolezza che forse stavolta non ne uscirete, si fanno sempre più strada in te.
Allora stringi i denti e metti un piede davanti l’altro, facendoti strada tra i rovi con la sua spada nera in pugno; le altre le tieni al fianco perché lo hai voluto alleggerire anche di quel peso.

Ad un tratto scorgi la luce aumentare davanti a voi e speri che una misericordiosa radura ti dia tregua , ma appena uscite dalla macchia intricata ti assale lo sconforto: un’ampia distesa piatta e semidesertica si apre davanti a voi.

Come riuscirai a portare entrambi al di là di quella pianura che ai tuoi occhi appare immensa?
Guardi a destra e a manca, sperando in un punto migliore verso cui possiate dirigervi, ma non sembra esserci e ti lasci sfuggire un sospiro. Lui legge la disperazione sul tuo viso, si raddrizza un poco e mormora: -Nami, lasciami qui, senza me andrai più veloce. Porta con te la Wado Ichimonji e lasciami le altre due, li terrò impegnati ed avrai più tempo per fuggire…
Si muove per toglierti la lama dalla mano ed una di quelle che tieni al fianco, lasciandoti quella a cui tiene di più, quella bianca, che indica con un cenno del capo ed aggiunge: -Ti proteggerà.
Sai che si riferisce al fatto che per un samurai l’anima è custodita nella propria spada e sai anche che quella particolare lama apparteneva all’amica e rivale Kuina.
Allora lo guardi con gli occhi sgranati, sia per l’assurda proposta  di farsi lasciare indietro, sia per l’impensabile pensiero di separarlo dalla cosa per lui più importante, perché vuol dire che non ha più speranza di sopravvivere.

Ti ritrovi a strattonarlo con violenza, furente.
-Ma cosa stai dicendo?- gli urli in viso –Tu vieni con me e vada come vada!
Senti gli occhi riempirsi di lacrime e, un poco più calma, affermi: -Non ti lascio, Zoro. Siamo compagni. E poi io… io…- scuoti forte la testa, perché non è il momento per dirgli davvero ciò che provi per lui, non puoi, non in questo frangente.

Ti guarda in silenzio, il viso spento, debole per la ferita, senza dire che vorrebbe davvero che tu ti salvassi, che portassi avanti il tuo sogno, perché sa che non lo ascolteresti.

Gli rivolgi un sorriso un po’ tirato, poi gli prendi la mano, stringendola forte, e lo forzi a passarti di nuovo il suo braccio sulle spalle, mentre col tuo gli cingi la vita.
Cerca di protestare, ma riesci a trascinartelo dietro, lungo il pendio non troppo dolce del costone, senza cadere.

Fa caldo e la gola è riarsa, ma dovete proseguire: il giorno è ancora lungo e dovete trovare un riparo dove nascondervi: camminare la notte sarebbe una prospettiva migliore per proseguire in un campo così aperto.
E poi, sotto al sole cocente, non reggereste per molto, senza acqua né cibo.

Barcolli e rischi di fartelo cadere addosso; riprendi l’equilibrio appena in tempo, ma il movimento ti da’ modo di intravedere qualcosa sul terreno che ti dona un barlume di speranza: c’è un anfratto quasi invisibile dall’alto, non troppo distante, che promette ombra, riposo e riparo da occhi indiscreti.
Riuscite ad arrivarci e riesci a fare abbastanza spazio per entrambi, cercando di non pensare troppo a quanti altri esseri viventi, striscianti e ripugnanti, possano avervi trovato riparo, come voi, dal sole impietoso.

Più tardi, quando il sole tramonta, ci si vede a malapena, ma almeno è più fresco. Solo allora, mentre lo chiami per farlo rialzare, ti accorgi che non risponde, rimanendo immobile.
Presa dal panico lo trascini con fatica fuori dal vostro riparo, dove al minimo chiarore del crepuscolo riesci a vedere un po’ di più.

Ne cerchi i segni vitali e ti accorgi che respira, il suo cuore batte: puoi tornare a respirare anche tu, il tuo battito tornare a rimbombare nel petto…non è regolare, perché percepisci chiaramente il tuo muscolo cardiaco nella gola, così cerchi di respirare profondamente per calmarti dallo spavento che ti sei presa.

Un brivido, poi un altro. L’escursione termica tipica delle zone desertiche si fa sentire e al calore del giorno si sostituisce il gelo notturno.
Hai freddo, lui è incosciente e sai che potreste morire entrambi; scopri nuove lacrime sulle guance già bagnate.

Anche se tu avessi i mezzi per accendere un fuoco, sarebbe come dire ai vostri inseguitori dove trovarvi, dopo tutta la fatica fatta per cancellare le vostre tracce nella polvere e nella sabbia…

È ora di riprendere il cammino, ma non puoi trascinarlo, tantomeno prenderlo in spalla, così lo lasci sotto un arbusto e prendi con te la katana bianca: se le cose stanno come afferma il suo custode, ti proteggerà.
Sarà anche autosuggestione, ma in effetti dà una certa sicurezza stringerla tra le mani, come se non fossi sola.

Trovi un albero dagli altri e nodosi rami.
Al termine del lavoro, hai intenzione di ricavarne una sorta di barella di un paio di metri: messe dentro le maniche della sua camicia sfilatagli a fatica, vi passi al loro interno i due lunghi bastoni...aggiungi il suo haramaki ed il pianale è fatto; adesso non devi far altro che posarvelo sopra ed assicurarvelo con la tua cintura e la tracolla della tua borsa legate insieme. Potrai trascinartelo dietro anche se non riesce a camminare e il movimento ti darà calore.
Sei compiaciuta della tua idea e sorridi nel buio in cui si vede appena.

Quando lo raggiungi, ha ripreso coscienza, ha gli occhi aperti ed una spada per mano; sembra sorpreso di rivederti e cerca di dire qualcosa, ma lo interrompi: -Dopo, Zoro. Adesso dobbiamo proseguire, approfittando della notte. Risparmia il fiato!

Lo aiuti a distendersi, riuscendo nel tuo intento solo perché è troppo debole per opporsi e ti avvii, trascinandoti dietro il pesante fardello ai cui piedi hai legato la tua camicia, facendola diventare una specie di straccio che cancelli le vostre orme. Cercherai di coprire quanta più strada possibile, nel tragitto che vi separa dal mare e dalla Merry.

L’alba è già sorta, quando trovi un riparo dal sole caldo, che si fa sentire già anche se è ancora primissimo mattino.
È più ampio di quello che vi siete lasciati dietro e tiri un sospiro di sollievo: non siete ancora salvi, ma almeno per il momento, al sicuro.
Mimetizzi l’ingresso con sterpaglie e cespugli secchi, poi lo sistemi meglio e gli parli con un tono che ti forzi di rendere allegro, ma non reagisce.
Pensi che abbia perso nuovamente i sensi, ma appena ti avvicini, solleva stancamente una mano e te la poggia sul braccio.
-Ho freddo- mormora nella calura in aumento e, presa dal panico non sai cosa fare, perché sei conscia che è un brutto segno. Anche se hai caldo, ti accosti a lui, cercando di scaldarlo, ma è l’infezione che si fa strada a dargli quella sensazione e puoi fare poco.

-Non  posso aiutarti in altro modo, per il momento…- gli confessi piano e restate così, lui a cercare in te un po’ di calore, tu a riposare le membra stanche e le ore sembrano non passare mai, nelle ore che scandiscono la giornata.
La fame e la sete sono un tormento a cui non riesci a non pensare, in un’agonia che allunga i minuti e li stira, fino a tenderli come la corda di uno strumento musicale.

Nel tardo pomeriggio raccogli le forze nei muscoli dolenti per alzarti e controllare la sua ferita. L’emorragia si è fermata, ma la pallottola è ancora dentro e bisognerà tirarla fuori al più presto.

Improvvisamente ti parla: -Ieri… ieri sera… perché sei tornata indietro?- chiede con voce flebile e lo guardi stranita. Ha pensato davvero che tu avessi dato seguito alla sua richiesta e lo avessi abbandonato, mezzo nudo e portandoti dietro la sua spada prediletta? Ti crede davvero così meschina?
Dai voce ai tuoi pensieri e ti guarda senza dire nulla; ha la gola asciutta come la tua e pensi che, in tutta quella disperazione, la sua idiozia è la cosa di cui hai meno bisogno.
Le vesciche sulle mani, figlie del prolungato contatto con il legno ruvido della barella che hai trascinato per tutta la notte, scoppiano, in un tripudio di dolore, quando nervosamente stringi i pugni. Allora ti volti, per non farti vedere mentre scoppi in lacrime e ti chiedi da dove venga tutto quel liquido amaro e salato, visto il tuo stato di disidratazione ed è strano che non riesca a fermare quella perdita così copiosa e dannosa.

Aveva ragione: senza di lui avresti sofferto meno e coperta una maggiore distanza, ma sai bene che non avresti mai e poi mai potuto andare avanti da sola.
   
 
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