Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |      
Autore: Invader_from_Hell    25/01/2005    10 recensioni
Sallustio in Cesare, 7 Marzo 44 a.C. Apologia di una crisi che si legge negli occhi di quel vir citus modo, modo tardus incessus... Roma sprofonda tra le lacrime dell'immagine della caduta... Per amore della res publica.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Amanti e Perduti

Amanti e Perduti

 

                                                                                                   Sallustio in Cesare, 7  Marzo 44 a.C.

 

 

Il tuo Sallustio ti saluta, Cesare.

La stagione non consente alcuna attività produttiva. Non conosco quale sia la situazione della Città, ma la campagna da ormai tre giorni è castigata da precipitazione d’ogni genere. Non ricordo d’aver mai visto tanta pioggia e tanta sabbia cadere dal cielo nello stesso tempo, neppure ai tempi dell’Africa.

Ah, Cesare, non vedo alcuna speranza di passeggiare nei giardini, almeno fino alla fine di questa settimana. I liberti sono sicuri che la precipitazione debba ancora dare sfogo alla sua impietosa violenza. Neppure nella storia trovo conforto, e per di più la stagione che mi obbliga a rimanere chiuso nelle mie stanze è anche la forza misteriosa e terribile che mi priva di ogni voglia di scrivere. No Cesare, non è più il momento di giustificare questo lembo di vita che si protende verso un tramonto marittimo ormai più vicino alla notte che al pomeriggio.

Credo di averti raccontato nell’ultima epistola del piacevole dono che ho ricevuto da mio cognato. Se per caso avessi omesso di farlo, ti dirò che mi è stato fatto dono di alcune meravigliose piante esotiche. Ho immediatamente provveduto a farle piantare nell’angolo più luminoso del mio giardino, tanto più che ero stato informato della rara bellezza dei loro fiori. È ormai da molto tempo che i miei giardinieri – con grande zelo peraltro- si affaccendano intorno ad esse nella speranza di farle fiorire il più presto possibile. E proprio una settimana fa, ecco apparire il primo bocciolo. Oh, Cesare, sembra una cosa tanto assurda gioire per un bocciolo! Ma, si sa, la fortuna non concede più di quanto tolga. Così, mentre la pianta riluce di fiori variopinti e odorosi, la pioggia ci costringe tutti in casa.

Non di rado, Cesare, la sorte mi appare manifestamente avversa.

La pioggia scende e si capisce, si capisce che non potrebbe trovare spazio in una villa di campagna, a pochi passi da un mare che i contadini ed i pescatori hanno sempre veduto placido e benevolo. Lo stesso mare che adesso schiuma in lontananza come un cane rabbioso. Non sembrerebbe anche a te, Cesare,  che un dio stia mirando verso la mia casa?

L’atmosfera non ha niente di naturale, ed io non sono poi così differente da un animale.

 

E veniamo a te, imperator.

Non ti nascondo un velo di preoccupazione.

Quello che hai scritto nella tua ultima lettera mi ha lasciato a dir poco turbato.

Davvero simili visioni ti tormentano? È proprio vero ciò che mi dici, che i tuoi sogni sono lunghi e tormentati? Quanto agli indovini, saprai certamente meglio di me quanto credito possano meritare uomini tanto svergognati e presuntuosi.

No Cesare, non nel volo delle taccole in cielo sta scritta la sorte di un uomo, né tanto meno nel fegato di un animale. Sono rimasto tanto stupito nel leggere di questi tuoi dubbi che ho persino dubitato dell’autenticità della tua lettera. Oh Cesare, è davvero questa l’asfissiante paranoia di un dittatore?  Guardatene, Cesare: spesso nel sonno un uomo vede un dio che gli somiglia.

Ma in ogni caso, dato che sembri assai interessato all’argomento, voglio raccontarti del sogno che stanotte mi ha visitato, ben sapendo che lo troverai assurdo.

Sai bene quanto sia difficile riunire i pezzi di un vaso di fine fattura che si è frantumato. Non trovi che lo stesso valga anche per i sogni? Nel momento in cui un uomo si sveglia essi sono vasi che si frantumano: molti pezzi vanno, ahimè, perduti. I restanti, invece, difficilmente potranno essere riuniti in un unico elemento di senso compiuto. Eppure, Cesare, questo sogno lo ricordo bene, nei minimi particolari.

Mi trovavo dunque nel foro, cosa già sufficiente ad accendere in me la più viva commozione. Vi riconoscevo tutti.. tu, Catone, Cicerone, anche Silla sedeva sul marmo bianco. Ma, Cesare, un sogno di per sé non eccezionale lo diventava grazie alla sua presenza! Era lui, ne sono certo. Il suo portamento incostante, i suoi occhi piccoli, la carnagione smunta.. Cesare, tra noi c’era Catilina! Mai, Cesare, mai avrei pensato di sognarlo!

Marco Tullio si alzava, mi parve allora chiaro che quella fosse l’occasione della sua prima orazione contro Catilina. Ma , oh, mi sbagliavo. Le parole che uscivano dalla bocca di Cicerone erano sottili e prive di consistenza, stelle poco luminose in una volta troppo poco scura, come quelle di un oratore non ancora abituato all’uso delle pietre. E voi non vi muovevate, muti.

Si alzava allora Catilina, ed era grande, più grande di tutti noi impilati! Ci sovrastava, eppure la sua altezza spropositata non incuteva alcun terrore. Sembravamo tutti coscienti di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto… Il gigantesco Catilina scoppiava allora in lacrime, ed erano gocce pesanti ed amare… Cesare, credimi se ti dico che dopo qualche minuto l’intera Città era allagata dalle lacrime di Catilina.

Ora, riterrai questo sogno sciocco e frutto – forse- di una notte dedicata ai piaceri. Legittimo, certo, ma io ti assicuro che su ciò che ho visto non era calato il velo dell’ebbrezza.

Il tempo, Cesare, ha finito per cambiarci anche nel mio sogno.

Avevamo ragione?

 

Sto male, Cesare.

È un male oscuro e profondo, tanto che non lascia la mia vita libera di respirare.

Non trovo un modo, Cesare, un modo per godermi questo tramonto al quale tendo senza speranza. Ci sono giorni in cui credo di sapere cosa sia, altri in cui conosco a mala pena la mia immagine riflessa nello stagno del mio giardino. Cesare, non so cosa sia, so solo che accade.

 

Fieri sentio et excrucior

 

Sì, Cesare, anche io odi et amo, lo sento accadere ed è proprio così!

Cesare, non è Eros che scioglie le membra, sono centinaia di tarli che mangiano la mia carne ad ogni passo che faccio. Mi rotolo nei rovi!

Ma Cesare, l’amore non mi fa schiavo di una leggiadra fanciulla, né mi spinge a corteggiare un intonso giovinetto.. No, Cesare, l’unico amore nella vita di questo misero Sallustio è colei che sola riesce ad innamorare tanti uomini… Cesare, io sono perso per la Res Publica.

E sono un innamorato di poca esperienza, che per seguire una donna più esperta e matura ha dimenticato ogni principio e si è privato di ogni base. Ad ogni sussulto di vento tremo, e il prossimo ciclone mi porterà via per sempre, non ho piedi che mi ancorino alla terra.

Sono un innamorato misero, che ha corteggiato la sua donna come l’hanno corteggiata tutti, senza mai riuscire a raggiungere quel punto di originalità che solo i grandi uomini riescono a conseguire. No, Cesare, non sono invidioso, la mia è stata una goffa uscita dall’ignavia…

Che amore prematuro, e quanta poca dignità rimane ad un amante quale io sono.

Non c’è offesa che non possa sopportare da parte della mia reticente donna. Nessun tradimento è tanto grave da farmi adirare, nessun capriccio della mia amata mi appare sciocco ed ingiustificato. No, Cesare, non sono un uomo. Chi ci ha detto e fatto credere che siamo migliori degli animali, si sbaglia. Noi siamo più ostinati, noi amiamo il nostro dolore, noi non riconosciamo la nostra totale perdita della dignità, ed intravedendola siamo noi quelli che non se ne preoccupano.

Sono pietoso, Cesare.

Corro tra gli alberi del mio giardino, come un cane che fugge da uno sciame di calabroni furiosi. Quando trovo un albero che possa coprirmi, mi nascondo. Ma lui, l’amore, è lì.  Non mi insegue, non è un cane da caccia che scova la sua preda anche in capo al mondo. Lui è semplicemente lì. C’è adesso, un adesso illimitato ed eterno. Non c’è possibilità di fuga per me, dovunque vada sono preceduto dalla mia sfrenata passione.

È un amore indignitoso, impietoso, sfrenato. È fatto di brevi incontri, di effusioni violente e di vasi che colpiscono i muri. Noi poveri amanti, Cesare, siamo perduti non appena veniamo lasciati, al principio. La nostra amata non conosce costumi, li crea e poi ne è del tutto esente. Essa torna da noi quando ne sente il bisogno, quando – cioè- il suo letto è troppo freddo perché possa starci lei sola. È graffiante come una tigre indiana, non ha pietà per la carne che strazia!

Ma io la amo, Cesare, la amo! Mi lascerà altre cento, mille volte, ma non farà differenza.

Siamo amanti politici, oh imperator?

Come mai non combattiamo la gelosia che proviamo nel vedere la nostra amata res plublica  che si accompagna di uomini pessimi?

Forse che siamo troppo stanchi, Cesare?

Forse che invece siamo stati anche noi esattamente come loro?

Forse che siano questi i gusti della nostra sfuggente donna?

Siamo malati, Cesare?

Siamo pensieri estraniati?

Siamo mai stati risoluti?

Dimmi, imperator, secondo te

Siamo giochi bendati

O amanti perduti?

 

 

 

 

 

  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Invader_from_Hell