Mi alzo a controvoglia da
quel letto troppo piccolo per me che ormai è diventato il
mio passatempo,
rabbrividisco per il freddo del pavimento, ma sono sicuro che
è per quello? Do
uno sguardo fuggitivo alla finestra, fuori dove il freddo è
glaciale ma non lo
sento nemmeno, il sole non c’è, è
sparito da un bel pezzo nella mia vita. Un
ululato proviene dalla foresta per ricordarmi di raggiungerli in ronda,
come se
ne avessi bisogno. Mi passo una mano nei capelli sospirano affranto e
cammino a
passi pesanti lungo il corridoio di casa.
-Jake,-
mio padre fa
capolino dalla cucina con sguardo lugubre e una lettera in mano.
-Una...lettera
per te.
Inclino
la testa di lato
scrutando diffidente il pezzo di carta che Billy tiene fra le mani, poi
guardo
lui. Mai visto uno sguardo così spaventato e irrequieto da
parte sua. Era
sempre stato un tipo calmo e posato. Mi devo preoccupare?
Mi
avvicino lentamente con
lo sguardo fisso sulla busta, spero che non sia quello che penso. La
afferro
con prudenza e mi siedo al tavolo della cucina, rigirandomela fra le
mani. Una
scritta dorata in corsivo.
Jacob
Black e famiglia.
Mio
padre si avvicina al
tavolo e mi guarda con un sorriso triste e tremolante, sospira.
Apro
lentamente la busta estraendo
una lettera bianca, piegata accuratamente in due. Ecco. Lo sapevo.
Aggrotto
la fronte e
irrigidisco la mascella tenendo la bocca serrata, inizio a leggere quel
fottuto
pezzo di carta.
Isabella
Marie Swan
e
Edward
Anthony Masen Cullen
vi
invitano al loro matrimonio
Non
vado avanti a leggere,
vedo solamente questi due nomi e l’essenziale della lettera.
Così
è successo. È fatta. Si
sposano. Ha vinto il bastardo.
Non
so che cosa pensare,
nella mia mente turbinano ricordi bellissimi eppure dolorosi. Non so
davvero
che cosa pensare. Mi manca quasi l’aria, perché ho
un dolore atroce che pulsa
nel petto. Non è il lupo, no. È per colpa sua.
È soltanto colpa sua.
Non
è servito a niente,
tutto quello che ho fatto. I miei sforzi non sono valsi nulla. Eppure
le avevo
dimostrato un milione di volte quanto la amo. Quanto conta per me, come
riusciva ad illuminarmi le giornate con un suo sorriso. E ogni volta
che le
stavo vicino il mio cuore batteva all’impazzata come il suo.
Lo sentivo, anche
lei mi voleva, mi vuole. Mi ama. Ma il ghiacciolo è tornato,
dopo tutto il male
che le ha fatto.
E
io che le ero restato
sempre accanto, ogni momento a partire da quel periodo e nei mesi
seguenti.
Quando si sentiva triste o sola correva da me perché sapeva
che il vecchio Jake
la aspettava a braccia aperte come un babbeo, poi quanto tornava il
succhiasangue mi trattava come se non avessi fatto niente per lei, come
se io
non fossi niente per lei. E in quei momenti mi si spezzava il cuore, mi
sentivo
tradito, un giocattolo usato. E forse aveva davvero giocato con i miei
sentimenti.
Poi
da quando è tornato lo
proteggeva sempre e facevo sempre io la figura del coglione. Del
coglione
innamorato pazzo della ragazza che mi aveva spezzato il cuore, e Paul
continuava a ripetermelo, ero un coglione con la C maiuscola,
perché tornavo
sempre da lei a gambe levate, mentre mi pugnalava alle spalle. E ogni
volta che
la abbracciavo aveva il suo odore addosso, una stilettata al cuore. Dio
quanto
l’amavo, quanto la amo.
La
odiavo per il dolore che
mi infliggeva e infligge tutt’ora. Se non dormo di notte, se
non mangio, se
piango di nascosto nelle coperte del letto è colpa sua. Poi
dovevo sopportare i
commenti acidi di Leah Clearwater, che aveva il cuore di ghiaccio.
Forse anche
lei aveva provato la stessa cosa di me, ma la sua tortura è
finita, la mia no. Continua
a ripetersi.
E
poi io non la capisco. L’ha
abbandonata, lì nel mezzo del bosco, dicendole delle cose
orribili, l’ha fatta
cadere in depressione, era una viva ma sopravviveva, e lo vedevo, nei
suoi occhi
non c’era più luce. Poi quando era con me riuscivo
a vederla di nuovo, quella
luce, ed ero fiero di me stesso perché riuscivo a farla star
bene, a farla
ridere e apprezzare la vita, poi più il tempo passava e
più mi innamoravo di
lei, dei suoi occhi color cioccolato, della sua voce che alimentava i
miei
sogni. E ogni volta che le guardavo quelle labbra rosse a cuore mi
veniva
voglia di farle mie, di poggiarle sulle sue, di muoverle sulle sue e
con le
sue. Volevo che quelle sue braccia esili e piccole mi stringessero e
che mi
dicesse quelle parole che non riusciva a dire. E per fargliele dire
avevo
provato tutti i sistemi, tutti. Poi finalmente era successo, il suo
orgoglio è
sparito e me le ha dette. Sì certo me le ha dette, ma quando
ero sdraiato su un
letto fasciato e dolorante per far pietà a tutti.
E
sono stato furbo, sono
riuscito a rubarle un bacio, quello che avrebbe dovuto essere il nostro
primo
bacio, su quella montagna. Ma la sensazione che me lo avesse chiesto
solamente
per farmi restare e non perché lo aveva voluto seriamente mi
rodeva dentro, e
ogni volta che pensavo a questa opzione il mio cuore si stringeva.
E
il mio orgoglio è andato a
farsi friggere per colpa sua. Mi ero messo pure a piangere come un
bambino nel
mio letto, ma piangevo di notte. Mica volevo farmi vedere in giro con
le
lacrime agli occhi, già una volta era successo e davanti al
branco poi, sempre
per colpa sua. Poi rompevano e mi compativano, ma non sapevo che
farmene della
loro compassione, non volevo essere compatito. Tutta colpa sua.
Socchiudo
gli occhi per
cercare di frenare le lacrime che minacciano di uscire, del groppo in
gola che
mi sta corrodendo le corde vocali, sto per esplodere dentro, stringo
una mano
sul bordo del tavolino creando una crepa.
E
poi le torte di fango,
quelle sì che me le ricordavo, le battute di pesca, e
più tardi eravamo passati
a riparare moto e ad uscire regolarmente insieme. E mi dicevo
“Ehi Jake, ora è
tua, prenditela.”
Quanto
ero ottuso.
Non
ce la facevo più, mi
alzo di scatto dalla sedia rovesciandola per terra e mi dirigo a passi
pesanti
verso l’uscita di casa. Pioveva? Chi se ne fotte, ancora
meglio.
-Jake!
No
papà, scusa ma non ce la faccio.
Apro
la porta di slancio e
camminando velocemente mi dirigo verso la foresta.
Jake,
ti voglio bene. Perciò ti prego, non costringermi a
scegliere...perché sceglierei lui. Io avrei scelto lui
sempre.
Aumento
il passo buttando la
lettera nel fango, il mio addome brucia, brucia di dolore, di gelosia,
di
rabbia.
Finché
il mio cuore batterà.
Sì
perché tra un po’ sarà
perfetta, di ghiaccio, con quegli occhi rossi che fanno venire il
voltastomaco,
sarà forte, agile, non sarà più
impacciata e non arrossirà più quando le si
farà un complimento, il suo cuore non batterà
più, non avrà più quel profumo di
fragola, odorerà di succhiasangue. Non sarà
più la mia Bells.
Comincio
a correre
stringendo i denti e respirare forte, mi sfilo la maglietta buttandola
per
terra come la lettera, i miei piedi nudi affondano nell’erba
e nel fango, la
foresta mi richiama è l’unico rifugio dove posso
nascondermi.
-Jake!
Jacob!
No.
Grugnisco
aumentando la
corsa, i muscoli si gonfiano, e ben presto le zampe prendono il posto
delle
gambe, ringhio scuotendo la testa e percorro a gran falcate il terreno,
la
pioggia batte sulla mia pelliccia rossiccia, lunga anche quella, e ben
presto
si inzuppa di fango, pioggia e foglie secche. Scompaio nel folto della
foresta,
nel buio degli alberi, dove lì è il mio posto,
dove è il posto di tutti noi
lupi. Chissà dove sono gli altri, non mi interessa. Sam mi
richiama, mi chiede
dove sto andando, gli altri si aggiungono alla mia mente e
l’ordine Alpha
arriva presto, ma io sono il vero Alpha, posso resistere, ignorarlo.
Parto.
dico
semplicemente, e scollego la mente dalla loro. Ululo
all’aria, dove il vento
porta via i miei lamenti, e li lascio le lacrime scendere, dove nessuno
mi può
vedere. Scappo, scappo via da quel mondo e non so se ho voglia di
tornare.
Perché
in fondo, lei era la
mia Bells, non la sua.